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Centro Storico (Catania)

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Catania Piazza Duomo 2018 07 31
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Il I Municipio "Centro Storico" è una suddivisione amministrativa del comune di Catania.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Centro Storico (Catania) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Centro Storico (Catania)
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Catania Piazza Duomo 2018 07 31
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Luoghi vicini

Santuario di Santa Maria dell'Aiuto
Santuario di Santa Maria dell'Aiuto

Il santuario di Santa Maria dell'Aiuto è un edificio di culto di Catania, ad angolo tra l'omonima via e la via Consolato della Seta, nel quartiere Santa Maria dell'Aiuto - San Giuseppe al Transito. Si tratta di un edificio di culto sorto nel XVII secolo e interessante meta del turismo religioso nella città per via soprattutto della riproduzione della Santa Casa di Loreto accessibile dall'interno della chiesa. A Catania esisteva presso il cortile della Misericordia un'antica e piccola chiesa dedicata al culto dei santi Pietro e San Paolo. Al suo esterno venne introdotto nel 1372 il culto della Madre di Dio e vi si espose un'icona di gusto bizantino ritenuta sin dall'inizio miracolosa e per questo fu chiamata Madonna dell'Aiuto. Il 3 novembre 1641 la congregazione mariana presente nella chiesa di Santa Marina (i cui resti si trovano nell'attuale via Pozzo Mulino) condusse solennemente la venerata tela dalla chiesa dei Santi Simone e Giuda, al tempio dei Santi Pietro e Paolo poco distante. L'immagine originariamente era, secondo testimonianza coeva o poco posteriore, esposta sulla strada, verosimilmente all'interno di un'edicola votiva. La scelta del trasferimento fu quindi dettata dalla necessità di trovare un tempio vicino e di dimensioni tali da poter garantire spazio a sufficienza per i numerosi fedeli e per festività solenni. Tuttavia per diversi autori passati il motivo principale era la frequenza delli miracoli. Oltre al numeroso popolo, anche il clero ed il Senato parteciparono con la loro rappresentanza, compreso l'allora vescovo di Catania Ottavio Branciforte, eletto tre anni prima. La chiesa di Santa Maria dell'Aiuto sorse quindi a seguito del terremoto del 1693 sui resti della chiesa dei Santi Pietro e Paolo su progetto di Antonino Battaglia. Negli anni 1740 vi si collocò per devozione da parte del canonico Giuseppe Lauria una riproduzione in scala ridotta della Santa Casa di Loreto. Il tempio, opera di diversi artisti, è un'originale rivisitazione in chiave settecentesca dell'originale edificio marchigiano. Nel XIX secolo si concluse la facciata realizzandone il campanile con orologio. Edificio a unica navata longitudinale conclusa da un profondo presbiterio preceduto da un ampio arco trionfale, la chiesa di Santa Maria dell'Aiuto è uno dei più caratteristici lavori del Battaglia. La facciata della chiesa è preceduta da un'ampia scalinata. Si presenta in due ordini di colonne a rocchi con capitelli corinzi e festoni distribuiti a numero di sei nel registro inferiore e quattro in quello superiore dove ai margini sono allocate le due statue in pietra calcare rappresentante i santi Pietro e Paolo. Nel centro del timpano campeggia il monogramma di Maria circondato da una gloria di sei angeli in marmo. Sopra al portone si trova uno scudo riproducente in marmo l'immagine della Madonna dell'Aiuto. Al lato destro si addossa la torre campanaria. All'interno, la volta è decorata da stucchi dorati e scritte e simboli mariani. Quattro sono gli altari laterali: sul primo a sinistra è esposta una tela di San Francesco di Sales del XVIII secolo; il secondo è dedicato al Crocifisso e ospita numerose reliquie; il primo a destra ospita una copia del martirio di Sant'Agata, opera di Filippo Paladini conservato nella Cattedrale; il secondo vi si venerano gli apostoli Pietro e Paolo. L'altare maggiore ospita l'icona di Santa Maria dell'Aiuto, conservatasi dopo il sisma, sebbene da tempo ridipinta. Così lo descriveva nel 1943 Salvatore Lo Presti sul Popolo di Sicilia: "L'altare Maggiore è una dolce sinfonia di marmi colorati e di esili colonne. Coronato da un movimentato gruppo in marmo simboleggiante il Padre Eterno assiso sopra le nuvole e circondato da cinque angeli, uno dei quali, alla sua sinistra sorregge un grosso globo, alle due estremità, all'altezza del ciborio, è adorno di due statue di media grandezza, raffiguranti, rispettivamente, S. Pietro e S. Paolo". Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su santuario di Santa Maria dell'Aiuto Santuario parrocchia S. Maria dell'Aiuto - La parrocchia, su santuariomadonnaiuto.it. Maria Teresa di Blasi, Il Filo d'Arianna - Chiesa di Santa Maria dell'Aiuto, Catania 1997, su comune.catania.it. URL consultato il 19 agosto 2014 (archiviato dall'url originale il 19 agosto 2014).

Pietra del Malconsiglio
Pietra del Malconsiglio

La Pietra del Malconsiglio è un antico manufatto in pietra lavica di incerta origine, legato ai luttuosi fatti del 1516 da cui trae il nome e situato nel centro storico di Catania. Il manufatto è un macigno in pietra lavica molto poroso, lavorato a cilindro lievemente svasato e caratterizzato da un bordo a toro presente alle due estremità del cilindro. Presenta vistosi segni di logoramento, in particolare a causa delle acque pluvie, oltre ad una grossa scheggiatura, causata probabilmente da un notevole trauma da impatto, dovuto forse ad una caduta. Il blocco misura circa 92 cm di altezza per 106 cm di diametro maggiore e 340 cm in circonferenza nella faccia superiore, corrispondente grossomodo alle dimensioni riportate dall'abate Francesco Ferrara il quale la misurò in altezza e in diametro di 3 piedi siciliani (pari a circa 90 cm). Poco si sa dell'origine della pietra. Genericamente viene identificata quale un capitello dorico in pietra lavica, tuttavia lo stile dorico non prevede una forma simile, che potrebbe essere piuttosto una singolare interpretazione dello stile tuscanico o una versione insolita di altro stile. Non a caso l'abate Ferrara preferì una generica definizione di capo di una colonna. Tuttavia non manca chi ritenga diversa la funzione del manufatto, in particolar vi è chi ritiene che "rappresentasse l'altare di Bacco presso il Teatro Antico". L'uso della pietra lavica in antico è attestato a Catania in misura massiccia soltanto a partire dal periodo repubblicano, forse a seguito delle eruzioni del 122-121 a.C., questo dato potrebbe costituire un terminus post quem per aiutare nella datazione del manufatto. Tale capitello si vuole appartenesse ad un tempio della città arcaica, cui appartenne anche un grosso frammento di architrave quadrangolare e simile in misure, oggi scomparso. L'ubicazione originaria fa pensare ad un elemento architettonico appartenuto ad un grande edificio pubblico sito entro i limiti dell'antica città (infatti l'anfiteatro situato più a nord chiude la città romana, cui si accostavano le necropoli). Facente parte dunque di una serie di resti appartenuti ad un antico edificio non più esistente, la pietra venne scelta nel 1516 quale sito di appuntamento per i ribelli durante i moti di quell'anno. Con la morte di Ferdinando il Cattolico avvenuta il 23 gennaio, la Sicilia passò dalla dinastia Trastámara al giovanissimo erede Asburgo Carlo. In questo clima di instabilità di successione il viceré uscente Ugo di Moncada rifiutò le dimissioni, appoggiato dalla classe nobile siciliana. I nobili, così facendo, avrebbero ottenuto notevoli concessioni dal loro protetto e, forse, l'autonomia dal Regno di Spagna. Seguì una cruenta guerra civile che funestò l'Isola (tranne, pare, Messina) per tre anni consecutivi al punto da fregiarsi, non senza esagerazione, del titolo di Secondo Vespro a cui Catania aderì e si mostrò tra le più agguerrite città ribelli e tormentate. Da Catania provenivano infatti i tre principali sostenitori di Moncada - i nobili Cesare Gioeni, Girolamo Guerrera e il magistrato Blasco Lanza -, ma sempre dalla città etnea proveniva il suo principale avversario, Pietro Cardona, conte di Golisano. I nobili catanesi si davano appuntamento al Piano dei Trixini, antica piazza che prendeva il nome dal piccolo convento di San Nicola de' Trixini (odierno Convento di San Nicolò Minore), che si trovava non lungi dall'attuale incrocio ottagonale detto Quattro Canti tra le vie Etnea e Antonino di Sangiuliano. A seguito di tradimento, una spia rivelò quale fosse il luogo di ritrovo dei ribelli, i quali trovarono ad attenderli i soldati reali inviati dal nuovo viceré, Ettore Pignatelli, che fecero strage di chi si recò all'appuntamento cospiratorio. Altri ribelli vennero impiccati in una pubblica esecuzione avvenuta il 10 marzo 1517 al Piano delle Forche, orientativamente dove oggi sorge la piazza Cavour. La pietra, ancora sporca del sangue ribelle, venne esposta nella pubblica piazza a perenne monito contro la città e i cospiratori non ancora identificati. In questo contesto prese facilmente l'appellativo "del mal consiglio" o "del Malconsiglio", poiché "consigliò" male i ribelli a darsi appuntamento nella data in cui trovarono la morte. Il frammento di architrave, invece, fu usato per fustigare gli insolventi presso l'antica Loggia, palazzo sede del senato civico, sostituito dopo il 1693 dal Palazzo degli Elefanti. Trasferita inizialmente in piazza Manganelli, nel 1872 la pietra viene spostata ai Quattro Canti, probabilmente per riportarla nel luogo dov'era originariamente posta, precisamente in un angolo del secondo cortile del Palazzo Paternò Castello di Carcaci, dove rimase fino al 2009, anno in cui venne nuovamente trasferita all'ingresso del Museo Civico al Castello Ursino, decorata da piccole composizioni floreali. Lasciata in balia degli elementi e di anonimi incivili che ne hanno divelto il giardinetto decorativo, la pietra è rimasta "anonima" fino al 28 maggio 2013, quando una scuola di Librino, grazie a fondi POR, ha fatto omaggio alla città e alla pietra di una targa commemorativa con una breve storia del reperto. Dall'autunno successivo (2014) il manufatto è conservato nell'androne occidentale del Palazzo degli Elefanti. Francesco Ferrara, Stato della città prima del 1669, in Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII, Catania, 1829, p. 190. Claudio Alessandri, La pietra del mal consiglio, in Miscellania - Successi ’na vota. Mitologia e leggende della Sicilia favolosa, Trento, 2011, p. 164. Regno di Sicilia Il lunghissimo vicereame e il declino della Sicilia Storia della Sicilia spagnola

Foro romano di Catania
Foro romano di Catania

Presso il Cortile di San Pantaleone a Catania rimangono i resti di quello che fu identificato quale il Foro Romano di Catania. Il presunto Forum si presentava come una serie di diversi edifici circondanti un'ampia area centrale che costituiva il "foro" vero e proprio. Tali edifici dovettero essere quasi certamente essere dei magazzini o negozi. Lorenzo Bolano descriveva nel Cinquecento la presenza di otto ambienti con copertura a vôlta a sud e altri quattro a nord (quasi certamente perduti questi ultimi con la creazione di Via del Corso, attuale via Vittorio Emanuele II). Il Bolano riferisce anche di un'ala occidentale distrutta ai suoi tempi. Il Bolano tuttavia lo descrive come un impianto termale, dato che la zona era soggetta a periodici fenomeni di allagamento. La struttura rimase così definita fino alle dovute correzioni del Biscari. Ancora Valeriano De Franchi, cartografo per l'opera del D'Arcangelo, ne traccia una prima planimetria dove la struttura viene chiamata Terme Amasene. Ai tempi del principe Ignazio Paternò Castello il pianterreno risultava essere già sepolto, mentre il secondo piano (cinque metri più in alto) era diventato residenza per molti popolani e i lati ridotti a due soltanto (quelli a sud e ad est) uniti ad angolo retto. Adolf Holm attesta esserci stati ai suoi tempi sette vani ad est e tre a sud e che questi furono chiamati "grotte di S. Pantaleo (...) per metà interrate e ridotte a povere abitazioni". Il Libertini, in nota al testo dell'Holm, fa presente come gli otto ambienti a sud persistano, mentre le strutture a est furono convertite in antico in un unico corridoio. La facciata era di circa 45 metri di lunghezza. Tuttavia le strutture riconosciute dal Libertini erano quelle del secondo piano, mentre cinque metri più sopra rimanevano i ruderi del piano interrato che potrebbero essere i locali di cui fa menzione l'Holm. Oggi del presunto foro rimangono soltanto un paio di ambienti attigui visibili a sud, con ingresso architravato sormontato da una apertura ad arco, molto simile nell'aspetto ai magazzini del Foro Traianeo, oltre alle aperture ad arco semplice. Della struttura a est rimangono i resti di una parete in opus reticulatum appartenenti ad uno dei magazzini. Tuttavia, in un lavoro del 2008, Edoardo Tortorici ha messo in dubbio la possibilità che si tratti di un foro, mettendo piuttosto la struttura a confronto con gli horrea noti. Il vicino Convento di Sant'Agostino pure conservava parte della struttura, forse una basilica, consistente in un grosso muro cui poggiava l'edificio religioso e trentadue colonne, prima del terremoto del 1693 componenti il chiostro del convento, in seguito poste a decoro dell'antico Plano San Philippo (oggi Piazza Giuseppe Mazzini). Da qui inoltre provengono il torso colossale di imperatore giulio-claudio e un lastricato in calcare un tempo esposti al Museo Biscari. Oggi il torso colossale è ospite al Castello Ursino. P. Carrera, Delle memorie historiche della città di Catania, Catania 1639. Ignazio Paternò principe di Biscari, Viaggio per tutte le antichita della Sicilia, terza edizione - postuma - Palermo 1817. A. Holm, Catania Antica, traduzione e note di G. Libertini, Catania 1925. Fabrizio Nicoletti (a cura di), Catania Antica. Nuove prospettive di ricerca, Regione Siciliana, Palermo 2015. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Foro romano di Catania

Terme di Sant'Antonio

Le Terme di Sant'Antonio sono un complesso termale romano risalente al I secolo d.C. situato Piazza Sant'Antonio a Catania, di fronte alla casa natale del celebre compositore Giovanni Pacini (1796-1867) e a poca distanza da altri luoghi d'interesse quali la Chiesa di Santa Maria dell'Aiuto e Porta Garibaldi. Sono note anche con il nome di Bagni di Casa Sapuppo, o semplicemente Bagni Sapuppo. Edificate probabilmente nel I secolo d.C. ed in uso fino al III secolo d.C., le Terme di Sant'Antonio furono riscoperte negli anni '70 del XVIII secolo dal Principe di Biscari Ignazio Paternò Castello, che così le descrisse nel suo celebre Viaggio per tutte le antichità di Sicilia: All'incirca negli stessi anni, il pittore francese Jean Houël rappresentò i resti dei bagni in un acquerello ancora oggi conservato al museo dell'Ermitage a San Pietroburgo. A metà Ottocento, in quello che fu un periodo di grande sviluppo per la città di Catania, le terme dovettero essere definitivamente inglobate nelle cosiddette case Sapuppo già citate dal Biscari, e di esse si perse ogni traccia. Bisognerà aspettare il 1997 perché, a seguito di scavi archeologici, alcune delle strutture descritte da Jean Houël e da Sebastiano Ittar siano portate nuovamente alla luce. Le indagini archeologiche hanno condotto anche all'identificazione di alcuni ambienti sconosciuti al Biscari e al rinvenimento di numerose ceramiche tanto romane che medievali. Susanna Amari, Il balneum in piazza Sant’Antonio a Catania: una riscoperta archeologica, in Fabrizio Nicoletti (a cura di), Catania Antica. Nuove prospettive di ricerca, Regione Siciliana, Palermo 2015, pp. 379-398. Edoardo Tortorici (a cura di), Catania antica. La carta archeologica, Roma: 2016, p.188.

Museo civico al Castello Ursino
Museo civico al Castello Ursino

Il Museo civico di Catania è situato all'interno del Castello Ursino dal 20 ottobre 1934. Dopo la chiusura del Museo Biscari (tra le più importanti collezioni d'Europa del tempo, definito da Dominique Vivant Denon una "lodevole raccolta") e il sequestro della Collezione dei Benedettini, a Catania si avvertì ben presto la necessità di un Museo Civico. La sua apertura tuttavia avvenne non prima del 1934 su un primo progetto di Guido Libertini, al tempo soprintendente alle Antichità di Catania. La scelta dell'ubicazione ricadde sul Castello Ursino, unico monumento cittadino abbastanza capiente per ospitare la collezione benedettina a cui presto si aggiunsero i reperti acquistati dagli eredi del Principe di Biscari, la collezione Zappalà Asmundo e molte donazioni private. Il Museo si avvaleva così di tre importanti collezioni che comprendevano le sezioni archeologica, medievale, rinascimentale e moderna. A causa di problemi burocratici e di reperimento di fondi per la necessaria ristrutturazione, il museo è successivamente rimasto chiuso per moltissimi anni. La riapertura del primo piano del museo (avvenuta nel 1999) permette di ammirare parte delle sculture di epoca ellenistica e romana fra cui spiccano la testa di efebo del VI secolo a.C., ritrovata negli scavi dell'antica Leontinoi e appartenuto a Ignazio Paternò Castello, recentemente ricongiunta all'acefalo Kouros esposto al Museo Paolo Orsi di Siracusa), la statua di Ercole di III secolo proveniente dagli scavi del palazzo Zappalà in via A. di Sangiuliano a Catania, il monumentale torso di imperatore Giulio-Claudio raffigurato come Giove. Inoltre molti frammenti decorativi provenienti dal Teatro e pregevoli mosaici pavimentali provenienti da diverse parti della città (spicca sugli altri un invitante "Vtere Feliciter", augurio che faceva da ingresso al ninfeo di piazza Dante). Pure di notevole importanza (soprattutto per la storiografia Siciliana di età imperiale e per le funzioni pubbliche) il cippo monumentale di Q. Atilius, chiamato cippo Carcaci e il frammento di decorazione (dato l'aspetto probabilmente in origine dovette essere parte di una colonna istoriata) proveniente dagli scavi presso la Porta delli Canali (oggi Porta di Carlo V), trovati entrambi a Catania. Notevoli i due portali rispettivamente del XIII e XV secolo. Quest'ultimo situato nel cortile è un importante documento del periodo in cui il Castello fu sede di prigione, con le scritte (firme, poesie, disegni) incise dai condannati sugli stipiti. Esiste anche una notevole collezione numismatica ricca di preziose monete greche e romane. Per finire una ricca collezione di crateri greci fra cui spicca un cratere attico raffigurante Perseo che decapita la Gorgone. Nel 1995 venne riaperta un'ala del maniero per rendere fruibile la parte relativa alla pinacoteca. Tra le opere esposte ricordiamo una piccola raccolta di tavolette bizantine, San Cristoforo di Pietro Novelli, Natività di Geraci (copia della Natività di Caravaggio, trafugata a Palermo nel 1969), Madonna in trono con il Bambino di Antonello de Saliba, Cristo deriso e Morte di Catone del fiammingo Matthias Stomer, l'Ultima cena di Luis de Morales (XVI secolo), ma anche alcune tele di Mattia Preti (San Luca Pittore), Gaspare Serenarlo, Mariano Rossi (Martirio di sant'Agata), Giuseppe Patania (Sibilla), El Greco (Ritratto di Gentiluomo), Michele Rapisardi (Testa di Ofelia pazza, I vespri Siciliani) e Malinconia di Domenico Fetti. Appena entrati nel castello, ci si trova davanti alla biglietteria. In quella stessa sala sono esposte alcune epigrafi giudaiche e l'epigrafe proveniente dalla loggia senatoria medievale che proclamava la cacciata degli ebrei del 1492 da Catania. È esposta una copia dell'Epigrafe di Iulia Florentina, conservata al Museo del Louvre. Su un basamento si trova la statua di Ignazio Paternò Castello Principe di Biscari, opera di Antonio Calì oppure, secondo una recente indagine, dell'architetto e scultore Gioacchino Calì. Accanto ad essa si trova un'edizione del suo libro, Viaggio per le Antichità della Sicilia, corredato dal suo ritratto inciso da Antonio Zacco. Sono esposti varie parti di un Mosaico romano raffigurante i mesi. Infine sono qui conservate una chiave di volta medievale ed un cannone seicentesco recuperati durante lavori nel fossato del castello. Alla parete è appesa un'epigrafe cinquecentesca che cita un castellano di Toledo. In questa sala è anche conservata la grande collezione d'armi, che comprende portapolvere in metallo del XVI sec., delle pistole tedesche (del XVI sec., alcune delle quali dell'artigiano) e dei portapolveri seicenteschi decorati ad incisione provenienti dalle collezioni Benedettine. In questa sala ed in quella successiva sono esposte opere perlopiù provenienti dal teatro romano. Tra le principali, un plinto romano, rinvenuto da Biscari durante gli scavi al teatro romano nel 1770. Sul fronte è rappresentato un trofeo incoronato da due vittorie alate e sul fianco sinistro presenta due prigionieri barbari. Sul fianco destro è rappresentata una donna seduta che regge una lancia. Sono qui presenti anche una statua colossale acefala, un torso di Hermes e la base di un cratere neoattico. Qui sono esposti frammenti di mosaici romani, una statua di ercole e la copia in gesso del sarcofago di Costanza d'Aragona. Tra le principali opere esposte in questa sala ci sono: Un mosaico proveniente dalle Terme Achilliane, ornato da putti che invitano a godere del soggiorno alle terme ("Vtere Feliciter") Due frammenti di un fregio che rappresenta una Gigantomachìa risalente al III secolo d.C. Un Torso virile dedicato a Giove, ritrovato vicino al convento di Sant'Agostino dal principe Biscari nel 1737. Una statua raffigurante Ercole con pelle di leone, del II sec. Copia ridotta dell'Ercole Farnese, II sec. Un plinto con delfini dal teatro. In questa sala, in alcune vetrine, sono esposte molte statuine fittili. Tra le principali ci sono Afrodite, Cagnolino in lotta con un gallo, Ninfa su uno scoglio ed infine una testa preistorica. Degna di nota è una scultura che rappresenta un ariete colossale. L'opera più importante è il frammento con cavaliere, probabilmente proveniente da una colonna istoriata, ritrovato nei pressi di porta Carlo V. Chiamata così per il suo utilizzo come deposito, conserva al suo interno un mosaico romano raffigurante l'Africa ed una testa muliebre egizia. Qui sono esposti i bronzetti figurati, circa 2000, di cui 1600 appartengono alla collezione dei Benedettini e gli altri a quella dei Biscari. Sono presenti bronzetti di età arcaica, sicelioti, magno-greci, etrusco-italici ed ellenistici. Si può ammirare il rilievo marmoreo di Demetra e Core, ritrovato nel 1930 nella collina di Montevergine e databile al 420 a.C. La donna a sinistra è Demetra, che solleva un lembo del suo peplo, a destra la figlia Core indossa il chitone, e con la mano destra sorregge una fiaccola per farsi luce forse nell'ade; la scena non appare completa a destra poiché il rilievo è danneggiato. Ai piedi di Core c'è un cratere. Nella sala sono presenti molti vasi greci. Un esempio molto rilevante di ceramica a figure rosse è il Cratere con Perseo e Medusa. Proviene dagli scavi di Camarina. Viene rappresentato Perseo che mostra la testa di Medusa a Polidette. Nelle altre sale sono conservate perlopiù epigrafi e statue, facente parte della mostra permanente "Voci di Pietra": Nella prima sala sono conservati: Due lastre tombali, una di personaggio insignito del Tonson d'Oro (XVI sec.) ed una con figura dormiente. Pittura medievale raffigurante la Vergine tra i santi Lucia e Giovanni (XV sec.) Il Ritratto di Gentiluomo di El Greco, recentemente restaurato grazie ai fondi di OperaTua. Alcune icone bizantine, una placca con crocifisso di manifattura limosina ed uno smalto raffigurante la Vergine in Gloria. Alcune parti del polittico di Antonello de Saliba, proveniente dalla chiesa di Santa Maria di Gesù: Madonna col Bambino, Sant'Antonio, San Francesco d'Assisi, Resurrezione. Sant'Onofrio del Bernazzano. Scacchi seicenteschi dei Benedettini L'Ultima Cena dello spagnolo Luis de Morales. Qui sono presenti soprattutto opere del Seicento e del Settecento, con capolavori di Matthias Stomer e Pietro Novelli: Molte opere di Stomer sono presenti nella collezione che Giovan Battista Finocchiaro donò alla città di Catania nel 1826: tra queste la Morte di Catone, Crocifissione di San Pietro, il Suicidio di Seneca ed il Cristo deriso: raffigura 6 persone in costumi seicenteschi illuminate da una candela: sono intenti a deridere il Cristo, rassegnato perché consapevole del proprio destino. Tra le opere principali di Pietro Novelli c'è la tela raffigurante San Cristoforo, San Giovanni Battista, Madonna col Bambino e San Luigi re di Francia ed Il Samaritano soccorre il ferito. L'unica copia esistente della preziosa pala d'altare "Natività" di Caravaggio, rubata dalla mafia a palermo e non più ritrovata. Questo quadro fu dipinto nel 1627 per Don Gaspare Orioles da Paolo Geraci. Il “Cristo alla colonna” di Mario Minniti. In primo piano risalta Cristo, alle sue spalle vi è un flagellatore mentre a fare da contrasto è il drappo bianco, che viene a lui tolto dall’altro flagellatore. La Maddalena Penitente della scuola del pittore barocco Giovanni Lanfranco. Essa è rappresentata con i lunghi capelli sciolti, gli occhi lacrimanti, nell’atto di gettare via il manto e i gioielli. San Luca pittore di Mattia Preti. Il santo è raffigurato sulla groppa di un bue e sta dipingendo un’immagine mariana. Il quadro di Santa Caterina in estasi venne inizialmente attribuito a Giulio Cesare Procaccini e successivamente a Pier Francesco Mazzucchelli. La Santa indossa l’abito dell’ordine domenicano insieme a un velo bianco, porta una corona di spine sul capo rivolto leggermente all’indietro; la sua espressione facciale rappresenta l'esperienza della visione della santa. Tra i dipinti di Jusepe de Ribera ci sono Il Profeta, San Francesco con un Crocifisso e il Compianto sul Cristo morto, attribuito alla sua scuola. Altre opere importanti conservate in questa sala sono la Maddalena di Andrea Vaccaro, i Tre Re di Simone de Wobreck ed il San Gennaro attribuito a Francesco Solimena. In questa sala sono esposte opere settecentesche: Bozzetti "Incoronazione di Sant'Agata", "Morte di San Giuseppe" e "San Francesco Caracciolo" di Marcello Leopardi e "Martirio di Sant'Agata" di Mariano Rossi. "Natura morta con frutta e paesaggio" e la "Natura morta con frutta e fontana" del pittore barocco napoletano Aniello Ascione. Paesaggio con rovine di un ignoto pittore meridionale, una delle 5 tele provenienti Villa Scabrosa. Il paesaggio non è reale ma arricchito di ruderi. Va in coppia con la tela Battaglia Navale, del XVIII sec. Venditrice di pesce di Giuseppe Bonino (1760). Una statua di artista dell'Italia Centrale raffigurante Afrodite inginocchiata all'antica. Una splendida tela raffigurante La Maddalena, attribuita da molti al pittore Guglielmo Borremans. Due opere in cera raffiguranti Sant'Agata davanti a Quinziano e Sant'Agata incoronata in carcere, del XVIII sec. Un portale di ispirazione gaginesca. Un ritratto settecentesco del priore Placido Scammacca, raffigurato accanto ad un vaso greco. Questo stesso vaso è conservato in una teca lì accanto. Due piccoli dipinti di Michele Rocca, raffiguranti la Nascita di Venere e la Nascita di Adone. In questa sala, intitolata al pittore romantico Michele Rapisardi, sono conservate molte sue opere, a partire dal suo capolavoro I Vespri Siciliani. Altre sue opere conservate nella sala sono la famosissima Testa di Ofelia Pazza, uno studio per i Vespri Siciliani ed un suo autoritratto. Nella sala sono altresì presenti grandi opere di Natale Attanasio: la grande tela Sunt Lacrima Rerum, meglio conosciuta come "Le Pazze", è affiancata da Donne ai campi e dal quadretto Tasso ed il Cardinale d'Este. Un'altra opera importante è Provenzan Salvani nella piazza del Campo di Bernardo Celentano. Dalla sala dedicata al Rapisardi si accede ad uno spazio al piano superiore. In esso sono esposti perlopiù ritratti ottocenteschi di pittori come Michele Rapisardi, Giuseppe Rapisardi, Giuseppe Sciuti, Natale Attanasio, Calcedonio Reina, Francesco Lojacono, Pasquale Liotta, Domenico Morelli, Alessandro Abate, Antonino Gandolfo e Giuseppe Gandolfo. In delle vetrine sono esposti dei vasi cinesi del XVIII sec., dei violini prodotti dall'Amati, ceramiche di Caltagirone ed infine dei bronzi raffiguranti Venere e Vulcano (XVII sec.) e Perseo (XVII sec.) Grande sala dedicata a mostre ed esposizioni. Sono esposti vari bassorilievi ed alcune sculture, come delle epigrafi provenienti dalla Certosa di Nuovaluce ed un'urna di scuola gaginiana. In una sala adiacente sono esposti parte della collezione numismatica ed il Fondo Sebastiano Ittar: si tratta di matrici ed incisioni di Ittar, raffiguranti alcuni studi su monumenti ed opere d'arte catanesi. Dal 2016 è attivo il progetto EPICUM, realizzato dall'Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR e dall'Università di Oxford, per la digitalizzazione del corpus completo delle epigrafi del Museo civico al Castello Ursino. Le 580 epigrafi della collezione sono state catalogate secondo lo schema EpiDoc e sono rese disponibili in Linked Open Data. Maria Teresa Di Blasi e Concetta Greco Lanza, Il Cicerone. Storia, itinerari, leggende di Catania, 2ª ed., Catania, Edizioni Greco, 2007, ISBN 978-88-7512-060-3. Barbara Mancuso, Castello Ursino a Catania. Collezioni per un museo, Piccola biblioteca d'arte, vol. 3, Palermo, Edizioni Kalós, 2008, ISBN 978-88-89224-55-7. Agostino Arena, Il Castello di Ursino nella Storia e nelle "Storie" di Catania, Acireale (CT), A&B editrice, novembre 2014, ISBN 88-7728-354-8. ISBN 978-88-7728-354-2. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo civico al Castello Ursino Museo civico al Castello Ursino, su CulturaItalia, Istituto centrale per il catalogo unico.

Piazza Mazzini (Catania)
Piazza Mazzini (Catania)

Piazza Giuseppe Mazzini, originariamente nota col nome di Piano di San Filippo, è una piazza monumentale del centro storico di Catania, la cui progettazione risale al XVIII secolo. Dopo il disastroso terremoto del Val di Noto del 1693, il nuovo impianto urbano deciso da Giuseppe Lanza, duca di Camastra, coordinatore e finanziatore della ricostruzione in accordo con le autorità cittadine, prevedeva lo sfruttamento di questa piazza come mercato e per tale motivo fu stabilita anche la conformazione strutturale degli edifici che dovevano affacciarvisi. Giacché lo spazio venne ricavato dall'incrocio fra due strade, l'attuale via Giuseppe Garibaldi (un tempo chiamata via San Filippo e, successivamente, via Ferdinandea a causa della Porta Ferdinandea, che si trova alla sua fine e che rappresentava anticamente l'ingresso della città dal lato sud-ovest) e via Santa Maria della Lettera a nord che cambia nome in via Auteri a sud, la piazza assunse un disegno a croce greca con uguale spartizione degli spazi ad angolo nei quali si scelse di erigere edifici dotati di terrazzini loggiati. Così, nei primi decenni del XVIII secolo, non è sicuro per mano di quali architetti, in quella che sarebbe dovuta divenire una delle principali piazze del mercato catanese, sorsero quattro identici loggiati, ciascuno composto da 8 colonne in marmo bianco, che formarono una cornice quadrangolare lungo i perimetri del luogo ad eccezione delle quattro aperture stradali. Tali colonne furono recuperate da delle rovine di epoca romana, in particolare dai resti di una Basilica, sita ai tempi nei pressi dell'odierna Chiesa di Sant'Agostino, al quale fu poi annesso un Convento, e del Cortile San Pantaleone, dove si trovava il Foro romano di Catania. Esse furono messe in opera su eleganti plinti cubici in pietra lavica e su di queste furono sviluppate arcate a tutto sesto che, a loro volta, reggono i terrazzi dei palazzi nobiliari. Questi edifici (Palazzo Scammacca della Bruca a nord-est, Palazzo Asmundo di Gisira a sud-est, Palazzo Peratoner a sud-ovest e Palazzo Gagliani a nord-ovest) avrebbero dovuto tutti adeguarsi stilisticamente alle carte progettuali del XVIII secolo, e invece, a partire dal XIX secolo, tre dei quattro palazzi subirono modifiche ai secondi piani, dotati di finestre balconate quando sarebbero dovute essere semplici cornici quadre, e agli intonaci, che passarono dal grigio catanese al rosa. Solo Palazzo Scammacca della Bruca, il primo dei quattro ad essere stato realizzato, rimase del tutto fedele all'originario disegno e si presenta così ancora oggi. Bisogna precisare che detti cambiamenti furono abbastanza marginali guardando all'aspetto complessivo della sistemazione della piazza, in quanto essa appare ancora oggi estremamente omogenea e simmetrica nelle sue parti. Resta il fatto che i mercati storici di Catania sono ubicati altrove: a parte quello storico della "Fèra o Lùni" in Piazza Carlo Alberto, a nord-est di Piazza Stesicoro, vi è quello principale della Pescheria in Piazza Alonzo Di Benedetto, a sud-ovest di Piazza del Duomo, relativamente vicina a piazza Mazzini, la quale, molto probabilmente a causa dello sviluppo progressivo della città etnea e della crescita della sua popolazione, divenne troppo piccola per l'esercizio del suo stesso mercato, ovvero la "Fiera dei Morti", oggi tenuta invece in piazza Mercato Ortofrutticolo, nel quartiere San Giuseppe la Rena.