place

Palazzo Auteri

Informazioni senza fontePagine con mappePalazzi di Catania
Palazzo Auteri Perrotta
Palazzo Auteri Perrotta

Il palazzo Auteri Perrotta è un palazzo privato, situato nel centro storico di Catania, fra le Terme dell'Indirizzo e il Castello Ursino. Fu costruito nel XVIII secolo per volere di Michele Auteri, ricco produttore e commerciante di seta. Dell'edificio si vedono già delle tracce nella mappa catastale dell'Orlando, risalente al 1761.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Palazzo Auteri (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Palazzo Auteri
Via Auteri, Catania Centro storico

Coordinate geografiche (GPS) Indirizzo Numero di telefono Sito web Luoghi vicini
placeMostra sulla mappa

Wikipedia: Palazzo AuteriContinua a leggere su Wikipedia

Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 37.500874 ° E 15.085093 °
placeMostra sulla mappa

Indirizzo

Bellini

Via Auteri
95121 Catania, Centro storico
Sicilia, Italia
mapAprire su Google Maps

Numero di telefono

call+39095340545

Sito web
bandbbellini.com

linkVisita il sito web

Palazzo Auteri Perrotta
Palazzo Auteri Perrotta
Condividere l'esperienza

Luoghi vicini

Pozzo di Gammazita
Pozzo di Gammazita

Il Pozzo di Gammazita è un sito che si trova nel centro storico di Catania, nella zona sud-ovest della città adiacente all'antica cinta muraria cittadina detta appunto cortina di Gamma Zita presso il cortile omonimo, e fa riferimento ad un racconto leggendario avvenuto al tempo della dominazione angioina in Sicilia, durante la Guerra del Vespro. La leggenda narra di una fanciulla catanese di nome Gammazita, bellissima e di grande virtù. Di lei si invaghì un soldato francese, le cui avances furono però rifiutate dalla giovane, che era già fidanzata. Proprio nel giorno del suo matrimonio, mentre Gammazita si recava come sempre a prendere l'acqua, il soldato la aggredì violentemente e la ragazza, vistasi preclusa ogni via di scampo, preferì gettarsi nel vicino pozzo piuttosto che cedere alla violenza. Versioni successive arricchiscono il racconto, romanzandolo e aggiungendo altri personaggi di contorno. In esse si fa preciso riferimento all'anno in cui si sarebbe svolto tale avvenimento, il 1278, e si racconta di donna Macalda Scaletta, bellissima e orgogliosa vedova del signore di Ficara, che attirava la corte di tutti i cavalieri francesi e siciliani. Essa, tuttavia, innamoratissima del suo giovane paggio Giordano, sfuggiva a tutte le proposte amorose. Un giorno però Giordano vide la giovane Gammazita intenta a ricamare dinanzi alla soglia della sua casa e se ne innamorò perdutamente. L'amore dei due giovani destò le ire e la folle gelosia della perfida Macalda, che si accordò con il francese de Saint Victor per tendere loro un tranello: questi avrebbe dovuto far capitolare Gammazita e Macalda sarebbe stata sua. De Saint Victor fece numerose imboscate, approfittando in particolare delle volte in cui Gammazita si recava ad attingere acqua alla vicina fonte. Un giorno riuscì infine ad afferrare la fanciulla, ma essa si divincolò dalla sua stretta e non vedendo altra via di scampo, per non subire violenza sessuale, preferì gettarsi nel vicino pozzo. Giordano, appreso quanto accaduto, in preda alla disperazione assalì il suo nemico, uccidendolo a pugnalate dinanzi al cadavere dell'amata. La fine orrenda della fanciulla e la sua virtù destarono in tutti i catanesi profonda commozione e furono sempre citati come esempio del patriottismo e dell'onestà delle donne catanesi, mentre i depositi di ferro che creavano macchie rosse sulle pareti del pozzo furono spiegati tradizionalmente come tracce del sangue di Gammazita. A questa storia, si affiancano altre leggende che spiegano diversamente l'origine del toponimo "Gammazita". La prima si trova nel panegirico scritto da don Giacomo Gravina in onore del duca di Carpignano, don Francesco Lanario, dal titolo La Gemma zita: in esso si racconta la storia delle nozze fra la ninfa Gemma e il pastore Amaseno (o Amenano). Il dio Plutone (secondo il Gravina, Polifemo) si invaghì della ninfa, scatenando la gelosia di Proserpina, che la trasformò in una fonte. Gli dei, toccati dalla disperazione di Amaseno, trasformarono anch'egli in una fonte: il pozzo sarebbe dunque il luogo in cui si uniscono le acque dei due sfortunati amanti. Secondo questa versione, il nome Gammazita nascerebbe dunque dall'unione delle due parole gemma e zita ("fidanzata", "sposa"), modificate poi dall'uso comune. Un altro racconto parla di un uomo con una gamba rigida che abitava in una grotta vicino alla fonte, che dunque prenderebbe il nome da questo suo difetto fisico (iamma zita), mentre una terza spiegazione lega il toponimo a due misteriose lettere dell'alfabeto greco, una gamma e una zeta, che sarebbero incise sull'antico muro che fiancheggia la fonte. Un'ulteriore ipotesi senza fonte la accosta alla voce araba al gawsit (il luogo dell'acqua dolce) che si riferisce ad un sito, principalmente costiero, dove i naviganti potevano contare su un rifornimento di acqua dolce. La medesima origine è riferita alla zona di Torre Guaceto, in provincia di Brindisi. La parte della città dove sorge il pozzo nel Medioevo era la sede della Judeca Suttana (il quartiere ebraico, detto anche Judeca di Jusu) ed era piuttosto ricca di attività commerciali, in particolare concerie e macellerie, che sfruttavano le numerose sorgenti d'acqua, forse diramazioni del fiume Amenano che scorre nel sottosuolo catanese e che qui prendeva il nome di Judicello. Le mura in questo tratto costeggiavano i ruderi di antiche fabbriche che prendevano il nome di Muro rotto e vennero identificate dal Bolano quale l'antica naumachia e il circo, segno che in età antica l'area era impegnata da grandi strutture pubbliche monumentali. In tutte le piante e disegni di Catania, a partire da quella di Michelangelo Azzarelli (1584), la cortina muraria che si congiungeva a gomito con la Porta dei Canali e con il Bastione di Santa Croce, viene chiamato Gammazita e lì sono segnate queste fonti, inizialmente come dei rivoli che si perdevano nel mare. Nel 1621, don Francesco Lanario, duca di Carpignano, soprintendente generale alle fortificazioni, nell'ambito di un generale restauro dell'assetto difensivo della città, volle risistemare anche la zona della fonte. Le acque di Gammazita furono così imbrigliate e congiunte a quelle dell'Amenano, realizzando una serie di fontane pubbliche che arricchirono e resero più gradevole la passeggiata a mare, anche grazie alla realizzazione di una strada lastricata, munita di panchine. Questa piacevole sistemazione però ebbe vita breve. L'11 marzo 1669, da una frattura sopra Nicolosi cominciò la più imponente eruzione dell'Etna di epoca storica che abbia raggiunto Catania e, dopo aver distrutto orti e casali, giunse alle mura della città, riuscendo a superarle da nord-ovest, nella zona del Monastero di San Nicolò l'Arena, per poi dirigersi verso il Bastione di San Giorgio a sud. Il 16 aprile, il fiume lavico circondò il Castello Ursino, colmandone il fossato, e invase tutta l'area del quartiere dell'Indirizzo, ricoprendo, nonostante gli sforzi di difesa messi in atto dai catanesi, anche le sorgenti, fra cui quella di Gammazita. La fonte rimase così sepolta sotto uno strato di 14 metri di lava, ma la sua importanza nella vita e nell'economia cittadina fece sì che fin già verso la metà del XVIII secolo fu riportata alla luce. Venne a crearsi così un singolare pozzo artificiale, ricavato nella sciara del 1669 e costituito dalla profonda scarpata delle mura civiche cinquecentesche che terminava sul fondo dove si accumulava una sorgente, ciò che rimaneva delle tre fonti pre-eruzione. Al fondo si giungeva con una pittoresca scalinata ricavata nel Settecento la quale si addossava alle lave e alla cortina muraria. La riscoperta e la fama della fonte, in quest'età, si devono soprattutto agli intellettuali europei che visitarono Catania nell'ambito del Grand Tour, in particolare Patrick Brydone, l'abate Richard de Saint-Non, Jean Houël, Dominique Vivant Denon. Saint-Non e Houël, in particolare, hanno lasciato anche delle raffigurazioni che testimoniano lo stato del pozzo nel Settecento e il suo aspetto pittoresco e nel pieno della ricerca della fascinazione della decadenza di concezione romantica, che tanto affascinava i viaggiatori stranieri. In tali immagini, soprattutto in quella di Saint-Non, si nota tuttavia una distorsione delle proporzioni, che fanno apparire il pozzo più grande di quanto non sia in realtà, e soprattutto l'inserimento di uomini intenti alla pesca, come se la vasca di raccolta delle acque fosse adibita anche a peschiera. Non sappiamo se questo corrisponda a verità o se sia un elemento aggiunto dall'autore per accentuare il carattere pittoresco del sito. Fra coloro che visitarono la fonte, merita di essere ricordata la descrizione che ne lascia Charles Didier che, fra i monumenti visitati in città, dice che "fra le più curiose è un frammento delle antiche mura della città interamente coperto di lava: ai piedi di esso una fontana che manda acqua di una freschezza e di una limpidezza che sono degne di Aretusa" I numerosi problemi relativi allo stato di conservazione attuale del sito hanno dato luogo nel tempo a diverse iniziative di protesta dirette a sensibilizzare la amministrazione comunale sia per quel che riguarda l'accessibilità che la manutenzione, sicurezza e pulizia del pozzo. Il Pozzo di Gammazita si apre in un cortile chiuso fra nel case popolari ottocentesche di via San Calogero, a due passi dal Castello Ursino. L'accesso al cortile, avviene attraverso una scala di sessantadue gradini che sostituisce quella originaria in pietra lavica e ciottoli, distribuiti in cinque piccole rampe interrotte da pianerottoli rivestiti di pietra lavica e cotto siciliano, che portano ad un livello di circa 12 metri sotto il livello stradale. Alla base della scala si apre uno stretto spazio, anch'esso pavimentato in cotto siciliano chiuso da un tratto residuo della cortina muraria cinquecentesca: qui scorreva l'acqua sorgiva, in una vasca su cui incombe la massa lavica che ha chiuso la fonte. Altre costruzioni e superfetazioni moderne e contemporanee accerchiano il pozzo, accentuando l'impressione di una profonda voragine. La tragica storia di Gammazita ha dato anche spunto ad una famosa poesia popolare anonima catanese: Una rappresentazione di questa leggenda si trova in uno dei candelabri bronzei di Piazza Università a Catania, opera di Mimì Maria Lazzaro e D. Tudisco su disegno dell'architetto V. Corsaro (1957). S. Lo Presti, "Memorie storiche di Catania: fatti e leggende", Catania, Minerva, 1957. Lo Faro Alessandro, La fonte di Gammazita. Storia, leggenda, pittoresco, in Pagello E. (a cura di) Realtà e immaginario. Storie di architetture a Catania, Siracusa - Palermo, A. Lombardi ed., 2000. Gammazita Vespri siciliani Macalda Scaletta Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pozzo di Gammazita Catania: il volto antico della Civitas, su cataniagiovani.wordpress.com.

Piazza Mazzini (Catania)
Piazza Mazzini (Catania)

Piazza Giuseppe Mazzini, originariamente nota col nome di Piano di San Filippo, è una piazza monumentale del centro storico di Catania, la cui progettazione risale al XVIII secolo. Dopo il disastroso terremoto del Val di Noto del 1693, il nuovo impianto urbano deciso da Giuseppe Lanza, duca di Camastra, coordinatore e finanziatore della ricostruzione in accordo con le autorità cittadine, prevedeva lo sfruttamento di questa piazza come mercato e per tale motivo fu stabilita anche la conformazione strutturale degli edifici che dovevano affacciarvisi. Giacché lo spazio venne ricavato dall'incrocio fra due strade, l'attuale via Giuseppe Garibaldi (un tempo chiamata via San Filippo e, successivamente, via Ferdinandea a causa della Porta Ferdinandea, che si trova alla sua fine e che rappresentava anticamente l'ingresso della città dal lato sud-ovest) e via Santa Maria della Lettera a nord che cambia nome in via Auteri a sud, la piazza assunse un disegno a croce greca con uguale spartizione degli spazi ad angolo nei quali si scelse di erigere edifici dotati di terrazzini loggiati. Così, nei primi decenni del XVIII secolo, non è sicuro per mano di quali architetti, in quella che sarebbe dovuta divenire una delle principali piazze del mercato catanese, sorsero quattro identici loggiati, ciascuno composto da 8 colonne in marmo bianco, che formarono una cornice quadrangolare lungo i perimetri del luogo ad eccezione delle quattro aperture stradali. Tali colonne furono recuperate da delle rovine di epoca romana, in particolare dai resti di una Basilica, sita ai tempi nei pressi dell'odierna Chiesa di Sant'Agostino, al quale fu poi annesso un Convento, e del Cortile San Pantaleone, dove si trovava il Foro romano di Catania. Esse furono messe in opera su eleganti plinti cubici in pietra lavica e su di queste furono sviluppate arcate a tutto sesto che, a loro volta, reggono i terrazzi dei palazzi nobiliari. Questi edifici (Palazzo Scammacca della Bruca a nord-est, Palazzo Asmundo di Gisira a sud-est, Palazzo Peratoner a sud-ovest e Palazzo Gagliani a nord-ovest) avrebbero dovuto tutti adeguarsi stilisticamente alle carte progettuali del XVIII secolo, e invece, a partire dal XIX secolo, tre dei quattro palazzi subirono modifiche ai secondi piani, dotati di finestre balconate quando sarebbero dovute essere semplici cornici quadre, e agli intonaci, che passarono dal grigio catanese al rosa. Solo Palazzo Scammacca della Bruca, il primo dei quattro ad essere stato realizzato, rimase del tutto fedele all'originario disegno e si presenta così ancora oggi. Bisogna precisare che detti cambiamenti furono abbastanza marginali guardando all'aspetto complessivo della sistemazione della piazza, in quanto essa appare ancora oggi estremamente omogenea e simmetrica nelle sue parti. Resta il fatto che i mercati storici di Catania sono ubicati altrove: a parte quello storico della "Fèra o Lùni" in Piazza Carlo Alberto, a nord-est di Piazza Stesicoro, vi è quello principale della Pescheria in Piazza Alonzo Di Benedetto, a sud-ovest di Piazza del Duomo, relativamente vicina a piazza Mazzini, la quale, molto probabilmente a causa dello sviluppo progressivo della città etnea e della crescita della sua popolazione, divenne troppo piccola per l'esercizio del suo stesso mercato, ovvero la "Fiera dei Morti", oggi tenuta invece in piazza Mercato Ortofrutticolo, nel quartiere San Giuseppe la Rena.

Pietra del Malconsiglio
Pietra del Malconsiglio

La Pietra del Malconsiglio è un antico manufatto in pietra lavica di incerta origine, legato ai luttuosi fatti del 1516 da cui trae il nome e situato nel centro storico di Catania. Il manufatto è un macigno in pietra lavica molto poroso, lavorato a cilindro lievemente svasato e caratterizzato da un bordo a toro presente alle due estremità del cilindro. Presenta vistosi segni di logoramento, in particolare a causa delle acque pluvie, oltre ad una grossa scheggiatura, causata probabilmente da un notevole trauma da impatto, dovuto forse ad una caduta. Il blocco misura circa 92 cm di altezza per 106 cm di diametro maggiore e 340 cm in circonferenza nella faccia superiore, corrispondente grossomodo alle dimensioni riportate dall'abate Francesco Ferrara il quale la misurò in altezza e in diametro di 3 piedi siciliani (pari a circa 90 cm). Poco si sa dell'origine della pietra. Genericamente viene identificata quale un capitello dorico in pietra lavica, tuttavia lo stile dorico non prevede una forma simile, che potrebbe essere piuttosto una singolare interpretazione dello stile tuscanico o una versione insolita di altro stile. Non a caso l'abate Ferrara preferì una generica definizione di capo di una colonna. Tuttavia non manca chi ritenga diversa la funzione del manufatto, in particolar vi è chi ritiene che "rappresentasse l'altare di Bacco presso il Teatro Antico". L'uso della pietra lavica in antico è attestato a Catania in misura massiccia soltanto a partire dal periodo repubblicano, forse a seguito delle eruzioni del 122-121 a.C., questo dato potrebbe costituire un terminus post quem per aiutare nella datazione del manufatto. Tale capitello si vuole appartenesse ad un tempio della città arcaica, cui appartenne anche un grosso frammento di architrave quadrangolare e simile in misure, oggi scomparso. L'ubicazione originaria fa pensare ad un elemento architettonico appartenuto ad un grande edificio pubblico sito entro i limiti dell'antica città (infatti l'anfiteatro situato più a nord chiude la città romana, cui si accostavano le necropoli). Facente parte dunque di una serie di resti appartenuti ad un antico edificio non più esistente, la pietra venne scelta nel 1516 quale sito di appuntamento per i ribelli durante i moti di quell'anno. Con la morte di Ferdinando il Cattolico avvenuta il 23 gennaio, la Sicilia passò dalla dinastia Trastámara al giovanissimo erede Asburgo Carlo. In questo clima di instabilità di successione il viceré uscente Ugo di Moncada rifiutò le dimissioni, appoggiato dalla classe nobile siciliana. I nobili, così facendo, avrebbero ottenuto notevoli concessioni dal loro protetto e, forse, l'autonomia dal Regno di Spagna. Seguì una cruenta guerra civile che funestò l'Isola (tranne, pare, Messina) per tre anni consecutivi al punto da fregiarsi, non senza esagerazione, del titolo di Secondo Vespro a cui Catania aderì e si mostrò tra le più agguerrite città ribelli e tormentate. Da Catania provenivano infatti i tre principali sostenitori di Moncada - i nobili Cesare Gioeni, Girolamo Guerrera e il magistrato Blasco Lanza -, ma sempre dalla città etnea proveniva il suo principale avversario, Pietro Cardona, conte di Golisano. I nobili catanesi si davano appuntamento al Piano dei Trixini, antica piazza che prendeva il nome dal piccolo convento di San Nicola de' Trixini (odierno Convento di San Nicolò Minore), che si trovava non lungi dall'attuale incrocio ottagonale detto Quattro Canti tra le vie Etnea e Antonino di Sangiuliano. A seguito di tradimento, una spia rivelò quale fosse il luogo di ritrovo dei ribelli, i quali trovarono ad attenderli i soldati reali inviati dal nuovo viceré, Ettore Pignatelli, che fecero strage di chi si recò all'appuntamento cospiratorio. Altri ribelli vennero impiccati in una pubblica esecuzione avvenuta il 10 marzo 1517 al Piano delle Forche, orientativamente dove oggi sorge la piazza Cavour. La pietra, ancora sporca del sangue ribelle, venne esposta nella pubblica piazza a perenne monito contro la città e i cospiratori non ancora identificati. In questo contesto prese facilmente l'appellativo "del mal consiglio" o "del Malconsiglio", poiché "consigliò" male i ribelli a darsi appuntamento nella data in cui trovarono la morte. Il frammento di architrave, invece, fu usato per fustigare gli insolventi presso l'antica Loggia, palazzo sede del senato civico, sostituito dopo il 1693 dal Palazzo degli Elefanti. Trasferita inizialmente in piazza Manganelli, nel 1872 la pietra viene spostata ai Quattro Canti, probabilmente per riportarla nel luogo dov'era originariamente posta, precisamente in un angolo del secondo cortile del Palazzo Paternò Castello di Carcaci, dove rimase fino al 2009, anno in cui venne nuovamente trasferita all'ingresso del Museo Civico al Castello Ursino, decorata da piccole composizioni floreali. Lasciata in balia degli elementi e di anonimi incivili che ne hanno divelto il giardinetto decorativo, la pietra è rimasta "anonima" fino al 28 maggio 2013, quando una scuola di Librino, grazie a fondi POR, ha fatto omaggio alla città e alla pietra di una targa commemorativa con una breve storia del reperto. Dall'autunno successivo (2014) il manufatto è conservato nell'androne occidentale del Palazzo degli Elefanti. Francesco Ferrara, Stato della città prima del 1669, in Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII, Catania, 1829, p. 190. Claudio Alessandri, La pietra del mal consiglio, in Miscellania - Successi ’na vota. Mitologia e leggende della Sicilia favolosa, Trento, 2011, p. 164. Regno di Sicilia Il lunghissimo vicereame e il declino della Sicilia Storia della Sicilia spagnola