place

Villa Molin

Architetture rinascimentali del VenetoPagine con mappeVille di PadovaVincenzo Scamozzi
Villa Molin 3
Villa Molin 3

Villa Molin è una villa veneta di Padova, nella località di Mandria, progettata nel 1597 dall'architetto vicentino Vincenzo Scamozzi (1548 – 1616), architetto, scenografo, trattatista di ampia cultura operante a Vicenza e nell'area veneziana, dove fu la figura più importante tra Andrea Palladio e Baldassare Longhena. Tra le sue opere più importanti vi sono le Procuratie Nuove di Piazza San Marco, la chiesa di S.Nicolò da Tolentino che lo resero celebre tra i patrizi veneti tra cui la famiglia Molin. È caratterizzata da una pianta centrale quadrata e ingentilita dall'elegante pronao con colonne ioniche che si affaccia sul canale di Battaglia. La planimetria della villa mostra una straordinaria coerenza geometrica, basata sul quadrato, che determina la forma sia della villa che della sala centrale. La struttura dei volumi è particolarmente nitida, articolata nel blocco principale, la copertura emergente dalla sala centrale e la loggia sul fiume. Quest’ultima è una vera e propria sala aperta, una sorta di belvedere da cui ammirare l’esterno, senza però che vi siano scale che consentano di scendere. La sala centrale è maestosa, ottenuta con due cubi sovrapposti, una sorta di cortile esterno, illuminato dall’alto non da un oculo ma da quattro grandi finestre termali. Il pianoterreno è un vero e proprio corpo di fabbrica in sé compiuto, articolato intorno a una vasta sala quadrata con una virtuosistica volta ribassata. La villa affonda le sue origini nell'epoca feudale: pare infatti che qui sorgesse il castello della Mandria, eretto nel 905 da Gauslino Transalgardi sulle terre che la sua famiglia governava, in qualità di conti, sin dal 775. Nel 1183 l'imperatore Federico Barbarossa confermò i privilegi dei Transalgardi a una loro diramazione, i Forzatè Capodilista. Un documento del 1470 attesta che Gabriele Capodilista lasciò alla moglie Romea una «Domus magna, cum corte horto, bruolo, gastaldia [...] in villa Mandria propte pontem altum». Alla metà del secolo successivo i Capodilista ricostruirono la chiesa del villaggio e, con l'occasione, la stessa residenza. Nello stesso periodo fanno la sua comparsa i Molin, patrizi veneziani, che cominciano ad acquistare proprietà alla Mandria spesso dagli stessi Capodilista. Già nel 1550 essi dichiarano il possesso di una «casa di muro e brolo per uso». Nel 1597 Nicolò Molin di Vincenzo, all'apice della sua carriera come ambasciatore della Repubblica di Venezia, affidò all'architetto Vincenzo Scamozzi, il progetto di una residenza di campagna degna della sua famiglia. Le esigenze di lavoro e di rappresentanza della famiglia Molin richiedevano una villa che dominasse il paesaggio e fosse in stretto contatto con il fiume. Per rendere omaggio alla fama della famiglia fu scelto il più prestigioso architetto del tempo nella città di Venezia, appunto Vincenzo Scamozzi. I lavori iniziarono già alla consegna del progetto, ma nel 1608 il committente morì improvvisamente. Il complesso tornò quindi ai Capodilista grazie al diritto di prelazione. Nel 1684 Sigismonda Capodilista lasciò la villa ai figli Naimero e Pio Conti, alla cui famiglia rimase sino al 1768 quando morì Carlo Vincenzo Conti. In quell'occasione, il commissario liquidatore Giovanni Belli vendette la villa a Caterina Sagredo Barbarigo, ma già pochi anni dopo la comprò Antonio Capodilista. Tornata così ai suoi antichi proprietari (ai quali si deve un radicale restauro concluso nel 1777), nel 1778 passò per eredità agli Emo (detti Emo Capodilista in seguito al matrimonio tra Leonardo Emo e Beatrice Capodilista). Dopo il 1812 la villa passa a Paolina Drusilia in Vettor Pisani Moretta, successivamente alle famiglie Pisani, Vanni, Dondi dall'Orologio. A questi si deve un restauro che risistema un bene ormai degradato. Nei primi anni novanta dell'Ottocento si sottopongono a restauro conservativo la copertura, la volta centrale affrescata e le pertinenze esterne quali intonaci a marmorino, lapidei e statuaria. Un annesso passò invece alla famiglia Giusti del Giardino che lo trasformò nell'odierna villa Giusti. Fu qui che, il 3 novembre 1918, venne firmato il noto armistizio di Villa Giusti dopo alcuni giorni di negoziati tenuti proprio a villa Molin. Nel 1955 fu acquistata dall'imprenditore Iginio Kofler al quale si devono nuovi lavori di restauro. L'edificio rispetta perfettamente, eccetto che per la posizione delle scale, aggiunte nell'Ottocento, il progetto rappresentato da Scamozzi nel suo trattato. La nitida struttura dei volumi (corpo di fabbrica, loggia e copertura emergente della sala centrale) sono elementi caratterizzanti della villa. La villa, in quanto principale residenza dei Molin, situata in un contesto suburbano, combina infatti soluzioni consolidate nelle architetture di villa con altre più propriamente urbane. L’edificio si affaccia direttamente sugli argini del canale Battaglia, senza alcuna mediazione rispetto al territorio: la grande loggia, alta sul pianterreno, è allineata ai muri che chiudono la proprietà lungo la via pubblica. La loggia non solo non è al centro del complesso costituito da villa e fabbriche rurali, ma non è nemmeno il luogo da cui si accede alle stanze principali. La loggia di villa Molin sembra disegnata a partire da un esempio antico: come nella sala del portico di Ottavia, e diversamente dalle logge sporgenti della Rotonda o di villa Chiericati, le colonne d’angolo diventano pilastri con entasi agganciati ai muri laterali. Coperta da una volta a padiglione, con dimensioni molto vicine a una camera di “duoi quadri in lunghezza” ampia quanto la pianta centrale ma indipendente dalla suddivisione interna degli ambienti, la loggia appare piuttosto come una sala aperta, e se si considerano le balaustre interposte alla colonne e l’impiego di capitelli ionici con volute diagonali, non sembra errato considerare il pronao una facciata che richiede una visione di scorcio, offrendosi allo sguardo dei passanti sulla via e sul canale come su una strada cittadina. Il pianterreno, oggi in parte nascosto dall’innalzamento degli argini è un piano di fabbrica in sé compiuto e non, come nella Rocca Pisana, un basamento sul quale impostare il livello principale: è interamente rivestito da un bugnato piatto, ha ingressi indipendenti su ogni lato, e il rapporto dimensionale (14 piedi) rispetto al piano nobile (24 piedi) supera, anche se di poco, quello già notevole di 1:2 utilizzato alla Malcontenta, avvicinandosi piuttosto a quello dei palazzi di Sanmicheli o alla villa Verlato. Il piano nobile ha la stessa divisione planimetrica del pian terreno, focalizzata sull’ampia sala centrale quadrata che impegna tutta l’altezza del fabbricato, prendendo luce dalle ampie finestre del tiburio. I quattro vestiboli voltati formano con l’aula centrale un impianto a croce greca e definiscono gli spazi delle stanze private e dei salottini laterali. ll salone centrale, presenta tradizionali elementi rinascimentali, come le finestre incorniciate da serliane al primo piano, il ripetersi di figure geometriche regolari sia in pianta che in alzato. Queste caratteristiche non rispondono unicamente a un’esigenza “intellettuale” dell’architetto, ma sembrano anche il risultato di nuove esigenze della committenza, a partire dalle quali Scamozzi giunge a una nuova interpretazione della villa a pianta quadrata già precedentemente sviluppata da Serlio, Palladio e dallo stesso architetto. A differenza di Palladio, per cui i cortili sono spesso dei vuoti di risulta rispetto al disegno del costruito o elementi di collegamento tra diversi corpi edilizi, per Scamozzi il cortile è baricentro fisico e concettuale dell’edificio, costantemente quadrato, intorno al quale si organizza la planimetria. Nel caso di Villa Molin si trasforma in un eccezionale vuoto a tripla altezza, quasi un cortile coperto. Nel fronte principale sopra il timpano, che a sua volta è elevato sul colonnato, tre statue acroteriali, non originali, decorano la copertura. Le altre facciate hanno finestre architravate che incorniciano la serliana centrale e piccole finestre al sottotetto. Quest’ultimo è a quattro falde e nel centro è sormontato da un tiburio quadrato, aperto in ampie finestre a lunetta, a sua volta coperto a piramide. Le stanze al piano terreno, compresa quella centrale, hanno soffitti voltati in cotto. Il ballatoio, su cui si aprono le porte delle stanze del piano superiore, è sostenuto da un cornicione poggiato su pilastri di ordine dorico; una modanatura aggettante, in corrispondenza della falda del tetto, sottolinea l’imposta della volta. Il riquadro centrale rappresenta una cornice in stucco, mentre quattro vele sono sistemate ai lati dei finestroni. Nessun elemento in pietra, tranne il davanzale, segna le finestre e diversamente che in altre fabbriche isolate – come nella Rocca Pisana dove Scamozzi, pur distinguendosi nettamente, tratta prospetto principale e laterali con pari dignità formale – qui la serliana è definita solo dall’architrave appena sporgente, ma i sostegni sono semplicissimi pilastri quadrangolari senza capitello. Inigo Jones, nel suo viaggio del 1613-1614, visitò villa Molin con molto interesse. Ancora se ne rammentava nel 1636 quando in una nota ai Quattro Libri di Palladio, discuteva il rapporto fra colonne su piedistallo e balaustrate. Dichiara infatti di prendere spunto da villa Molin per le colonne corinzie poggianti sul pavimento della loggia, senza piedistallo “come ho fatto a Greenwich, nella loggia verso il parco, e come ho visto a Ponte della Cagnia vicino a Padova in una villa del Clarissimo Molin”. Questa soluzione venne praticata anche in molte fabbriche “palladiane” dell’Inghilterra fra XVII e XVIII (per rimanere ad alcuni esempi riportati nel Vitruvius Britannicus: da Gunnesbury House e Amesbury House fino a Wanstead di Colin Campbell), poiché permette di alzare una loggia all’antica sopra un pianterreno di buone dimensioni come richiedevano le moderne esigenze inglesi. John Soane ritrae villa Molin in un disegno del 1780, oltre a lui molti si recheranno in Italia per ammirarne le opere d’arte e si soffermeranno sulla produzione di Scamozzi. La complessa decorazione pittorica del piano nobile si adegua all’impostazione dell'edificio seguendo la classica sovrapposizione degli ordini nelle colonne dipinte e negli altri elementi architettonici inseriti. Il restauro di Kofler riportò alla luce gli affreschi originali, eliminando alcuni decori ottocenteschi non coerenti con la struttura e l’originale visione della villa. Gli affreschi sono attribuiti a Pietro Antonio Cerva (1640-1683 circa). Nel salone centrale virtuali architetture, dipinte in prospettiva, ricoprono per intero le pareti e la volta, creando un insieme di grandiosità che ricorda le aule termali romane studiate in gioventù da Scamozzi. Una reale balaustra lignea, dipinta a imitazione del marmo, individua i diversi piani e abbraccia tutto lo spazio. Al di sotto di questa scanalate lesene doriche inquadrano gli archi d’accesso. La policromia accentua la varietà e l’illusione di profondità degli spazi. Sopra la balaustra, le architetture virtuali propongono colonne ioniche di marmorino verde con capitelli e basi dorate. Nicchie e cammei ovali in monocromo violetto abbracciano e sovrastano le quattro porte centrali. Vi si narrano episodi della vita di Enea, il più valoroso dei Troiani dopo Ettore. Al di sopra delle otto porte angolari, finti cassettonati e vasi di fiori, contribuiscono ad accentuare la dimensione prospettica di tutto l’impianto quadraturistico. La volta si innalza da un lineare cornicione dipinto; negli angoli, colonne corinzie di marmo rosso delimitano otto profonde soggette da cui si affacciano musici e altre persone. Gli stemmi delle famiglie Capodilista e Conti sono sui quattro angoli. Nelle quattro vele sono raffigurati quattro putti che rappresentano le stagioni, segno del passare del tempo e tema frequente delle raffigurazioni nelle ville. Nel riquadro al centro sono raffigurati Aurora e Titone, sotto lo sguardo di Diana e di due amorini. Il mito narra che la dea Aurora si innamorò dell’eroe troiano Titone, ma si dimenticò di chiedere per lui l’eterna giovinezza. Alla fine, ridotto a sola voce lo trasformò in cicala. Nei quattro vestiboli voltati a botte, le sovrapporte sono ornate da cartigli con vedute di ville della famiglia Capodilista, compresa Villa Molin. Oltre ad essere un ampliamento della superficie del salone, i vestiboli, che formano con l’aula la croce greca, servono per dividere in gruppi distinti le stanze padronali ed i salottini razionalmente disposti. Ne risultano quattro appartamenti distinti per i quali il salone è il luogo comune di rappresentanza e di ritrovo, ideale vastissimo e fresco soggiorno estivo, riparato ed elegantemente decorato. Gli affreschi creano un prolungamento del salone utilizzando gli stessi colori, luminosi e dorati movimentando il ricco telaio architettonico e prospettico. Fanno da originale contrasto i leggeri e delicati stucchi realizzati nel tardo settecento dalla famiglia Capodilista che decorano con volute, tralci e camei le camere e i salottini. Considerato uno dei più bei parchi storici, il giardino di villa Molin si estende su 3,3 ettari, è circondato da un'alta recinzione. Il giardino all'italiana con viali di bosso e statue si basa sul progetto originario di Vincenzo Scamozzi. Il giardino romantico ha piante secolari e al tempo in cui la villa era abitata da Igino Kofler aveva un campo da tennis e tre buche da golf. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa Molin Sito ufficiale, su villamolinpadova.com.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Villa Molin (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Villa Molin
Via Ponte della Cagna, Padova Mandria

Coordinate geografiche (GPS) Indirizzo Collegamenti esterni Luoghi vicini
placeMostra sulla mappa

Wikipedia: Villa MolinContinua a leggere su Wikipedia

Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 45.36235 ° E 11.83967 °
placeMostra sulla mappa

Indirizzo

Villa Molin

Via Ponte della Cagna 106
35142 Padova, Mandria
Veneto, Italia
mapAprire su Google Maps

linkWikiData (Q4012330)
linkOpenStreetMap (131765967)

Villa Molin 3
Villa Molin 3
Condividere l'esperienza

Luoghi vicini

Museo veneto del giocattolo
Museo veneto del giocattolo

Il Museo Veneto del Giocattolo ha sede a Padova, zona Mandria, presso il centro polifunzionale Civitas Vitae. Il Museo è nato del 2006 per conservare e valorizzare una collezione di giocattoli, da fine Ottocento agli anni Cinquanta, formata grazie alla generosità di alcuni collezionisti. I giocattoli conservati ed esposti nelle sale del Museo rappresentano un'importante testimonianza artistica e artigianale, ma soprattutto ricoprono un ruolo fondamentale nella valorizzazione della dimensione della memoria e della relazionalità. Il Museo Veneto del Giocattolo è aperto tutti i giorni ed è ad ingresso gratuito. I giocattoli esposti al Museo Veneto del Giocattolo appartengono a diverse tipologie, dalle automobili ai treni, dalle navi agli aerei, dalle bambole ai peluches, dai soldatini ai giochi di fantasia. Ad ogni tipologia di giocattolo è dedicata una sezione del percorso espositivo, che comprende inoltre una sezione dedicata esclusivamente ai giocattoli in latta prodotti dalla ditta padovana Ingap. Negli anni la collezione è accresciuta, aprendo uno sguardo anche ai giocattoli che maggiormente hanno caratterizzato gli ultimi vent'anni: i videogiochi. Il Museo Veneto del Giocattolo offre infatti un'esperienza di visita interattiva, dando la possibilità ai suoi visitatori di giocare con la console Nintendo DS, una delle console più famose prodotte nell'ultimo ventennio. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo veneto del giocattolo Sito ufficiale, su museovenetogiocattolo.it.

Chiesa di San Martino (Padova)

La chiesa di San Martino di Tours era un edificio religioso altomedievale di Padova che si affacciava sulle attuali vie del municipio (già San Martino) e via 8 febbraio 1848. Fu demolita nel corso del XIX secolo. Menzionata prima come cappella (XIII secolo) divenne in seguito parrocchiale. Era tristemente celebre per le funzioni da morto che vi si celebravano per conto dello Studio, infatti nella chiesa erano spesso inumati cadaveri utilizzati per le vivisezioni nel teatro anatomico di palazzo Bo. Fu chiusa al culto nel 1808 ed in seguito demolita per permettere la rettificazione del Liston. Al suo posto furono erette delle abitazioni abbattute a loro volta per lasciare spazio alla monumentale facciata del municipio, di epoca fascista. Alcune lastre marmoree decorate provenienti dalla chiesa sono esposte al lapidario dei Musei civici Eremitani e sono datate all'età longobarda. Sino all'anno 1797, ogni 17 novembre la chiesa era meta della corsa dei berberi che rievocava la dedizione della città alla Repubblica Serenissima. La chiesa aveva presbiterio rivolto a ponente ed era di piccole dimensioni. La facciata era rivolta verso il Palazzo del Bo'. Venne ricostruita nel corso del '700. Un piccolo campanile, con copertura conica in cotto e bifore si ergeva accanto all'edificio. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova 1780 Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori Giuseppe Toffanin, Cento chiese padovane scomparse, Editoriale Programma AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova

Paltana
Paltana

Paltana è un sobborgo del comune italiano di Padova. Situato a sudovest del centro storico, il quartiere si incunea tra la riva meridionale del Bacchiglione e quella ovest del canale di Battaglia, sua diramazione. Confina a ovest con Voltabrusegana e a sudovest con Mandria. A est, oltre il canale di Battaglia, si estende il Bassanello. Come suggerisce il toponimo (dal veneto paltàn "pantano"), Paltana era in origine una località paludosa influenzata dalle piene del Bacchiglione. Solo alla fine dell'Ottocento importanti lavori di bonifica rafforzarono le rive del fiume e resero il territorio coltivabile, favorendone il popolamento da parte di famiglie contadine ma anche di borghesi, come ancora dimostra la presenza di ville di stile eclettico. Nel secondo dopoguerra avvenne una nuova crescita urbanistica del quartiere, che vide tra l'altro la costruzione della chiesa parrocchiale e della piscina olimpionica. La parrocchia di San Giovanni Bosco è stata istituita nel 1957, ricavandone il territorio dalla preesistente parrocchia di Mandria (porzioni più piccole derivarono da Voltabrusegana e dal Bassanello). Inizialmente la si voleva intitolare allo Spirito Santo, ma l'allora vescovo Girolamo Bortignon, sapendo che i Salesiani desideravano aprire una loro opera a Padova, la affidò a questi dedicandola a don Bosco. La Parrocchia è stata guidata dai Salesiani fino al 29 Agosto 2021, e successivamente è tornata sotto la guida della Diocesi di Padova, che ha anche acquisito dai Salesiani la proprietà dell'Oratorio (patronato) e delle aree esterne attigue. La chiesa, invece, venne costruita a partire dal 1956 su un terreno donato da Ester Pasqualigo vedova Baccaglini. Venne benedetta il 31 ottobre 1957, ma i lavori proseguirono sino alla consacrazione dell'8 giugno 1963, ad opera del vescovo Bortignon e alla presenza del rettor maggiore dei Salesiani, Renato Ziggiotti. Nella controfacciata è esposta una tela del XVI secolo attribuita a Domenico Campagnola che raffigura la Madonna col Bambino e i santi Giovannino, Antonio abate e Caterina d'Alessandria; l'opera proveniva dall'oratorio della Beatissima Vergine di via Armistizio, annesso alla demolita villa Lion. Degni di nota anche una statua in legno del patrono, realizzata da Giacomo Vincenzo Mussner e donata nel 1969 dagli ex allievi del vicino collegio, e il paliotto d'altare a bassorilievo, di Luigi Strazzabosco. La presenza dei Salesiani nel quartiere Paltana non è terminata, proseguendo l'attività delle altre due opere attive ed inserite nel tessuto connettivo del quartiere e della città: il Collegio Universitario Don Bosco (convitto) ed il Piccolo Teatro (Piccolo Teatro Don Bosco).

Albignasego
Albignasego

Albignasego (Albignàxego in veneto) è un comune italiano di 26 921 abitanti della provincia di Padova in Veneto. È parte integrante dell'area metropolitana della città di Padova e risulta essere il secondo comune della provincia per popolazione, dopo il capoluogo. Albignasego è situato nella pianura padano-veneta a sud di Padova e a pochi chilometri dai colli Euganei. Il toponimo Albignasego deriva dal nome latino di persona Albinius, che molto probabilmente fu il nome di un proprietario terriero di queste terre, ed all'accostamento ad esso del suffisso -aticus che indica appartenenza, perciò il nome della cittadina significherebbe "appartenenza di Albinio". Il territorio comunale risulta essere stato abitato fin dall'epoca preistorica. Reperti dell'Età del bronzo sono stati rinvenuti agli inizi del XX secolo in località Mandriola ed attualmente sono conservati al Museo civico di Padova. La presenza dei corsi d'acqua insieme alla fertilità del territorio garantirono fino all'epoca romana una continuità abitativa nel territorio albignaseghese. Con l'arrivo delle legioni romane in Veneto la zona fu interessata dalla centuriazione e bonificata per permettere un migliore sfruttamento del suolo. Tra il 49 a.C. e il 45 a.C. il territorio del comune entrò nella sfera amministrativa del municipio romano di Patavium (attuale Padova). Il primo documento noto in cui si cita Albignasego è un diploma dell'imperatore Berengario I con il quale veniva ribadito il diritto di assegnazione delle decime di Villa Albignasega ai Canonici della Cattedrale di Padova. Lo stesso toponimo appare in altri documenti dello stesso genere, mentre se ne ritrova uno diverso in una "stima" papale del 1297, dove viene citata la parrocchia cittadina come San Tommaso de Bignasico. Dal XV secolo Albignasego lega la sua storia alla famiglia degli Obizzi, casato originario di Lucca con discendenze in diverse città del centro-nord Italia, tra le quali anche Padova. Lo stemma e il gonfalone di Albignasego sono stati concessi con regio decreto del 7 gennaio 1938. Il campo verde fa riferimento alla diffusa agricoltura e ai vasti boschi presenti all'epoca della concessione dello stemma. Il bue rappresenta gli antichi allevamenti di bovini ed è inoltre simbolo dell'eroismo e della forza d'animo dimostrata dalla comunità albignaseghese. Il gonfalone è un drappo di verde riccamente ornato di ricami d'oro. Il complesso architettonico, detto anche della Mandriola, posto nei pressi del terzo chilometro della Strada statale 16 Adriatica, fu costruito della famiglia veronese dei Conti di San Bonifacio nel XVI secolo. La villa fu fatta costruire nella zona attualmente conosciuta come Mandriola, ma detta in epoche storiche anche San Bonifacio, dalla nobile famiglia veronese dei San Bonifacio, visto che la Famiglia dei Conti di San Bonifacio si divide allora in due rami, di cui l'uno rimane a Padova e l'altro torna a stabilirsi in Verona. La facciata principale della villa risulta in parte mutila dell'originale frontone perso in seguito a una tromba d'aria che si è abbattuta negli anni settanta del secolo scorso sulla zona. Inalterato, invece, risulta il monumentale Salone delle Feste o Sala da Ballo della Villa che occupa l'altezza dei due piani dell'edificio. Ha le pareti decorate da affreschi raffiguranti le fatiche di Ercole e il soffitto è decorato da un grande affresco di scuola "tiepolesca ", dai colori leggeri che raffigura Apollo e le Muse ed è attribuito a Gian Battista Canal. Di notevole interesse è la balaustra lignea che delimita il ballatoio che corre lungo tutto il perimetro della sala. Rilevante l'annesso Parco romantico di circa cinque ettari, che circonda la villa, abbellito da viali intervallati da grandi statue settecentesche rappresentanti personaggi mitologici che conducono attraverso il grande bosco composto da una vasta quantità e varietà di piante secolari e monumentali altre che al laghetto. Adiacente alla villa è presente un edificio risalente al XVI-XVII secolo, restaurato nel Settecento per le nozze di Ercole San Bonifacio con Teresa degli Obizzi. Infine, va citato l'annesso oratorio dedicato a San Jacopo (risalente al Seicento), che presenta un campanile a cuspide di tipo romanico a pigna. Questo oratorio aveva nome di Abbazia e fu la prima chiesa della comunità di "Mandriola". Dentro la villa furono girate alcune scene del film L'ingenua di Gianfranco Baldanello con Ilona Staller (1975). La piazza si trova nel centro del paese e accanto a Villa Obizzi. Inizialmente adibita a parcheggio, è stata riqualificata nel 2020. La Villa Obizzi risale al XVII secolo, ed è accostata alla figura di Pio Enea II Obizzi. Essa sorge nel centro del paese ed è circondata da un giardino, il quale ora è diventato il "Parco della Rimembranza". La villa è adibita a sede di uffici comunali e alla biblioteca della cittadina. Numerosi i restauri, l'ultimo dei quali ha riportato la villa al suo antico splendore nel 2007. La villa, il cui nome completo è Villa Lion Salom Bragadin si trova nella frazione di Lion (unico centro storico presente nella città) ed è attorniata da un grazioso parco con un piccolo laghetto. Essa fu costruita sul finire del XVI secolo su mandato della famiglia veneziana dei Bragadin. Nei secoli successivi subì diverse ristrutturazioni da parte dei successivi proprietari, gli Obizzi ed i Salom: questi ultimi fecero costruire nel parco un piccolo castello in stile "romantico-decadente". La maggior parte della villa è posseduta dalla famiglia Michieli e ospita un celebre ristorante-prosciutteria, mentre la zona del castelletto e delle cantine è posseduta dalla famiglia Gulisano. Abitanti censiti Al 31 dicembre 2022 la popolazione straniera era di 1 599 abitanti, pari al 7,26% della popolazione. Sono due i quotidiani storici che si occupano attualmente della cronaca locale della città: il Gazzettino e il Mattino di Padova. Dal 2020 viene distribuito gratuitamente a tutte le famiglie l'edizione locale del mensile Il Giornale Di nel supplemento denominato "Il Giornale di Albignasego". Albignasego conta sette ambiti territoriali omogenei (ATO) all'interno del suo territorio comunale: S. Tommaso - S. Lorenzo - Ferri (7,09 km², 11.700 ab.) Sant'Agostino (dal nome della parrocchia, Sant'Agostino, 1,48 km², 4.250 ab.) Mandriola (1,82 km², 2.050 ab.) San Giacomo (3,41 km², 2.350 ab.) - Geograficamente situata a sud-est, è la frazione più giovane del Comune, diventando autonoma a livello di Parrocchia dalla frazione di Lion solo nel 1960. L'edificio più importante è la Chiesa di San Giacomo (1970), che sostituì quella originale risalente al Trecento in cui rimangono ancora alcune tracce dell'antica costruzione. Lion (2,21 km²,1.450 ab.) Carpanedo (2,28 km², 2.000 ab.) Zona produttiva (2,75 km², 350 ab.) Va aggiunto, inoltre, che l'ATO "S. Tommaso - S. Lorenzo - Ferri" è suddiviso nei tre quartieri di San Lorenzo, San Tommaso e Ferri (Santa Maria Annunziata), corrispondenti alle tre parrocchie qui esistenti. Attraversata in senso longitudinale nord-sud dalla Strada provinciale 92 "via Guizza", Albignasego è collegata con Padova mediante autoservizi svolti da APS Holding e Busitalia-Sita Nord. Fra il 1888 e il 1954 nella cittadina fu presente inoltre una stazione della tranvia Padova-Bagnoli di Sopra, gestita dalla Società delle Guidovie Centrali Venete (gruppo Società Veneta), parte di un gruppo di infrastrutture che contribuirono in tale periodo al rilancio economico della provincia di Padova. L'Amministrazione comunale di Albignasego, con quelle di Casalserugo e Maserà di Padova, fa parte dell'Unione Pratiarcati, una Unione dei comuni della provincia di Padova. Galanta, dal 2007 La principale squadra di calcio della città è l'Albignasego Calcio, nella stagione 2017-2018 milita in Promozione. Fondata nel 1959 nella sua storia conta due campionati di Serie D nelle stagioni 2008-2009 e 2009-2010. Nell'estate 2010 la società si fonde con il San Paolo Padova e scompare. Viene così costituita una nuova società grazie anche alla sezione calcio del CUS Padova. Nasce così sempre nel 2010 l'Universitaria Albignasego che successivamente cambierà nome in Albignasego Calcio. Attualmente milita nel campionato di Eccellenza. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Albignasego Sito ufficiale, su comune.albignasego.pd.it. Albignàsego, su sapere.it, De Agostini.

Aeroporto di Padova
Aeroporto di Padova

L'Aeroporto di Padova (ICAO: LIPU), citato anche con il nome commerciale di Aeroporto Civile di Padova "Gino Allegri", è un aeroporto italiano situato a circa 3 km a sud ovest del centro della città di Padova. La struttura, intitolata alla memoria del tenente pilota Gino Allegri, è posta all'altitudine di 13 m / 44 ft sul livello del mare, dotata di un piccolo terminal e di due piste, la principale lunga 1 122 m e larga 30 m (3 681 × 98 ft), con orientamento 04/22, fondo in asfalto e dotata di impianto di illuminazione a bassa intensità (LIRL) e sistema di assistenza all'atterraggio PAPI, la secondaria parallela alla prima da 617 × 30 m e fondo in erba. L'aeroporto, gestito dalla Aeroporto civile di Padova S.p.A., effettua attività secondo le regole e gli orari sia IFR che VFR ed è aperto al traffico commerciale. Classificato come City airport, questo aeroporto è uno dei pochi inseriti nel tessuto urbano di una città. L'aeroporto di Padova viene realizzato durante la prima guerra mondiale assieme ad altri piccoli aeroporti sparsi per i comuni della provincia, in particolare si ricorda il campo di aviazione di San Pelagio nell'omonima frazione di Due Carrare, dove il 9 agosto 1918 la squadriglia "Serenissima", sotto la guida di Gabriele D'Annunzio, partì per il celebre volo su Vienna. Gino Allegri, a cui è intitolato l'aeroporto di Padova, morì durante l'atterraggio sul campo di San Pelagio. Durante gli anni successivi alla prima guerra mondiale l'aeroporto di Padova fu usato per scopi militari ospitando il 1º Stormo caccia oggi 1ª Brigata aerea "operazioni speciali" fino al 1987, anno in cui venne aperto anche ai voli civili. Il Ministero dei trasporti nel 1995 riconosce l'aeroporto come scalo di interesse sociale per i voli sanitari ed umanitari. Sede del comando della 1ª Brigata Aerea fino al 31 ottobre 2009, l'Aeronautica Militare sta procedendo a dismettere la propria base militare; inoltre era sede di un gruppo squadroni AVES (oggi già interamente trasferito a Bolzano, al 54°), la cui base è oggi chiusa ed in stato di abbandono. Questo aeroporto è aperto al traffico di voli turistici nazionali e internazionali, voli di linea charter, privati di imprenditori, commerciali e cargo nazionali ed internazionali e voli militari di elicotteri e velivoli leggeri. Qui ha sede anche l'Aeroclub di Padova con la sua scuola volo e di volo a vela. Quello che però rende questo aeroporto importante sono soprattutto i voli sanitari e di emergenza per malati gravi e per i trapianti di organi. L'aeroporto è la base di partenza del servizio di elisoccorso del SUEM di Padova. All'aeroporto di Padova non esistono voli di linea regolari: alcuni progetti di potenziamento dello scalo sono stati contrastati dagli abitanti delle zone circostanti, in quanto la struttura si trova pienamente integrata nel centro urbano, e l'implementazione di voli creerebbe non pochi problemi per la vivibilità dei quartieri interessati; anzi, vi sono dei comitati che si battono per la chiusura completa dello scalo e la sua riconversione in parco. Nel 2006 e nel 2007 la gestione dell'aeroporto da parte della Save Spa ha chiuso i bilanci in forte deficit. La società ACP SpA in Liquidazione ha cessato la gestione dell'Aeroporto "G. Allegri" di Padova dall'11 dicembre 2014. Nel 2022 la gestione dell'aeroporto passa a Heron Air SRL, la quale investirà 2,5 milioni di euro per la ristrutturazione dello scalo. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Aeroporto di Padova Sito ufficiale, su airportpadova.it. Gruppo Volovelistico Patavino, su voloavelapadova.it. Pagina della 1ª Brigata Aerea sul Sito ufficiale dell'Aeronautica Militare, su aeronautica.difesa.it. Google mappe: l'aeroporto di Padova visto dal satellite, su maps.google.it. Il campo di aviazione su ilfrontedelcielo.it

Guizza
Guizza

La Guizza (Quartiere 4 Sud Est) è uno dei quartieri collocati più a sud della città di Padova, estendendosi dalla zona del Bassanello sino al confine settentrionale del comune di Albignasego. Zona residenziale, con una forte densità abitativa, la Guizza è attraversata dal principale asse del Metrotram cittadino, il cui capolinea sud si trova in questo quartiere. Rappresenta il principale punto di accesso alla città per il traffico proveniente dalla parte meridionale della provincia. La Guizza è un quartiere della zona 4 (sud) di Padova. Il quartiere è delineato dal Lungargine Bassanello e dal fiume Bacchiglione. Il quartiere confina con il Crocifisso, con Salboro e con la Paltana. La via principale è Via Guizza Conselvana. Il quartiere ha una superficie di circa 4,26 km2 e vi risiedono 12 848 ab. Il nodo fluviale del Lungargine Bassanello aveva passi a barche, essendo assicurato ad una fune posta di traverso al canale Maestro e il ponte in muratura, risalente al 1281. Sono state fatte alcune proposte di rettifica da Angelo Artico per agevolare lo smaltimento delle piene. Sono stati proposti degli schemi idrografici per i principali progetti di sistemazione dei fiumi Brenta e Bacchiglione fino all'anno 1777. Anton Maria Logna ha proposto una regolazione delle acque a Padova, che prevede il collegamento diretto tra il Bacchiglione, il Bassanello e il canale Roncajette. L'idea è stata ripresa un secolo più tardi dall’idraulico toscano Vittorio Rossombrone. È stato costruito un canale scaricatore delle piene che ha origine nell'Ottocento ed è stato reso navigabile negli anni Trenta del Novecento. Il nome "Guizza" deriva dal termine longobardo Vìzha, che significa bosco. Il territorio a Sud di Padova, infatti, era paludoso e vi sorgevano estesi boschi naturali prima che la città si estendesse urbanisticamente. La storia della Guizza, da quando era una stazione di posta alla sua incorporazione nella città, è al centro di gran parte della narrativa dello scrittore padovano Piero Sanavìo. Il quartiere Guizza è conosciuto dal 1016, ma i primi insediamenti risalgono al periodo dell’Impero romano. Sono datate fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. alcune anfore ritrovate nel 2009 in via dei Salici durante i lavori di costruzione dell'impianto sportivo. I primi ad abitare questo quartiere furono i cosiddetti capofamiglia con le rispettive famiglie. In seguito i Romani abbandonarono il quartiere, che si riempì di foreste e di corsi d’acqua. A partire dal 1630 il Bassanello fece parte della Guizza. La Guizza nel Novecento era un sobborgo di Padova. Essa era caratterizzata da case coloniche sparse e da ville di ricchi proprietari, costruite in Via Wollemborg e in via Fogazzaro. Nel 1919 fu fondata in via Guizza 14 la fabbrica di giocattoli Ingap (Industria Nazionale Giocattoli Automatici Padova) che nel 1938 giunse a impiegare circa 600 lavoratori e divenne una delle fabbriche di giocattoli più importanti a livello internazionale in uno spazio di oltre 15.000 metri quadrati. Si producevano giocattoli in latta ma anche innovative automobili, trenini, aerei a movimento meccanico. All'apice del successo la fabbrica produceva fino a 400 modelli diversi. La concorrenza straniera e l'avvento della plastica portarono l'Ingap a un inesorabile declino che portò alla chiusura nel 1972. Nel 1922 fu costruito il tempietto dedicato alla Madonna di Lourdes, che era invocata per proteggere i raccolti agricoli. Nel 1981 il gruppo terroristico delle Brigate Rosse rapì il generale statunitense James Lee Dozier, che fu liberato dopo avere trascorso 42 giorni di prigionia in un appartamento di via Pindemonte. Tre sono le chiese presenti nel quartiere Guizza: la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, inaugurata il 23 ottobre 1892; la chiesa dei Santi Angeli Custodi, inaugurata il 31 agosto 1957 e Santa Teresa del Bambino Gesù, inaugurata il 1 ottobre 1973. Come in tutta la città la religione più diffusa è quella cattolica. Il IX Istituto Comprensivo "Ricci Curbastro" comprende: Scuola primaria "Ricci Curbastro" Scuola primaria "Oriani" Scuola secondaria di I grado "Marsilio da Padova" Scuola primaria "E. Cornaro" Scuola dell'Infanzia "L'Aquilone" Dal 25 novembre 2019 è attivo un punto di erogazione del CPIA (Centro Provinciale per l'Istruzione degli Adulti) di Padova presso la ex casa del custode della scuola "Ricci Curbastro": vengono erogati corsi di licenza media e di lingua italiana per adulti. Pier Giovanni Zanetti, Bassanello e Guizza, Padova, La Galiverna, 1987. Pier Giovanni Zanetti, Acque di Padova, Verona, Cierre, 2013. Pier Giovanni Zanetti, Bassanello tra acque e ponti, Padova, La Galiverna, 1986. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Guizza Guizza: quartiere 4 Sud-Est, su padovanet.it. 9° Istituto Comprensivo, su 9icpadova.edu.it. Guizza: Storia, Vita e Prospettive del Quartiere, su mediaspace.unipd.it.

Stazione meteorologica di Padova Aeroporto
Stazione meteorologica di Padova Aeroporto

La stazione meteorologica di Padova Aeroporto è la stazione meteorologica di riferimento relativa alla città di Padova. La stazione dopo vent'anni di inattività ha ripreso le rilevazioni nel 2010 con l'emissione di SYNOP dalla nuova stazione automatica DCP e dal 24 luglio 2012 con l'emissione di METAR dalla nuova stazione aeroportuale presidiata. La stazione meteorologica presidiata, gestita dall'ENAV e contrassegnata dal codice ICAO LIPU, si trova nell'area climatica dell'Italia nord-orientale, nel Veneto, nel comune di Padova, presso l'aeroporto di Padova, a 14 metri s.l.m. e alle coordinate geografiche 45°23′42.78″N 11°51′00.8″E45°23′42.78″N, 11°51′00.8″E. Originariamente, la stazione meteorologica sinottica era presidiata e contrassegnata dal codice WMO 16095 fino alla sua dismissione del 1991; in seguito, a partire dal 2010, è stata riattivata una stazione meteorologica automatica DCP contrassegnata dal codice WMO 16582, situata a 15 metri s.l.m.. In base alla media trentennale di riferimento 1961-1990, ancora in uso per l'Organizzazione meteorologica mondiale e definita Climate Normal (CLINO), la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta a +2,2 °C, quella del mese più caldo, luglio, è di +23,0 °C. Nel medesimo trentennio, la temperatura minima assoluta ha toccato i -19,2 °C nel gennaio 1985 (media delle minime assolute annue di -8,4 °C), mentre la massima assoluta ha fatto registrare i +36,4 °C nel luglio 1983 (media delle massime assolute annue di +33,6 °C). Mediamente, si contano 60 giorni di gelo all'anno. La nuvolosità media annua si attesta a 4,2 okta, con minimo di 3 okta a luglio e massimo di 5,3 okta a novembre. Le precipitazioni medie annue, distribuite in modo irregolare con un minimo relativo invernale, si attestano a 846 mm e sono distribuite mediamente in 84 giorni di pioggia. L'umidità relativa media annua si attesta al valore di 72,6 % con minimo di 68 % a luglio e massimo di 81 % a dicembre. L'eliofania assoluta media annua fa registrare il valore di 5,5 ore giornaliere, con minimo di 1,7 ore giornaliere a dicembre e massimo di 9,9 ore giornaliere a luglio. Nella tabella sottostante sono riportati i valori delle temperature estreme mensili registrate dal 1946 ad oggi (mancano i dati tra il 1991 e il 2009), con il relativo anno in cui sono state registrate. Nel periodo esaminato, la temperatura minima assoluta ha toccato i -19,2 °C nel gennaio 1985 mentre la massima assoluta ha raggiunto i +39,6 °C nel Giugno 2019 Padova Stazione meteorologica Clima italiano Dati in tempo reale registrati dalla stazione meteorologica di Padova Aeroporto, su meteoam.it.

Esapolis
Esapolis

Esapolis è un insettario situato a Padova, realizzato da una collaborazione tra la Provincia di Padova e Butterfly Arc, un'iniziativa privata. Occupando un'area di 2500 m2, è la struttura espositiva più grande d'Italia dedicata a questo tipo di animali. Il 3 maggio 2008 venne inaugurato il museo Esapolis. Nel 1871 venne istituita la Reale Stazione Bacologica sperimentale di Padova da parte di Luigi Luzzatti (ministro dell'agricoltura, industria e commercio) che prese spunto, per l'ideazione della stazione bacologica, all'Istituto bacologico di Gorizia del 1869. Le attività di ricerca in campo scientifico principali sono: ricerca scientifica sul baco da seta e sul gelso, promozione dell’attività bachisericola, conservazione del germoplasma e la risoluzioni dei problemi pratici dei bachicoltori. La prima direzione della Stazione spettò a Enrico Verson, un entomologo, che era già stato direttore aggiunto dell'Istituto bacologico di Gorizia. La sua direzione si concentrò molto sulla limitazione dell'importazione di Seme-bachi (uova trattate e lavate) dal Giappone per incentivare e finanziare la confezione di uova prodotte in Italia. Inoltre, Verson, incentivò attività di produzione, e nuove tecniche sericole in tutto il territorio Italiano. Il suo incarico terminò nel 1919. La dirigenza di Enrico Verson terminò nel 1919 e nel 1924 la stazione venne spostata nel quartiere di Brusegana, Padova; in un edificio formato da due sezioni, una dedicata alla formazione e alla ricerca e il secondo alle attività di produzione sperimentale di allevamento e filatura. Il complesso fu inaugurato da Luciano Pigorini, il nuovo direttore che era stato allievo di Verson dal 1914. Dopo il secondo conflitto mondiale la stazione di Padova si fuse con la Stazione di Ascoli Piceno, chiusa nel 1958 che trasferì parte delle sue collezioni e materiali. L'edificio versava in pessime condizioni che portarono al successivo restauro, durante il quale, con i fondi di Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Regione del Veneto e ministero dell’Ambiente, si realizzò il complesso finale. Quest’ultimo copre una superficie di circa 38.000 metri quadri. Oggi è composto di due strutture attigue ad alta compatibilità ecologica, una è la sede del CREA, organismo di assistenza, conservazione e ricerca del ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. Il museo si trova all'interno di un edificio risalente agli inizi del 1900, che già ospitava la più importante stazione bacologica nazionale (tuttora attiva); la struttura ospita anche varie collezioni d'insetti e diversi animali vivi, principalmente artropodi ma non solo, e conduce anche alcuni laboratori didattici. La collezione di Padova comprende una raccolta di 2200 campioni di bozzoli di diversa origine. L'edificio si articola su tre piani ed un giardino esterno, posto dietro l'immobile. Il piano terra comprende vari settori dedicati alle api, una sala di video conferenze ed un laboratorio in cui i visitatori possono interagire con gli insetti sociali. Il secondo piano comprende il settore dedicato alla seta, in cui troviamo una sala dedicata ai bachi da seta, ma anche un'altra dedicata ai produttori di seta. In quest'ultima sala dal 2009, è possibile osservare un acquario mediterraneo, in cui sono presenti svariati esemplari di Pinna nobilis. Inoltre, sempre a questo piano troviamo anche delle altre sale, tra cui quella dedicata alle mostre temporanee e quella dedicata al laboratorio del giovane entomologo. Al secondo e ultimo piano, troviamo infine la direzione, la biblioteca del museo, comprendente anche testi antichi, e il settore denominato "Insettolandia", in cui le nozioni teoriche sono accompagnate da un'attività pratica. Dei manichini sono stati vestiti in abiti medievali e posti nel giardino per illustrare al pubblico alcune delle fasi della lavorazione della seta. Luciano Cappellozza, Enzo Moretto, Il museo vivente degli insetti, Milano: Grafiche Pinelli, 2002, PUV0950599 Francesco Liguori, Esapolis: museo vivente degli insetti, Padova e il suo territorio: rivista di storia arte e cultura, numero 136, 2008, pp.25-27 Francesca Forzan, Esapolis: il museo vivente degli insetti, La scienza e i luoghi nascosti di Padova, a cura di redazione de il Bo live, Padova, Padova University Press, 2019, volume 1, pp 201-205 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Esapolis

Santuario di San Leopoldo Mandic
Santuario di San Leopoldo Mandic

La chiesa della Trasfigurazione oggi conosciuta più come Santuario di San Leopoldo Mandic, è un edificio religioso di origine cinquecentesca che si innalza in contrà Santa Croce a Padova. Fu fondata come chiesa conventuale nel XVI secolo da una comunità di Frati Cappuccini che ancora la reggono. Quasi completamente distrutta durante la seconda guerra mondiale, fu in seguito ricostruita. L'interno è ricco di interessanti tele del Cinque e Seicento. È meta di un costante flusso di pellegrini che si recano in visita alla tomba di san Leopoldo Mandic, collocata in un locale attiguo alla chiesa, presso la stanzetta dove il santo confessava. L'edificio sacro è recente, in quanto fu interamente ricostruito dopo la devastazione causata dal bombardamento aereo alleato del 14 maggio 1944, ma la presenza dei frati in città data da oltre 500 anni. I cappuccini giunsero a Padova nel 1537, insediandosi inizialmente alle porte della città. Dopo vari tentativi di trovare una sede in città, riuscirono ad installarsi nel 1554 nel borgo di Santa Croce, nel luogo in cui le monache di Sant'Agata e Santa Cecilia avevano una grande casa con edifici annessi e un grande orto. La realizzazione del convento avvenne in più tempi: la prima chiesa, realizzata nel 1581, era già stata distrutta nel 1811 e in seguito riedificata (1824-1825). L’attuale è opera dell’architetto Giovanni Morassutti e fu consacrata nel 1950. Lo stile è quello tipico delle chiese francescane. L'aula liturgica, composta da un'unica navata arricchita da alcuni altari laterali, conduce all'ampio presbiterio, al centro del quale, dietro l'altare comunitario, si staglia un grande ed artistico crocifisso ligneo, opera di Luigi Strazzabosco (1895-1980). Sullo sfondo del coro prende posto un maestoso organo: costruito nel 1989 dall'artigiano Gastone Leorin, restaurato ed ampliato nel 2019 su progetto del maestro organista Alberto Sabatini, è dotato di un magniloquente prospetto scenografico e di particolarissimi timbri sonori. Nell'ultimo altare, a sinistra, è conservata la statua della Madonna scampata al bombardamento che, durante la seconda guerra mondiale, distrusse quasi tutto l'edificio sacro precedente l'attuale. Valorizzano ulteriormente la Chiesa alcune pregiate tele: tra tutte vanno ricordate la Trasfigurazione di Gesù, di Dario Varotari (XVII sec.), la Gloria di San Leopoldo, con la B. V. Maria e gli Angeli, di G.B. Tiozzo (XX sec.), e L'incoronazione della Vergine (XVI sec.). Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su santuario di San Leopoldo Mandic Sito internet del santuario di S. Leopoldo Mandic a Padova, su leopoldomandic.it. Pagina Facebook del santuario di S. Leopoldo Mandic a Padova, su facebook.com.

Chiesa di Santa Croce (Padova)
Chiesa di Santa Croce (Padova)

La chiesa di Santa Croce è un edificio religioso settecentesco che sorge nel Borgo di Santa Croce, zona meridionale di Padova contenuta dalle mura cinquecentesche. È l'unica chiesa di Padova in stile rococò. Accanto all'edificio sorge la Scuola del Redentore. Sorta su precedenti edifici, tra l'oratorio del lebbrosario di Santa Croce (1181) e la precedente chiesa officiata dai Somaschi dal 1606. L'attuale edificio fu principiato il 31 luglio 1737 (posa della prima pietra) su progetto di Francesco Vecellio padre somasco (Preposito Generale, letterato ed architetto) e consacrato il 9 giugno 1749 dal Cardinal Carlo Rezzonico. Sino alle soppressioni napoleoniche è appartenuta ai Chierici Regolari di Somasca che alloggiavano nel vicino collegio (ora casa madre delle Suore di San Francesco di Sales). Attualmente è affidata all'omonima parrocchia, gestita dal clero secolare della diocesi di Padova. La facciata pensata come monumentale conclusione della lunga strà di Borgo Santa Croce che parte dal Prato della Valle, è caratterizzata da un importante frontone sostenuto da paraste e semicolonne d'ordine corinzio. Due torricini circolari alleggeriscono l'architettura. La porta maggiore sovrastata da un timpano curvilineo è posta sotto l'iscrizione che ricorda la consacrazione della chiesa. Sopra, un'apertura circolare decorata da volute e da una testina di cherubino. L'architettura si inserisce in quella della tradizione padovana di Girolamo Frigimelica. Il campanile sul fianco della chiesa è novecentesco, costruito tra il 1899 ed il 1907 sull'area dell'antico cimitero, su progetto dell'ing. Giulio Lupati, grazie alle donazioni di alcuni benefattori e dei parrocchiani di s. Croce. Presenta uno stile sobrio ed incline al gusto eclettico del tempo, ed è realizzato in muratura di trachite euganea, rivestita lungo il fusto da un paramento in mattoni pieni, ricoperto da uno strato di intonaco a base cementizia. Il campanile è stato oggetto tra il 2020 ed il 2021 di un accurato restauro conservativo, che ha interessato le superfici esterne, la cella campanaria e il castello campanario stesso, realizzato ex novo. Le decorazioni e le balaustre della cella campanaria nonché quelle sovrastanti sono in pasta cementizia. Nella cella campanaria è presente un concerto di 5 campane a distesa (a slancio), realizzate dalla ditta Daciano Colbachini di Padova, fino al 2020 a suono esclusivamente manuale (caso pressoché unico nella città di Padova), e dopo il citato restauro elettrificate da una ditta di Legnaro. Grazie al tipo di elettrificazione con motore a induzione magnetica, è stata conservata la possibilità di suono manuale. Sul campanile sono presenti due lapidi a ricordare i vari benefattori. A fianco del campanile, sull'edificio della sacrestia, si trova la lapide commemorativa del giovane Ernesto Rossi, tra i benefattori della torre campanaria, che perse la vita in un incidente motociclistico nel 1906, schiantandosi per amara ironia della sorte proprio ai piedi del campanile quasi ultimato. La luminosa aula è caratterizzata da una elegante parata decorativa su cui si inserisce una serie di aperture a finta fenestratura balconata, pensate probabilmente come cantorie ma con evidenti fini estetici. Il presbiterio con abside semicircolare è arricchito da imponenti semi colonne. Il soffitto della chiesa è decorato da lacunari, stucchi e dorature. I Chierici Somaschi affidarono la decorazione del soffitto (esaltazione della Croce) e della cupola ovoidale del presbiterio al veneziano Nicolò Baldassini, mentre il ciclo di tele (altari laterali e abside) fu commissionato a Giambattista Mariotti. La posizione delle tele fu alterata con l'arrivo agli inizi dell'800 della Salus Populi Patavini, veneratissima statua lignea seicentesca della Madonna della Salute, proveniente dall'omonimo oratorio e legata alle pestilenze che nel XVII secolo colpirono la città. Sul primo altare alla destra, dall'ingresso vi è la tela del Mariotti con San Giovanni Nepomuceno, San Francesco di Paola e Sant'Antonio, l'unica posta nella posizione originaria. Nel seguente altare, la Salus Populi Patavini nella posizione della Sacra famiglia del Mariotti, tela dispersa. L'altare maggiore, decorato da una grande varietà di marmi policromi, è alleggerito da due angeli oranti di Antonio Bonazza. Sopra, un ricco baldacchino rococò. Sul retro, il coro ligneo sovrastato da Sant'Elena adora la Santa Croce del Mariotti. Sul primo altare sulla sinistra dall'ingresso, è posta la tela con San Gerolamo Emiliani collocata originariamente sul secondo altare (al posto del Sacro Cuore novecentesco) in sostituzione de L'Angelo custode, posto in controfacciata. Ai lati del catino absidale, all'interno degli antichi matronei chiusi da finestre serliane, è collocato l'organo a canne. Costruito tra gennaio e maggio del 1952 dalla ditta "Fratelli Ruffatti" di Padova, è stato riqualificato ed ampliato nelle risorse foniche nel 2013 dalla ditta "Leorin Gastone" sulla base di un innovativo progetto predisposto dal maestro Alberto Sabatini, organista della Pontificia Basilica di Sant'Antonio a Padova. Oggi lo strumento, dotato di due tastiere, pedaliera e trasmissione elettronica, dispone di 31 registi sonori. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova MDCCLXXX Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice Alberto Sabatini, L'organo della Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Padova e il suo ripristino, Arcari editore AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori AA.VV., Padova, Medoacus Archivio parrocchiale di s. Croce Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Santa Croce a Padova Sito della parrocchia, su santacrocepd.it.