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Pozzo di Gammazita

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Catania Gammazita
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Il Pozzo di Gammazita è un sito che si trova nel centro storico di Catania, nella zona sud-ovest della città adiacente all'antica cinta muraria cittadina detta appunto cortina di Gamma Zita presso il cortile omonimo, e fa riferimento ad un racconto leggendario avvenuto al tempo della dominazione angioina in Sicilia, durante la Guerra del Vespro. La leggenda narra di una fanciulla catanese di nome Gammazita, bellissima e di grande virtù. Di lei si invaghì un soldato francese, le cui avances furono però rifiutate dalla giovane, che era già fidanzata. Proprio nel giorno del suo matrimonio, mentre Gammazita si recava come sempre a prendere l'acqua, il soldato la aggredì violentemente e la ragazza, vistasi preclusa ogni via di scampo, preferì gettarsi nel vicino pozzo piuttosto che cedere alla violenza. Versioni successive arricchiscono il racconto, romanzandolo e aggiungendo altri personaggi di contorno. In esse si fa preciso riferimento all'anno in cui si sarebbe svolto tale avvenimento, il 1278, e si racconta di donna Macalda Scaletta, bellissima e orgogliosa vedova del signore di Ficara, che attirava la corte di tutti i cavalieri francesi e siciliani. Essa, tuttavia, innamoratissima del suo giovane paggio Giordano, sfuggiva a tutte le proposte amorose. Un giorno però Giordano vide la giovane Gammazita intenta a ricamare dinanzi alla soglia della sua casa e se ne innamorò perdutamente. L'amore dei due giovani destò le ire e la folle gelosia della perfida Macalda, che si accordò con il francese de Saint Victor per tendere loro un tranello: questi avrebbe dovuto far capitolare Gammazita e Macalda sarebbe stata sua. De Saint Victor fece numerose imboscate, approfittando in particolare delle volte in cui Gammazita si recava ad attingere acqua alla vicina fonte. Un giorno riuscì infine ad afferrare la fanciulla, ma essa si divincolò dalla sua stretta e non vedendo altra via di scampo, per non subire violenza sessuale, preferì gettarsi nel vicino pozzo. Giordano, appreso quanto accaduto, in preda alla disperazione assalì il suo nemico, uccidendolo a pugnalate dinanzi al cadavere dell'amata. La fine orrenda della fanciulla e la sua virtù destarono in tutti i catanesi profonda commozione e furono sempre citati come esempio del patriottismo e dell'onestà delle donne catanesi, mentre i depositi di ferro che creavano macchie rosse sulle pareti del pozzo furono spiegati tradizionalmente come tracce del sangue di Gammazita. A questa storia, si affiancano altre leggende che spiegano diversamente l'origine del toponimo "Gammazita". La prima si trova nel panegirico scritto da don Giacomo Gravina in onore del duca di Carpignano, don Francesco Lanario, dal titolo La Gemma zita: in esso si racconta la storia delle nozze fra la ninfa Gemma e il pastore Amaseno (o Amenano). Il dio Plutone (secondo il Gravina, Polifemo) si invaghì della ninfa, scatenando la gelosia di Proserpina, che la trasformò in una fonte. Gli dei, toccati dalla disperazione di Amaseno, trasformarono anch'egli in una fonte: il pozzo sarebbe dunque il luogo in cui si uniscono le acque dei due sfortunati amanti. Secondo questa versione, il nome Gammazita nascerebbe dunque dall'unione delle due parole gemma e zita ("fidanzata", "sposa"), modificate poi dall'uso comune. Un altro racconto parla di un uomo con una gamba rigida che abitava in una grotta vicino alla fonte, che dunque prenderebbe il nome da questo suo difetto fisico (iamma zita), mentre una terza spiegazione lega il toponimo a due misteriose lettere dell'alfabeto greco, una gamma e una zeta, che sarebbero incise sull'antico muro che fiancheggia la fonte. Un'ulteriore ipotesi senza fonte la accosta alla voce araba al gawsit (il luogo dell'acqua dolce) che si riferisce ad un sito, principalmente costiero, dove i naviganti potevano contare su un rifornimento di acqua dolce. La medesima origine è riferita alla zona di Torre Guaceto, in provincia di Brindisi. La parte della città dove sorge il pozzo nel Medioevo era la sede della Judeca Suttana (il quartiere ebraico, detto anche Judeca di Jusu) ed era piuttosto ricca di attività commerciali, in particolare concerie e macellerie, che sfruttavano le numerose sorgenti d'acqua, forse diramazioni del fiume Amenano che scorre nel sottosuolo catanese e che qui prendeva il nome di Judicello. Le mura in questo tratto costeggiavano i ruderi di antiche fabbriche che prendevano il nome di Muro rotto e vennero identificate dal Bolano quale l'antica naumachia e il circo, segno che in età antica l'area era impegnata da grandi strutture pubbliche monumentali. In tutte le piante e disegni di Catania, a partire da quella di Michelangelo Azzarelli (1584), la cortina muraria che si congiungeva a gomito con la Porta dei Canali e con il Bastione di Santa Croce, viene chiamato Gammazita e lì sono segnate queste fonti, inizialmente come dei rivoli che si perdevano nel mare. Nel 1621, don Francesco Lanario, duca di Carpignano, soprintendente generale alle fortificazioni, nell'ambito di un generale restauro dell'assetto difensivo della città, volle risistemare anche la zona della fonte. Le acque di Gammazita furono così imbrigliate e congiunte a quelle dell'Amenano, realizzando una serie di fontane pubbliche che arricchirono e resero più gradevole la passeggiata a mare, anche grazie alla realizzazione di una strada lastricata, munita di panchine. Questa piacevole sistemazione però ebbe vita breve. L'11 marzo 1669, da una frattura sopra Nicolosi cominciò la più imponente eruzione dell'Etna di epoca storica che abbia raggiunto Catania e, dopo aver distrutto orti e casali, giunse alle mura della città, riuscendo a superarle da nord-ovest, nella zona del Monastero di San Nicolò l'Arena, per poi dirigersi verso il Bastione di San Giorgio a sud. Il 16 aprile, il fiume lavico circondò il Castello Ursino, colmandone il fossato, e invase tutta l'area del quartiere dell'Indirizzo, ricoprendo, nonostante gli sforzi di difesa messi in atto dai catanesi, anche le sorgenti, fra cui quella di Gammazita. La fonte rimase così sepolta sotto uno strato di 14 metri di lava, ma la sua importanza nella vita e nell'economia cittadina fece sì che fin già verso la metà del XVIII secolo fu riportata alla luce. Venne a crearsi così un singolare pozzo artificiale, ricavato nella sciara del 1669 e costituito dalla profonda scarpata delle mura civiche cinquecentesche che terminava sul fondo dove si accumulava una sorgente, ciò che rimaneva delle tre fonti pre-eruzione. Al fondo si giungeva con una pittoresca scalinata ricavata nel Settecento la quale si addossava alle lave e alla cortina muraria. La riscoperta e la fama della fonte, in quest'età, si devono soprattutto agli intellettuali europei che visitarono Catania nell'ambito del Grand Tour, in particolare Patrick Brydone, l'abate Richard de Saint-Non, Jean Houël, Dominique Vivant Denon. Saint-Non e Houël, in particolare, hanno lasciato anche delle raffigurazioni che testimoniano lo stato del pozzo nel Settecento e il suo aspetto pittoresco e nel pieno della ricerca della fascinazione della decadenza di concezione romantica, che tanto affascinava i viaggiatori stranieri. In tali immagini, soprattutto in quella di Saint-Non, si nota tuttavia una distorsione delle proporzioni, che fanno apparire il pozzo più grande di quanto non sia in realtà, e soprattutto l'inserimento di uomini intenti alla pesca, come se la vasca di raccolta delle acque fosse adibita anche a peschiera. Non sappiamo se questo corrisponda a verità o se sia un elemento aggiunto dall'autore per accentuare il carattere pittoresco del sito. Fra coloro che visitarono la fonte, merita di essere ricordata la descrizione che ne lascia Charles Didier che, fra i monumenti visitati in città, dice che "fra le più curiose è un frammento delle antiche mura della città interamente coperto di lava: ai piedi di esso una fontana che manda acqua di una freschezza e di una limpidezza che sono degne di Aretusa" I numerosi problemi relativi allo stato di conservazione attuale del sito hanno dato luogo nel tempo a diverse iniziative di protesta dirette a sensibilizzare la amministrazione comunale sia per quel che riguarda l'accessibilità che la manutenzione, sicurezza e pulizia del pozzo. Il Pozzo di Gammazita si apre in un cortile chiuso fra nel case popolari ottocentesche di via San Calogero, a due passi dal Castello Ursino. L'accesso al cortile, avviene attraverso una scala di sessantadue gradini che sostituisce quella originaria in pietra lavica e ciottoli, distribuiti in cinque piccole rampe interrotte da pianerottoli rivestiti di pietra lavica e cotto siciliano, che portano ad un livello di circa 12 metri sotto il livello stradale. Alla base della scala si apre uno stretto spazio, anch'esso pavimentato in cotto siciliano chiuso da un tratto residuo della cortina muraria cinquecentesca: qui scorreva l'acqua sorgiva, in una vasca su cui incombe la massa lavica che ha chiuso la fonte. Altre costruzioni e superfetazioni moderne e contemporanee accerchiano il pozzo, accentuando l'impressione di una profonda voragine. La tragica storia di Gammazita ha dato anche spunto ad una famosa poesia popolare anonima catanese: Una rappresentazione di questa leggenda si trova in uno dei candelabri bronzei di Piazza Università a Catania, opera di Mimì Maria Lazzaro e D. Tudisco su disegno dell'architetto V. Corsaro (1957). S. Lo Presti, "Memorie storiche di Catania: fatti e leggende", Catania, Minerva, 1957. Lo Faro Alessandro, La fonte di Gammazita. Storia, leggenda, pittoresco, in Pagello E. (a cura di) Realtà e immaginario. Storie di architetture a Catania, Siracusa - Palermo, A. Lombardi ed., 2000. Gammazita Vespri siciliani Macalda Scaletta Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pozzo di Gammazita Catania: il volto antico della Civitas, su cataniagiovani.wordpress.com.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Pozzo di Gammazita (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Pozzo di Gammazita
Cortile Gammazita, Catania Centro storico

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Cortile Gammazita 16
95121 Catania, Centro storico
Sicilia, Italia
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Luoghi vicini

Piazza Mazzini (Catania)
Piazza Mazzini (Catania)

Piazza Giuseppe Mazzini, originariamente nota col nome di Piano di San Filippo, è una piazza monumentale del centro storico di Catania, la cui progettazione risale al XVIII secolo. Dopo il disastroso terremoto del Val di Noto del 1693, il nuovo impianto urbano deciso da Giuseppe Lanza, duca di Camastra, coordinatore e finanziatore della ricostruzione in accordo con le autorità cittadine, prevedeva lo sfruttamento di questa piazza come mercato e per tale motivo fu stabilita anche la conformazione strutturale degli edifici che dovevano affacciarvisi. Giacché lo spazio venne ricavato dall'incrocio fra due strade, l'attuale via Giuseppe Garibaldi (un tempo chiamata via San Filippo e, successivamente, via Ferdinandea a causa della Porta Ferdinandea, che si trova alla sua fine e che rappresentava anticamente l'ingresso della città dal lato sud-ovest) e via Santa Maria della Lettera a nord che cambia nome in via Auteri a sud, la piazza assunse un disegno a croce greca con uguale spartizione degli spazi ad angolo nei quali si scelse di erigere edifici dotati di terrazzini loggiati. Così, nei primi decenni del XVIII secolo, non è sicuro per mano di quali architetti, in quella che sarebbe dovuta divenire una delle principali piazze del mercato catanese, sorsero quattro identici loggiati, ciascuno composto da 8 colonne in marmo bianco, che formarono una cornice quadrangolare lungo i perimetri del luogo ad eccezione delle quattro aperture stradali. Tali colonne furono recuperate da delle rovine di epoca romana, in particolare dai resti di una Basilica, sita ai tempi nei pressi dell'odierna Chiesa di Sant'Agostino, al quale fu poi annesso un Convento, e del Cortile San Pantaleone, dove si trovava il Foro romano di Catania. Esse furono messe in opera su eleganti plinti cubici in pietra lavica e su di queste furono sviluppate arcate a tutto sesto che, a loro volta, reggono i terrazzi dei palazzi nobiliari. Questi edifici (Palazzo Scammacca della Bruca a nord-est, Palazzo Asmundo di Gisira a sud-est, Palazzo Peratoner a sud-ovest e Palazzo Gagliani a nord-ovest) avrebbero dovuto tutti adeguarsi stilisticamente alle carte progettuali del XVIII secolo, e invece, a partire dal XIX secolo, tre dei quattro palazzi subirono modifiche ai secondi piani, dotati di finestre balconate quando sarebbero dovute essere semplici cornici quadre, e agli intonaci, che passarono dal grigio catanese al rosa. Solo Palazzo Scammacca della Bruca, il primo dei quattro ad essere stato realizzato, rimase del tutto fedele all'originario disegno e si presenta così ancora oggi. Bisogna precisare che detti cambiamenti furono abbastanza marginali guardando all'aspetto complessivo della sistemazione della piazza, in quanto essa appare ancora oggi estremamente omogenea e simmetrica nelle sue parti. Resta il fatto che i mercati storici di Catania sono ubicati altrove: a parte quello storico della "Fèra o Lùni" in Piazza Carlo Alberto, a nord-est di Piazza Stesicoro, vi è quello principale della Pescheria in Piazza Alonzo Di Benedetto, a sud-ovest di Piazza del Duomo, relativamente vicina a piazza Mazzini, la quale, molto probabilmente a causa dello sviluppo progressivo della città etnea e della crescita della sua popolazione, divenne troppo piccola per l'esercizio del suo stesso mercato, ovvero la "Fiera dei Morti", oggi tenuta invece in piazza Mercato Ortofrutticolo, nel quartiere San Giuseppe la Rena.

Pietra del Malconsiglio
Pietra del Malconsiglio

La Pietra del Malconsiglio è un antico manufatto in pietra lavica di incerta origine, legato ai luttuosi fatti del 1516 da cui trae il nome e situato nel centro storico di Catania. Il manufatto è un macigno in pietra lavica molto poroso, lavorato a cilindro lievemente svasato e caratterizzato da un bordo a toro presente alle due estremità del cilindro. Presenta vistosi segni di logoramento, in particolare a causa delle acque pluvie, oltre ad una grossa scheggiatura, causata probabilmente da un notevole trauma da impatto, dovuto forse ad una caduta. Il blocco misura circa 92 cm di altezza per 106 cm di diametro maggiore e 340 cm in circonferenza nella faccia superiore, corrispondente grossomodo alle dimensioni riportate dall'abate Francesco Ferrara il quale la misurò in altezza e in diametro di 3 piedi siciliani (pari a circa 90 cm). Poco si sa dell'origine della pietra. Genericamente viene identificata quale un capitello dorico in pietra lavica, tuttavia lo stile dorico non prevede una forma simile, che potrebbe essere piuttosto una singolare interpretazione dello stile tuscanico o una versione insolita di altro stile. Non a caso l'abate Ferrara preferì una generica definizione di capo di una colonna. Tuttavia non manca chi ritenga diversa la funzione del manufatto, in particolar vi è chi ritiene che "rappresentasse l'altare di Bacco presso il Teatro Antico". L'uso della pietra lavica in antico è attestato a Catania in misura massiccia soltanto a partire dal periodo repubblicano, forse a seguito delle eruzioni del 122-121 a.C., questo dato potrebbe costituire un terminus post quem per aiutare nella datazione del manufatto. Tale capitello si vuole appartenesse ad un tempio della città arcaica, cui appartenne anche un grosso frammento di architrave quadrangolare e simile in misure, oggi scomparso. L'ubicazione originaria fa pensare ad un elemento architettonico appartenuto ad un grande edificio pubblico sito entro i limiti dell'antica città (infatti l'anfiteatro situato più a nord chiude la città romana, cui si accostavano le necropoli). Facente parte dunque di una serie di resti appartenuti ad un antico edificio non più esistente, la pietra venne scelta nel 1516 quale sito di appuntamento per i ribelli durante i moti di quell'anno. Con la morte di Ferdinando il Cattolico avvenuta il 23 gennaio, la Sicilia passò dalla dinastia Trastámara al giovanissimo erede Asburgo Carlo. In questo clima di instabilità di successione il viceré uscente Ugo di Moncada rifiutò le dimissioni, appoggiato dalla classe nobile siciliana. I nobili, così facendo, avrebbero ottenuto notevoli concessioni dal loro protetto e, forse, l'autonomia dal Regno di Spagna. Seguì una cruenta guerra civile che funestò l'Isola (tranne, pare, Messina) per tre anni consecutivi al punto da fregiarsi, non senza esagerazione, del titolo di Secondo Vespro a cui Catania aderì e si mostrò tra le più agguerrite città ribelli e tormentate. Da Catania provenivano infatti i tre principali sostenitori di Moncada - i nobili Cesare Gioeni, Girolamo Guerrera e il magistrato Blasco Lanza -, ma sempre dalla città etnea proveniva il suo principale avversario, Pietro Cardona, conte di Golisano. I nobili catanesi si davano appuntamento al Piano dei Trixini, antica piazza che prendeva il nome dal piccolo convento di San Nicola de' Trixini (odierno Convento di San Nicolò Minore), che si trovava non lungi dall'attuale incrocio ottagonale detto Quattro Canti tra le vie Etnea e Antonino di Sangiuliano. A seguito di tradimento, una spia rivelò quale fosse il luogo di ritrovo dei ribelli, i quali trovarono ad attenderli i soldati reali inviati dal nuovo viceré, Ettore Pignatelli, che fecero strage di chi si recò all'appuntamento cospiratorio. Altri ribelli vennero impiccati in una pubblica esecuzione avvenuta il 10 marzo 1517 al Piano delle Forche, orientativamente dove oggi sorge la piazza Cavour. La pietra, ancora sporca del sangue ribelle, venne esposta nella pubblica piazza a perenne monito contro la città e i cospiratori non ancora identificati. In questo contesto prese facilmente l'appellativo "del mal consiglio" o "del Malconsiglio", poiché "consigliò" male i ribelli a darsi appuntamento nella data in cui trovarono la morte. Il frammento di architrave, invece, fu usato per fustigare gli insolventi presso l'antica Loggia, palazzo sede del senato civico, sostituito dopo il 1693 dal Palazzo degli Elefanti. Trasferita inizialmente in piazza Manganelli, nel 1872 la pietra viene spostata ai Quattro Canti, probabilmente per riportarla nel luogo dov'era originariamente posta, precisamente in un angolo del secondo cortile del Palazzo Paternò Castello di Carcaci, dove rimase fino al 2009, anno in cui venne nuovamente trasferita all'ingresso del Museo Civico al Castello Ursino, decorata da piccole composizioni floreali. Lasciata in balia degli elementi e di anonimi incivili che ne hanno divelto il giardinetto decorativo, la pietra è rimasta "anonima" fino al 28 maggio 2013, quando una scuola di Librino, grazie a fondi POR, ha fatto omaggio alla città e alla pietra di una targa commemorativa con una breve storia del reperto. Dall'autunno successivo (2014) il manufatto è conservato nell'androne occidentale del Palazzo degli Elefanti. Francesco Ferrara, Stato della città prima del 1669, in Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII, Catania, 1829, p. 190. Claudio Alessandri, La pietra del mal consiglio, in Miscellania - Successi ’na vota. Mitologia e leggende della Sicilia favolosa, Trento, 2011, p. 164. Regno di Sicilia Il lunghissimo vicereame e il declino della Sicilia Storia della Sicilia spagnola

Museo civico al Castello Ursino
Museo civico al Castello Ursino

Il Museo civico di Catania è situato all'interno del Castello Ursino dal 20 ottobre 1934. Dopo la chiusura del Museo Biscari (tra le più importanti collezioni d'Europa del tempo, definito da Dominique Vivant Denon una "lodevole raccolta") e il sequestro della Collezione dei Benedettini, a Catania si avvertì ben presto la necessità di un Museo Civico. La sua apertura tuttavia avvenne non prima del 1934 su un primo progetto di Guido Libertini, al tempo soprintendente alle Antichità di Catania. La scelta dell'ubicazione ricadde sul Castello Ursino, unico monumento cittadino abbastanza capiente per ospitare la collezione benedettina a cui presto si aggiunsero i reperti acquistati dagli eredi del Principe di Biscari, la collezione Zappalà Asmundo e molte donazioni private. Il Museo si avvaleva così di tre importanti collezioni che comprendevano le sezioni archeologica, medievale, rinascimentale e moderna. A causa di problemi burocratici e di reperimento di fondi per la necessaria ristrutturazione, il museo è successivamente rimasto chiuso per moltissimi anni. La riapertura del primo piano del museo (avvenuta nel 1999) permette di ammirare parte delle sculture di epoca ellenistica e romana fra cui spiccano la testa di efebo del VI secolo a.C., ritrovata negli scavi dell'antica Leontinoi e appartenuto a Ignazio Paternò Castello, recentemente ricongiunta all'acefalo Kouros esposto al Museo Paolo Orsi di Siracusa), la statua di Ercole di III secolo proveniente dagli scavi del palazzo Zappalà in via A. di Sangiuliano a Catania, il monumentale torso di imperatore Giulio-Claudio raffigurato come Giove. Inoltre molti frammenti decorativi provenienti dal Teatro e pregevoli mosaici pavimentali provenienti da diverse parti della città (spicca sugli altri un invitante "Vtere Feliciter", augurio che faceva da ingresso al ninfeo di piazza Dante). Pure di notevole importanza (soprattutto per la storiografia Siciliana di età imperiale e per le funzioni pubbliche) il cippo monumentale di Q. Atilius, chiamato cippo Carcaci e il frammento di decorazione (dato l'aspetto probabilmente in origine dovette essere parte di una colonna istoriata) proveniente dagli scavi presso la Porta delli Canali (oggi Porta di Carlo V), trovati entrambi a Catania. Notevoli i due portali rispettivamente del XIII e XV secolo. Quest'ultimo situato nel cortile è un importante documento del periodo in cui il Castello fu sede di prigione, con le scritte (firme, poesie, disegni) incise dai condannati sugli stipiti. Esiste anche una notevole collezione numismatica ricca di preziose monete greche e romane. Per finire una ricca collezione di crateri greci fra cui spicca un cratere attico raffigurante Perseo che decapita la Gorgone. Nel 1995 venne riaperta un'ala del maniero per rendere fruibile la parte relativa alla pinacoteca. Tra le opere esposte ricordiamo una piccola raccolta di tavolette bizantine, San Cristoforo di Pietro Novelli, Natività di Geraci (copia della Natività di Caravaggio, trafugata a Palermo nel 1969), Madonna in trono con il Bambino di Antonello de Saliba, Cristo deriso e Morte di Catone del fiammingo Matthias Stomer, l'Ultima cena di Luis de Morales (XVI secolo), ma anche alcune tele di Mattia Preti (San Luca Pittore), Gaspare Serenarlo, Mariano Rossi (Martirio di sant'Agata), Giuseppe Patania (Sibilla), El Greco (Ritratto di Gentiluomo), Michele Rapisardi (Testa di Ofelia pazza, I vespri Siciliani) e Malinconia di Domenico Fetti. Appena entrati nel castello, ci si trova davanti alla biglietteria. In quella stessa sala sono esposte alcune epigrafi giudaiche e l'epigrafe proveniente dalla loggia senatoria medievale che proclamava la cacciata degli ebrei del 1492 da Catania. È esposta una copia dell'Epigrafe di Iulia Florentina, conservata al Museo del Louvre. Su un basamento si trova la statua di Ignazio Paternò Castello Principe di Biscari, opera di Antonio Calì oppure, secondo una recente indagine, dell'architetto e scultore Gioacchino Calì. Accanto ad essa si trova un'edizione del suo libro, Viaggio per le Antichità della Sicilia, corredato dal suo ritratto inciso da Antonio Zacco. Sono esposti varie parti di un Mosaico romano raffigurante i mesi. Infine sono qui conservate una chiave di volta medievale ed un cannone seicentesco recuperati durante lavori nel fossato del castello. Alla parete è appesa un'epigrafe cinquecentesca che cita un castellano di Toledo. In questa sala è anche conservata la grande collezione d'armi, che comprende portapolvere in metallo del XVI sec., delle pistole tedesche (del XVI sec., alcune delle quali dell'artigiano) e dei portapolveri seicenteschi decorati ad incisione provenienti dalle collezioni Benedettine. In questa sala ed in quella successiva sono esposte opere perlopiù provenienti dal teatro romano. Tra le principali, un plinto romano, rinvenuto da Biscari durante gli scavi al teatro romano nel 1770. Sul fronte è rappresentato un trofeo incoronato da due vittorie alate e sul fianco sinistro presenta due prigionieri barbari. Sul fianco destro è rappresentata una donna seduta che regge una lancia. Sono qui presenti anche una statua colossale acefala, un torso di Hermes e la base di un cratere neoattico. Qui sono esposti frammenti di mosaici romani, una statua di ercole e la copia in gesso del sarcofago di Costanza d'Aragona. Tra le principali opere esposte in questa sala ci sono: Un mosaico proveniente dalle Terme Achilliane, ornato da putti che invitano a godere del soggiorno alle terme ("Vtere Feliciter") Due frammenti di un fregio che rappresenta una Gigantomachìa risalente al III secolo d.C. Un Torso virile dedicato a Giove, ritrovato vicino al convento di Sant'Agostino dal principe Biscari nel 1737. Una statua raffigurante Ercole con pelle di leone, del II sec. Copia ridotta dell'Ercole Farnese, II sec. Un plinto con delfini dal teatro. In questa sala, in alcune vetrine, sono esposte molte statuine fittili. Tra le principali ci sono Afrodite, Cagnolino in lotta con un gallo, Ninfa su uno scoglio ed infine una testa preistorica. Degna di nota è una scultura che rappresenta un ariete colossale. L'opera più importante è il frammento con cavaliere, probabilmente proveniente da una colonna istoriata, ritrovato nei pressi di porta Carlo V. Chiamata così per il suo utilizzo come deposito, conserva al suo interno un mosaico romano raffigurante l'Africa ed una testa muliebre egizia. Qui sono esposti i bronzetti figurati, circa 2000, di cui 1600 appartengono alla collezione dei Benedettini e gli altri a quella dei Biscari. Sono presenti bronzetti di età arcaica, sicelioti, magno-greci, etrusco-italici ed ellenistici. Si può ammirare il rilievo marmoreo di Demetra e Core, ritrovato nel 1930 nella collina di Montevergine e databile al 420 a.C. La donna a sinistra è Demetra, che solleva un lembo del suo peplo, a destra la figlia Core indossa il chitone, e con la mano destra sorregge una fiaccola per farsi luce forse nell'ade; la scena non appare completa a destra poiché il rilievo è danneggiato. Ai piedi di Core c'è un cratere. Nella sala sono presenti molti vasi greci. Un esempio molto rilevante di ceramica a figure rosse è il Cratere con Perseo e Medusa. Proviene dagli scavi di Camarina. Viene rappresentato Perseo che mostra la testa di Medusa a Polidette. Nelle altre sale sono conservate perlopiù epigrafi e statue, facente parte della mostra permanente "Voci di Pietra": Nella prima sala sono conservati: Due lastre tombali, una di personaggio insignito del Tonson d'Oro (XVI sec.) ed una con figura dormiente. Pittura medievale raffigurante la Vergine tra i santi Lucia e Giovanni (XV sec.) Il Ritratto di Gentiluomo di El Greco, recentemente restaurato grazie ai fondi di OperaTua. Alcune icone bizantine, una placca con crocifisso di manifattura limosina ed uno smalto raffigurante la Vergine in Gloria. Alcune parti del polittico di Antonello de Saliba, proveniente dalla chiesa di Santa Maria di Gesù: Madonna col Bambino, Sant'Antonio, San Francesco d'Assisi, Resurrezione. Sant'Onofrio del Bernazzano. Scacchi seicenteschi dei Benedettini L'Ultima Cena dello spagnolo Luis de Morales. Qui sono presenti soprattutto opere del Seicento e del Settecento, con capolavori di Matthias Stomer e Pietro Novelli: Molte opere di Stomer sono presenti nella collezione che Giovan Battista Finocchiaro donò alla città di Catania nel 1826: tra queste la Morte di Catone, Crocifissione di San Pietro, il Suicidio di Seneca ed il Cristo deriso: raffigura 6 persone in costumi seicenteschi illuminate da una candela: sono intenti a deridere il Cristo, rassegnato perché consapevole del proprio destino. Tra le opere principali di Pietro Novelli c'è la tela raffigurante San Cristoforo, San Giovanni Battista, Madonna col Bambino e San Luigi re di Francia ed Il Samaritano soccorre il ferito. L'unica copia esistente della preziosa pala d'altare "Natività" di Caravaggio, rubata dalla mafia a palermo e non più ritrovata. Questo quadro fu dipinto nel 1627 per Don Gaspare Orioles da Paolo Geraci. Il “Cristo alla colonna” di Mario Minniti. In primo piano risalta Cristo, alle sue spalle vi è un flagellatore mentre a fare da contrasto è il drappo bianco, che viene a lui tolto dall’altro flagellatore. La Maddalena Penitente della scuola del pittore barocco Giovanni Lanfranco. Essa è rappresentata con i lunghi capelli sciolti, gli occhi lacrimanti, nell’atto di gettare via il manto e i gioielli. San Luca pittore di Mattia Preti. Il santo è raffigurato sulla groppa di un bue e sta dipingendo un’immagine mariana. Il quadro di Santa Caterina in estasi venne inizialmente attribuito a Giulio Cesare Procaccini e successivamente a Pier Francesco Mazzucchelli. La Santa indossa l’abito dell’ordine domenicano insieme a un velo bianco, porta una corona di spine sul capo rivolto leggermente all’indietro; la sua espressione facciale rappresenta l'esperienza della visione della santa. Tra i dipinti di Jusepe de Ribera ci sono Il Profeta, San Francesco con un Crocifisso e il Compianto sul Cristo morto, attribuito alla sua scuola. Altre opere importanti conservate in questa sala sono la Maddalena di Andrea Vaccaro, i Tre Re di Simone de Wobreck ed il San Gennaro attribuito a Francesco Solimena. In questa sala sono esposte opere settecentesche: Bozzetti "Incoronazione di Sant'Agata", "Morte di San Giuseppe" e "San Francesco Caracciolo" di Marcello Leopardi e "Martirio di Sant'Agata" di Mariano Rossi. "Natura morta con frutta e paesaggio" e la "Natura morta con frutta e fontana" del pittore barocco napoletano Aniello Ascione. Paesaggio con rovine di un ignoto pittore meridionale, una delle 5 tele provenienti Villa Scabrosa. Il paesaggio non è reale ma arricchito di ruderi. Va in coppia con la tela Battaglia Navale, del XVIII sec. Venditrice di pesce di Giuseppe Bonino (1760). Una statua di artista dell'Italia Centrale raffigurante Afrodite inginocchiata all'antica. Una splendida tela raffigurante La Maddalena, attribuita da molti al pittore Guglielmo Borremans. Due opere in cera raffiguranti Sant'Agata davanti a Quinziano e Sant'Agata incoronata in carcere, del XVIII sec. Un portale di ispirazione gaginesca. Un ritratto settecentesco del priore Placido Scammacca, raffigurato accanto ad un vaso greco. Questo stesso vaso è conservato in una teca lì accanto. Due piccoli dipinti di Michele Rocca, raffiguranti la Nascita di Venere e la Nascita di Adone. In questa sala, intitolata al pittore romantico Michele Rapisardi, sono conservate molte sue opere, a partire dal suo capolavoro I Vespri Siciliani. Altre sue opere conservate nella sala sono la famosissima Testa di Ofelia Pazza, uno studio per i Vespri Siciliani ed un suo autoritratto. Nella sala sono altresì presenti grandi opere di Natale Attanasio: la grande tela Sunt Lacrima Rerum, meglio conosciuta come "Le Pazze", è affiancata da Donne ai campi e dal quadretto Tasso ed il Cardinale d'Este. Un'altra opera importante è Provenzan Salvani nella piazza del Campo di Bernardo Celentano. Dalla sala dedicata al Rapisardi si accede ad uno spazio al piano superiore. In esso sono esposti perlopiù ritratti ottocenteschi di pittori come Michele Rapisardi, Giuseppe Rapisardi, Giuseppe Sciuti, Natale Attanasio, Calcedonio Reina, Francesco Lojacono, Pasquale Liotta, Domenico Morelli, Alessandro Abate, Antonino Gandolfo e Giuseppe Gandolfo. In delle vetrine sono esposti dei vasi cinesi del XVIII sec., dei violini prodotti dall'Amati, ceramiche di Caltagirone ed infine dei bronzi raffiguranti Venere e Vulcano (XVII sec.) e Perseo (XVII sec.) Grande sala dedicata a mostre ed esposizioni. Sono esposti vari bassorilievi ed alcune sculture, come delle epigrafi provenienti dalla Certosa di Nuovaluce ed un'urna di scuola gaginiana. In una sala adiacente sono esposti parte della collezione numismatica ed il Fondo Sebastiano Ittar: si tratta di matrici ed incisioni di Ittar, raffiguranti alcuni studi su monumenti ed opere d'arte catanesi. Dal 2016 è attivo il progetto EPICUM, realizzato dall'Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR e dall'Università di Oxford, per la digitalizzazione del corpus completo delle epigrafi del Museo civico al Castello Ursino. Le 580 epigrafi della collezione sono state catalogate secondo lo schema EpiDoc e sono rese disponibili in Linked Open Data. Maria Teresa Di Blasi e Concetta Greco Lanza, Il Cicerone. Storia, itinerari, leggende di Catania, 2ª ed., Catania, Edizioni Greco, 2007, ISBN 978-88-7512-060-3. Barbara Mancuso, Castello Ursino a Catania. Collezioni per un museo, Piccola biblioteca d'arte, vol. 3, Palermo, Edizioni Kalós, 2008, ISBN 978-88-89224-55-7. Agostino Arena, Il Castello di Ursino nella Storia e nelle "Storie" di Catania, Acireale (CT), A&B editrice, novembre 2014, ISBN 88-7728-354-8. ISBN 978-88-7728-354-2. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo civico al Castello Ursino Museo civico al Castello Ursino, su CulturaItalia, Istituto centrale per il catalogo unico.

Palazzo del Seminario dei Chierici
Palazzo del Seminario dei Chierici

Il palazzo del Seminario dei Chierici è un edificio storico di Catania, di cui svolge la funzione di municipio: esso è situato sul lato sud della scenografica piazza del Duomo, ha accanto la Cattedrale di Sant'Agata e di fronte il Palazzo degli Elefanti. Al centro della piazza, fra i due palazzi, vi è anche la Fontana dell'Elefante. Sull'area dell'attuale seminario insistevano parzialmente le strutture del primitivo palazzo del vescovo e abate benedettino, edificio eretto in prossimità del monastero dei canonici benedettini, area compresa tra il muro meridionale della chiesa e il muro della cinta della città. Nel 1572, appena tre anni dopo dall'insediamento, successore di Nicola Maria Caracciolo, l'arcivescovo vescovo Antonio Faraone, sulla scia dei provvedimenti del predecessore, fonda il seminario dei chierici. All'istituzione furono riservati alcuni ambienti occupati dai monaci canonici e assegnate rendite sui proventi di alcuni beni. A partire dal 1614 Bonaventura Secusio stabilì la sede del seminario nel palazzo che fronteggiava la Loggia Senatoria. L'edificio comprendeva Porta Uzeda, fu parzialmente realizzato sulle mura di Carlo V, nonostante il divieto esplicito di Giuseppe Lanza, duca di Camastra, plenipotenziario alla ricostruzione della città, la Chiesa voleva garantirsi il controllo delle mura cittadine. Il 29 maggio 1647 i tumulti di Catania iniziati il 27, locale espressione della rivolta antispagnola, provocarono danni alle strutture. Il patrimonio librario di Giovanni Battista de Grossis, professore dell'Università, attraverso il nipote Santoro Oliva, pervenne al Seminario. Nel 1693 il palazzo fu totalmente distrutto dal terremoto del Val di Noto, per poi essere ricostruito dall'architetto Alonzo di Benedetto e ingrandito nel 1757 da Francesco Battaglia. Nel 1757 Salvatore Ventimiglia, principe di Belmonte, vicario generale a Palermo dotò l'istituzione di eccellente cattedra d'italiano, latino, greco, sacra eloquenza, algebra, teologia dogmatica e morale, filosofia, geometria, scienze naturali, e di una moderna stamperia. Adibito anche a caserma militare, i seminaristi occupavano solo l'ala settentrionale. Nel 1866 l'architetto Mario Di Stefano ampliò maggiormente la struttura realizzando il secondo piano. A partire dal 1943 a causa della seconda guerra mondiale, i seminaristi lasciarono questa sede, in seguito danneggiata dai bombardamenti, per stabilirsi presso il seminario estivo di San Giovanni la Punta, e in seguito nell'attuale seminario inaugurato il 15 agosto del 1951. Dopo i danni causati dall'incendio del 1944 al palazzo degli Elefanti, lo stabile fu acquisito dal Comune, di cui è stato sede dal 1945 al 1953 ospitando gli uffici del sindaco, del Consiglio, degli assessori e del corpo dei vigili urbani. Dal balcone centrale si sono affacciati nel tempo molti personaggi storici illustri, tra i quali il cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet nel 1888 per benedire la città. Nel 1937 Benito Mussolini parlò da esso alla cittadinanza durante la sua visita a Catania. Oggi è sede del Museo diocesano e degli uffici finanziari comunali. Il prospetto è realizzato con inserti di bugnato, in pietra bianca d'Ispica, su un intonaco scuro realizzato con sabbia vulcanica. Notevoli i grandi finestroni della facciata con timpano ad omega e le stupende mensole dei balconi del primo piano. Francesco Ferrara, Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII, Catania, 1829. URL consultato il 15 marzo 2023. Vittorio Consoli (a cura di), Enciclopedia di Catania, Catania, Tringale, 1987, SBN IT\ICCU\PAL\0179464. Museo diocesano (Catania) Cattedrale di Sant'Agata Arcidiocesi di Catania Fontana dell'Amenano Liceo classico statale Nicola Spedalieri Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Palazzo del Seminario dei Chierici