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Guizza

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Via Guizza Padova
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La Guizza (Quartiere 4 Sud Est) è uno dei quartieri collocati più a sud della città di Padova, estendendosi dalla zona del Bassanello sino al confine settentrionale del comune di Albignasego. Zona residenziale, con una forte densità abitativa, la Guizza è attraversata dal principale asse del Metrotram cittadino, il cui capolinea sud si trova in questo quartiere. Rappresenta il principale punto di accesso alla città per il traffico proveniente dalla parte meridionale della provincia. La Guizza è un quartiere della zona 4 (sud) di Padova. Il quartiere è delineato dal Lungargine Bassanello e dal fiume Bacchiglione. Il quartiere confina con il Crocifisso, con Salboro e con la Paltana. La via principale è Via Guizza Conselvana. Il quartiere ha una superficie di circa 4,26 km2 e vi risiedono 12 848 ab. Il nodo fluviale del Lungargine Bassanello aveva passi a barche, essendo assicurato ad una fune posta di traverso al canale Maestro e il ponte in muratura, risalente al 1281. Sono state fatte alcune proposte di rettifica da Angelo Artico per agevolare lo smaltimento delle piene. Sono stati proposti degli schemi idrografici per i principali progetti di sistemazione dei fiumi Brenta e Bacchiglione fino all'anno 1777. Anton Maria Logna ha proposto una regolazione delle acque a Padova, che prevede il collegamento diretto tra il Bacchiglione, il Bassanello e il canale Roncajette. L'idea è stata ripresa un secolo più tardi dall’idraulico toscano Vittorio Rossombrone. È stato costruito un canale scaricatore delle piene che ha origine nell'Ottocento ed è stato reso navigabile negli anni Trenta del Novecento. Il nome "Guizza" deriva dal termine longobardo Vìzha, che significa bosco. Il territorio a Sud di Padova, infatti, era paludoso e vi sorgevano estesi boschi naturali prima che la città si estendesse urbanisticamente. La storia della Guizza, da quando era una stazione di posta alla sua incorporazione nella città, è al centro di gran parte della narrativa dello scrittore padovano Piero Sanavìo. Il quartiere Guizza è conosciuto dal 1016, ma i primi insediamenti risalgono al periodo dell’Impero romano. Sono datate fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. alcune anfore ritrovate nel 2009 in via dei Salici durante i lavori di costruzione dell'impianto sportivo. I primi ad abitare questo quartiere furono i cosiddetti capofamiglia con le rispettive famiglie. In seguito i Romani abbandonarono il quartiere, che si riempì di foreste e di corsi d’acqua. A partire dal 1630 il Bassanello fece parte della Guizza. La Guizza nel Novecento era un sobborgo di Padova. Essa era caratterizzata da case coloniche sparse e da ville di ricchi proprietari, costruite in Via Wollemborg e in via Fogazzaro. Nel 1919 fu fondata in via Guizza 14 la fabbrica di giocattoli Ingap (Industria Nazionale Giocattoli Automatici Padova) che nel 1938 giunse a impiegare circa 600 lavoratori e divenne una delle fabbriche di giocattoli più importanti a livello internazionale in uno spazio di oltre 15.000 metri quadrati. Si producevano giocattoli in latta ma anche innovative automobili, trenini, aerei a movimento meccanico. All'apice del successo la fabbrica produceva fino a 400 modelli diversi. La concorrenza straniera e l'avvento della plastica portarono l'Ingap a un inesorabile declino che portò alla chiusura nel 1972. Nel 1922 fu costruito il tempietto dedicato alla Madonna di Lourdes, che era invocata per proteggere i raccolti agricoli. Nel 1981 il gruppo terroristico delle Brigate Rosse rapì il generale statunitense James Lee Dozier, che fu liberato dopo avere trascorso 42 giorni di prigionia in un appartamento di via Pindemonte. Tre sono le chiese presenti nel quartiere Guizza: la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, inaugurata il 23 ottobre 1892; la chiesa dei Santi Angeli Custodi, inaugurata il 31 agosto 1957 e Santa Teresa del Bambino Gesù, inaugurata il 1 ottobre 1973. Come in tutta la città la religione più diffusa è quella cattolica. Il IX Istituto Comprensivo "Ricci Curbastro" comprende: Scuola primaria "Ricci Curbastro" Scuola primaria "Oriani" Scuola secondaria di I grado "Marsilio da Padova" Scuola primaria "E. Cornaro" Scuola dell'Infanzia "L'Aquilone" Dal 25 novembre 2019 è attivo un punto di erogazione del CPIA (Centro Provinciale per l'Istruzione degli Adulti) di Padova presso la ex casa del custode della scuola "Ricci Curbastro": vengono erogati corsi di licenza media e di lingua italiana per adulti. Pier Giovanni Zanetti, Bassanello e Guizza, Padova, La Galiverna, 1987. Pier Giovanni Zanetti, Acque di Padova, Verona, Cierre, 2013. Pier Giovanni Zanetti, Bassanello tra acque e ponti, Padova, La Galiverna, 1986. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Guizza Guizza: quartiere 4 Sud-Est, su padovanet.it. 9° Istituto Comprensivo, su 9icpadova.edu.it. Guizza: Storia, Vita e Prospettive del Quartiere, su mediaspace.unipd.it.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Guizza (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

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Paltana
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Paltana è un sobborgo del comune italiano di Padova. Situato a sudovest del centro storico, il quartiere si incunea tra la riva meridionale del Bacchiglione e quella ovest del canale di Battaglia, sua diramazione. Confina a ovest con Voltabrusegana e a sudovest con Mandria. A est, oltre il canale di Battaglia, si estende il Bassanello. Come suggerisce il toponimo (dal veneto paltàn "pantano"), Paltana era in origine una località paludosa influenzata dalle piene del Bacchiglione. Solo alla fine dell'Ottocento importanti lavori di bonifica rafforzarono le rive del fiume e resero il territorio coltivabile, favorendone il popolamento da parte di famiglie contadine ma anche di borghesi, come ancora dimostra la presenza di ville di stile eclettico. Nel secondo dopoguerra avvenne una nuova crescita urbanistica del quartiere, che vide tra l'altro la costruzione della chiesa parrocchiale e della piscina olimpionica. La parrocchia di San Giovanni Bosco è stata istituita nel 1957, ricavandone il territorio dalla preesistente parrocchia di Mandria (porzioni più piccole derivarono da Voltabrusegana e dal Bassanello). Inizialmente la si voleva intitolare allo Spirito Santo, ma l'allora vescovo Girolamo Bortignon, sapendo che i Salesiani desideravano aprire una loro opera a Padova, la affidò a questi dedicandola a don Bosco. La Parrocchia è stata guidata dai Salesiani fino al 29 Agosto 2021, e successivamente è tornata sotto la guida della Diocesi di Padova, che ha anche acquisito dai Salesiani la proprietà dell'Oratorio (patronato) e delle aree esterne attigue. La chiesa, invece, venne costruita a partire dal 1956 su un terreno donato da Ester Pasqualigo vedova Baccaglini. Venne benedetta il 31 ottobre 1957, ma i lavori proseguirono sino alla consacrazione dell'8 giugno 1963, ad opera del vescovo Bortignon e alla presenza del rettor maggiore dei Salesiani, Renato Ziggiotti. Nella controfacciata è esposta una tela del XVI secolo attribuita a Domenico Campagnola che raffigura la Madonna col Bambino e i santi Giovannino, Antonio abate e Caterina d'Alessandria; l'opera proveniva dall'oratorio della Beatissima Vergine di via Armistizio, annesso alla demolita villa Lion. Degni di nota anche una statua in legno del patrono, realizzata da Giacomo Vincenzo Mussner e donata nel 1969 dagli ex allievi del vicino collegio, e il paliotto d'altare a bassorilievo, di Luigi Strazzabosco. La presenza dei Salesiani nel quartiere Paltana non è terminata, proseguendo l'attività delle altre due opere attive ed inserite nel tessuto connettivo del quartiere e della città: il Collegio Universitario Don Bosco (convitto) ed il Piccolo Teatro (Piccolo Teatro Don Bosco).

Porta Santa Croce (Padova)
Porta Santa Croce (Padova)

Porta Santa Croce è una delle principali porte d'accesso delle mura cinquecentesche di Padova. La porta attuale prese il posto di quella fatta costruire dai Carraresi e fu iniziata subito dopo l'assedio di Padova (1509), avvenuto nell'ambito della guerra di Venezia contro la Lega di Cambrai. Il nome Porta Santa Croce e la sua collocazione, nell’area sud del tracciato delle mura di Padova, risalgono al periodo Carrarese, quando Francesco III, detto "Il Vecchio", fece erigere nel 1372 degli spalti di terra a protezione dei borghi a sud ed a est della città, in particolare per i borghi di Santa Croce e Ognissanti. Per la realizzazione di queste opere di difesa lavorarono tutti i cittadini. Tra il 1374 e il 1377 le fortificazioni vennero completate interamente in muratura. La realizzazione di porta Santa Croce prevista nell'ampliamento della cinta meridionale da parte di Francesco III, non corrisponde alla collocazione della porta attuale: poiché il tracciato della terza cerchia muraria seguiva l'andamento sinuoso del Bacchiglione (il fiume vecchio oggi non più visibile), la porta di allora risultava più arretrata rispetto a quella attuale. Inoltre dalla cartografia quattrocentesca sappiamo che era l'unica porta prevista nell'espansione meridionale. Essa era caratterizzata da una torre ottagonale e recintata da una cinta quadrangolare forse divisa in due parti. La torre rimase presente ed isolata, ma venne demolita in parte nel 1737-1740 per fornire materiale per la ricostruzione della chiesa, infine venne interamente abbattuta nel 1787. Secondo gli studiosi è possibile che essa testimoni la presenza di apparati difensivi antecedenti l'ampliamento di Francesco III e risalenti al tempo in cui si erigevano torri isolate per la difesa dei territori limitrofi. Scavi archeologici del 1982 potrebbero aver individuato le fondazioni dell'antica porta ma necessitano di approfondimenti. Dopo la resa di Francesco III Padova venne presa dai veneziani e nel 1509 la Repubblica di Venezia ebbe la necessità di difendersi dagli attacchi da parte della Lega dei Cambrai. In questa occasione la città si preparò all'assedio: le mura medioevali vennero abbassate e rinforzate all'interno da terrapieni, così da assorbire al meglio i colpi dell'artiglieria. Dove le mura era più esposte vennero eretti bastioni provvisori in terra e palizzate lignee per appostarvi le artiglierie e proteggere le mura, inoltre vennero scavati nuovi fossati sia all'interno che all'esterno della cinta e iniziò l'opera del guasto, che negli anni successivi giunse alla profondità di un miglio, per la quale vennero abbattuti tutti gli edifici e gli alberi ad alto fusto attorno alla città con lo scopo di avvistare meglio i nemici. Dopo i lavori a rafforzamento della cinta, seguirono altri assedi. A marzo del 1517 viene pubblicata la relazione di Andrea Gritti, che tracciava un programma complessivo di organizzazione militare di difesa dello Stato. Esso comprendeva una serie di interventi concentrati a Padova, proposti da Fra Giocondo, con il fine di rispondere nell'immediatezza alle urgenze belliche. Il nuovo sistema bastionato o Rinascimentale era composto da diverse elementi: ponti, mura, torrioni, bastioni e porte. E' proprio in questa occasione che venne realizzata l'attuale Porta Santa Croce. Il tema degli accessi urbani, ovvero delle porte era molto dibattuto: si era alla ricerca di un “tipo” capace di soddisfare le necessità difensive e al contempo quelle celebrative. Le porte dovevano essere aggiornate in materia iconografica e di difensiva bellica, per difendere al meglio il Paese e rappresentare la sua forza politica e militate attraverso il linguaggio della magnificenza architettonica: gli accessi dovevano rappresentare uno Stato che si ritenesse sicuro. Lo sviluppo sul tema della porta urbana ebbe diversi interpretazioni lungo il corso del Cinquecento: tra il 1500 e il 1521 venne adottato un “tipo” in grado di fondere la funzione militare a quella di rappresentazione della magnificenza della Repubblica di Venezia. Gli accessi dovevano svolgere più funzioni, erano luoghi di transito, di controllo, di chiusura e apertura tra interno ed esterno, esplicitavano simboli dal contenuto politico e sacrale. Erano la facciata della città, l’immagine dell’istituzione politica e facevano da sfondo a feste, cerimonie e manifestazioni. Gli ingegneri militari ritenevano le porte come una falla nel sistema difensivo, mentre gli architetti e gli umanisti le consideravano un completamento di quest’ultimo, in quanto veicolo di celebrazione della sicurezza statale, mediante la trasmissione di messaggi simbolici, attraverso i linguaggi dell’architettura. Durante il XVI secolo molti architetti si espressero sul tema delle porte, tra i quali, Sebastiano Serlio il quale ne considerava la mera funzione architettonica e Francesco Maria della Rovere, che invece considerava la loro duplice funzione. I cambiamenti tecnici in ambito militare, comportarono la modifica della forma architettonica delle porte. La prima tipologia prevedeva una porta di forma cubica, connessa alla cortina ma autonoma. Questa tipologia richiamava ancora la porta medioevale, ed è secondo queste forme che venne progettata porta Liviana, precedente a porta Santa Croce. Lo schema applicato per porta Santa Croce, da Sebastiano Mariani da Lugano deriva dal motivo trionfale. Le porte realizzate successivamente a Santa Croce, presentano via via un apparato architettonico più ricco ed elaborato, segno dell’evoluzione e dell’elaborazione del tema degli accessi urbani. Il baluardo adiacente, venne realizzato nel 1554. Dal 1797, con la caduta della Repubblica Veneta da parte dell'esercito di Bonaparte, iniziò il periodo di obsolescenza delle mura. Tra il 1813 e il 1866 con l'occupazione austriaca la muraglia, ormai utile alla sola difesa rimase inalterata. Con l'annessione di Padova al Regno d'Italia venne proposto un intervento della cortina a sud, la quale avrebbe accolto l'entrata del Re Vittorio Emmanuele II. Egli vi transitò il 1° agosto 1866, come riporta l'iscrizione nella facciata a sud della porta. Il programma del 1517 proposto da Andrea Gritti portò alla modifica e all'interruzione di numerosi assi viari, alcuni dei quali vennero riaperti a fine 1800; in particolare nel fronte sud di Porta Santa Croce vennero riaperte due brecce. Nel 1882 il Comune di Padova acquisterà dal demanio dello Stato la quasi totalità delle mura cittadine: all'atto di acquisto è allegata una planimetria catastale 1:100, lunga più di 13m. Nel 1900 le porte svolgevano la funzione di barriere daziali. La barriera a porta Santa Croce era attiva dalla prima guerra mondiale. Negli stessi anni la rete stradale esterna venne adeguata e parte dei fossati venne interrata per consentire la costruzione della rete ferroviaria. La porta sarà in seguito impiegata come cabina di trasformazione per la rete elettrica dell'illuminazione pubblica. Agli inizi del 1900, il bastione adiacente a Porta Santa Croce ospitò la Scuola all'Aperto Camillo Aita. Porta Santa Croce è collocata volontariamente fuori asse rispetto all’omonimo borgo e interrompe la cortina rettilinea compresa tra i torrioni dell’Alicorno e di Santa Giustina. Venne costruita poco dopo porta Liviana ma a differenza di quest’ultima ha un assetto meno monumentale anche se entrambe sono attribuite a Sebastiano Mariani da Lugano. Nel prospetto è visibile uno schema che riporta al motivo dell’arco trionfale romano realizzato in pietra d’Istria e tripartito da lesene di ordine corinzio composito. Lateralmente l'arco è delimitato da lesene ioniche in trachite, che fungono anche da rinforzi angolari dell'edificio, mentre in alto è definito da un cornicione. Sopra a quest'ultimo è visibile il parapetto della terrazza, che in un secondo tempo venne coperta dal tetto, dal quale si aprono due troniere strombate verso la campagna, e un'unica grande apertura centrale nella facciata rivolta verso la città. Il varco centrale presenta un archivolto continuo senza interruzioni tra stipiti e arco, mentre i due portali laterali entrambi murari sono sormontati da timpani, in particolare il portale a sinistra era la postierla pedonale, come si può dedurre dalla presenza di una gola per la catena del ponte levatoio. Nel fronte, al centro dell'architrave, sono incisi il nome del capitano Giuliano Gradenigo con data 1517 e nel fregio è presente l'intitolazione "Sancte Crucis". In sostituzione al leone abbattuto dai francesi, ora si trova un'iscrizione in memoria dell’ingresso a Padova di Vittorio Emanuele II nel 1866, al quale venne attribuita la porta durante il regno. Le due finestrelle cieche collocate ai lati dell’incisione dovevano ospitare delle sculture o le insegne dei rettori. L'impostazione dei due prospetti è molto simile tra di loro, infatti differiscono solo per la presenza di lapidi, incisioni, targhe e trofei in onore della Signoria, collocati nel prospetto verso la campagna con lo scopo di rappresentazione verso il mondo esterno. Nella facciata rivolta verso la città l’unica iscrizione presente è "Sancte Crucis" e in sostituzione alle finestrelle, sono presenti due nicchie con le statue di San Prosdocimo e San Girolamo. L'impianto di Porta Santa Croce è quadrangolare e presenta un ampio vano interno voltato a botte. Nelle pareti interne sono presenti degli affreschi che ritraggono i quattro santi protettori di Padova: Antonio, Giustina, Daniele e Prosdocimo. Al centro della parete ovest, opposta rispetto agli affreschi, è presente un’iscrizione che rimanda alla realizzazione della porta Santa Croce per decreto del Senato nel 1516 e inexpugnabilis redditta per opera del podestà Ercolano Donato, del capitano Girolamo Pisani e del provveditore Pietro Venier. Una porta nella nella parete più a est dà su una scala che conduce al piano superiore. Il ponte di Porta Santa Croce è il più lungo del fronte bastionato grazie alla vicinanza con il baluardo che permette una maggiore larghezza della fossa. Il ponte ora è per lo più interrato ma è comunque possibile distinguere tre grandi arcate con diversa curvatura e se ne può intravedere una quarta oltre a quella che ha rimpiazzato il ponte levatoio nell’Ottocento. Sotto alla prima arcata visibile passano le acque del canale Alicorno. I materiale utilizzati per la costruzione della cortina del 1500 sono materiali di ripiego e riutilizzo: Bartolomeo D'Aviano utilizzò per l'espansione della cortina che va da Pontecorvo fino a Santa Croce, le pietre della cinta medioevale più interna, che venne demolita assieme alla torre in Prato della Valle nel 1515. I mattoni utilizzati vennero realizzati dalle fornaci dei borghi vicini: da alcune fonti risulta che per soddisfare la richiesta vennero costruite fornaci anche in loco che però vennero fatte demolire dopo il comunicato del 1558 di Tommaso Contarini. Anche la calce proveniva dai borghi vicini, di questa si hanno numerosi fonti che riportano lamentele per la scarsa qualità. La trachite utilizzata per le fondazioni e per i punti più deboli del manufatto proviene dalle cave del monte Lipsi. Stemmi ed insegne come quella del leone di San Marco vennero invece realizzati in pietra d'Istria. Per le fondazioni che si trovavano in prossimità della presenza di acqua, venne utilizzato legname di rovere e di larice, provenienti dai punti di raccolta garantiti da Venezia e dal comune di Cervarese. Giuliana Mazzi, Adriano Verdi e Vittorio Dal Piaz, Le mura di Padova, Percorso storico-architettonico, Il Poligrafo, ISBN 88-7115-135-6. Ugo Fadini (a cura di), Mura di Padova: guida al sistema bastionato rinascimentale, collana Le guide, in Edibus, 2013, ISBN 978-88-97221-13-5. Stefano Zaggia, Parte II: Loredan e l'Architettura, Capitolo I, in Donatella Calabi, Giuseppe Gullino e Gherardo Ortalli, Come la marea, Successi e sconfitte durante il dogado di Leonardo Loredan (1501-1521), Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2023, pp. 45-66, ISBN 978-88-92990-16-6. Adriano Verdi, Le mura ritrovate: fortificazioni di Padova in età comunale e carrarese, Seconda edizione, Panda, 1989, p. 133. Ugo Fadini, Mura medievali di Padova: guida alla scoperta delle difese comunali e carraresi, In edibus, 2017, ISBN 9788897221494. Angelo Portenari, Della felicità di Padova, A. Forni, 1973. Elio Franzin, Angiolo Lenci e Lionello Puppi, Padova e le sue mura, collana Signum guide, Signum, 1982. Mura di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta Santa Croce Sito dell'associazione "Comitato Mura di Padova", su muradipadova.it.

Santuario di San Leopoldo Mandic
Santuario di San Leopoldo Mandic

La chiesa della Trasfigurazione oggi conosciuta più come Santuario di San Leopoldo Mandic, è un edificio religioso di origine cinquecentesca che si innalza in contrà Santa Croce a Padova. Fu fondata come chiesa conventuale nel XVI secolo da una comunità di Frati Cappuccini che ancora la reggono. Quasi completamente distrutta durante la seconda guerra mondiale, fu in seguito ricostruita. L'interno è ricco di interessanti tele del Cinque e Seicento. È meta di un costante flusso di pellegrini che si recano in visita alla tomba di san Leopoldo Mandic, collocata in un locale attiguo alla chiesa, presso la stanzetta dove il santo confessava. L'edificio sacro è recente, in quanto fu interamente ricostruito dopo la devastazione causata dal bombardamento aereo alleato del 14 maggio 1944, ma la presenza dei frati in città data da oltre 500 anni. I cappuccini giunsero a Padova nel 1537, insediandosi inizialmente alle porte della città. Dopo vari tentativi di trovare una sede in città, riuscirono ad installarsi nel 1554 nel borgo di Santa Croce, nel luogo in cui le monache di Sant'Agata e Santa Cecilia avevano una grande casa con edifici annessi e un grande orto. La realizzazione del convento avvenne in più tempi: la prima chiesa, realizzata nel 1581, era già stata distrutta nel 1811 e in seguito riedificata (1824-1825). L’attuale è opera dell’architetto Giovanni Morassutti e fu consacrata nel 1950. Lo stile è quello tipico delle chiese francescane. L'aula liturgica, composta da un'unica navata arricchita da alcuni altari laterali, conduce all'ampio presbiterio, al centro del quale, dietro l'altare comunitario, si staglia un grande ed artistico crocifisso ligneo, opera di Luigi Strazzabosco (1895-1980). Sullo sfondo del coro prende posto un maestoso organo: costruito nel 1989 dall'artigiano Gastone Leorin, restaurato ed ampliato nel 2019 su progetto del maestro organista Alberto Sabatini, è dotato di un magniloquente prospetto scenografico e di particolarissimi timbri sonori. Nell'ultimo altare, a sinistra, è conservata la statua della Madonna scampata al bombardamento che, durante la seconda guerra mondiale, distrusse quasi tutto l'edificio sacro precedente l'attuale. Valorizzano ulteriormente la Chiesa alcune pregiate tele: tra tutte vanno ricordate la Trasfigurazione di Gesù, di Dario Varotari (XVII sec.), la Gloria di San Leopoldo, con la B. V. Maria e gli Angeli, di G.B. Tiozzo (XX sec.), e L'incoronazione della Vergine (XVI sec.). Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su santuario di San Leopoldo Mandic Sito internet del santuario di S. Leopoldo Mandic a Padova, su leopoldomandic.it. Pagina Facebook del santuario di S. Leopoldo Mandic a Padova, su facebook.com.

Chiesa di Santa Croce (Padova)
Chiesa di Santa Croce (Padova)

La chiesa di Santa Croce è un edificio religioso settecentesco che sorge nel Borgo di Santa Croce, zona meridionale di Padova contenuta dalle mura cinquecentesche. È l'unica chiesa di Padova in stile rococò. Accanto all'edificio sorge la Scuola del Redentore. Sorta su precedenti edifici, tra l'oratorio del lebbrosario di Santa Croce (1181) e la precedente chiesa officiata dai Somaschi dal 1606. L'attuale edificio fu principiato il 31 luglio 1737 (posa della prima pietra) su progetto di Francesco Vecellio padre somasco (Preposito Generale, letterato ed architetto) e consacrato il 9 giugno 1749 dal Cardinal Carlo Rezzonico. Sino alle soppressioni napoleoniche è appartenuta ai Chierici Regolari di Somasca che alloggiavano nel vicino collegio (ora casa madre delle Suore di San Francesco di Sales). Attualmente è affidata all'omonima parrocchia, gestita dal clero secolare della diocesi di Padova. La facciata pensata come monumentale conclusione della lunga strà di Borgo Santa Croce che parte dal Prato della Valle, è caratterizzata da un importante frontone sostenuto da paraste e semicolonne d'ordine corinzio. Due torricini circolari alleggeriscono l'architettura. La porta maggiore sovrastata da un timpano curvilineo è posta sotto l'iscrizione che ricorda la consacrazione della chiesa. Sopra, un'apertura circolare decorata da volute e da una testina di cherubino. L'architettura si inserisce in quella della tradizione padovana di Girolamo Frigimelica. Il campanile sul fianco della chiesa è novecentesco, costruito tra il 1899 ed il 1907 sull'area dell'antico cimitero, su progetto dell'ing. Giulio Lupati, grazie alle donazioni di alcuni benefattori e dei parrocchiani di s. Croce. Presenta uno stile sobrio ed incline al gusto eclettico del tempo, ed è realizzato in muratura di trachite euganea, rivestita lungo il fusto da un paramento in mattoni pieni, ricoperto da uno strato di intonaco a base cementizia. Il campanile è stato oggetto tra il 2020 ed il 2021 di un accurato restauro conservativo, che ha interessato le superfici esterne, la cella campanaria e il castello campanario stesso, realizzato ex novo. Le decorazioni e le balaustre della cella campanaria nonché quelle sovrastanti sono in pasta cementizia. Nella cella campanaria è presente un concerto di 5 campane a distesa (a slancio), realizzate dalla ditta Daciano Colbachini di Padova, fino al 2020 a suono esclusivamente manuale (caso pressoché unico nella città di Padova), e dopo il citato restauro elettrificate da una ditta di Legnaro. Grazie al tipo di elettrificazione con motore a induzione magnetica, è stata conservata la possibilità di suono manuale. Sul campanile sono presenti due lapidi a ricordare i vari benefattori. A fianco del campanile, sull'edificio della sacrestia, si trova la lapide commemorativa del giovane Ernesto Rossi, tra i benefattori della torre campanaria, che perse la vita in un incidente motociclistico nel 1906, schiantandosi per amara ironia della sorte proprio ai piedi del campanile quasi ultimato. La luminosa aula è caratterizzata da una elegante parata decorativa su cui si inserisce una serie di aperture a finta fenestratura balconata, pensate probabilmente come cantorie ma con evidenti fini estetici. Il presbiterio con abside semicircolare è arricchito da imponenti semi colonne. Il soffitto della chiesa è decorato da lacunari, stucchi e dorature. I Chierici Somaschi affidarono la decorazione del soffitto (esaltazione della Croce) e della cupola ovoidale del presbiterio al veneziano Nicolò Baldassini, mentre il ciclo di tele (altari laterali e abside) fu commissionato a Giambattista Mariotti. La posizione delle tele fu alterata con l'arrivo agli inizi dell'800 della Salus Populi Patavini, veneratissima statua lignea seicentesca della Madonna della Salute, proveniente dall'omonimo oratorio e legata alle pestilenze che nel XVII secolo colpirono la città. Sul primo altare alla destra, dall'ingresso vi è la tela del Mariotti con San Giovanni Nepomuceno, San Francesco di Paola e Sant'Antonio, l'unica posta nella posizione originaria. Nel seguente altare, la Salus Populi Patavini nella posizione della Sacra famiglia del Mariotti, tela dispersa. L'altare maggiore, decorato da una grande varietà di marmi policromi, è alleggerito da due angeli oranti di Antonio Bonazza. Sopra, un ricco baldacchino rococò. Sul retro, il coro ligneo sovrastato da Sant'Elena adora la Santa Croce del Mariotti. Sul primo altare sulla sinistra dall'ingresso, è posta la tela con San Gerolamo Emiliani collocata originariamente sul secondo altare (al posto del Sacro Cuore novecentesco) in sostituzione de L'Angelo custode, posto in controfacciata. Ai lati del catino absidale, all'interno degli antichi matronei chiusi da finestre serliane, è collocato l'organo a canne. Costruito tra gennaio e maggio del 1952 dalla ditta "Fratelli Ruffatti" di Padova, è stato riqualificato ed ampliato nelle risorse foniche nel 2013 dalla ditta "Leorin Gastone" sulla base di un innovativo progetto predisposto dal maestro Alberto Sabatini, organista della Pontificia Basilica di Sant'Antonio a Padova. Oggi lo strumento, dotato di due tastiere, pedaliera e trasmissione elettronica, dispone di 31 registi sonori. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova MDCCLXXX Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice Alberto Sabatini, L'organo della Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Padova e il suo ripristino, Arcari editore AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori AA.VV., Padova, Medoacus Archivio parrocchiale di s. Croce Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Santa Croce a Padova Sito della parrocchia, su santacrocepd.it.

Scuola del Redentore

La Scuola del Redentore o Oratorio del Redentore è un edificio di origine medievale che si innalza -annesso alla settecentesca chiesa di Santa Croce- nel Borgo Santacroce ora via Vittorio Emanuele a Padova. Era sino al 1810 utilizzato per scopi religiosi, sede della fraglia (confraternita) del Redentore, oggi è pertinenza della parrocchia di Santa Croce. L'edificio fu costruito verso il 1400 e fu affrescato nel corso del secolo successivo, come riportato su una lapide posta sopra il portone d'ingresso. La scuola era la sede della Confraternita del Corpo di Cristo di Santa Croce detta del Redentore, una confraternita religiosa nata verso la fine del XV secolo, come molte altre presenti al tempo nel territorio padovano. Uno degli scopi principali della Confraternita o Fraglia, oltre a dare assistenza spirituale e materiale ai poveri, era la conservazione di un frammento della Vera Croce ritrovata da Sant'Elena contenuta in una preziosa teca gotica, oggi conservata nel tesoro della chiesa di Santa Croce. Dopo il 1810, causa i decreti napoleonici le Confraternite religiose furono abolite e l'edificio fu utilizzato per scopi diversi dalla parrocchia di Santa Croce che ne era intanto divenuta proprietaria. Utilizzato come sala cinematografica durante il Novecento, è stato negli ultimi anni oggetto di restauro. Oggi è ancora pertinente alla parrocchia di Santa Croce. Al suo interno le pareti recano una decorazione ad affresco realizzata da Gerolamo del Santo sul tema dei Misteri della Passione di Cristo chiaramente ispirati dalla presenza in Veneto di Albrecht Dürer. Gli affreschi che raffigurano i Santi protettori sono invece opera precedente di Domenico Campagnola. Interessante la raffigurazione dei quattro Santi protettori di Padova: il San Daniele reca il modellino turrito della città. Dipinti presenti sulla parete orientale: Ultima cena; Cristo davanti al Sinedrio, completamente perduta tranne due pilastri, che ne delimitavano la scena, e tre figure umane; Preghiera nell'orto; Bacio di Giuda, parzialmente danneggiato dopo l'apertura di una finestra nel corso dell'Ottocento; Cristo davanti a Caifa; Sacrificio di Isacco, allusione al sacrificio di Cristo. Dipinti sulla parete meridionale: Santa Giustina e san Prosdocimo, protettori di Padova; Sant'Antonio e san Daniele, protettori di Padova. Dipinti sulla parete occidentale Cristo davanti a Pilato; Cristo incoronato di spine; Cristo cade sotto la croce; Cristo inchiodato alla croce; Crocifissione; Deposizione dalla croce; Deposizione nel sepolcro. Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Chiesa di Santa Croce (Padova) Salvalarte a Padova - un'iniziativa di Legambiente., su salvalarte.legambientepadova.it. Sito della parrocchia di Santa Croce in Padova., su santacrocepd.it. URL consultato il 20 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 27 novembre 2013).

Stadio Silvio Appiani
Stadio Silvio Appiani

Lo stadio "Silvio Appiani" di Padova è un impianto calcistico di Padova situato in zona Prato della Valle. È stato il terreno ufficiale di gioco del Calcio Padova dal 1924 al 1994, anno in cui venne inaugurato il nuovo stadio Euganeo. Lo stadio "Appiani" ha preso il nome in onore del giocatore del Padova Silvio Appiani, morto sul Carso nel 1915 a 21 anni. Il vecchio impianto era conosciuto come la "fossa dei leoni" per la vicinanza al campo da gioco degli spettatori e per il calore che i tifosi trasmettevano alla squadra.. Lo stadio insiste in parte sugli spazi della chiesa della Misericordia ed il suo monastero. Nato il 2 agosto del 1921 per volere del consiglio comunale della Città di Padova, venne inaugurato tre anni dopo, precisamente il 19 ottobre 1924, con la partita Padova-Andrea Doria, vinta dai biancoscudati per 6-1. Nel dicembre 1926, in occasione della partita col Milan, arrivò la prima multa di cinquemila lire inflitta dal Direttorio delle divisioni superiori per il contegno scorrettissimo del pubblico nei confronti dell'arbitro e per l'inerzia dei dirigenti nel frenare le intemperanze del pubblico. Gli stessi tifosi si autotassarono per pagare la multa. Nello stadio si sono disputate diverse partite storiche del Calcio Padova, come la sfida col Grande Torino (20 febbraio 1949, tre mesi prima dalla sciagura di Superga, partita finita 4-4) e la stagione 1957-1958, con il Padova guidato da Nereo Rocco che si classificò 3º in classifica in Serie A, dietro a Juventus e Fiorentina. Il numero massimo di presenze fu raggiunto nel 1983 in occasione della gara di Coppa Italia Padova-Milan, per un totale di 25.346 spettatori. Momento importante nella storia dell'impianto fu l'incontro di rugby che il 22 ottobre 1977 oppose una selezione di giocatori del campionato italiano (il "XV del presidente") agli All Blacks neozelandesi. Tra gli anni settanta e anni ottanta all'Appiani giocò anche la squadra femminile del Gamma 3 Padova. L'Appiani chiuse ufficialmente il 29 maggio 1994 con la partita Padova-Palermo terminata 0-0. Erano passati 73 anni dall'inaugurazione del campo e il Padova sarebbe stato promosso in Serie A al termine della stagione, dopo uno spareggio con il Cesena. L'Appiani è utilizzato per le partite delle squadre giovanili del Padova: inoltre, negli anni 2000 ha ospitato anche alcune partite di società amatoriali o dilettantistiche, come quelle della Polisportiva San Precario, società nata nel 2007, e alcune finali dei campionati provinciali amatoriali CSI (seconda domenica di maggio) e altre manifestazioni sportive. Negli ultimi tempi, la società del Calcio Padova ha deciso di farvi allenare in qualche occasione anche la prima squadra. Il 27 agosto 2012 l'impianto torna ad ospitare una partita di un campionato nazionale, durante il match valevole per il primo turno di Coppa Italia Serie D tra San Paolo Padova e Trissino-Valdagno, terminata 1-2 per il club vicentino. Il 24 marzo 2013 il San Paolo Padova, vi disputa una seconda partita, questa volta valida per la 32ª giornata del campionato di Serie D contro la Virtus Vecomp Verona. La partita si è conclusa sul risultato di 1-0 per la formazione veronese. Nel 2009 è stato deciso, grazie ad un accordo tra l'Assessore allo Sport del Comune di Padova e gli ex calciatori padovani Gastone Zanon e Humberto Rosa, di ristrutturare l'impianto demolendo, inizialmente, parte della Tribuna Est (quella più a ridosso del campo) e sostituendola con una collinetta di terra in cui verranno ricostruiti i gradini, a norma di legge. Sul culmine della collinetta verrà allestita una passerella in cui chiunque potrà transitare per ammirare lo stadio. La nuova capienza dello stadio sarà di circa 2.000 posti. Il 9 febbraio 2015, sono cominciati i lavori di recupero della tribuna ovest. Il risultato finale consisterà in una nuova gradinata con oltre 900 posti a sedere, in cui le seggiole saranno colorate di bianco e di rosso riproducendo il classico scudo crociato biancoscudato. Nella parte alta saranno sistemate delle gigantografie che proporranno foto della storia del Calcio Padova, da Nereo Rocco alla riconquista della Serie A avvenuta a metà degli anni novanta. Il 22 dicembre 2015, le due ditte finanziatrici della ristrutturazione, Interbrau e Sunglass, hanno simbolicamente consegnato al Comune di Padova lo stadio Appiani dopo il primo stralcio di lavori. Sono state ristrutturate la curva sud e la tribuna ovest, quella centrale, che ha visto l'installazione di nuovi seggiolini di colore bianco e rosso e installati 20 grandi pannelli rievocativi della storia dello stadio. Eliminate completamente le barriere tra spalti e campo, sono stati installati dei parapetti in vetro con un piccolo parterre di erba sintetica che separa il terreno di gioco dalla tribuna. È stato previsto anche un secondo stralcio che metta a norma la parte sud della tribuna per arrivare a una capienza di circa 1400 spettatori. Il 16 marzo 2023 infine, è cominciato l’abbattimento della Tribuna Est. Tra Nazionale A, B, Olimpica e Under-21 in questo stadio si sono giocate 11 partite degli azzurri. Le nazionali che ha affrontato l'Italia sono state la Jugoslavia (Nazionale A, Olimpica e Under-21) la Bulgaria con l'Italia B, i Paesi Bassi con l'Olimpica e Croazia, Grecia, Svizzera, URSS, Cecoslovacchia e Portogallo con l'Under-21. La prima si svolse il 4 novembre 1925 l'ultima il 18 novembre 1993 per un totale di nove vittorie e due pareggi. Lo stadio Silvio Appiani è stato sede di un incontro amichevole della nazionale di calcio dell'Italia, disputato il 4 novembre 1925 contro la Jugoslavia e terminato con il punteggio di 2-1 in favore degli Azzurri. Il 20 marzo 1932 l'Italia B giocò contro la Bulgaria A vincendo 4-0. La Nazionale Olimpica giocò in questo stadio 2 volte. La prima fu l'8 giugno 1983 contro la Nazionale Olimpica della Jugoslavia che finì 2-2. La seconda il 13 aprile 1988 contro i Paesi Bassi. La partita fini 3-0 per l'Italia. La Nazionale Under-21 ha giocato in questo stadio per ben 7 volte. La prima volta fu il 6 gennaio 1943 contro la Croazia con il risultato di 0-0. La seconda ebbe luogo il 12 novembre 1981 contro la Grecia che uscì sconfitta per 1-0. La terza invece fu contro la Jugoslavia il 22 aprile 1987 finita anche questa 1-0 per l'Italia. Il 25 ottobre 1989 si giocò la quarta partita contro la Svizzera con il risultato finale di 1-0 per gli azzurrini. Il 12 giugno 1991 l'Italia affrontò l'URSS Under-21 sempre con una vittoria di misura per 1-0. Il sesto incontro svoltosi il 25 marzo 1992 vide l'Italia vittoriosa per 2-0 sulla Cecoslovacchia. Infine l'ultima partita si svolse il 18 novembre 1993 contro il Portogallo, sconfitto per 2-1. Il 13 aprile 2016 l'Italia Under-18 giocò contro la Francia Under-18, perdendo 2-1. Il 3 maggio 1990 in questo stadio si giocò l'amichevole Padova-Uruguay finita 4-1 per l'Uruguay. Gli allenatori erano Mario Colautti per il Padova e Óscar Washington Tabárez per l'Uruguay. L'arbitro era l'italiano Carlo Sguizzato. Il 3 agosto 1991 si disputò all'Appiani l'amichevole Padova-Real Madrid finita 0-2 per i blancos. Gli allenatori erano Bruno Mazzia per il Padova e Radomir Antić per il Real Madrid. L'arbitro era l'italiano Della Pietra. Il 6 luglio 1985 vi si giocò il V Superbowl Italiano, vinto dai Doves Bologna sugli Angels Pesaro per 27 a 11. Il 21 giugno 1989 in questo impianto si è tenuto un concerto di Vasco Rossi. Il 5 luglio 1991 sempre in questo impianto hanno suonato i Litfiba. Vasco Rossi (21 giugno 1989) Litfiba (5 luglio 1991) Inizialmente la capienza era di 9.800 spettatori. Tra il 1929 e 1949, l'Appiani subì alcune modifiche come la costruzione della curva nord e l'ampliamento della gradinata est, che prese il nome di tribuna est. La capienza raggiunse così i 24.000 posti in piedi. La struttura dell'Appiani assomiglia molto a quella degli stadi inglesi, con le tribune a ridosso del campo da gioco. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stadio Silvio Appiani Lo stadio Silvio Appiani su Padovacalcio.it, su padovacalcio.it. URL consultato il 24 gennaio 2013 (archiviato dall'url originale il 27 giugno 2015). Foto dello stadio Silvio Appiani, su stadionbesuch.de. Inaugurato il nuovo Appiani: tribuna a ridosso del campo su mattinopadova.gelocal.it, su mattinopadova.gelocal.it.

Chiesa di Santa Maria delle Grazie (Padova)

La chiesa di Santa Maria delle Grazie è un edificio di culto cinquecentesco situato a Padova in via Luigi Configliachi, vicino all'incrocio con via Cavalletto, tra la zona di Vanzo e l'antico borgo di Santa Croce. Nel 1512 papa Leone X concesse ai frati Domenicani Osservanti della Congregazione Lombarda il permesso di costruire un complesso conventuale dotato di chiesa, chiostri e dormitori in Vanzo, in prossimità di Prato della Valle, in sostituzione del loro insediamento precedente situato nel Bassanello e distrutto a seguito della guerra di Cambrai (1509) e delle demolizioni necessarie per erigere una nuova cerchia muraria a difesa della città. La chiesa fu costruita tra il 1531 e il 1585 su progetto di Lorenzo da Bologna. Venne ampliata in lunghezza di circa 9 metri a partire dalla facciata nel 1710. I lavori, alla cui progettazione partecipò molto probabilmente l'architetto Giovanni Maria Falconetto, procedettero a rilento a causa della costante carenza di risorse economiche. L'opera fu ridimensionata rispetto al disegno originario, in proporzione alla modesta comunità ivi insediata. La congregazione dei Domenicani Osservanti venne soppressa nel 1771; nell'anno seguente il convento passò alle Zitelle povere, in seguito all'Ospedale dei Mendicanti. Venne poi annesso agli Orfanotrofi Riuniti. Del complesso conventuale rimane integra solo la chiesa. Attualmente, la chiesa è di proprietà dell'IPAB S.P.E.S. (Servizi alla Persona Educativi e Sociali). Tra il 2010 e il 2020 ha ospitato i laboratori di restauro dell'Istituto Veneto per i Beni Culturali. A marzo 2021 è stata siglata tra S.P.E.S. e la Fondazione Orchestra di Padova e del Veneto una convenzione che prevedeva la ristrutturazione dell'edificio e la sua trasformazione in una sala prove; tuttavia, il progetto è stato accantonato con la risoluzione consensuale della convenzione nel settembre 2022. La facciata è ripartita da lesene di ordine corinzio; nella zona centrale, sopra il portale di accesso, vi è una finestra ovale decorata con quattro cherubini, più in altro (sull'attico), sostenuta da una mensola una statua in pietra tenera della Madonna con Bimbo. Ai lati della porta di ingresso si trovano due statue pensili in pietra tenera, raffiguranti San Bonaventura e probabilmente papa Clemente XIII. Tutte le sculture provengono dalla bottega dei Bonazza. Affiancato sul lato sinistro della chiesa, un campanile con una cella formata da quattro monofore dotate di timpano arcuato. L'interno, a unica navata, presenta pareti scandita da paraste ioniche e ornate da altari settecenteschi in marmi policromi. In fondo il presbiterio accoglie un coro ligneo e un organo. Una volta a botte ribassata copre la navata. I dipinti posti sugli altari appartengono a mani diverse: la Natività della Vergine attribuita a Dario Varotari (1590), come pure gli altri dipinti realizzati da Pietro Damini, Girolamo Brusaferro e Antonio Marini, tra i secolo XVII e XVIII. Ai lati dell'altare maggiore sono collocate due notevoli statue marmoree di San Domenico e di San Vincenzo Ferreri, scolpite da Giovanni Bonazza. Bresciani Alvarez, Chiesa di S.Maria delle Grazie in Architettura a Padova, a cura di G. Lorenzoni, G. Mazzi, G. Vivianetti, introduzione di L. Puppi, Padova, Il poligrafo, 1999, pp.309-325; C.Gasparotto, Il Convento e la Chiesa di S. Agostino dei Domenicani in Padova, Firenze, Memorie domenicane, 1967, pp.132-133. A. De Marchi, Nuova guida di Padova e i suoi dintorni, Padova, Felice Rossi, 1855, p.101. G. Toffanin, Cento chiese padovane scomparse, Padova, Programma, [1988], pp.102-103. Padova. Basiliche e chiese, a cura di C. Bellinati e L. Puppi Guida di Padova, arte e storia tra via e piazze, a cura di L. Puppi, G. Toffanin, Trieste, 1983. Giovanni Maria Falconetto Monastero di S. Maria delle Grazie, su movio.beniculturali.it. Spes - Servizi alla Persona Educativi e Sociali. Porte aperte all’Oratorio di S. Maria delle Grazie: il restauro come memoria storica, su ecopolis.legambientepadova.it.

Basilica di Santa Giustina
Basilica di Santa Giustina

La Basilica abbaziale di Santa Giustina è un importante luogo di culto cattolico di Padova, situato in Prato della Valle. È monumento nazionale italiano. Prima dell'anno 1000 l'annesso monastero fu luogo di culto da prima dipendenza episcopale e poi affidato ad una comunità di monaci benedettini che ne fecero un'importante abbazia. Nel XV secolo fu sede della grande riforma dell'abate Ludovico Barbo che portò alla fondazione della Congregazione cassinese. Sino alle soppressioni napoleoniche fu una della maggiori abbazie della cristianità e la basilica, ricostruita nel XVI secolo, è tuttora una delle basiliche più grandi del mondo. L'intero complesso è proprietà dello Stato italiano. Al suo interno, oltre alle celebri opere di Paolo Veronese, Sebastiano Ricci, Luca Giordano e della famiglia Corbarelli, si venerano le reliquie insigni dei santi Innocenti, san Luca evangelista, san Mattia apostolo, san Prosdocimo, santa Felicita, san Giuliano, sant'Urio, beato Arnaldo da Limena, san Massimo e della santa titolare, Giustina. Papa Pio X la elevò al rango di basilica minore. Nel VI secolo, il prefetto del pretorio d'Italia ostrogoto Venanzio Opilione costruì sul luogo della tomba di santa Giustina di Padova, martirizzata nel 304, una basilica di raffinate proporzioni affiancata da un oratorio dedicato a san Prosdocimo e da altri ambienti destinati al culto. La Basilica opilionea, che era stata successivamente affiancata da un importante monastero benedettino, crollò in gran parte con il terremoto del 1117. Ricostruita frettolosamente negli anni successivi, incorporando e riutilizzando ciò che restava della precedente costruzione, fu nei secoli seguenti un continuo cantiere, che tra il XIV e il XV secolo si concentrò sul coro, la sacrestia, e la cappella di San Luca. In questo periodo si ricostruì pure in grandiosa maniera il vicino cenobio, con ben quattro chiostri. Fondamentale fu la carismatica presenza dell'abate Ludovico Barbo, che a Santa Giustina fondò la Congregazione cassinese. A partire dal 1501 si principiò una nuova costruzione sul progetto che dom Girolamo da Brescia presentò al Capitolo generale nel 1489. Lo scavo e l'erezione delle fondazioni fu un'impresa grandiosa, perché il terreno era "paludoso pieno di fortumi e d'interne voragini". Abbandonato poi il progetto del da Brescia, su invito di Bartolomeo d'Alviano i monaci affidarono i lavori a Sebastiano da Lugano e poi ad Andrea Briosco. Dalla morte di quest'ultimo la fabbrica passò alla responsabilità prima di Andrea Moroni e poi di Andrea da Valle. L'enorme cantiere, tra angherie e vicissitudini, si protrasse per più di un secolo - a Padova ancora si dice "te si longo come Ɨa fabrica de Santa Giustina" ovvero "sei molto lento". La basilica fu solennemente consacrata il 14 marzo 1606. In seguito alle legislazioni ecclesiastiche napoleoniche l'abbazia fu sequestrata ed i monaci furono allontanati. Più di tre quarti dei beni artistici dei benedettini furono spediti in Francia, altri furono venduti o alienati. La pala di San Luca partì per Brera. La basilica rimase inofficiata per due anni, dal 1810 al 1812, sino a quando il vescovo Francesco Scipione Dondi dall'Orologio, per scongiurarne la demolizione, la elesse parrocchia gestita da sacerdoti secolari. Il vicino monastero divenne ospedale militare e poi caserma. All'inizio del Novecento si accesero movimenti di valorizzazione del complesso come importante centro spirituale: nel 1909 l'edificio fu elevato a basilica minore da papa Pio X e nello stesso anno fu incoronata solennemente l'icona della Madonna Costantinopolitana. Nel 1919 alcuni monaci dell'Abbazia di Praglia si prestarono a ricostituire l'Abbazia su approvazione di papa Benedetto XV. I monaci ottennero il permesso dal Governo italiano di officiare la basilica, ma solo nel 1923 riuscirono a rioccupare parte del vecchio monastero. Nel 1943 la nuova comunità benedettina elesse, dopo più di un secolo, il suo abate. Nel 1948 il demanio concesse l'uso di altri spazi ai monaci, che avviarono una grande campagna di ripristino e restauro. L'intero enorme complesso è di proprietà statale e su buona parte del monastero insiste ancora l'Esercito Italiano, situazione che grava sulla conservazione delle strutture, degrado che coinvolge anche le strutture della basilica, colpite dalle scosse del terremoto del 2012. L'edificio si innalza su una pianta a croce latina che si estende da levante a ponente. Con i suoi 118,5 m di lunghezza e 82 m di larghezza, nella crociera, la basilica di Santa Giustina è una delle più grandi della cristianità. Nona nel mondo, settima in Italia, per lunghezza dopo San Giovanni in Laterano, era la chiesa più grande dello Stato della Serenissima Repubblica. L'imponenza dell'edificio si misura con il grandioso invaso del Prato della Valle, su cui si affaccia. Sorte nell'ordine composito, le tre principali cappelle, che sono il presbiterio col coro, e le due dei santi Luca e Mattia che formano il transetto della basilica, concludono entrambe a semicircolo e sono affiancate da due cappelle ciascuna concluse sempre con abside semicircolare. Lungo le navate, si aprono dodici cappelle minori a pianta quadra, sei per parte. I 26 grandiosi pilastri sostengono la copertura a cupole prive di tamburo, volte a botte e la complessità della crociera illuminata da otto cupole coperte a piombo: quella centrale, con la lanterna, è alta quasi 70 m ed è sovrastata dalla statua di rame, rivolta alla città, raffigurante Santa Giustina, alta circa 5 m. Le quattro cupole circondanti la centrale presentano anch'esse sulla propria sommità statue metalliche di vari santi: Prosdocimo, Benedetto, Daniele e il beato Arnaldo. Gli otto semicatini della crociera e i tre catini sul soffitto della navata centrale, senza però provocare cupole all'esterno del tetto, che resta a capanna, furono eretti su suggerimento di Vincenzo Scamozzi verso il 1605 per rendere perfetta l'acustica dell'edificio. E queste ultime tre calotte interne presentano un'altezza diversa fra loro e digradante mano a mano che ci si allontana dall'altar maggiore in direzione della controfacciata. Il pavimento della basilica fu gettato tra il 1608 e il 1615 su disegno geometrico, con marmo giallo, blu e rosso in una resa di effetto straordinario e caleidoscopico. Vi sono pure molti brani di marmo greco, proveniente dalla basilica opilionea. La facciata, incompiuta, si innalza su un crepidoma che porta ai tre portali chiusi da moderni battenti bronzei. Sulle ruvide pareti si aprono un grande rosone ed alcune più piccole aperture, più quattro nicchie vuote su cui sono state collocate, in occasione del Giubileo del 2000, altorilievi raffiguranti gli Evangelisti, secondo l'antichissima iconografia del tetramorfo. Per la facciata in passato erano state proposte più soluzioni di compimento: le ultime furono quelle di Giuseppe Jappelli. Disposti a destra e sinistra in modo simmetrico a precedere la facciata, due grandi grifi stilofori di età romanica, già parte della vecchia facciata della basilica. L'imponente fiancata esterna, rivolta a nord, mostra la complessità dell'edificio: le navate, le finestre termali, i grandi rosoni l'intervallarsi del cotto alla pietra bianca. Il presbiterio, elevato dal livello di calpestio del resto dell'edificio, è accessibile da una scalinata monumentale. Sotto si apre una ampia cripta, ora adibita a cappella invernale. Le preziose balaustre sono opera di Francesco Contini (1630). Ai lati, in alto, entro nicchie, due busti che raffigurano idealmente i due patrizi romani Vitaliano (a destra) e Opilione (a sinistra) preziose opere di Giovanni Francesco de Surdis del 1561. L'altare maggiore, elevato solennemente su scalini, ha i vari prospetti decorati a "rimesso di paragone" o "alla fiorentina" ovvero sottili tarsie marmoree su cui si inseriscono ampi brani di madreperla, coralli, lapislazzuli, corniola, perle, ed altri preziosi. Il finissimo lavoro fu compiuto tra il 1637 ed il 1643 dal Pietro Paolo Corbarelli su disegno di Giovan Battista Nigetti, fratello del più famoso Matteo Nigetti. Il 7 ottobre 1627 con gran pompa, venne inserito sotto la mensa dell'altare il corpo di santa Giustina. Le guide settecentesche ricordano come nelle solennità sull'altare erano esposte due grandi statue d'argento raffiguranti i santi Prosdocimo e Giustina con basamenti su cui erano raffigurate le principali azioni delle vite loro in minutissimi rilievi. Queste opere furono probabilmente disperse e distrutte durante l'invasione napoleonica. Nel 1953 si pose accanto all'altare il portacero pasquale lavoro di Arrigo Minerbi e di Piero Brolis. Ai lati dell'altare, in alto a cornu epistulae e a cornu evangelii, due grandiose casse d'organo e cantorie in stile manierista composte da legno dorato e policromo, decorate da statue e sontuose grottesche e cariatidi (vi sono agli apici san Prosdocimo e san Massimo), opere concluse entro il 1653 su progetto di Ambrogio Dusi, pensate a bilanciamento della grandiosa macchina in stile corinzio che giganteggia sul fondo dell'abside, opera di Giovanni Manetti compiuta probabilmente su disegno di Michele Sanmicheli. In pietra e legno dorati, fu costruita nel 1576 per ospitare la pala di Paolo Veronese raffigurante il martirio di santa Giustina (1572): olio su tela, uno dei più complessi lavori dell'artista; ricca di figure che affollano il martirio della santa, su cui irrompe Cristo in gloria circondata da una gran turba angelica. L'opera è caratterizzata dal raffinato contrasto tra le figure dei carnefici adombrati e quella della martire, colpita dalla luce proveniente da Cristo. L'impostazione prospettica dell'opera, la disposizione dei personaggi e dell'imponente architettura che viene accennata sulla parte destra, lasciano spazio alla raffigurazione della basilica del Santo. Lungo le pareti all'interno di arcate cieche, sono incassate quattro mezzelune dipinte da Giovanni Francesco Cassana (Apparizione dei tre angeli ad Abramo, Il castigo di Nabab ed Abiud) e da Pietro Ricchi (La lotta di Giacobbe e La morte di Sisara). Tra le tele, entro nicchie statue marmoree raffiguranti Sansone e Davide. Il monumentale coro ligneo in noce è uno dei più proficui esempi dell'ebanisteria cinquecentesca: compiuto a partire dal 1555 in stile corinzio dall'artista francese Richard Taurigny di Rouen sotto la direzione dell'abate Eutichio Cordes è caratterizzato da ottantotto stalli intagliati ad alto e bassorilievo con i fatti dell'Antico Testamento e con le azioni di Cristo, mentre i due sedili liturgici a tre posti ciascuno posti sotto gli organi raffigurano scene delle vite dei santi Pietro e Paolo. Compiuto in una ventina d'anni, secondo il Rossetti, le raffigurazioni che accompagnano ogni scanno furono tratte da disegni di Domenico Campagnola. Il grande cassone dei libri corali posto al centro del coro è sempre opera di Richard Taurigny. Gli altorilievi che lo nobilitano raffigurano episodi della vita di santa Giustina, rappresentata a tutto tondo sulla cima del leggio rotante. L'architettura inferiore della cappella è ricoperta ed impreziosita cromaticamente da diversi marmi, mentre la volta è affrescata con la splendida raffigurazione de Angeli ed Apostoli adorano il Santissimo Sacramento, riuscito lavoro di Sebastiano Ricci compiuto verso il 1700 e caratterizzato dall'uso del trompe-l'œil. Il catino è occupato dalla raffigurazione del Padre Eterno, preceduto dagli Apostoli, raffigurati come se posti sulla sommità delle pareti della cappella, tendenti ed adoranti verso il Santissimo Sacramento portato in trionfo da una turba angelica. L'altare è opera compiuta a più riprese dagli anni '40 del Seicento su progetto di Lorenzo Bedogni poi decorato da Pietro Paolo Corbarelli, e dai figli Simone, Antonio e Francesco verso il 1656. Fu concluso nel 1674 ad opera di Giuseppe Sardi e di Giusto Le Court che plasmò i due straordinari angeli adoranti mentre le statue in bronzo sul tabernacolo sono fusione di Carlo Trabucco (1697). Le altre opere scultoree sono di Michele Fabris e Alessandro Tremignon. Prima di ospitare il Santissimo Sacramento, la cappella era occupata dall'altare contenente le reliquie dei Santi Innocenti. Il grande altare fu compiuto entro il 1681, quando Bernardo Falcone consegnò il gruppo di angeli e la statua posta sopra l'urna che accoglie le reliquie del beato Arnaldo da Limena. I santi Pietro e Paolo, sono lavori di Orazio Marinali e Michele Fabris. Il paliotto a rimesso fiorentino è lavoro dei Corbarelli. Il grande spazio, che soffre degli adattamenti liturgici attuati negli anni del Concilio Vaticano II, ruota attorno all'arca che ospita le reliquie di san Luca Evangelista, stupenda opera di scuola pisano-veneta del 1313, commissionata dall'abate Gualpertino Mussato e qui trasportata dalla vecchia cappella gotica nel 1562: l'arca è composta in marmo serpentino e marmo veronese ed è arricchita da otto riquadri in alabastro scolpiti ad altorilievo raffiguranti angeli e simbologie legate al santo, pure raffigurato intento alla scrittura. Il tutto poggia su due colonne di granito e due colonne tortili d'alabastro mentre al centro è posto un sostegno in marmo greco, raffigurante angeli che come cariatidi, supportano l'arca. L'altare, ora spostato, ma un tempo poggiante verso l'arca, è del XVI secolo. Tutto intorno percorre un moderno e discutibile coro ligneo. In alto è posta una copia cinquecentesca - attribuita ad Alessandro Bonvicino - della Madonna costantinopolitana o Salus Populi Patavini incorniciata e sostenuta da angeli in bronzo di Amleto Sartori, lavori del 1960-1961. L'icona originale bizantina, secondo la tradizione dipinta da san Luca e portata a Padova al salvo dalla furia iconoclasta di Costantinopoli, si trova oggi all'interno di una teca, nel monastero. Sull'ampia parete di destra è posto il grande telero di Antonio Balestra, opera del 1718 raffigurante il martirio dei Santi Cosma e Damiano mentre dirimpetto, sulla parete sinistra, grandiosa Strage degli Innocenti di Sebastiano Galvano, opera firmata e collocabile alla metà del Cinquecento, proveniente dalla chiesa di San Benedetto Novello. La cappella ospita il monumentale altare di Alessandro Termignon sovrastato dall'urna contenente le spoglie di santa Felicita monaca, rinvenute nel 1502 nel sacello di san Prosdocimo. L'opera scultorea è in parte di Orazio Marinali e gioca sulle cromie del marmo bianco e del marmo rosso di Francia. La statua raffigurante la Santa orante è posta sopra l'urna, mentre ai lati stanno due angeli ed i santi Marco e Simone. Il prospetto della mensa è raffinatissimo ed è decorato a rimesso dai Corbarelli: tra fontane, giardini e siepi spicca la raffigurazione della incompiuta facciata della basilica. L'altare progettato da Alessandro Termignon conserva il corpo di san Giuliano Martire. Giovanni Comin (1680) ha plasmato la statua del Santo, posta a capo dell'urna. Il resto delle decorazione scultorea, tra cui le belle statue dei santi Andrea e Matteo, appartiene a Bernardo Falcone. Sulla complessa ancona dell'altare, dall'architettura barocca giocata sulle cromie del marmo bianco e nero di Genova, sta la pala raffigurante San Mauro abate invocato dagli infermi (1673) di Valentin Lefebvre. Il prospetto della mensa è tutto decorato con marmo verde, marmi di Genova, marmo rosso di Francia. Analogo all'altare di san Mauro, l'ancona ospita la bella pala di Luca Giordano Il martirio di san Placido e dei suoi compagni, del 1676. L'architettura e la decorazione a commesso è di Pietro Paolo Corbarelli. L'architettura dell'altare di Alessandro Termignon è caratterizzata dall'uso del marmo rosso di Francia e del marmo di Carrara, colori della città di Padova di cui san Daniele è protettore; la pala (1677) di Antonio Zanchi ne raffigura il martirio. Il paliotto è lavoro dei Corbarelli. Lo splendido altare con architettura innalzata con marmo verde d'Africa e bianco di Carrara ospita la pala di Sebastiano Ricci San Gregorio Papa invoca la Vergine per la cessazione della peste a Roma: splendida tela compiuta all'inizio del Settecento è caratterizzata dal sontuoso cromatismo "trattata dall'autore con la sua solita freschezza, e con grande spirito". Il lavoro del Ricci sostituì una precedente tela di Carlo Cignani che "andò a male". L'altare composto da marmo greco mostra la pala di Carlo Caliari Il martirio di san Giacomo Minore. Il prospetto della mensa è decorato con marmi a paragone alla maniera dei Corbarelli. La cappella è il capolavoro di Filippo Parodi che la compì entro il 1689. L'artista genovese si occupò del progetto architettonico, decorativo e scultoreo, definendo così uno spazio carico di pathos, che ruota attorno allo straordinario gruppo scultoreo della Pietà. Tutta l'architettura della cappella è elegantemente ricoperta di marmi a contrasto con la volta, adornata da una turba angelica plasmata a stucco. Al centro sta l'altare, la cui severa mensa in marmo bianco di Carrara e bronzo - ad evocare i sepolcreti d'età classica - è attorniata da una bassa ancona su cui è posta la Pietà e distaccate, ma dialoganti, due statue raffiguranti san Giovanni e la Maddalena. La rigidità dell'architettura contrasta con il movimento del gruppo sull'altare pensato come un Golgota colpito da una folata di vento. La Vergine scopre il corpo del Cristo morto tra un virtuosismo dei panneggi reso in maniera magistrale dal Parodi. Un putto mostra gli strumenti della Passione. San Giovanni dialoga con lo spettatore mostrando con gesto maestoso la tragica scena, mentre la Maddalena contempla rapita la magnifica mano perforata di Gesù. Sopra, domina la croce avvolta dalle stoffe usate per la calata del corpo del Redentore. La carica emozionale del gruppo, di chiara derivazione berniniana, è accentuata dalla luce calda che penetra dal grande oculo aperto sempre su progetto di Filippo Parodi. Lo spettatore che percorre la navata ed il transetto sinistro non può che rimanere colpito dalla preziosità e dal calore cromatico sprigionato dalla cappella della Pietà. L'altare ospita l'arca contenente i resti del secondo vescovo di Padova, san Massimo. Il gruppo sopra l'arca è gli angioli che reggono le insegne vescovili con il san Giacomo sono lavoro di Michele Fabris (1681), mentre il solo san Bartolomeo è frutto dello scalpello di Bernardo Falcone (1682). Il paliotto è preziosissima opera dei Corbarelli, rifinito con preziosi e madreperla. L'architettura generale è di Alessandro Tremignon. Sul retro dell'altare sono visibili i lacerti della precedente arca (1562) che contenevano le ceneri del santo, opera di Marcantonio de Surdis. La porta monumentale della fine del XVI secolo posta sul lato sinistro dà accesso al cosiddetto Corridoio della Messe, collegamento tra il coro nuovo, il coro vecchio e la sacrestia sopra vi si apre un oculo. Sopra la modanatura è posta la raffigurazione allegorica del Pie pellicane. Il grande spazio è dominato da due imponenti teleri: a destra La missione degli Apostoli (1631) di Battista Bissoni e I Santi Cosma e Damiano salvati dall'angelo (1718) di Antonio Balestra, quest'ultimo proveniente dalla chiesa della Misericordia. Sotto, confessionali ed un pulpito databili tra il XVI ed il XVII secolo. Nell'imponente arca in marmo greco ed africano - con altare addossato - giace parte del corpo di san Mattia apostolo: ispirata alla più antica arca di san Luca che le è dirimpetto, fu compiuta nel 1562 da Giovanni Francesco de Surdis che scolpì i bassorilievi che l'adornano raffiguranti gli Apostoli. Dietro all'arca si apre la porta che conduce al Corridoio dei Martiri. L'arcata quattrocentesca è decorata a rilievi di gusto rinascimentali forse frutto di artisti della cerchia di Bartolomeo Bellano. Un piccolo tabernacolo d'alabastro con ricca grata in ferro battuto protegge una venerata rappresentazione mariana. L'arca posta in cima all'altare di Alessandro Tremignon (1682) contiene le spoglie di sant'Urio prete, custode della chiesa dei Santi Apostoli in Costantinopoli che salvò le reliquie di san Luca, san Mattia e l'icona raffigurante la Vergine dalla furia iconoclasta trasportando tutto sino a Patavium. La statua di sant'Urio, i magnifici angeli ed i santi Tommaso e Taddeo sono di Bernardo Falcone. Il prospetto della mensa è lavoro a rimesso dei Corbarelli. La cappella verso gli anni '40 del Seicento fu utilizzata per la custodia del Santissimo Sacramento, in seguito venne costruito l'altare (1675) su disegno di Alessandro Tremignon con la teca per le reliquie dei santi Innocenti - i resti di tre vittime di Erode -. La Santa Rachele affranta è di Giovanni Comin (1690) mentre i due santi Giacomo il minore e Giovanni sono forse opera di Michele Fabris. Lo splendido angelo di sinistra è pure del Fabris mentre quello di destra è di Orazio Marinali. Prezioso il paliotto dei Corbarelli. Dietro l'altare si custodisce la vecchia arca di Giovanni Francesco de Surdis, lavoro in marmo greco del 1562, decorata da finissimi bassorilievi raffiguranti le storie della Natività. La pala d'altare San Benedetto accoglie i San Placido e San Mauro è di Jacopo Palma il Giovane. L'architettura dell'ancona è mossa da marmo nero e bianco di Genova. La mensa è decorata finemente dai Corbarelli. Le pareti della cappella sono tutte decorate a stucco ed alcuni racemi inquadrano le due grandi tele del 1616: a destra San Benedetto riceve il re Totila a Montecassino di Giovanni Battista Maganza a sinistra San Benedetto consegna la regola agli ordini monastici e cavallereschi di Claudio Ridolfi. Le colonne che reggono l'ancona dell'altare sono di marmo di Salò. La pala Morte di santa Scolastica è di Luca Giordano (1674). Preziosa la decorazione marmorea della mensa. Architettura dell'altare di Alessandro Tremignon. Architettura dell'altare è di Alessandro Tremignon. La pala è opera (1674) di Johann Carl Loth e raffigura il martirio di san Gerardo Sagredo. L'altare è architettura di Alessandro Tremignon. La pala L'estasi di Santa Gertrude è lavoro di Pietro Liberi (1678-1679). Finissima la decorazione dei Corbarelli sui parapetti della mensa. L'altare è probabile opera di Giuseppe Sardi. La pala è forse lavoro di Paolo Veronese in collaborazione con gli allievi, la pala accolta dall'ancona raffigura la conversione di San Paolo. Sulla parete sinistra una tela lunettata raffigura lo stesso soggetto, opera questa di Gaspare Diziani e proveniente dalla scomparsa chiesa delle Terese. Vi si accede dal transetto destro: costruito nel 1564 sui resti della vecchia chiesa abbaziale di età medievale, fu pensato per permettere il passaggio sino al Sacello di San Prosdocimo. Il corridoio, affrescato tra il XVI ed il XVII secolo, è voltato a crociera e nel mezzo, in uno spazio a pianta ottagonale coperto a cupola - decorata a fresco da Giacomo Ceruti -, v'è il Pozzo dei Martiri: costruito su ordine dell'abate Angelo Sangrino nel 1565 ricollegandosi al precedente pozzo di età medievale (ancora visibile, nei sotterranei) che un tempo si trovava nel mezzo della navata centrale della basilica primitiva. Il pozzo, a pianta ottagonale, è finemente lavorato a niello e composto da preziosi marmi e da brani d'alabastro. Una grata permette di scorgere sul fondo le ossa dei martiri dell'età di Diocleziano ritrovate in quel punto nel 1269 dalla beata Giacoma che li inginocchiatasi, provocò l'accendere miracoloso di dodici candele intorno al pozzo, tra lo stupore degli stanti. Sulle quattro nicchie che circondano il pozzo, quattro statue di terracotta dell'ultimo quarto del XVI secolo. Sull'angolo verso ponente è stato portato alla luce un brano della decorazione musiva che adornava la pavimentazione della basilica opilionea del VI secolo. L'altare cinquecentesco sul fondo, posto a meridione, ospita la straordinaria tela di Pietro Damini Il ritrovamento del pozzo dei martiri e l'accensione miracolosa delle dodici candele da annoverare tra i migliori lavori dell'artista (attualmente il dipinto originale è sostituito da una copia fotografica). L'altare poggia su quella che era la fiancata della basilica medievale. Spicca una coppia di bifore romaniche, riaperte nel 1923. Il percorso prosegue nell'ambiente voltato e decorato a fresco con straordinario gusto manierista, lungo le pareti spiccano resti e memorie della vecchia basilica, tra cui una grande gabbia di età medievale al cui interno sono poste le casse che contennero per un periodo le spoglie di san Luca. Spiccano due statue raffiguranti i santi Pietro e Paolo, fine lavoro di Francesco Segala. Collegato al Corridoio dei Martiri vi è il Sacello di San Prosdocimo o Sacello di Santa Maria, edificio (in alzato) tra i più antichi del Veneto: databile al VI secolo, è unico resto conservatosi della basilica opilionea. In origine era cappella dedicata alla conservazione delle reliquie. Lo spazio, elevato in pianta a croce greca, è caratterizzato da un'elegantissima copertura composta da cupola centrale, volte a botte tutto dipinto a grottesche nel Cinquecento in sostituzione della decorazione musiva presente in origine. L'absidiola, rivolta a levante, è coperta da un piccolo catino. Fu luogo di sepoltura dei primi vescovi di Padova tra cui il primo, san Prosdocimo il cui corpo riposa all'interno dell'altare del 1564 ricavato da un sarcofago d'età romana e posto sulla destra (rispetto all'abside). Sopra l'altare è esposta l'immagine clipeata che raffigura san Prosdocimo nelle vesti di un aristocratico romano, databile al V secolo. Gioiello artistico presente nella cappella è la pergula, piccola iconostasi in marmo greco, straordinario pezzo del VI secolo conservatosi praticamente intonso nella primitiva posizione - posteriori solo i capitelli alle estremità -, con decorazione a niello originale che marca l'iscrizione "In nome di Dio: in questo luogo sono state collocate le reliquie dei santi apostoli e di moltissimi martiri, i quali di degnino di pregare per il fondatore e per tutto il popolo fedele". Lungo le pareti del piccolo atrio di accesso, resti di affreschi del XII secolo, decorazioni del Cinquecento, un pluteo doppio con pavoni, il timpano della porta d'accesso della basilica opilionea del VI secolo. Nella cappella si conservava la Madonna Costantinopolitana. Costruita grazie al lascito di Maria Lion Papafava a partire dal 1460 si inserì nella scia dei lavori di ampliamento promossi dai monaci dall'abbazia nel XV secolo. Edificio monumentale - per cui si è proposto il nome dell'architetto Lorenzo da Bologna ma anche quello di Pietro Antonio degli Abati - , di aspetto prettamente gotico, è stato completato nel Seicento e continuò - e continua oggi - a servire alla distante basilica cinquecentesca a cui si giunge dopo aver attraversato l'antisacrestia, il coro vecchio ed il corridoio delle messe per giungere poi alla basilica dalla cappella di San Massimo. L'antisacrestia, ampliata nel Cinquecento, è dominata dal grande lavabo dall'architettura manierista decorato dall'affresco di Ludovico Pozzoserrato San Placido salva San Mauro dalle acque sopra, una grande finestra termale illumina l'ambiente. Ai lati, due porte, sovrastate da due vedute: l'Abbazia di Santa Giustina sulla sinistra e l'Abbazia di Praglia sulla destra. Alle pareti sono collocati alcuni interessanti brani del portale romanico della vecchia chiesa abbaziale, lavoro scultoreo di maestranze gallicane del XII secolo. Il portale alla sacrestia è cinquecentesco, manierista come il grande interno della sacrestia dominato dal prezioso arredo in noce di Giambattista Rizzardi: gli inginocchiatoi, gli stalli, gli armadi, le credenze e le porte dell'armadio del tesoro, dove si conservano le insigni reliquie della basilica. Al centro del soffitto a volta è collocato un clipeo recante il monogramma di Cristo. Dal tirante centrale scende un lampadario settecentesco, in vetro di Murano. Alle pareti ritratti degli abati di santa Giustina. Sulla parete sopra l'ingresso, Natività seicentesca. Nella sacrestia si conserva una minima parte delle ricche suppellettili disperse in età napoleonica. Il vecchio coro gotico della chiesa abbaziale medievale, deve le attuali dimensioni agli ampliamenti attuati tra il 1472 ed il 1473 grazie ai lasciti di Giacomo Zocchi. Fu risparmiato dalla demolizione e divenne coro che serve per la notte, e per i giorni feriali dell'Inverno per comodità dei monaci che non dovevano così percorrere la notevole distanza dalle celle al coro nuovo. Divenne punto di collegamento tra la Sacrestia ed il coro nuovo. L'ambiente, composto da due ampie campate decorate da fregi gotici e rinascimentali era aperto, ove ora sta la parete a ponente, verso la navata centrale della chiesa abbaziale medievale. Spicca il coro ligneo gotico, capolavoro dall'ebanisteria quattrocentesca: alloggiato nella posizione originaria (non ha subito la "voltura" voluta dalla riforma liturgica del Concilio di Trento) è attento lavoro di Francesco da Parma e di Domenico da Piacenza concluso in una decina d'anni, dal 1467 al 1477. Tra le vedute prospettiche della Padova quattrocentesca, strumenti musicali, suppellettili liturgiche. L'armadio da libri e la "ruda" sono invece opere di Cristoforo Canozzi. Al centro dell'aula sta il monumento sepolcrale dell'abate Ludovico Barbo, con intenso gisant ad altorilievo circondato da decorazioni gotiche. Sembra ricollegarsi ai lavori della cerchia dei Delle Masegne. L'abside ha sulla sinistra un bel pulpito gotico e sotto, protetto da un'arcata sta il sepolcro di Giacomo Zocchi, con lo splendido gisant di Bartolomeo Bellano. Sta pure la piccola porta decorata ad intarsio, che dà accesso al pulpito. Dirimpetto, preziosa statua in pietra raffigurante santa Giustina di ignoto autore eclettico databile all'ultimo decennio del XIV secolo e il primo quarto del XV secolo. Il pavimento in marmo rosso di Verona che dà spazio al presbiterio è decorato da tarsie marmoree e bronzee. L'altare è composto dal parapetto cinquecentesco della cantoria (inserita lungo la parete di sinistra; reggeva l'organo di Gaetano Callido ora nella chiesa di San Daniele). Dietro all'altare stava, sostenuta dai pilastri ancora in situ, la straordinaria pala di Girolamo Romanino, sequestrata per ordine regio nel 1866 e ora collocata ai Musei civici agli Eremitani. Al suo posto è stato collocato uno splendido crocifisso gotico del XV secolo. Un tempo accessibile dalla navata destra della vecchia abbaziale, conteneva l'arca di San Luca (ora nel transetto destro) da cui trae il nome. Ora è accessibile tramite una porta cinquecentesca, che la rende agibile dal corridoio delle messe. La costruzione è trecentesca (1301) e fu oggetto nel Quattrocento di una lunga campagna decorativa, la copertura a fresco delle pareti ad opera di Giovanni Storlato - artista sul modo dei più famosi fratelli Zavattari - con storie di San Luca (1436) e la posa tra il 1453 ed il 1454, sopra l'arca del Santo, del celebre "polittico di San Luca" di Andrea Mantegna, opera commissionata dall'abate Sigismondo de' Folperti. La pala, sottratta alla città durante l'occupazione napoleonica, si trova a Brera in Milano. Con la costruzione della nuova basilica la cappella perse d'importanza, soprattutto dopo lo spostamento dell'arca. Venne ridotta nel 1589 a cappella mortuaria e quindi disseminata di depositi terragni. In uno di questi depositi venne inumata nel luglio del 1684, vestita con abiti monacali, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, prima donna laureata al mondo. L'imponente torre campanaria si innalza tra la cappella di san Luca e il coro vecchio, distaccata dalla basilica cinquecentesca: alta 82 metri è una delle costruzioni più alte della città. Costruita tra il XI secolo ed il XII secolo, era originariamente coperta da una copertura conica in cotto. Nel 1599 si sopraelevò il campanile portando la cella ad una posizione prominente rispetto alla massa volumetrica della basilica. Sul tronco medievale - che reca ancora tracce delle primitive decorazioni - poggia l'ampliamento cinquecentesco una canna mossa da paraste che regge la cella elevata sullo stile corinzio, aperta da due monofore per lato. Sopra, una balaustra circonda un tamburo ottagonale coperto da cupola plumbea. All'interno della cella è disposto, su una incastellatura di legno, un concerto costituito da 7 campane accordate in scala diatonica maggiore in Do 3 calante (le sei maggiori Do 3 - La 3) e da l'ottavino (Do 4), fuse in varie epoche dal 1733 al 1957. Il concerto è a slancio e, con la campana maggiore, opera dei fonditori De Maria, di circa 2340 kg ed il peso complessivo di circa 7100 kg. Dagli esperti è considerato tra i più sontuosi e suggestivi concerti del nord Italia ed il più prezioso concerto mistostorico del Veneto. La campana numero 5, presenta una crepa da molti anni ed è attualmente inutilizzata, nonostante sia ancora montata al suo ceppo. L'organo a canne della basilica è il frutto dell'unione, effettuata da Annibale Pugina tra il 1926 e il 1928, di due organi antichi preesistenti e di successivi ampliamenti effettuati nel 1931 dallo stesso organaro e nel 1973 da Francesco Michelotto Lo strumento attuale è a trasmissione elettrica e conta 81 registri; la consolle, mobile indipendente, è situata a pavimento nel presbiterio. Il materiale fonico è così distribuito nei tre corpi che compongono lo strumento: sulla cantoria di destra, entro la cassa barocca, si trovano le canne del Corale espressivo (parte del quarto manuale) e di parte del Pedale; sulla cantoria di sinistra, entro la cassa barocca, si trovano le canne del Recitativo espressivo (terzo manuale) e di parte del Pedale; nell'abside si trovano le canne del Positivo aperto (prima tastiera), con la relativa sezione del Pedale, del Grand'Organo e dell'Eco espressivo (parte del quarto manuale). Nel coro vecchio della basilica era presente un organo costruito dal Callido, Op. 53 del 1769, composto da un manuale e 12 registri. A seguito delle soppressioni napoleoniche (1810) l'allora parroco trasferì l'organo con la sua preziosa cassa di contenimento nella vicina Chiesa di San Daniele (Padova), fino a quel tempo una delle chiese alle dipendenze dell'Abbazia. Revisionato più volte negli anni successivi l'organo Callido fu sostituito nel 1894 da un nuovo strumento meccanico di 2 manuali e 26 registri opera di Annibale Pugina che nella realizzazione non utilizzò nessuna parte dell'antico strumento. La settecentesca cassa di contenimento, una delle più raffinate ed eleganti della città, è rimasta invece sostanzialmente intatta. Le sue sorprendenti dimensioni la pongono fra le chiese più grandi della cristianità. Era la chiesa più vasta della Serenissima. Descrizione della Chiesa di Santa Giustina di Padova, Padova, Penada, 1759. 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URL consultato il 22 marzo 2013 (archiviato dall'url originale il 25 marzo 2015).