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Angeli Custodi

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Angeli Custodi (Ancili Custoddi o a Sciara in dialetto catanese) è un quartiere della zona sudorientale della città di Catania, facente parte dal 2013 della I Circoscrizione (già I Municipalità, quella del Centro Storico), comprendente anche i quartieri Antico Corso, Civita, Fortino, Giudecca, San Berillo e San Cristoforo. Il toponimo Angeli Custodi trae origine dalla presenza nel quartiere di una chiesa intitolata al culto dei Santissimi Angeli Custodi, risalente al XVIII secolo. Il quartiere Angeli Custodi sorge nella parte sudorientale del centro storico di Catania. Esso confina a nord-ovest con i quartieri Murorotto o Pozzo di Gammazita - Terme dell'Indirizzo e Castello Ursino, ad ovest con il quartiere Santa Maria de La Salette, a sud con il quartiere Tondicello della Plaia - Faro Biscari, ad est trova sbocco nel porto, e a nord-est il Giardino "Giovanni Pacini" e Piazza Paolo Borsellino, già Piazza Alcalà, lo separano dalla Civita. Agli Angeli Custodi inizia il percorso della Via del Plebiscito, l'antica circonvallazione esterna che racchiudeva i rioni più antichi del centro storico catanese, anche se il quartiere è sorto fuori da tale cinta. Fra le altre strade più importanti degli Angeli Custodi vi sono: via Angelo Custode, via Cristoforo Colombo, via Domenico Tempio, via Grimaldi, via Plaia, via Stella Polare e via Zurrìa. Lo sviluppo del quartiere comincia con la ricostruzione della città di Catania dopo il Terremoto del Val di Noto del 1693, che la aveva quasi rasa al suolo, come parte della sua espansione verso Sud, e la sua storia coincide per buona parte con quella del vicino quartiere di San Cristoforo, con il quale viene spesso scambiato, confuso o più che altro considerato come un tutt'uno. Infatti è stata una calamità ancor precedente, la colata lavica dell'Eruzione dell'Etna del 1669, a creare una sciara che ha sguarnito i bastioni delle Mura di Carlo V nella parte meridionale della città, colmando il fossato del Castello Ursino allontanandolo dal mare per molti metri, e costituendo così il terreno per gli Angeli Custodi e per i quartieri limitrofi, più in là man mano anch'essi urbanizzati. Il popolamento del quartiere avvenne con l'afflusso di numerose famiglie di origine proletaria provenienti dalle aree rurali, e ciò si verificò in modo più consistente nella seconda metà del XIX secolo. Gli Angeli Custodi vennero popolati in prevalenza da manovali, barrocciai (carrettieri), muratori, capimastri, carpentieri e maestri d'ascia, attivi nell'edilizia, nonché da operai attratti dall'insediamento di attività industriali nella zona, spesso collegate al porto e alla ferrovia. Si verificò perciò un processo di urbanizzazione molto rapido, tanto che nel decennio compreso tra il 1871 e il 1881, la popolazione degli Angeli Custodi crebbe del 56%, registrando un livello di incremento più elevato rispetto alla media cittadina del 19%. La conseguenza fu lo sviluppo di un abitato disordinato, che fu oggetto del piano di risanamento e ampliamento per la città di Catania redatto nel 1879 dall'architetto Bernardo Gentile Cusa, il quale nella sua relazione fece la seguente descrizione del quartiere: «porzione a sud di via Plebiscito e dell'ultimo tratto di via Garibaldi, per la maggior parte di recentissima costruzione. Le sue vie in generale sono dritte e lunghe, ma non strettissime e, meno rare eccezioni, senza coperture stradali [...] più di due terzi delle case sono ad un solo piano, non si può dire che la popolazione vi stia molto ristretta. Eppure è il quartiere che ha mortalità annua quasi doppia della media [...] non esiste una sola piazza.» La forte densità abitativa e le scarse condizioni igienico-sanitarie del quartiere, causarono le epidemie di colera scoppiate nel 1867, 1884 e 1887, che colpirono la città di Catania. L'epidemia del 1887, colpì particolarmente gli Angeli Custodi, che con una popolazione di 11.000 abitanti, registrò un tasso di mortalità del 36 per mille. Per fronteggiare la situazione e dare maggior decoro, l'amministrazione comunale provvide alla sistemazione delle strade del quartiere, come via Zurrìa. Dopo la crisi dello zolfo del 1895, la zona risentì della significativa ripresa dell'economia di Catania; inoltre, per la sua caratteristica di quartiere industriale storico della città, cominciava ad ospitare le case dei vari lavoratori: infatti, nella prima metà del XX secolo, durante il periodo denominato Biennio Rosso, ovvero il 1919-20, si verificarono numerosi scontri tra i manifestanti - perlopiù zolfatai ed edili disoccupati dopo la prima guerra mondiale - e la polizia. Tra le zone maggiormente colpite dai bombardamenti su Catania del 1943 operati dall'aviazione anglo-americana nella seconda guerra mondiale, nel dopoguerra venne ricostruita ma perse la sua caratteristica di quartiere industriale in favore della nascente area di Pantano d'Arci, zona a sud di Catania in precedenza paludosa e quindi sottoposta a opere di bonifica fra le due guerre mondiali, nella quale a partire dagli anni Cinquanta si è cominciata a costruire l'odierna Zona industriale di Catania; rimasero comunque nel quartiere le attività artigianali, fiorenti tuttora, non a caso questa zona non è più marginale, bensì inglobata e inclusa nel tessuto urbano della città, la cui periferia è ormai abbastanza più a sud. Nel corso della seconda metà del XX secolo, gli Angeli Custodi, assieme ad altri quartieri limitrofi, fu interessato dal declino socioeconomico che lo ha reso uno dei quartieri più degradati del capoluogo etneo, nonché tra quelli con i più alti tassi di criminalità, soprattutto quella organizzata e minorile. Il processo di urbanizzazione dell'area avvenuta dopo il XVIII secolo portò alla costruzione di edifici dalle caratteristiche architettoniche di tipo rurale, in particolare nelle vie e viuzze secondarie. Edifici in stile architettonico borghese sono perlopiù presenti in Via del Plebiscito e Via Cristoforo Colombo, e pertanto non sono presenti beni monumentali di particolare interesse. In via Angelo Custode sorge il luogo di culto principale del quartiere, la Chiesa dei Santissimi Angeli Custodi, la cui costruzione risale al 1730, rendendola la chiesa più antica di tutta l'area sudorientale catanese. In via del Principe vi è un secondo luogo di culto cattolico, la Chiesa del Santissimo Salvatore, di più piccole dimensioni e con la scritta campeggiante in latino "Salvator Mundi", che risale al 1945 e probabilmente è chiuso al culto. Nel quartiere vi era stato costruito negli anni sessanta del XIX secolo pure il Mattatoio Comunale alla fine di via Zurrìa, che dall'inizio del XXI è stato ristrutturato e trasformato nella Piscina Comunale "Francesco Scuderi". Inoltre vi era stato edificato anche il Mulino Santa Lucia nell'omonima via, realizzato alla fine dell'Ottocento ma colpito da un incendio nel 1905, quindi abbandonato e dismesso: solo nel 1991 è stato acquistato dal Comune e nel 2009 è stato comprato dall'imprenditore romano Francesco Bellavista Caltagirone, che voleva trasformarlo in un hotel intitolato al musicista catanese Vincenzo Bellini, ma l'operazione non è arrivata a conclusione sia perché in quel luogo si concentra molto traffico, sia perché vi è stato poi anche un processo per lottizzazione abusiva, che vide comunque gli imputati assolti nel 2013. Agli Angeli Custodi sorsero come industrie anche: la "Centrale del Gas", fatta costruire da una società belga costituita in origine nel 1862, in seguito municipalizzata e che dal XXI secolo ha assunto il nome di "Asec", poi "ASEC TRADE", e ora "Catania Rete Gas"; e poi la "Centrale Elettrica" fatta costruire nel 1950, in un'area dove prima vi era un deposito dei tram, dalla S.G.E.S., società fondata a Roma nel 1903, che dal 1918 ha sede a Palermo e che nel 1963 è stata rilevata dall'ENEL. Area industriale fino alla prima metà del XX secolo, oggi vi sono concentrate perlopiù attività artigianali e commerciali. Nel quartiere è presente una scuola di istruzione primaria, ed una biblioteca comunale, quest'ultima ubicata in Via Stella Polare, sorta nel 2008 all'interno dei locali di un ex cinema. Quello degli Angeli Custodi è uno dei quartieri catanesi con il più alto indice di dispersione scolastica. La zona è regolarmente servita dai mezzi pubblici dell'AMT, e vi transitano gli autobus delle linee D, L-EX, 431N, 431R, 503. R. D'Amico, Catania: i quartieri nella metropoli, Catania, Le Nove Muse, 2001, pp. 136-139, ISBN 8887820139. Il Tessuto Urbano - 1ª Circoscrizione Centro Storico, su comune.catania.it. URL consultato il 20-09-2018.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Angeli Custodi (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

Angeli Custodi
Via Sant'Angelo Custode, Catania Centro storico

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95121 Catania, Centro storico
Sicilia, Italia
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Museo civico al Castello Ursino
Museo civico al Castello Ursino

Il Museo civico di Catania è situato all'interno del Castello Ursino dal 20 ottobre 1934. Dopo la chiusura del Museo Biscari (tra le più importanti collezioni d'Europa del tempo, definito da Dominique Vivant Denon una "lodevole raccolta") e il sequestro della Collezione dei Benedettini, a Catania si avvertì ben presto la necessità di un Museo Civico. La sua apertura tuttavia avvenne non prima del 1934 su un primo progetto di Guido Libertini, al tempo soprintendente alle Antichità di Catania. La scelta dell'ubicazione ricadde sul Castello Ursino, unico monumento cittadino abbastanza capiente per ospitare la collezione benedettina a cui presto si aggiunsero i reperti acquistati dagli eredi del Principe di Biscari, la collezione Zappalà Asmundo e molte donazioni private. Il Museo si avvaleva così di tre importanti collezioni che comprendevano le sezioni archeologica, medievale, rinascimentale e moderna. A causa di problemi burocratici e di reperimento di fondi per la necessaria ristrutturazione, il museo è successivamente rimasto chiuso per moltissimi anni. La riapertura del primo piano del museo (avvenuta nel 1999) permette di ammirare parte delle sculture di epoca ellenistica e romana fra cui spiccano la testa di efebo del VI secolo a.C., ritrovata negli scavi dell'antica Leontinoi e appartenuto a Ignazio Paternò Castello, recentemente ricongiunta all'acefalo Kouros esposto al Museo Paolo Orsi di Siracusa), la statua di Ercole di III secolo proveniente dagli scavi del palazzo Zappalà in via A. di Sangiuliano a Catania, il monumentale torso di imperatore Giulio-Claudio raffigurato come Giove. Inoltre molti frammenti decorativi provenienti dal Teatro e pregevoli mosaici pavimentali provenienti da diverse parti della città (spicca sugli altri un invitante "Vtere Feliciter", augurio che faceva da ingresso al ninfeo di piazza Dante). Pure di notevole importanza (soprattutto per la storiografia Siciliana di età imperiale e per le funzioni pubbliche) il cippo monumentale di Q. Atilius, chiamato cippo Carcaci e il frammento di decorazione (dato l'aspetto probabilmente in origine dovette essere parte di una colonna istoriata) proveniente dagli scavi presso la Porta delli Canali (oggi Porta di Carlo V), trovati entrambi a Catania. Notevoli i due portali rispettivamente del XIII e XV secolo. Quest'ultimo situato nel cortile è un importante documento del periodo in cui il Castello fu sede di prigione, con le scritte (firme, poesie, disegni) incise dai condannati sugli stipiti. Esiste anche una notevole collezione numismatica ricca di preziose monete greche e romane. Per finire una ricca collezione di crateri greci fra cui spicca un cratere attico raffigurante Perseo che decapita la Gorgone. Nel 1995 venne riaperta un'ala del maniero per rendere fruibile la parte relativa alla pinacoteca. Tra le opere esposte ricordiamo una piccola raccolta di tavolette bizantine, San Cristoforo di Pietro Novelli, Natività di Geraci (copia della Natività di Caravaggio, trafugata a Palermo nel 1969), Madonna in trono con il Bambino di Antonello de Saliba, Cristo deriso e Morte di Catone del fiammingo Matthias Stomer, l'Ultima cena di Luis de Morales (XVI secolo), ma anche alcune tele di Mattia Preti (San Luca Pittore), Gaspare Serenarlo, Mariano Rossi (Martirio di sant'Agata), Giuseppe Patania (Sibilla), El Greco (Ritratto di Gentiluomo), Michele Rapisardi (Testa di Ofelia pazza, I vespri Siciliani) e Malinconia di Domenico Fetti. Appena entrati nel castello, ci si trova davanti alla biglietteria. In quella stessa sala sono esposte alcune epigrafi giudaiche e l'epigrafe proveniente dalla loggia senatoria medievale che proclamava la cacciata degli ebrei del 1492 da Catania. È esposta una copia dell'Epigrafe di Iulia Florentina, conservata al Museo del Louvre. Su un basamento si trova la statua di Ignazio Paternò Castello Principe di Biscari, opera di Antonio Calì oppure, secondo una recente indagine, dell'architetto e scultore Gioacchino Calì. Accanto ad essa si trova un'edizione del suo libro, Viaggio per le Antichità della Sicilia, corredato dal suo ritratto inciso da Antonio Zacco. Sono esposti varie parti di un Mosaico romano raffigurante i mesi. Infine sono qui conservate una chiave di volta medievale ed un cannone seicentesco recuperati durante lavori nel fossato del castello. Alla parete è appesa un'epigrafe cinquecentesca che cita un castellano di Toledo. In questa sala è anche conservata la grande collezione d'armi, che comprende portapolvere in metallo del XVI sec., delle pistole tedesche (del XVI sec., alcune delle quali dell'artigiano) e dei portapolveri seicenteschi decorati ad incisione provenienti dalle collezioni Benedettine. In questa sala ed in quella successiva sono esposte opere perlopiù provenienti dal teatro romano. Tra le principali, un plinto romano, rinvenuto da Biscari durante gli scavi al teatro romano nel 1770. Sul fronte è rappresentato un trofeo incoronato da due vittorie alate e sul fianco sinistro presenta due prigionieri barbari. Sul fianco destro è rappresentata una donna seduta che regge una lancia. Sono qui presenti anche una statua colossale acefala, un torso di Hermes e la base di un cratere neoattico. Qui sono esposti frammenti di mosaici romani, una statua di ercole e la copia in gesso del sarcofago di Costanza d'Aragona. Tra le principali opere esposte in questa sala ci sono: Un mosaico proveniente dalle Terme Achilliane, ornato da putti che invitano a godere del soggiorno alle terme ("Vtere Feliciter") Due frammenti di un fregio che rappresenta una Gigantomachìa risalente al III secolo d.C. Un Torso virile dedicato a Giove, ritrovato vicino al convento di Sant'Agostino dal principe Biscari nel 1737. Una statua raffigurante Ercole con pelle di leone, del II sec. Copia ridotta dell'Ercole Farnese, II sec. Un plinto con delfini dal teatro. In questa sala, in alcune vetrine, sono esposte molte statuine fittili. Tra le principali ci sono Afrodite, Cagnolino in lotta con un gallo, Ninfa su uno scoglio ed infine una testa preistorica. Degna di nota è una scultura che rappresenta un ariete colossale. L'opera più importante è il frammento con cavaliere, probabilmente proveniente da una colonna istoriata, ritrovato nei pressi di porta Carlo V. Chiamata così per il suo utilizzo come deposito, conserva al suo interno un mosaico romano raffigurante l'Africa ed una testa muliebre egizia. Qui sono esposti i bronzetti figurati, circa 2000, di cui 1600 appartengono alla collezione dei Benedettini e gli altri a quella dei Biscari. Sono presenti bronzetti di età arcaica, sicelioti, magno-greci, etrusco-italici ed ellenistici. Si può ammirare il rilievo marmoreo di Demetra e Core, ritrovato nel 1930 nella collina di Montevergine e databile al 420 a.C. La donna a sinistra è Demetra, che solleva un lembo del suo peplo, a destra la figlia Core indossa il chitone, e con la mano destra sorregge una fiaccola per farsi luce forse nell'ade; la scena non appare completa a destra poiché il rilievo è danneggiato. Ai piedi di Core c'è un cratere. Nella sala sono presenti molti vasi greci. Un esempio molto rilevante di ceramica a figure rosse è il Cratere con Perseo e Medusa. Proviene dagli scavi di Camarina. Viene rappresentato Perseo che mostra la testa di Medusa a Polidette. Nelle altre sale sono conservate perlopiù epigrafi e statue, facente parte della mostra permanente "Voci di Pietra": Nella prima sala sono conservati: Due lastre tombali, una di personaggio insignito del Tonson d'Oro (XVI sec.) ed una con figura dormiente. Pittura medievale raffigurante la Vergine tra i santi Lucia e Giovanni (XV sec.) Il Ritratto di Gentiluomo di El Greco, recentemente restaurato grazie ai fondi di OperaTua. Alcune icone bizantine, una placca con crocifisso di manifattura limosina ed uno smalto raffigurante la Vergine in Gloria. Alcune parti del polittico di Antonello de Saliba, proveniente dalla chiesa di Santa Maria di Gesù: Madonna col Bambino, Sant'Antonio, San Francesco d'Assisi, Resurrezione. Sant'Onofrio del Bernazzano. Scacchi seicenteschi dei Benedettini L'Ultima Cena dello spagnolo Luis de Morales. Qui sono presenti soprattutto opere del Seicento e del Settecento, con capolavori di Matthias Stomer e Pietro Novelli: Molte opere di Stomer sono presenti nella collezione che Giovan Battista Finocchiaro donò alla città di Catania nel 1826: tra queste la Morte di Catone, Crocifissione di San Pietro, il Suicidio di Seneca ed il Cristo deriso: raffigura 6 persone in costumi seicenteschi illuminate da una candela: sono intenti a deridere il Cristo, rassegnato perché consapevole del proprio destino. Tra le opere principali di Pietro Novelli c'è la tela raffigurante San Cristoforo, San Giovanni Battista, Madonna col Bambino e San Luigi re di Francia ed Il Samaritano soccorre il ferito. L'unica copia esistente della preziosa pala d'altare "Natività" di Caravaggio, rubata dalla mafia a palermo e non più ritrovata. Questo quadro fu dipinto nel 1627 per Don Gaspare Orioles da Paolo Geraci. Il “Cristo alla colonna” di Mario Minniti. In primo piano risalta Cristo, alle sue spalle vi è un flagellatore mentre a fare da contrasto è il drappo bianco, che viene a lui tolto dall’altro flagellatore. La Maddalena Penitente della scuola del pittore barocco Giovanni Lanfranco. Essa è rappresentata con i lunghi capelli sciolti, gli occhi lacrimanti, nell’atto di gettare via il manto e i gioielli. San Luca pittore di Mattia Preti. Il santo è raffigurato sulla groppa di un bue e sta dipingendo un’immagine mariana. Il quadro di Santa Caterina in estasi venne inizialmente attribuito a Giulio Cesare Procaccini e successivamente a Pier Francesco Mazzucchelli. La Santa indossa l’abito dell’ordine domenicano insieme a un velo bianco, porta una corona di spine sul capo rivolto leggermente all’indietro; la sua espressione facciale rappresenta l'esperienza della visione della santa. Tra i dipinti di Jusepe de Ribera ci sono Il Profeta, San Francesco con un Crocifisso e il Compianto sul Cristo morto, attribuito alla sua scuola. Altre opere importanti conservate in questa sala sono la Maddalena di Andrea Vaccaro, i Tre Re di Simone de Wobreck ed il San Gennaro attribuito a Francesco Solimena. In questa sala sono esposte opere settecentesche: Bozzetti "Incoronazione di Sant'Agata", "Morte di San Giuseppe" e "San Francesco Caracciolo" di Marcello Leopardi e "Martirio di Sant'Agata" di Mariano Rossi. "Natura morta con frutta e paesaggio" e la "Natura morta con frutta e fontana" del pittore barocco napoletano Aniello Ascione. Paesaggio con rovine di un ignoto pittore meridionale, una delle 5 tele provenienti Villa Scabrosa. Il paesaggio non è reale ma arricchito di ruderi. Va in coppia con la tela Battaglia Navale, del XVIII sec. Venditrice di pesce di Giuseppe Bonino (1760). Una statua di artista dell'Italia Centrale raffigurante Afrodite inginocchiata all'antica. Una splendida tela raffigurante La Maddalena, attribuita da molti al pittore Guglielmo Borremans. Due opere in cera raffiguranti Sant'Agata davanti a Quinziano e Sant'Agata incoronata in carcere, del XVIII sec. Un portale di ispirazione gaginesca. Un ritratto settecentesco del priore Placido Scammacca, raffigurato accanto ad un vaso greco. Questo stesso vaso è conservato in una teca lì accanto. Due piccoli dipinti di Michele Rocca, raffiguranti la Nascita di Venere e la Nascita di Adone. In questa sala, intitolata al pittore romantico Michele Rapisardi, sono conservate molte sue opere, a partire dal suo capolavoro I Vespri Siciliani. Altre sue opere conservate nella sala sono la famosissima Testa di Ofelia Pazza, uno studio per i Vespri Siciliani ed un suo autoritratto. Nella sala sono altresì presenti grandi opere di Natale Attanasio: la grande tela Sunt Lacrima Rerum, meglio conosciuta come "Le Pazze", è affiancata da Donne ai campi e dal quadretto Tasso ed il Cardinale d'Este. Un'altra opera importante è Provenzan Salvani nella piazza del Campo di Bernardo Celentano. Dalla sala dedicata al Rapisardi si accede ad uno spazio al piano superiore. In esso sono esposti perlopiù ritratti ottocenteschi di pittori come Michele Rapisardi, Giuseppe Rapisardi, Giuseppe Sciuti, Natale Attanasio, Calcedonio Reina, Francesco Lojacono, Pasquale Liotta, Domenico Morelli, Alessandro Abate, Antonino Gandolfo e Giuseppe Gandolfo. In delle vetrine sono esposti dei vasi cinesi del XVIII sec., dei violini prodotti dall'Amati, ceramiche di Caltagirone ed infine dei bronzi raffiguranti Venere e Vulcano (XVII sec.) e Perseo (XVII sec.) Grande sala dedicata a mostre ed esposizioni. Sono esposti vari bassorilievi ed alcune sculture, come delle epigrafi provenienti dalla Certosa di Nuovaluce ed un'urna di scuola gaginiana. In una sala adiacente sono esposti parte della collezione numismatica ed il Fondo Sebastiano Ittar: si tratta di matrici ed incisioni di Ittar, raffiguranti alcuni studi su monumenti ed opere d'arte catanesi. Dal 2016 è attivo il progetto EPICUM, realizzato dall'Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR e dall'Università di Oxford, per la digitalizzazione del corpus completo delle epigrafi del Museo civico al Castello Ursino. Le 580 epigrafi della collezione sono state catalogate secondo lo schema EpiDoc e sono rese disponibili in Linked Open Data. Maria Teresa Di Blasi e Concetta Greco Lanza, Il Cicerone. Storia, itinerari, leggende di Catania, 2ª ed., Catania, Edizioni Greco, 2007, ISBN 978-88-7512-060-3. Barbara Mancuso, Castello Ursino a Catania. Collezioni per un museo, Piccola biblioteca d'arte, vol. 3, Palermo, Edizioni Kalós, 2008, ISBN 978-88-89224-55-7. Agostino Arena, Il Castello di Ursino nella Storia e nelle "Storie" di Catania, Acireale (CT), A&B editrice, novembre 2014, ISBN 88-7728-354-8. ISBN 978-88-7728-354-2. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo civico al Castello Ursino Museo civico al Castello Ursino, su CulturaItalia, Istituto centrale per il catalogo unico.

Pietra del Malconsiglio
Pietra del Malconsiglio

La Pietra del Malconsiglio è un antico manufatto in pietra lavica di incerta origine, legato ai luttuosi fatti del 1516 da cui trae il nome e situato nel centro storico di Catania. Il manufatto è un macigno in pietra lavica molto poroso, lavorato a cilindro lievemente svasato e caratterizzato da un bordo a toro presente alle due estremità del cilindro. Presenta vistosi segni di logoramento, in particolare a causa delle acque pluvie, oltre ad una grossa scheggiatura, causata probabilmente da un notevole trauma da impatto, dovuto forse ad una caduta. Il blocco misura circa 92 cm di altezza per 106 cm di diametro maggiore e 340 cm in circonferenza nella faccia superiore, corrispondente grossomodo alle dimensioni riportate dall'abate Francesco Ferrara il quale la misurò in altezza e in diametro di 3 piedi siciliani (pari a circa 90 cm). Poco si sa dell'origine della pietra. Genericamente viene identificata quale un capitello dorico in pietra lavica, tuttavia lo stile dorico non prevede una forma simile, che potrebbe essere piuttosto una singolare interpretazione dello stile tuscanico o una versione insolita di altro stile. Non a caso l'abate Ferrara preferì una generica definizione di capo di una colonna. Tuttavia non manca chi ritenga diversa la funzione del manufatto, in particolar vi è chi ritiene che "rappresentasse l'altare di Bacco presso il Teatro Antico". L'uso della pietra lavica in antico è attestato a Catania in misura massiccia soltanto a partire dal periodo repubblicano, forse a seguito delle eruzioni del 122-121 a.C., questo dato potrebbe costituire un terminus post quem per aiutare nella datazione del manufatto. Tale capitello si vuole appartenesse ad un tempio della città arcaica, cui appartenne anche un grosso frammento di architrave quadrangolare e simile in misure, oggi scomparso. L'ubicazione originaria fa pensare ad un elemento architettonico appartenuto ad un grande edificio pubblico sito entro i limiti dell'antica città (infatti l'anfiteatro situato più a nord chiude la città romana, cui si accostavano le necropoli). Facente parte dunque di una serie di resti appartenuti ad un antico edificio non più esistente, la pietra venne scelta nel 1516 quale sito di appuntamento per i ribelli durante i moti di quell'anno. Con la morte di Ferdinando il Cattolico avvenuta il 23 gennaio, la Sicilia passò dalla dinastia Trastámara al giovanissimo erede Asburgo Carlo. In questo clima di instabilità di successione il viceré uscente Ugo di Moncada rifiutò le dimissioni, appoggiato dalla classe nobile siciliana. I nobili, così facendo, avrebbero ottenuto notevoli concessioni dal loro protetto e, forse, l'autonomia dal Regno di Spagna. Seguì una cruenta guerra civile che funestò l'Isola (tranne, pare, Messina) per tre anni consecutivi al punto da fregiarsi, non senza esagerazione, del titolo di Secondo Vespro a cui Catania aderì e si mostrò tra le più agguerrite città ribelli e tormentate. Da Catania provenivano infatti i tre principali sostenitori di Moncada - i nobili Cesare Gioeni, Girolamo Guerrera e il magistrato Blasco Lanza -, ma sempre dalla città etnea proveniva il suo principale avversario, Pietro Cardona, conte di Golisano. I nobili catanesi si davano appuntamento al Piano dei Trixini, antica piazza che prendeva il nome dal piccolo convento di San Nicola de' Trixini (odierno Convento di San Nicolò Minore), che si trovava non lungi dall'attuale incrocio ottagonale detto Quattro Canti tra le vie Etnea e Antonino di Sangiuliano. A seguito di tradimento, una spia rivelò quale fosse il luogo di ritrovo dei ribelli, i quali trovarono ad attenderli i soldati reali inviati dal nuovo viceré, Ettore Pignatelli, che fecero strage di chi si recò all'appuntamento cospiratorio. Altri ribelli vennero impiccati in una pubblica esecuzione avvenuta il 10 marzo 1517 al Piano delle Forche, orientativamente dove oggi sorge la piazza Cavour. La pietra, ancora sporca del sangue ribelle, venne esposta nella pubblica piazza a perenne monito contro la città e i cospiratori non ancora identificati. In questo contesto prese facilmente l'appellativo "del mal consiglio" o "del Malconsiglio", poiché "consigliò" male i ribelli a darsi appuntamento nella data in cui trovarono la morte. Il frammento di architrave, invece, fu usato per fustigare gli insolventi presso l'antica Loggia, palazzo sede del senato civico, sostituito dopo il 1693 dal Palazzo degli Elefanti. Trasferita inizialmente in piazza Manganelli, nel 1872 la pietra viene spostata ai Quattro Canti, probabilmente per riportarla nel luogo dov'era originariamente posta, precisamente in un angolo del secondo cortile del Palazzo Paternò Castello di Carcaci, dove rimase fino al 2009, anno in cui venne nuovamente trasferita all'ingresso del Museo Civico al Castello Ursino, decorata da piccole composizioni floreali. Lasciata in balia degli elementi e di anonimi incivili che ne hanno divelto il giardinetto decorativo, la pietra è rimasta "anonima" fino al 28 maggio 2013, quando una scuola di Librino, grazie a fondi POR, ha fatto omaggio alla città e alla pietra di una targa commemorativa con una breve storia del reperto. Dall'autunno successivo (2014) il manufatto è conservato nell'androne occidentale del Palazzo degli Elefanti. Francesco Ferrara, Stato della città prima del 1669, in Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII, Catania, 1829, p. 190. Claudio Alessandri, La pietra del mal consiglio, in Miscellania - Successi ’na vota. Mitologia e leggende della Sicilia favolosa, Trento, 2011, p. 164. Regno di Sicilia Il lunghissimo vicereame e il declino della Sicilia Storia della Sicilia spagnola

Pozzo di Gammazita
Pozzo di Gammazita

Il Pozzo di Gammazita è un sito che si trova nel centro storico di Catania, nella zona sud-ovest della città adiacente all'antica cinta muraria cittadina detta appunto cortina di Gamma Zita presso il cortile omonimo, e fa riferimento ad un racconto leggendario avvenuto al tempo della dominazione angioina in Sicilia, durante la Guerra del Vespro. La leggenda narra di una fanciulla catanese di nome Gammazita, bellissima e di grande virtù. Di lei si invaghì un soldato francese, le cui avances furono però rifiutate dalla giovane, che era già fidanzata. Proprio nel giorno del suo matrimonio, mentre Gammazita si recava come sempre a prendere l'acqua, il soldato la aggredì violentemente e la ragazza, vistasi preclusa ogni via di scampo, preferì gettarsi nel vicino pozzo piuttosto che cedere alla violenza. Versioni successive arricchiscono il racconto, romanzandolo e aggiungendo altri personaggi di contorno. In esse si fa preciso riferimento all'anno in cui si sarebbe svolto tale avvenimento, il 1278, e si racconta di donna Macalda Scaletta, bellissima e orgogliosa vedova del signore di Ficara, che attirava la corte di tutti i cavalieri francesi e siciliani. Essa, tuttavia, innamoratissima del suo giovane paggio Giordano, sfuggiva a tutte le proposte amorose. Un giorno però Giordano vide la giovane Gammazita intenta a ricamare dinanzi alla soglia della sua casa e se ne innamorò perdutamente. L'amore dei due giovani destò le ire e la folle gelosia della perfida Macalda, che si accordò con il francese de Saint Victor per tendere loro un tranello: questi avrebbe dovuto far capitolare Gammazita e Macalda sarebbe stata sua. De Saint Victor fece numerose imboscate, approfittando in particolare delle volte in cui Gammazita si recava ad attingere acqua alla vicina fonte. Un giorno riuscì infine ad afferrare la fanciulla, ma essa si divincolò dalla sua stretta e non vedendo altra via di scampo, per non subire violenza sessuale, preferì gettarsi nel vicino pozzo. Giordano, appreso quanto accaduto, in preda alla disperazione assalì il suo nemico, uccidendolo a pugnalate dinanzi al cadavere dell'amata. La fine orrenda della fanciulla e la sua virtù destarono in tutti i catanesi profonda commozione e furono sempre citati come esempio del patriottismo e dell'onestà delle donne catanesi, mentre i depositi di ferro che creavano macchie rosse sulle pareti del pozzo furono spiegati tradizionalmente come tracce del sangue di Gammazita. A questa storia, si affiancano altre leggende che spiegano diversamente l'origine del toponimo "Gammazita". La prima si trova nel panegirico scritto da don Giacomo Gravina in onore del duca di Carpignano, don Francesco Lanario, dal titolo La Gemma zita: in esso si racconta la storia delle nozze fra la ninfa Gemma e il pastore Amaseno (o Amenano). Il dio Plutone (secondo il Gravina, Polifemo) si invaghì della ninfa, scatenando la gelosia di Proserpina, che la trasformò in una fonte. Gli dei, toccati dalla disperazione di Amaseno, trasformarono anch'egli in una fonte: il pozzo sarebbe dunque il luogo in cui si uniscono le acque dei due sfortunati amanti. Secondo questa versione, il nome Gammazita nascerebbe dunque dall'unione delle due parole gemma e zita ("fidanzata", "sposa"), modificate poi dall'uso comune. Un altro racconto parla di un uomo con una gamba rigida che abitava in una grotta vicino alla fonte, che dunque prenderebbe il nome da questo suo difetto fisico (iamma zita), mentre una terza spiegazione lega il toponimo a due misteriose lettere dell'alfabeto greco, una gamma e una zeta, che sarebbero incise sull'antico muro che fiancheggia la fonte. Un'ulteriore ipotesi senza fonte la accosta alla voce araba al gawsit (il luogo dell'acqua dolce) che si riferisce ad un sito, principalmente costiero, dove i naviganti potevano contare su un rifornimento di acqua dolce. La medesima origine è riferita alla zona di Torre Guaceto, in provincia di Brindisi. La parte della città dove sorge il pozzo nel Medioevo era la sede della Judeca Suttana (il quartiere ebraico, detto anche Judeca di Jusu) ed era piuttosto ricca di attività commerciali, in particolare concerie e macellerie, che sfruttavano le numerose sorgenti d'acqua, forse diramazioni del fiume Amenano che scorre nel sottosuolo catanese e che qui prendeva il nome di Judicello. Le mura in questo tratto costeggiavano i ruderi di antiche fabbriche che prendevano il nome di Muro rotto e vennero identificate dal Bolano quale l'antica naumachia e il circo, segno che in età antica l'area era impegnata da grandi strutture pubbliche monumentali. In tutte le piante e disegni di Catania, a partire da quella di Michelangelo Azzarelli (1584), la cortina muraria che si congiungeva a gomito con la Porta dei Canali e con il Bastione di Santa Croce, viene chiamato Gammazita e lì sono segnate queste fonti, inizialmente come dei rivoli che si perdevano nel mare. Nel 1621, don Francesco Lanario, duca di Carpignano, soprintendente generale alle fortificazioni, nell'ambito di un generale restauro dell'assetto difensivo della città, volle risistemare anche la zona della fonte. Le acque di Gammazita furono così imbrigliate e congiunte a quelle dell'Amenano, realizzando una serie di fontane pubbliche che arricchirono e resero più gradevole la passeggiata a mare, anche grazie alla realizzazione di una strada lastricata, munita di panchine. Questa piacevole sistemazione però ebbe vita breve. L'11 marzo 1669, da una frattura sopra Nicolosi cominciò la più imponente eruzione dell'Etna di epoca storica che abbia raggiunto Catania e, dopo aver distrutto orti e casali, giunse alle mura della città, riuscendo a superarle da nord-ovest, nella zona del Monastero di San Nicolò l'Arena, per poi dirigersi verso il Bastione di San Giorgio a sud. Il 16 aprile, il fiume lavico circondò il Castello Ursino, colmandone il fossato, e invase tutta l'area del quartiere dell'Indirizzo, ricoprendo, nonostante gli sforzi di difesa messi in atto dai catanesi, anche le sorgenti, fra cui quella di Gammazita. La fonte rimase così sepolta sotto uno strato di 14 metri di lava, ma la sua importanza nella vita e nell'economia cittadina fece sì che fin già verso la metà del XVIII secolo fu riportata alla luce. Venne a crearsi così un singolare pozzo artificiale, ricavato nella sciara del 1669 e costituito dalla profonda scarpata delle mura civiche cinquecentesche che terminava sul fondo dove si accumulava una sorgente, ciò che rimaneva delle tre fonti pre-eruzione. Al fondo si giungeva con una pittoresca scalinata ricavata nel Settecento la quale si addossava alle lave e alla cortina muraria. La riscoperta e la fama della fonte, in quest'età, si devono soprattutto agli intellettuali europei che visitarono Catania nell'ambito del Grand Tour, in particolare Patrick Brydone, l'abate Richard de Saint-Non, Jean Houël, Dominique Vivant Denon. Saint-Non e Houël, in particolare, hanno lasciato anche delle raffigurazioni che testimoniano lo stato del pozzo nel Settecento e il suo aspetto pittoresco e nel pieno della ricerca della fascinazione della decadenza di concezione romantica, che tanto affascinava i viaggiatori stranieri. In tali immagini, soprattutto in quella di Saint-Non, si nota tuttavia una distorsione delle proporzioni, che fanno apparire il pozzo più grande di quanto non sia in realtà, e soprattutto l'inserimento di uomini intenti alla pesca, come se la vasca di raccolta delle acque fosse adibita anche a peschiera. Non sappiamo se questo corrisponda a verità o se sia un elemento aggiunto dall'autore per accentuare il carattere pittoresco del sito. Fra coloro che visitarono la fonte, merita di essere ricordata la descrizione che ne lascia Charles Didier che, fra i monumenti visitati in città, dice che "fra le più curiose è un frammento delle antiche mura della città interamente coperto di lava: ai piedi di esso una fontana che manda acqua di una freschezza e di una limpidezza che sono degne di Aretusa" I numerosi problemi relativi allo stato di conservazione attuale del sito hanno dato luogo nel tempo a diverse iniziative di protesta dirette a sensibilizzare la amministrazione comunale sia per quel che riguarda l'accessibilità che la manutenzione, sicurezza e pulizia del pozzo. Il Pozzo di Gammazita si apre in un cortile chiuso fra nel case popolari ottocentesche di via San Calogero, a due passi dal Castello Ursino. L'accesso al cortile, avviene attraverso una scala di sessantadue gradini che sostituisce quella originaria in pietra lavica e ciottoli, distribuiti in cinque piccole rampe interrotte da pianerottoli rivestiti di pietra lavica e cotto siciliano, che portano ad un livello di circa 12 metri sotto il livello stradale. Alla base della scala si apre uno stretto spazio, anch'esso pavimentato in cotto siciliano chiuso da un tratto residuo della cortina muraria cinquecentesca: qui scorreva l'acqua sorgiva, in una vasca su cui incombe la massa lavica che ha chiuso la fonte. Altre costruzioni e superfetazioni moderne e contemporanee accerchiano il pozzo, accentuando l'impressione di una profonda voragine. La tragica storia di Gammazita ha dato anche spunto ad una famosa poesia popolare anonima catanese: Una rappresentazione di questa leggenda si trova in uno dei candelabri bronzei di Piazza Università a Catania, opera di Mimì Maria Lazzaro e D. Tudisco su disegno dell'architetto V. Corsaro (1957). S. Lo Presti, "Memorie storiche di Catania: fatti e leggende", Catania, Minerva, 1957. Lo Faro Alessandro, La fonte di Gammazita. Storia, leggenda, pittoresco, in Pagello E. (a cura di) Realtà e immaginario. Storie di architetture a Catania, Siracusa - Palermo, A. Lombardi ed., 2000. Gammazita Vespri siciliani Macalda Scaletta Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pozzo di Gammazita Catania: il volto antico della Civitas, su cataniagiovani.wordpress.com.

Piazza Mazzini (Catania)
Piazza Mazzini (Catania)

Piazza Giuseppe Mazzini, originariamente nota col nome di Piano di San Filippo, è una piazza monumentale del centro storico di Catania, la cui progettazione risale al XVIII secolo. Dopo il disastroso terremoto del Val di Noto del 1693, il nuovo impianto urbano deciso da Giuseppe Lanza, duca di Camastra, coordinatore e finanziatore della ricostruzione in accordo con le autorità cittadine, prevedeva lo sfruttamento di questa piazza come mercato e per tale motivo fu stabilita anche la conformazione strutturale degli edifici che dovevano affacciarvisi. Giacché lo spazio venne ricavato dall'incrocio fra due strade, l'attuale via Giuseppe Garibaldi (un tempo chiamata via San Filippo e, successivamente, via Ferdinandea a causa della Porta Ferdinandea, che si trova alla sua fine e che rappresentava anticamente l'ingresso della città dal lato sud-ovest) e via Santa Maria della Lettera a nord che cambia nome in via Auteri a sud, la piazza assunse un disegno a croce greca con uguale spartizione degli spazi ad angolo nei quali si scelse di erigere edifici dotati di terrazzini loggiati. Così, nei primi decenni del XVIII secolo, non è sicuro per mano di quali architetti, in quella che sarebbe dovuta divenire una delle principali piazze del mercato catanese, sorsero quattro identici loggiati, ciascuno composto da 8 colonne in marmo bianco, che formarono una cornice quadrangolare lungo i perimetri del luogo ad eccezione delle quattro aperture stradali. Tali colonne furono recuperate da delle rovine di epoca romana, in particolare dai resti di una Basilica, sita ai tempi nei pressi dell'odierna Chiesa di Sant'Agostino, al quale fu poi annesso un Convento, e del Cortile San Pantaleone, dove si trovava il Foro romano di Catania. Esse furono messe in opera su eleganti plinti cubici in pietra lavica e su di queste furono sviluppate arcate a tutto sesto che, a loro volta, reggono i terrazzi dei palazzi nobiliari. Questi edifici (Palazzo Scammacca della Bruca a nord-est, Palazzo Asmundo di Gisira a sud-est, Palazzo Peratoner a sud-ovest e Palazzo Gagliani a nord-ovest) avrebbero dovuto tutti adeguarsi stilisticamente alle carte progettuali del XVIII secolo, e invece, a partire dal XIX secolo, tre dei quattro palazzi subirono modifiche ai secondi piani, dotati di finestre balconate quando sarebbero dovute essere semplici cornici quadre, e agli intonaci, che passarono dal grigio catanese al rosa. Solo Palazzo Scammacca della Bruca, il primo dei quattro ad essere stato realizzato, rimase del tutto fedele all'originario disegno e si presenta così ancora oggi. Bisogna precisare che detti cambiamenti furono abbastanza marginali guardando all'aspetto complessivo della sistemazione della piazza, in quanto essa appare ancora oggi estremamente omogenea e simmetrica nelle sue parti. Resta il fatto che i mercati storici di Catania sono ubicati altrove: a parte quello storico della "Fèra o Lùni" in Piazza Carlo Alberto, a nord-est di Piazza Stesicoro, vi è quello principale della Pescheria in Piazza Alonzo Di Benedetto, a sud-ovest di Piazza del Duomo, relativamente vicina a piazza Mazzini, la quale, molto probabilmente a causa dello sviluppo progressivo della città etnea e della crescita della sua popolazione, divenne troppo piccola per l'esercizio del suo stesso mercato, ovvero la "Fiera dei Morti", oggi tenuta invece in piazza Mercato Ortofrutticolo, nel quartiere San Giuseppe la Rena.

Chiesa di Santa Maria de La Salette
Chiesa di Santa Maria de La Salette

La chiesa di Santa Maria de La Salette è un luogo di culto cattolico di Catania, ubicata nell'omonimo quartiere del centro storico. Distrutta nel maggio del 1943 durante un bombardamento, fu ricostruita subito dopo. Fu fondata nella via omonima del nascente rione del centro storico di Catania, confinante a nord-ovest con il quartiere San Cristoforo e a nord-est con quello degli Angeli Custodi, col prospetto di pietra calcare, già in via di completamento a fine Ottocento, collocata ad oriente. Ispirata all'architettura neogotica, essa venne realizzata su progetto dell'ingegnere catanese Carmelo Sciuto Patti, molto attivo in città, disegnato analogamente al santuario di La Salette-Fallavaux in Francia. L'edificazione del tempio avvenne a spese dei fedeli e su iniziativa di Giuseppe Benedetto Dusmet, cardinale-arcivescovo della città, nato a Palermo ma venerato dai cittadini catanesi, spentosi il 4 aprile 1894. La data della posa della prima pietra fu il 29 giugno del 1872. Venne ufficialmente aperta al culto il 26 aprile del 1874 e, poco dopo, il 1º luglio 1897 vi fu fondata una Congregazione – come si leggeva fino al 1900 in una tabella esposta nell'Oratorio festivo salesiano – contigua alla stessa chiesa e per il finanziamento del quale oratorio si mosse la generosità del card. Giuseppe Francica Nava con una donazione di 647 lire. La descrizione tramandata è quella che fece lo storico Rasà nel 1900. Superata la soglia della porta maggiore, si osservava il vestibolo sul quale c'era la tribuna destinata alla collocazione di un organo ed illuminata, oltre che da quattro finestre piccole, da un finestrone circolare a foggia di rosone. A sinistra di questo vestibolo vi era murata una lapide con la seguente epigrafe: Sul muro a destra del medesimo vestibolo era collocata l'acquasantiera con dei rilievi rappresentanti il monogramma di Maria e gli strumenti della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Alla base di tali rilievi vi erano scolpite le parole: Nella chiesa ad un'ampia navata si ammirava – "opera stupenda!" a dire del Rasà – la volta di colore cilestro chiaro, ornata di stelle auree, come sotto l'abside a sesto acuto, illuminata da cinque finestre, disposte a semicerchio in fondo e da due grandi rosoni ai lati nord e sud. Fornite di cinque finestre archiacute con sottostanti altrettanti rosoni per ogni lato, le pareti laterali del sacro edificio avevano semicolonne piuttosto alte, ancora da intonacare agli inizi del '900. In esse erano incavate quattro cappelle destinate agli altari – ancora da costruire all'epoca dello storico Rasà –, sostituiti da due altari provvisori in legno sormontati, quello di destra da un piccolo quadro con l'immagine di San Giuseppe e quello a sinistra dal Crocifisso a grandezza naturale vicino a una piccola tela della Maria Addolorata. Attorno alle stesse pareti laterali erano disposte due porte a sesto acuto, una delle quali era a nord e l'altra a sud. Più in alto erano incavati quattro nicchioni, destinati ad accogliere dei simulacri, mentre più in basso erano fissati i 14 quadretti della Via Crucis. Nell'abside si scorgevano la balaustrata marmorea come il pavimento, un armonium provvisorio, due specie di usci a sesto acuto e l'altare maggiore tutto di marmo, eretto per devozione di Giovanni Marchese, come si legge al lato del vangelo ovvero in cornu evangelii. Sullo sportellino del ciborio era scolpito l'Agnus Dei e sulla tendina che lo copre erano ricamate a lettere auree le parole: Nell'abside vi era una grande nicchia ad arco ogivale, nella quale era conservata la statua di Nostra Signora di La Salette in cemento d'origine parigina. In fondo alla chiesa, lato nord, si vedeva un busto marmoreo che raffigurava papa Pio IX, poggiato su un piedistallo ligneo di fattura napoletana. Al posto dell'ambone era presente un confessionale. Dal lato sud c'era un'altra porta interna per la quale si passava in un oratorio con un altarino a sinistra ed uno di fronte, sul quale era posto un altro simulacro in legno rappresentante la Madonna della Salette, opera risalente al 1898 dello scultore catanese Lorenzo Grassi (o Grasso). Sulle pareti di quest'ultimo altare si trovavano appesi quadretti votivi. La maggiore delle tre campane fu benedetta il 16 maggio 1897 da mons. Antonio Cesareo, catanese, vescovo in partibus, essendone stato padrino il sig. Camillo Elia. Ad essa fu imposto il nome di Maria. L'11 maggio del 1943 la chiesa venne rasa al suolo, durante i bombardamenti in Sicilia. La ricostruzione nello stesso luogo, avviata nel secondo dopoguerra e diretta dall'arch. Raffaele Leone, tra il 1945 e il 1949, mutò il vecchio prospetto con la nuova caratteristica facciata esterna in mattoni rossi, cornicione, cornici e portale in pietra bianca decorato con una lunetta scolpita, raffigurante la Madonna della Salette, gli angeli e i due pastorelli, Maximin e Mélanie. Le due pareti laterali in marmo, presentano ciascuna due altari, anch'essi in marmo e a sesto acuto: l'altare della Carità e della Famiglia Salesiana a destra, quello della Sacra Famiglia e del Sacro Cuore a sinistra. L'altare maggiore, in marmo giallo con due angeli, e rivolto verso i fedeli. La statua lignea della Madonna della Salette, di origine francese, presenta ancora oggi, sul fianco destro, i segni del bombardamento del 1943. Il 19 marzo 1893, festa di San Giuseppe, alla presenza del cardinale Dusmet veniva affidato ufficialmente ai Salesiani l'Oratorio festivo che in onore del papa Leone XIII fu chiamato "Leone XIII alla Salette". Per decisione dell'arcivescovo mons. Carmelo Patanè, dal 1947 i Salesiani sono presenti alla "Salette" come Comunità religiosa regolare per offrire il lavoro a questo quartiere povero ed abbandonato con la Parrocchia, la scuola e l’Oratorio - Centro giovanile, il teatro. Infatti, è grazie all'opera dei Padri Salesiani, i quali, svolgendo la loro attività pastorale nel quartiere « della Salette », istituirono la scuola primaria, l'Oratorio, il Centro giovanile, i G.R.EST., i corsi professionali, i laboratori di formazione finalizzati all'inserimento nel mondo del lavoro, sia per ragazzi (elettricisti e termoidraulici) che per ragazze (sarte ed estetiste), combattono la cultura della strada e formano 'buoni cristiani ed onesti cittadini'. Il 19 settembre si celebra con molta devozione, ma senza grandi clamori, la festa della Madonna della Salette, voluta dal ricordato Cardinale Dusmet per ricordare l'evento accaduto in Francia. I festeggiamenti solenni sono preceduti da un triduo liturgico e dalla processione serale del simulacro della Madonna dalla chiesa parrocchiale per attraversare le vie adiacenti del quartiere, accompagnata dalle preghiere dei fedeli, la banda musicale e lo sparo dei fuochi d'artificio. Conclude la processione lo spettacolo pirotecnico di chiusura e la solenne benedizione ai fedeli. Nei giorni precedenti e in quelli successivi alla festa religiosa sono allestite numerose sagre e vari spettacoli musicali. Giuseppe Rasà Napoli, "Guida e breve illustrazione delle chiese di Catania e sobborghi", Catania, Tringale Editore, 1984 (ristampa dell'edizione dell'anno 1900), pp. 425-427. Vittorio Consoli (a c. di), "Enciclopedia di Catania", Catania, Tringale Editore, 1987 (seconda edizione riveduta e aggiornata), p. 163. Saverio Gaeta, "La Salette. Il pianto e le profezie della Bella signora", Cinisello Balsamo, San Paolo, 2017, ISBN 978-88-922-1166-7. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Maria de La Salette Chiesa di Santa Maria della Salette , su Le chiese delle diocesi italiane, Conferenza Episcopale Italiana. URL consultato il 19 aprile 2022. Ispettoria Salesiana Sicula "San Paolo": Catania Salette, San Giovanni Bosco, su sdbsicilia.org. URL consultato il 18 aprile 2022. Oratorio Salesiano Don Bosco, Catania Salette, su donboscoitalia.it. URL consultato il 18 aprile 2022. S. Maria delle Salette - Catania, su isolainfesta.it. URL consultato il 19 aprile 2022. Oratorio Salesiano San Giovanni Bosco Salette - CT, su oratoriosgboscosalettect.wordpress.com. URL consultato il 19 aprile 2022.