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Chiesa di Santa Maria dell'Indirizzo

Chiese di CataniaPagine con mappe
Santa Maria dell'Indirizzo (Catania) 30 12 2019 01
Santa Maria dell'Indirizzo (Catania) 30 12 2019 01

Santa Maria dell'Indirizzo è una chiesa cattolica romana sconsacrata situata sulla piazza omonima nel centro della città di Catania. L'edificio è compreso nell'Istituto Comprensivo Amerigo Vespucci, che oggi occupa l'ex convento dei Carmelitani Scalzi, a cui un tempo era associata la chiesa. Di maggiore interesse e meglio mantenuti, sono i piccoli ruderi di un'antica terme romana, denominate Terme dell'Indirizzo, situate dietro l'abside della chiesa.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Chiesa di Santa Maria dell'Indirizzo (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Chiesa di Santa Maria dell'Indirizzo
Via Zappalà Gemelli, Catania Centro storico

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95121 Catania, Centro storico
Sicilia, Italia
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Santa Maria dell'Indirizzo (Catania) 30 12 2019 01
Santa Maria dell'Indirizzo (Catania) 30 12 2019 01
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Luoghi vicini

Pozzo di Gammazita
Pozzo di Gammazita

Il Pozzo di Gammazita è un sito che si trova nel centro storico di Catania, nella zona sud-ovest della città adiacente all'antica cinta muraria cittadina detta appunto cortina di Gamma Zita presso il cortile omonimo, e fa riferimento ad un racconto leggendario avvenuto al tempo della dominazione angioina in Sicilia, durante la Guerra del Vespro. La leggenda narra di una fanciulla catanese di nome Gammazita, bellissima e di grande virtù. Di lei si invaghì un soldato francese, le cui avances furono però rifiutate dalla giovane, che era già fidanzata. Proprio nel giorno del suo matrimonio, mentre Gammazita si recava come sempre a prendere l'acqua, il soldato la aggredì violentemente e la ragazza, vistasi preclusa ogni via di scampo, preferì gettarsi nel vicino pozzo piuttosto che cedere alla violenza. Versioni successive arricchiscono il racconto, romanzandolo e aggiungendo altri personaggi di contorno. In esse si fa preciso riferimento all'anno in cui si sarebbe svolto tale avvenimento, il 1278, e si racconta di donna Macalda Scaletta, bellissima e orgogliosa vedova del signore di Ficara, che attirava la corte di tutti i cavalieri francesi e siciliani. Essa, tuttavia, innamoratissima del suo giovane paggio Giordano, sfuggiva a tutte le proposte amorose. Un giorno però Giordano vide la giovane Gammazita intenta a ricamare dinanzi alla soglia della sua casa e se ne innamorò perdutamente. L'amore dei due giovani destò le ire e la folle gelosia della perfida Macalda, che si accordò con il francese de Saint Victor per tendere loro un tranello: questi avrebbe dovuto far capitolare Gammazita e Macalda sarebbe stata sua. De Saint Victor fece numerose imboscate, approfittando in particolare delle volte in cui Gammazita si recava ad attingere acqua alla vicina fonte. Un giorno riuscì infine ad afferrare la fanciulla, ma essa si divincolò dalla sua stretta e non vedendo altra via di scampo, per non subire violenza sessuale, preferì gettarsi nel vicino pozzo. Giordano, appreso quanto accaduto, in preda alla disperazione assalì il suo nemico, uccidendolo a pugnalate dinanzi al cadavere dell'amata. La fine orrenda della fanciulla e la sua virtù destarono in tutti i catanesi profonda commozione e furono sempre citati come esempio del patriottismo e dell'onestà delle donne catanesi, mentre i depositi di ferro che creavano macchie rosse sulle pareti del pozzo furono spiegati tradizionalmente come tracce del sangue di Gammazita. A questa storia, si affiancano altre leggende che spiegano diversamente l'origine del toponimo "Gammazita". La prima si trova nel panegirico scritto da don Giacomo Gravina in onore del duca di Carpignano, don Francesco Lanario, dal titolo La Gemma zita: in esso si racconta la storia delle nozze fra la ninfa Gemma e il pastore Amaseno (o Amenano). Il dio Plutone (secondo il Gravina, Polifemo) si invaghì della ninfa, scatenando la gelosia di Proserpina, che la trasformò in una fonte. Gli dei, toccati dalla disperazione di Amaseno, trasformarono anch'egli in una fonte: il pozzo sarebbe dunque il luogo in cui si uniscono le acque dei due sfortunati amanti. Secondo questa versione, il nome Gammazita nascerebbe dunque dall'unione delle due parole gemma e zita ("fidanzata", "sposa"), modificate poi dall'uso comune. Un altro racconto parla di un uomo con una gamba rigida che abitava in una grotta vicino alla fonte, che dunque prenderebbe il nome da questo suo difetto fisico (iamma zita), mentre una terza spiegazione lega il toponimo a due misteriose lettere dell'alfabeto greco, una gamma e una zeta, che sarebbero incise sull'antico muro che fiancheggia la fonte. Un'ulteriore ipotesi senza fonte la accosta alla voce araba al gawsit (il luogo dell'acqua dolce) che si riferisce ad un sito, principalmente costiero, dove i naviganti potevano contare su un rifornimento di acqua dolce. La medesima origine è riferita alla zona di Torre Guaceto, in provincia di Brindisi. La parte della città dove sorge il pozzo nel Medioevo era la sede della Judeca Suttana (il quartiere ebraico, detto anche Judeca di Jusu) ed era piuttosto ricca di attività commerciali, in particolare concerie e macellerie, che sfruttavano le numerose sorgenti d'acqua, forse diramazioni del fiume Amenano che scorre nel sottosuolo catanese e che qui prendeva il nome di Judicello. Le mura in questo tratto costeggiavano i ruderi di antiche fabbriche che prendevano il nome di Muro rotto e vennero identificate dal Bolano quale l'antica naumachia e il circo, segno che in età antica l'area era impegnata da grandi strutture pubbliche monumentali. In tutte le piante e disegni di Catania, a partire da quella di Michelangelo Azzarelli (1584), la cortina muraria che si congiungeva a gomito con la Porta dei Canali e con il Bastione di Santa Croce, viene chiamato Gammazita e lì sono segnate queste fonti, inizialmente come dei rivoli che si perdevano nel mare. Nel 1621, don Francesco Lanario, duca di Carpignano, soprintendente generale alle fortificazioni, nell'ambito di un generale restauro dell'assetto difensivo della città, volle risistemare anche la zona della fonte. Le acque di Gammazita furono così imbrigliate e congiunte a quelle dell'Amenano, realizzando una serie di fontane pubbliche che arricchirono e resero più gradevole la passeggiata a mare, anche grazie alla realizzazione di una strada lastricata, munita di panchine. Questa piacevole sistemazione però ebbe vita breve. L'11 marzo 1669, da una frattura sopra Nicolosi cominciò la più imponente eruzione dell'Etna di epoca storica che abbia raggiunto Catania e, dopo aver distrutto orti e casali, giunse alle mura della città, riuscendo a superarle da nord-ovest, nella zona del Monastero di San Nicolò l'Arena, per poi dirigersi verso il Bastione di San Giorgio a sud. Il 16 aprile, il fiume lavico circondò il Castello Ursino, colmandone il fossato, e invase tutta l'area del quartiere dell'Indirizzo, ricoprendo, nonostante gli sforzi di difesa messi in atto dai catanesi, anche le sorgenti, fra cui quella di Gammazita. La fonte rimase così sepolta sotto uno strato di 14 metri di lava, ma la sua importanza nella vita e nell'economia cittadina fece sì che fin già verso la metà del XVIII secolo fu riportata alla luce. Venne a crearsi così un singolare pozzo artificiale, ricavato nella sciara del 1669 e costituito dalla profonda scarpata delle mura civiche cinquecentesche che terminava sul fondo dove si accumulava una sorgente, ciò che rimaneva delle tre fonti pre-eruzione. Al fondo si giungeva con una pittoresca scalinata ricavata nel Settecento la quale si addossava alle lave e alla cortina muraria. La riscoperta e la fama della fonte, in quest'età, si devono soprattutto agli intellettuali europei che visitarono Catania nell'ambito del Grand Tour, in particolare Patrick Brydone, l'abate Richard de Saint-Non, Jean Houël, Dominique Vivant Denon. Saint-Non e Houël, in particolare, hanno lasciato anche delle raffigurazioni che testimoniano lo stato del pozzo nel Settecento e il suo aspetto pittoresco e nel pieno della ricerca della fascinazione della decadenza di concezione romantica, che tanto affascinava i viaggiatori stranieri. In tali immagini, soprattutto in quella di Saint-Non, si nota tuttavia una distorsione delle proporzioni, che fanno apparire il pozzo più grande di quanto non sia in realtà, e soprattutto l'inserimento di uomini intenti alla pesca, come se la vasca di raccolta delle acque fosse adibita anche a peschiera. Non sappiamo se questo corrisponda a verità o se sia un elemento aggiunto dall'autore per accentuare il carattere pittoresco del sito. Fra coloro che visitarono la fonte, merita di essere ricordata la descrizione che ne lascia Charles Didier che, fra i monumenti visitati in città, dice che "fra le più curiose è un frammento delle antiche mura della città interamente coperto di lava: ai piedi di esso una fontana che manda acqua di una freschezza e di una limpidezza che sono degne di Aretusa" I numerosi problemi relativi allo stato di conservazione attuale del sito hanno dato luogo nel tempo a diverse iniziative di protesta dirette a sensibilizzare la amministrazione comunale sia per quel che riguarda l'accessibilità che la manutenzione, sicurezza e pulizia del pozzo. Il Pozzo di Gammazita si apre in un cortile chiuso fra nel case popolari ottocentesche di via San Calogero, a due passi dal Castello Ursino. L'accesso al cortile, avviene attraverso una scala di sessantadue gradini che sostituisce quella originaria in pietra lavica e ciottoli, distribuiti in cinque piccole rampe interrotte da pianerottoli rivestiti di pietra lavica e cotto siciliano, che portano ad un livello di circa 12 metri sotto il livello stradale. Alla base della scala si apre uno stretto spazio, anch'esso pavimentato in cotto siciliano chiuso da un tratto residuo della cortina muraria cinquecentesca: qui scorreva l'acqua sorgiva, in una vasca su cui incombe la massa lavica che ha chiuso la fonte. Altre costruzioni e superfetazioni moderne e contemporanee accerchiano il pozzo, accentuando l'impressione di una profonda voragine. La tragica storia di Gammazita ha dato anche spunto ad una famosa poesia popolare anonima catanese: Una rappresentazione di questa leggenda si trova in uno dei candelabri bronzei di Piazza Università a Catania, opera di Mimì Maria Lazzaro e D. Tudisco su disegno dell'architetto V. Corsaro (1957). S. Lo Presti, "Memorie storiche di Catania: fatti e leggende", Catania, Minerva, 1957. Lo Faro Alessandro, La fonte di Gammazita. Storia, leggenda, pittoresco, in Pagello E. (a cura di) Realtà e immaginario. Storie di architetture a Catania, Siracusa - Palermo, A. Lombardi ed., 2000. Gammazita Vespri siciliani Macalda Scaletta Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pozzo di Gammazita Catania: il volto antico della Civitas, su cataniagiovani.wordpress.com.

Piazza Mazzini (Catania)
Piazza Mazzini (Catania)

Piazza Giuseppe Mazzini, originariamente nota col nome di Piano di San Filippo, è una piazza monumentale del centro storico di Catania, la cui progettazione risale al XVIII secolo. Dopo il disastroso terremoto del Val di Noto del 1693, il nuovo impianto urbano deciso da Giuseppe Lanza, duca di Camastra, coordinatore e finanziatore della ricostruzione in accordo con le autorità cittadine, prevedeva lo sfruttamento di questa piazza come mercato e per tale motivo fu stabilita anche la conformazione strutturale degli edifici che dovevano affacciarvisi. Giacché lo spazio venne ricavato dall'incrocio fra due strade, l'attuale via Giuseppe Garibaldi (un tempo chiamata via San Filippo e, successivamente, via Ferdinandea a causa della Porta Ferdinandea, che si trova alla sua fine e che rappresentava anticamente l'ingresso della città dal lato sud-ovest) e via Santa Maria della Lettera a nord che cambia nome in via Auteri a sud, la piazza assunse un disegno a croce greca con uguale spartizione degli spazi ad angolo nei quali si scelse di erigere edifici dotati di terrazzini loggiati. Così, nei primi decenni del XVIII secolo, non è sicuro per mano di quali architetti, in quella che sarebbe dovuta divenire una delle principali piazze del mercato catanese, sorsero quattro identici loggiati, ciascuno composto da 8 colonne in marmo bianco, che formarono una cornice quadrangolare lungo i perimetri del luogo ad eccezione delle quattro aperture stradali. Tali colonne furono recuperate da delle rovine di epoca romana, in particolare dai resti di una Basilica, sita ai tempi nei pressi dell'odierna Chiesa di Sant'Agostino, al quale fu poi annesso un Convento, e del Cortile San Pantaleone, dove si trovava il Foro romano di Catania. Esse furono messe in opera su eleganti plinti cubici in pietra lavica e su di queste furono sviluppate arcate a tutto sesto che, a loro volta, reggono i terrazzi dei palazzi nobiliari. Questi edifici (Palazzo Scammacca della Bruca a nord-est, Palazzo Asmundo di Gisira a sud-est, Palazzo Peratoner a sud-ovest e Palazzo Gagliani a nord-ovest) avrebbero dovuto tutti adeguarsi stilisticamente alle carte progettuali del XVIII secolo, e invece, a partire dal XIX secolo, tre dei quattro palazzi subirono modifiche ai secondi piani, dotati di finestre balconate quando sarebbero dovute essere semplici cornici quadre, e agli intonaci, che passarono dal grigio catanese al rosa. Solo Palazzo Scammacca della Bruca, il primo dei quattro ad essere stato realizzato, rimase del tutto fedele all'originario disegno e si presenta così ancora oggi. Bisogna precisare che detti cambiamenti furono abbastanza marginali guardando all'aspetto complessivo della sistemazione della piazza, in quanto essa appare ancora oggi estremamente omogenea e simmetrica nelle sue parti. Resta il fatto che i mercati storici di Catania sono ubicati altrove: a parte quello storico della "Fèra o Lùni" in Piazza Carlo Alberto, a nord-est di Piazza Stesicoro, vi è quello principale della Pescheria in Piazza Alonzo Di Benedetto, a sud-ovest di Piazza del Duomo, relativamente vicina a piazza Mazzini, la quale, molto probabilmente a causa dello sviluppo progressivo della città etnea e della crescita della sua popolazione, divenne troppo piccola per l'esercizio del suo stesso mercato, ovvero la "Fiera dei Morti", oggi tenuta invece in piazza Mercato Ortofrutticolo, nel quartiere San Giuseppe la Rena.

Palazzo del Seminario dei Chierici
Palazzo del Seminario dei Chierici

Il palazzo del Seminario dei Chierici è un edificio storico di Catania, di cui svolge la funzione di municipio: esso è situato sul lato sud della scenografica piazza del Duomo, ha accanto la Cattedrale di Sant'Agata e di fronte il Palazzo degli Elefanti. Al centro della piazza, fra i due palazzi, vi è anche la Fontana dell'Elefante. Sull'area dell'attuale seminario insistevano parzialmente le strutture del primitivo palazzo del vescovo e abate benedettino, edificio eretto in prossimità del monastero dei canonici benedettini, area compresa tra il muro meridionale della chiesa e il muro della cinta della città. Nel 1572, appena tre anni dopo dall'insediamento, successore di Nicola Maria Caracciolo, l'arcivescovo vescovo Antonio Faraone, sulla scia dei provvedimenti del predecessore, fonda il seminario dei chierici. All'istituzione furono riservati alcuni ambienti occupati dai monaci canonici e assegnate rendite sui proventi di alcuni beni. A partire dal 1614 Bonaventura Secusio stabilì la sede del seminario nel palazzo che fronteggiava la Loggia Senatoria. L'edificio comprendeva Porta Uzeda, fu parzialmente realizzato sulle mura di Carlo V, nonostante il divieto esplicito di Giuseppe Lanza, duca di Camastra, plenipotenziario alla ricostruzione della città, la Chiesa voleva garantirsi il controllo delle mura cittadine. Il 29 maggio 1647 i tumulti di Catania iniziati il 27, locale espressione della rivolta antispagnola, provocarono danni alle strutture. Il patrimonio librario di Giovanni Battista de Grossis, professore dell'Università, attraverso il nipote Santoro Oliva, pervenne al Seminario. Nel 1693 il palazzo fu totalmente distrutto dal terremoto del Val di Noto, per poi essere ricostruito dall'architetto Alonzo di Benedetto e ingrandito nel 1757 da Francesco Battaglia. Nel 1757 Salvatore Ventimiglia, principe di Belmonte, vicario generale a Palermo dotò l'istituzione di eccellente cattedra d'italiano, latino, greco, sacra eloquenza, algebra, teologia dogmatica e morale, filosofia, geometria, scienze naturali, e di una moderna stamperia. Adibito anche a caserma militare, i seminaristi occupavano solo l'ala settentrionale. Nel 1866 l'architetto Mario Di Stefano ampliò maggiormente la struttura realizzando il secondo piano. A partire dal 1943 a causa della seconda guerra mondiale, i seminaristi lasciarono questa sede, in seguito danneggiata dai bombardamenti, per stabilirsi presso il seminario estivo di San Giovanni la Punta, e in seguito nell'attuale seminario inaugurato il 15 agosto del 1951. Dopo i danni causati dall'incendio del 1944 al palazzo degli Elefanti, lo stabile fu acquisito dal Comune, di cui è stato sede dal 1945 al 1953 ospitando gli uffici del sindaco, del Consiglio, degli assessori e del corpo dei vigili urbani. Dal balcone centrale si sono affacciati nel tempo molti personaggi storici illustri, tra i quali il cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet nel 1888 per benedire la città. Nel 1937 Benito Mussolini parlò da esso alla cittadinanza durante la sua visita a Catania. Oggi è sede del Museo diocesano e degli uffici finanziari comunali. Il prospetto è realizzato con inserti di bugnato, in pietra bianca d'Ispica, su un intonaco scuro realizzato con sabbia vulcanica. Notevoli i grandi finestroni della facciata con timpano ad omega e le stupende mensole dei balconi del primo piano. Francesco Ferrara, Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII, Catania, 1829. URL consultato il 15 marzo 2023. Vittorio Consoli (a cura di), Enciclopedia di Catania, Catania, Tringale, 1987, SBN IT\ICCU\PAL\0179464. Museo diocesano (Catania) Cattedrale di Sant'Agata Arcidiocesi di Catania Fontana dell'Amenano Liceo classico statale Nicola Spedalieri Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Palazzo del Seminario dei Chierici