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Brusegana

Divisioni amministrative senza abitantiPagine con mappeQuartieri di Padova
Italy provincial location map 2016
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Brusegana è un quartiere del comune di Padova. Era chiamata anticamente Brusaure, poi Brusadure. Vi sorgeva, prima del 1239, il monastero di Santa Maria de Trexone (o Tresonibus, Trisonibus) dei benedettini albi (= bianchi, dal nome della veste), un ordine religioso fondato a Padova dal beato Giordano Forzatè. Annessa al monastero esisteva una piccola chiesa dedicata ai santi Gioacchino, Anna e Antonio Abate. Dopo la soppressione del monastero la chiesa divenne una curazia. La nuova chiesa del quartiere divenne parrocchiale nel 1950. In questa località il canale Brentella, provenendo da Limena, si immette nel fiume Bacchiglione. L'abitato ebbe un notevole sviluppo a partire dal 1910, con l'istituzione della linea tramviaria. Il Brusegana S.Stefano nella stagione 2022/2023 milita nella Seconda Categoria Veneta nel girone L. Nel quartiere di Brusegana sono presenti due chiese: Parrocchia di Santo Stefano Re D’Ungheria Parrocchia dei Santi Fabiano e Sebastiano

Estratto dall'articolo di Wikipedia Brusegana (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Brusegana
Boulevard de la Première Division Française Libre, Grasse

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Boulevard de la Première Division Française Libre
06407 Grasse, La Lepre
Provence-Alpes-Côte d'Azur, France
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Luoghi vicini

Esapolis
Esapolis

Esapolis è un insettario situato a Padova, realizzato da una collaborazione tra la Provincia di Padova e Butterfly Arc, un'iniziativa privata. Occupando un'area di 2500 m2, è la struttura espositiva più grande d'Italia dedicata a questo tipo di animali. Il 3 maggio 2008 venne inaugurato il museo Esapolis. Nel 1871 venne istituita la Reale Stazione Bacologica sperimentale di Padova da parte di Luigi Luzzatti (ministro dell'agricoltura, industria e commercio) che prese spunto, per l'ideazione della stazione bacologica, all'Istituto bacologico di Gorizia del 1869. Le attività di ricerca in campo scientifico principali sono: ricerca scientifica sul baco da seta e sul gelso, promozione dell’attività bachisericola, conservazione del germoplasma e la risoluzioni dei problemi pratici dei bachicoltori. La prima direzione della Stazione spettò a Enrico Verson, un entomologo, che era già stato direttore aggiunto dell'Istituto bacologico di Gorizia. La sua direzione si concentrò molto sulla limitazione dell'importazione di Seme-bachi (uova trattate e lavate) dal Giappone per incentivare e finanziare la confezione di uova prodotte in Italia. Inoltre, Verson, incentivò attività di produzione, e nuove tecniche sericole in tutto il territorio Italiano. Il suo incarico terminò nel 1919. La dirigenza di Enrico Verson terminò nel 1919 e nel 1924 la stazione venne spostata nel quartiere di Brusegana, Padova; in un edificio formato da due sezioni, una dedicata alla formazione e alla ricerca e il secondo alle attività di produzione sperimentale di allevamento e filatura. Il complesso fu inaugurato da Luciano Pigorini, il nuovo direttore che era stato allievo di Verson dal 1914. Dopo il secondo conflitto mondiale la stazione di Padova si fuse con la Stazione di Ascoli Piceno, chiusa nel 1958 che trasferì parte delle sue collezioni e materiali. L'edificio versava in pessime condizioni che portarono al successivo restauro, durante il quale, con i fondi di Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Regione del Veneto e ministero dell’Ambiente, si realizzò il complesso finale. Quest’ultimo copre una superficie di circa 38.000 metri quadri. Oggi è composto di due strutture attigue ad alta compatibilità ecologica, una è la sede del CREA, organismo di assistenza, conservazione e ricerca del ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. Il museo si trova all'interno di un edificio risalente agli inizi del 1900, che già ospitava la più importante stazione bacologica nazionale (tuttora attiva); la struttura ospita anche varie collezioni d'insetti e diversi animali vivi, principalmente artropodi ma non solo, e conduce anche alcuni laboratori didattici. La collezione di Padova comprende una raccolta di 2200 campioni di bozzoli di diversa origine. L'edificio si articola su tre piani ed un giardino esterno, posto dietro l'immobile. Il piano terra comprende vari settori dedicati alle api, una sala di video conferenze ed un laboratorio in cui i visitatori possono interagire con gli insetti sociali. Il secondo piano comprende il settore dedicato alla seta, in cui troviamo una sala dedicata ai bachi da seta, ma anche un'altra dedicata ai produttori di seta. In quest'ultima sala dal 2009, è possibile osservare un acquario mediterraneo, in cui sono presenti svariati esemplari di Pinna nobilis. Inoltre, sempre a questo piano troviamo anche delle altre sale, tra cui quella dedicata alle mostre temporanee e quella dedicata al laboratorio del giovane entomologo. Al secondo e ultimo piano, troviamo infine la direzione, la biblioteca del museo, comprendente anche testi antichi, e il settore denominato "Insettolandia", in cui le nozioni teoriche sono accompagnate da un'attività pratica. Dei manichini sono stati vestiti in abiti medievali e posti nel giardino per illustrare al pubblico alcune delle fasi della lavorazione della seta. Luciano Cappellozza, Enzo Moretto, Il museo vivente degli insetti, Milano: Grafiche Pinelli, 2002, PUV0950599 Francesco Liguori, Esapolis: museo vivente degli insetti, Padova e il suo territorio: rivista di storia arte e cultura, numero 136, 2008, pp.25-27 Francesca Forzan, Esapolis: il museo vivente degli insetti, La scienza e i luoghi nascosti di Padova, a cura di redazione de il Bo live, Padova, Padova University Press, 2019, volume 1, pp 201-205 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Esapolis

Chiesa di San Martino (Padova)

La chiesa di San Martino di Tours era un edificio religioso altomedievale di Padova che si affacciava sulle attuali vie del municipio (già San Martino) e via 8 febbraio 1848. Fu demolita nel corso del XIX secolo. Menzionata prima come cappella (XIII secolo) divenne in seguito parrocchiale. Era tristemente celebre per le funzioni da morto che vi si celebravano per conto dello Studio, infatti nella chiesa erano spesso inumati cadaveri utilizzati per le vivisezioni nel teatro anatomico di palazzo Bo. Fu chiusa al culto nel 1808 ed in seguito demolita per permettere la rettificazione del Liston. Al suo posto furono erette delle abitazioni abbattute a loro volta per lasciare spazio alla monumentale facciata del municipio, di epoca fascista. Alcune lastre marmoree decorate provenienti dalla chiesa sono esposte al lapidario dei Musei civici Eremitani e sono datate all'età longobarda. Sino all'anno 1797, ogni 17 novembre la chiesa era meta della corsa dei berberi che rievocava la dedizione della città alla Repubblica Serenissima. La chiesa aveva presbiterio rivolto a ponente ed era di piccole dimensioni. La facciata era rivolta verso il Palazzo del Bo'. Venne ricostruita nel corso del '700. Un piccolo campanile, con copertura conica in cotto e bifore si ergeva accanto all'edificio. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova 1780 Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori Giuseppe Toffanin, Cento chiese padovane scomparse, Editoriale Programma AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova

Aeroporto di Padova
Aeroporto di Padova

L'Aeroporto di Padova (ICAO: LIPU), citato anche con il nome commerciale di Aeroporto Civile di Padova "Gino Allegri", è un aeroporto italiano situato a circa 3 km a sud ovest del centro della città di Padova. La struttura, intitolata alla memoria del tenente pilota Gino Allegri, è posta all'altitudine di 13 m / 44 ft sul livello del mare, dotata di un piccolo terminal e di due piste, la principale lunga 1 122 m e larga 30 m (3 681 × 98 ft), con orientamento 04/22, fondo in asfalto e dotata di impianto di illuminazione a bassa intensità (LIRL) e sistema di assistenza all'atterraggio PAPI, la secondaria parallela alla prima da 617 × 30 m e fondo in erba. L'aeroporto, gestito dalla Aeroporto civile di Padova S.p.A., effettua attività secondo le regole e gli orari sia IFR che VFR ed è aperto al traffico commerciale. Classificato come City airport, questo aeroporto è uno dei pochi inseriti nel tessuto urbano di una città. L'aeroporto di Padova viene realizzato durante la prima guerra mondiale assieme ad altri piccoli aeroporti sparsi per i comuni della provincia, in particolare si ricorda il campo di aviazione di San Pelagio nell'omonima frazione di Due Carrare, dove il 9 agosto 1918 la squadriglia "Serenissima", sotto la guida di Gabriele D'Annunzio, partì per il celebre volo su Vienna. Gino Allegri, a cui è intitolato l'aeroporto di Padova, morì durante l'atterraggio sul campo di San Pelagio. Durante gli anni successivi alla prima guerra mondiale l'aeroporto di Padova fu usato per scopi militari ospitando il 1º Stormo caccia oggi 1ª Brigata aerea "operazioni speciali" fino al 1987, anno in cui venne aperto anche ai voli civili. Il Ministero dei trasporti nel 1995 riconosce l'aeroporto come scalo di interesse sociale per i voli sanitari ed umanitari. Sede del comando della 1ª Brigata Aerea fino al 31 ottobre 2009, l'Aeronautica Militare sta procedendo a dismettere la propria base militare; inoltre era sede di un gruppo squadroni AVES (oggi già interamente trasferito a Bolzano, al 54°), la cui base è oggi chiusa ed in stato di abbandono. Questo aeroporto è aperto al traffico di voli turistici nazionali e internazionali, voli di linea charter, privati di imprenditori, commerciali e cargo nazionali ed internazionali e voli militari di elicotteri e velivoli leggeri. Qui ha sede anche l'Aeroclub di Padova con la sua scuola volo e di volo a vela. Quello che però rende questo aeroporto importante sono soprattutto i voli sanitari e di emergenza per malati gravi e per i trapianti di organi. L'aeroporto è la base di partenza del servizio di elisoccorso del SUEM di Padova. All'aeroporto di Padova non esistono voli di linea regolari: alcuni progetti di potenziamento dello scalo sono stati contrastati dagli abitanti delle zone circostanti, in quanto la struttura si trova pienamente integrata nel centro urbano, e l'implementazione di voli creerebbe non pochi problemi per la vivibilità dei quartieri interessati; anzi, vi sono dei comitati che si battono per la chiusura completa dello scalo e la sua riconversione in parco. Nel 2006 e nel 2007 la gestione dell'aeroporto da parte della Save Spa ha chiuso i bilanci in forte deficit. La società ACP SpA in Liquidazione ha cessato la gestione dell'Aeroporto "G. Allegri" di Padova dall'11 dicembre 2014. Nel 2022 la gestione dell'aeroporto passa a Heron Air SRL, la quale investirà 2,5 milioni di euro per la ristrutturazione dello scalo. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Aeroporto di Padova Sito ufficiale, su airportpadova.it. Gruppo Volovelistico Patavino, su voloavelapadova.it. Pagina della 1ª Brigata Aerea sul Sito ufficiale dell'Aeronautica Militare, su aeronautica.difesa.it. Google mappe: l'aeroporto di Padova visto dal satellite, su maps.google.it. Il campo di aviazione su ilfrontedelcielo.it

Stazione meteorologica di Padova Aeroporto
Stazione meteorologica di Padova Aeroporto

La stazione meteorologica di Padova Aeroporto è la stazione meteorologica di riferimento relativa alla città di Padova. La stazione dopo vent'anni di inattività ha ripreso le rilevazioni nel 2010 con l'emissione di SYNOP dalla nuova stazione automatica DCP e dal 24 luglio 2012 con l'emissione di METAR dalla nuova stazione aeroportuale presidiata. La stazione meteorologica presidiata, gestita dall'ENAV e contrassegnata dal codice ICAO LIPU, si trova nell'area climatica dell'Italia nord-orientale, nel Veneto, nel comune di Padova, presso l'aeroporto di Padova, a 14 metri s.l.m. e alle coordinate geografiche 45°23′42.78″N 11°51′00.8″E45°23′42.78″N, 11°51′00.8″E. Originariamente, la stazione meteorologica sinottica era presidiata e contrassegnata dal codice WMO 16095 fino alla sua dismissione del 1991; in seguito, a partire dal 2010, è stata riattivata una stazione meteorologica automatica DCP contrassegnata dal codice WMO 16582, situata a 15 metri s.l.m.. In base alla media trentennale di riferimento 1961-1990, ancora in uso per l'Organizzazione meteorologica mondiale e definita Climate Normal (CLINO), la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta a +2,2 °C, quella del mese più caldo, luglio, è di +23,0 °C. Nel medesimo trentennio, la temperatura minima assoluta ha toccato i -19,2 °C nel gennaio 1985 (media delle minime assolute annue di -8,4 °C), mentre la massima assoluta ha fatto registrare i +36,4 °C nel luglio 1983 (media delle massime assolute annue di +33,6 °C). Mediamente, si contano 60 giorni di gelo all'anno. La nuvolosità media annua si attesta a 4,2 okta, con minimo di 3 okta a luglio e massimo di 5,3 okta a novembre. Le precipitazioni medie annue, distribuite in modo irregolare con un minimo relativo invernale, si attestano a 846 mm e sono distribuite mediamente in 84 giorni di pioggia. L'umidità relativa media annua si attesta al valore di 72,6 % con minimo di 68 % a luglio e massimo di 81 % a dicembre. L'eliofania assoluta media annua fa registrare il valore di 5,5 ore giornaliere, con minimo di 1,7 ore giornaliere a dicembre e massimo di 9,9 ore giornaliere a luglio. Nella tabella sottostante sono riportati i valori delle temperature estreme mensili registrate dal 1946 ad oggi (mancano i dati tra il 1991 e il 2009), con il relativo anno in cui sono state registrate. Nel periodo esaminato, la temperatura minima assoluta ha toccato i -19,2 °C nel gennaio 1985 mentre la massima assoluta ha raggiunto i +39,6 °C nel Giugno 2019 Padova Stazione meteorologica Clima italiano Dati in tempo reale registrati dalla stazione meteorologica di Padova Aeroporto, su meteoam.it.

Museo veneto del giocattolo
Museo veneto del giocattolo

Il Museo Veneto del Giocattolo ha sede a Padova, zona Mandria, presso il centro polifunzionale Civitas Vitae. Il Museo è nato del 2006 per conservare e valorizzare una collezione di giocattoli, da fine Ottocento agli anni Cinquanta, formata grazie alla generosità di alcuni collezionisti. I giocattoli conservati ed esposti nelle sale del Museo rappresentano un'importante testimonianza artistica e artigianale, ma soprattutto ricoprono un ruolo fondamentale nella valorizzazione della dimensione della memoria e della relazionalità. Il Museo Veneto del Giocattolo è aperto tutti i giorni ed è ad ingresso gratuito. I giocattoli esposti al Museo Veneto del Giocattolo appartengono a diverse tipologie, dalle automobili ai treni, dalle navi agli aerei, dalle bambole ai peluches, dai soldatini ai giochi di fantasia. Ad ogni tipologia di giocattolo è dedicata una sezione del percorso espositivo, che comprende inoltre una sezione dedicata esclusivamente ai giocattoli in latta prodotti dalla ditta padovana Ingap. Negli anni la collezione è accresciuta, aprendo uno sguardo anche ai giocattoli che maggiormente hanno caratterizzato gli ultimi vent'anni: i videogiochi. Il Museo Veneto del Giocattolo offre infatti un'esperienza di visita interattiva, dando la possibilità ai suoi visitatori di giocare con la console Nintendo DS, una delle console più famose prodotte nell'ultimo ventennio. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo veneto del giocattolo Sito ufficiale, su museovenetogiocattolo.it.

Stazione di Padova Campo Marte
Stazione di Padova Campo Marte

La stazione di Padova Campo Marte era una stazione ferroviaria di Padova, situata sulla linea Padova-Bologna, che collegava la città veneta all'Emilia-Romagna, a Rovigo, Ferrara ed al sud Italia. Era posta lungo Corso Australia, una delle tangenziali cittadine, nonché vicino all'aeroporto. La stazione è comandata dal Dirigente Movimento di Padova, dal momento che Campo Marte è stata integrata nell'ACC di Padova. Prima del 1970 la stazione era così costituita: Cabina A: ACI ad 80 leve e serratura centrale con chiavi di risulta, lato Padova; Cabina B: ACI a 15 leve e serratura centrale con chiavi di risulta, lato Bologna; PG Montà: apparato a filo a 5 leve, nelle vicinanze del Deposito Locomotive. I deviatoi erano interamente a mano con fermascambi a chiave, mentre il segnalamento, prima del 1967, era ad ala con manovra idrodinamica e successivamente luminoso con luci sovrapposte. Successivamente, dal 1970 fino agli anni 2000 la stazione ebbe in dotazione un ACEI tipo OMS2, con due posti di movimento, dotati di serratura centrale con chiavi di risulta, di cui il B, venne dismesso, centralizzando tutto il lato Bologna. La stazione era raccordata alla omonima Squadra Rialzo che si occupava delle riparazioni sia di carri merci che di vetture passeggeri della divisione Trasporto regionale del Veneto. Tutti i fabbricati sono attualmente in stato di abbandono se non già demoliti. L'impianto viene utilizzato come bivio per i raccordi utilizzati dai treni merci da e per Bologna in direzione del gruppo scambi Montà (sulla linea per Milano) e gruppo scambi Altichiero (sul tronco comune alle linee per Bassano e per Calalzo). Padova Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale

Paltana
Paltana

Paltana è un sobborgo del comune italiano di Padova. Situato a sudovest del centro storico, il quartiere si incunea tra la riva meridionale del Bacchiglione e quella ovest del canale di Battaglia, sua diramazione. Confina a ovest con Voltabrusegana e a sudovest con Mandria. A est, oltre il canale di Battaglia, si estende il Bassanello. Come suggerisce il toponimo (dal veneto paltàn "pantano"), Paltana era in origine una località paludosa influenzata dalle piene del Bacchiglione. Solo alla fine dell'Ottocento importanti lavori di bonifica rafforzarono le rive del fiume e resero il territorio coltivabile, favorendone il popolamento da parte di famiglie contadine ma anche di borghesi, come ancora dimostra la presenza di ville di stile eclettico. Nel secondo dopoguerra avvenne una nuova crescita urbanistica del quartiere, che vide tra l'altro la costruzione della chiesa parrocchiale e della piscina olimpionica. La parrocchia di San Giovanni Bosco è stata istituita nel 1957, ricavandone il territorio dalla preesistente parrocchia di Mandria (porzioni più piccole derivarono da Voltabrusegana e dal Bassanello). Inizialmente la si voleva intitolare allo Spirito Santo, ma l'allora vescovo Girolamo Bortignon, sapendo che i Salesiani desideravano aprire una loro opera a Padova, la affidò a questi dedicandola a don Bosco. La Parrocchia è stata guidata dai Salesiani fino al 29 Agosto 2021, e successivamente è tornata sotto la guida della Diocesi di Padova, che ha anche acquisito dai Salesiani la proprietà dell'Oratorio (patronato) e delle aree esterne attigue. La chiesa, invece, venne costruita a partire dal 1956 su un terreno donato da Ester Pasqualigo vedova Baccaglini. Venne benedetta il 31 ottobre 1957, ma i lavori proseguirono sino alla consacrazione dell'8 giugno 1963, ad opera del vescovo Bortignon e alla presenza del rettor maggiore dei Salesiani, Renato Ziggiotti. Nella controfacciata è esposta una tela del XVI secolo attribuita a Domenico Campagnola che raffigura la Madonna col Bambino e i santi Giovannino, Antonio abate e Caterina d'Alessandria; l'opera proveniva dall'oratorio della Beatissima Vergine di via Armistizio, annesso alla demolita villa Lion. Degni di nota anche una statua in legno del patrono, realizzata da Giacomo Vincenzo Mussner e donata nel 1969 dagli ex allievi del vicino collegio, e il paliotto d'altare a bassorilievo, di Luigi Strazzabosco. La presenza dei Salesiani nel quartiere Paltana non è terminata, proseguendo l'attività delle altre due opere attive ed inserite nel tessuto connettivo del quartiere e della città: il Collegio Universitario Don Bosco (convitto) ed il Piccolo Teatro (Piccolo Teatro Don Bosco).

Villa Molin
Villa Molin

Villa Molin è una villa veneta di Padova, nella località di Mandria, progettata nel 1597 dall'architetto vicentino Vincenzo Scamozzi (1548 – 1616), architetto, scenografo, trattatista di ampia cultura operante a Vicenza e nell'area veneziana, dove fu la figura più importante tra Andrea Palladio e Baldassare Longhena. Tra le sue opere più importanti vi sono le Procuratie Nuove di Piazza San Marco, la chiesa di S.Nicolò da Tolentino che lo resero celebre tra i patrizi veneti tra cui la famiglia Molin. È caratterizzata da una pianta centrale quadrata e ingentilita dall'elegante pronao con colonne ioniche che si affaccia sul canale di Battaglia. La planimetria della villa mostra una straordinaria coerenza geometrica, basata sul quadrato, che determina la forma sia della villa che della sala centrale. La struttura dei volumi è particolarmente nitida, articolata nel blocco principale, la copertura emergente dalla sala centrale e la loggia sul fiume. Quest’ultima è una vera e propria sala aperta, una sorta di belvedere da cui ammirare l’esterno, senza però che vi siano scale che consentano di scendere. La sala centrale è maestosa, ottenuta con due cubi sovrapposti, una sorta di cortile esterno, illuminato dall’alto non da un oculo ma da quattro grandi finestre termali. Il pianoterreno è un vero e proprio corpo di fabbrica in sé compiuto, articolato intorno a una vasta sala quadrata con una virtuosistica volta ribassata. La villa affonda le sue origini nell'epoca feudale: pare infatti che qui sorgesse il castello della Mandria, eretto nel 905 da Gauslino Transalgardi sulle terre che la sua famiglia governava, in qualità di conti, sin dal 775. Nel 1183 l'imperatore Federico Barbarossa confermò i privilegi dei Transalgardi a una loro diramazione, i Forzatè Capodilista. Un documento del 1470 attesta che Gabriele Capodilista lasciò alla moglie Romea una «Domus magna, cum corte horto, bruolo, gastaldia [...] in villa Mandria propte pontem altum». Alla metà del secolo successivo i Capodilista ricostruirono la chiesa del villaggio e, con l'occasione, la stessa residenza. Nello stesso periodo fanno la sua comparsa i Molin, patrizi veneziani, che cominciano ad acquistare proprietà alla Mandria spesso dagli stessi Capodilista. Già nel 1550 essi dichiarano il possesso di una «casa di muro e brolo per uso». Nel 1597 Nicolò Molin di Vincenzo, all'apice della sua carriera come ambasciatore della Repubblica di Venezia, affidò all'architetto Vincenzo Scamozzi, il progetto di una residenza di campagna degna della sua famiglia. Le esigenze di lavoro e di rappresentanza della famiglia Molin richiedevano una villa che dominasse il paesaggio e fosse in stretto contatto con il fiume. Per rendere omaggio alla fama della famiglia fu scelto il più prestigioso architetto del tempo nella città di Venezia, appunto Vincenzo Scamozzi. I lavori iniziarono già alla consegna del progetto, ma nel 1608 il committente morì improvvisamente. Il complesso tornò quindi ai Capodilista grazie al diritto di prelazione. Nel 1684 Sigismonda Capodilista lasciò la villa ai figli Naimero e Pio Conti, alla cui famiglia rimase sino al 1768 quando morì Carlo Vincenzo Conti. In quell'occasione, il commissario liquidatore Giovanni Belli vendette la villa a Caterina Sagredo Barbarigo, ma già pochi anni dopo la comprò Antonio Capodilista. Tornata così ai suoi antichi proprietari (ai quali si deve un radicale restauro concluso nel 1777), nel 1778 passò per eredità agli Emo (detti Emo Capodilista in seguito al matrimonio tra Leonardo Emo e Beatrice Capodilista). Dopo il 1812 la villa passa a Paolina Drusilia in Vettor Pisani Moretta, successivamente alle famiglie Pisani, Vanni, Dondi dall'Orologio. A questi si deve un restauro che risistema un bene ormai degradato. Nei primi anni novanta dell'Ottocento si sottopongono a restauro conservativo la copertura, la volta centrale affrescata e le pertinenze esterne quali intonaci a marmorino, lapidei e statuaria. Un annesso passò invece alla famiglia Giusti del Giardino che lo trasformò nell'odierna villa Giusti. Fu qui che, il 3 novembre 1918, venne firmato il noto armistizio di Villa Giusti dopo alcuni giorni di negoziati tenuti proprio a villa Molin. Nel 1955 fu acquistata dall'imprenditore Iginio Kofler al quale si devono nuovi lavori di restauro. L'edificio rispetta perfettamente, eccetto che per la posizione delle scale, aggiunte nell'Ottocento, il progetto rappresentato da Scamozzi nel suo trattato. La nitida struttura dei volumi (corpo di fabbrica, loggia e copertura emergente della sala centrale) sono elementi caratterizzanti della villa. La villa, in quanto principale residenza dei Molin, situata in un contesto suburbano, combina infatti soluzioni consolidate nelle architetture di villa con altre più propriamente urbane. L’edificio si affaccia direttamente sugli argini del canale Battaglia, senza alcuna mediazione rispetto al territorio: la grande loggia, alta sul pianterreno, è allineata ai muri che chiudono la proprietà lungo la via pubblica. La loggia non solo non è al centro del complesso costituito da villa e fabbriche rurali, ma non è nemmeno il luogo da cui si accede alle stanze principali. La loggia di villa Molin sembra disegnata a partire da un esempio antico: come nella sala del portico di Ottavia, e diversamente dalle logge sporgenti della Rotonda o di villa Chiericati, le colonne d’angolo diventano pilastri con entasi agganciati ai muri laterali. Coperta da una volta a padiglione, con dimensioni molto vicine a una camera di “duoi quadri in lunghezza” ampia quanto la pianta centrale ma indipendente dalla suddivisione interna degli ambienti, la loggia appare piuttosto come una sala aperta, e se si considerano le balaustre interposte alla colonne e l’impiego di capitelli ionici con volute diagonali, non sembra errato considerare il pronao una facciata che richiede una visione di scorcio, offrendosi allo sguardo dei passanti sulla via e sul canale come su una strada cittadina. Il pianterreno, oggi in parte nascosto dall’innalzamento degli argini è un piano di fabbrica in sé compiuto e non, come nella Rocca Pisana, un basamento sul quale impostare il livello principale: è interamente rivestito da un bugnato piatto, ha ingressi indipendenti su ogni lato, e il rapporto dimensionale (14 piedi) rispetto al piano nobile (24 piedi) supera, anche se di poco, quello già notevole di 1:2 utilizzato alla Malcontenta, avvicinandosi piuttosto a quello dei palazzi di Sanmicheli o alla villa Verlato. Il piano nobile ha la stessa divisione planimetrica del pian terreno, focalizzata sull’ampia sala centrale quadrata che impegna tutta l’altezza del fabbricato, prendendo luce dalle ampie finestre del tiburio. I quattro vestiboli voltati formano con l’aula centrale un impianto a croce greca e definiscono gli spazi delle stanze private e dei salottini laterali. ll salone centrale, presenta tradizionali elementi rinascimentali, come le finestre incorniciate da serliane al primo piano, il ripetersi di figure geometriche regolari sia in pianta che in alzato. Queste caratteristiche non rispondono unicamente a un’esigenza “intellettuale” dell’architetto, ma sembrano anche il risultato di nuove esigenze della committenza, a partire dalle quali Scamozzi giunge a una nuova interpretazione della villa a pianta quadrata già precedentemente sviluppata da Serlio, Palladio e dallo stesso architetto. A differenza di Palladio, per cui i cortili sono spesso dei vuoti di risulta rispetto al disegno del costruito o elementi di collegamento tra diversi corpi edilizi, per Scamozzi il cortile è baricentro fisico e concettuale dell’edificio, costantemente quadrato, intorno al quale si organizza la planimetria. Nel caso di Villa Molin si trasforma in un eccezionale vuoto a tripla altezza, quasi un cortile coperto. Nel fronte principale sopra il timpano, che a sua volta è elevato sul colonnato, tre statue acroteriali, non originali, decorano la copertura. Le altre facciate hanno finestre architravate che incorniciano la serliana centrale e piccole finestre al sottotetto. Quest’ultimo è a quattro falde e nel centro è sormontato da un tiburio quadrato, aperto in ampie finestre a lunetta, a sua volta coperto a piramide. Le stanze al piano terreno, compresa quella centrale, hanno soffitti voltati in cotto. Il ballatoio, su cui si aprono le porte delle stanze del piano superiore, è sostenuto da un cornicione poggiato su pilastri di ordine dorico; una modanatura aggettante, in corrispondenza della falda del tetto, sottolinea l’imposta della volta. Il riquadro centrale rappresenta una cornice in stucco, mentre quattro vele sono sistemate ai lati dei finestroni. Nessun elemento in pietra, tranne il davanzale, segna le finestre e diversamente che in altre fabbriche isolate – come nella Rocca Pisana dove Scamozzi, pur distinguendosi nettamente, tratta prospetto principale e laterali con pari dignità formale – qui la serliana è definita solo dall’architrave appena sporgente, ma i sostegni sono semplicissimi pilastri quadrangolari senza capitello. Inigo Jones, nel suo viaggio del 1613-1614, visitò villa Molin con molto interesse. Ancora se ne rammentava nel 1636 quando in una nota ai Quattro Libri di Palladio, discuteva il rapporto fra colonne su piedistallo e balaustrate. Dichiara infatti di prendere spunto da villa Molin per le colonne corinzie poggianti sul pavimento della loggia, senza piedistallo “come ho fatto a Greenwich, nella loggia verso il parco, e come ho visto a Ponte della Cagnia vicino a Padova in una villa del Clarissimo Molin”. Questa soluzione venne praticata anche in molte fabbriche “palladiane” dell’Inghilterra fra XVII e XVIII (per rimanere ad alcuni esempi riportati nel Vitruvius Britannicus: da Gunnesbury House e Amesbury House fino a Wanstead di Colin Campbell), poiché permette di alzare una loggia all’antica sopra un pianterreno di buone dimensioni come richiedevano le moderne esigenze inglesi. John Soane ritrae villa Molin in un disegno del 1780, oltre a lui molti si recheranno in Italia per ammirarne le opere d’arte e si soffermeranno sulla produzione di Scamozzi. La complessa decorazione pittorica del piano nobile si adegua all’impostazione dell'edificio seguendo la classica sovrapposizione degli ordini nelle colonne dipinte e negli altri elementi architettonici inseriti. Il restauro di Kofler riportò alla luce gli affreschi originali, eliminando alcuni decori ottocenteschi non coerenti con la struttura e l’originale visione della villa. Gli affreschi sono attribuiti a Pietro Antonio Cerva (1640-1683 circa). Nel salone centrale virtuali architetture, dipinte in prospettiva, ricoprono per intero le pareti e la volta, creando un insieme di grandiosità che ricorda le aule termali romane studiate in gioventù da Scamozzi. Una reale balaustra lignea, dipinta a imitazione del marmo, individua i diversi piani e abbraccia tutto lo spazio. Al di sotto di questa scanalate lesene doriche inquadrano gli archi d’accesso. La policromia accentua la varietà e l’illusione di profondità degli spazi. Sopra la balaustra, le architetture virtuali propongono colonne ioniche di marmorino verde con capitelli e basi dorate. Nicchie e cammei ovali in monocromo violetto abbracciano e sovrastano le quattro porte centrali. Vi si narrano episodi della vita di Enea, il più valoroso dei Troiani dopo Ettore. Al di sopra delle otto porte angolari, finti cassettonati e vasi di fiori, contribuiscono ad accentuare la dimensione prospettica di tutto l’impianto quadraturistico. La volta si innalza da un lineare cornicione dipinto; negli angoli, colonne corinzie di marmo rosso delimitano otto profonde soggette da cui si affacciano musici e altre persone. Gli stemmi delle famiglie Capodilista e Conti sono sui quattro angoli. Nelle quattro vele sono raffigurati quattro putti che rappresentano le stagioni, segno del passare del tempo e tema frequente delle raffigurazioni nelle ville. Nel riquadro al centro sono raffigurati Aurora e Titone, sotto lo sguardo di Diana e di due amorini. Il mito narra che la dea Aurora si innamorò dell’eroe troiano Titone, ma si dimenticò di chiedere per lui l’eterna giovinezza. Alla fine, ridotto a sola voce lo trasformò in cicala. Nei quattro vestiboli voltati a botte, le sovrapporte sono ornate da cartigli con vedute di ville della famiglia Capodilista, compresa Villa Molin. Oltre ad essere un ampliamento della superficie del salone, i vestiboli, che formano con l’aula la croce greca, servono per dividere in gruppi distinti le stanze padronali ed i salottini razionalmente disposti. Ne risultano quattro appartamenti distinti per i quali il salone è il luogo comune di rappresentanza e di ritrovo, ideale vastissimo e fresco soggiorno estivo, riparato ed elegantemente decorato. Gli affreschi creano un prolungamento del salone utilizzando gli stessi colori, luminosi e dorati movimentando il ricco telaio architettonico e prospettico. Fanno da originale contrasto i leggeri e delicati stucchi realizzati nel tardo settecento dalla famiglia Capodilista che decorano con volute, tralci e camei le camere e i salottini. Considerato uno dei più bei parchi storici, il giardino di villa Molin si estende su 3,3 ettari, è circondato da un'alta recinzione. Il giardino all'italiana con viali di bosso e statue si basa sul progetto originario di Vincenzo Scamozzi. Il giardino romantico ha piante secolari e al tempo in cui la villa era abitata da Igino Kofler aveva un campo da tennis e tre buche da golf. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa Molin Sito ufficiale, su villamolinpadova.com.

Porta San Giovanni (Padova)
Porta San Giovanni (Padova)

Porta San Giovanni è una delle otto porte appartenenti alle mura di Padova, situata nella parte occidentale della città. È stata realizzata dall'architetto Giovanni Maria Falconetto nel 1528, in concomitanza di Porta Savonarola. La città di Padova, per la Repubblica di Venezia, rappresenta l'ultimo baluardo da fortificare per difendere il proprio territorio sulla terraferma. Per questo motivo, in seguito ai duri episodi avvenuti durante la Guerra di Cambrai (primi anni del 1500), Venezia dà avvio ad un'importante opera di fortificazione della città di Padova; questo progetto inizia a partire dalle mura in quanto era necessario un primo livello difensivo per salvaguardare la città. Nonostante l’architetto abbia dato normalmente molta importanza al fattore estetico, in questo progetto cercò di fondere l’estetica con la funzionalità. La porta subì diverse perdite nel corso della storia: un esempio è il leone marciano, realizzato in pietra d’Istria, che venne abbattuto durante le guerre napoleoniche. Nel XVIII secolo, per aumentare l’efficienza difensiva, Porta San Giovanni (insieme ad altre porte della cinta muraria) ha subito un intervento di aggiunta di un corpo di guardia a due piani sulla facciata esterna. Porta San Giovanni presenta una pianta a forma quadrangolare; le due facciate sono larghe 14m, entrambe rivestite in trachite e decorate con degli stemmi in pietra d'Istria. Una caratteristica di spicco di questa porta è che la facciata esterna non sporge rispetto alle mura bensì è in linea con esse; il motivo di questa scelta era di tipo funzionale in quanto, in questo modo, si evitavano attacchi alla struttura dai lati della porta. La facciata esterna presenta, sulla fascia inferiore, quattro semicolonne di ordine corinzio vitruviano con fusti realizzati in pietra trachitica e capitelli a più file di foglie lisce. Ai lati dell'apertura centrale sono collocate le porte pedonali decorate con lesene e un frontone triangolare: la porta più a Sud era attraversabile mentre l'altra aveva solo funzione decorativa. Inoltre, l'architrave sovrastante l'apertura centrale, presenta un'iscrizione che rimanda al periodo in cui è stata realizzata l'opera, ovvero sotto il rettorato di Sante Contarini. La fascia superiore presentava al centro il leone marciano, simbolo della Repubblica di Venezia, che fu abbattuto successivamente durante le guerre napoleoniche; sulla sinistra e sulla destra del leone centrale si trovano rispettivamente gli stemmi di Pandolfo Morosini (podestà del 1526) e di Sante Contarini (rettore del tempo) entrambi realizzati in pietra d'Istria. Il piano attico non è rivestito in trachite e presenta due feritoie all'estremità. La facciata interna presenta sulla fascia inferiore quattro lesene su un campo murario bugnato; nella fascia superiore, sulla destra ritroviamo lo stesso stemma del Contarini mentre, sul lato destro, si trova lo stemma di Maffeo Michiel (podestà del 1527). Il piano attico è equivalente a quello della facciata esterna. A differenza della pianta esterna, lo spazio interno è a pianta quadrata ed è coperto da una volta a crociera sorretta da pilastri angolari sporgenti. Grazie ad una porta posizionata al centro del fianco meridionale, si può raggiungere il piano più alto salendo la scala che attraversa lo spessore della muratura; nel pilastro posizionato a sud-ovest si apriva un varco che fungeva da tramite con l’ambiente esterno. Nella zona più a Sud a ridosso della porta, più precisamente all'interno della cortina muraria, è posizionata la casamatta per l'artiglieria. Gli ultimi restauri riportarono alla luce il camino, probabilmente aggiunto in seguito dal momento che questo non faceva parte del progetto originario. Nel XVIII secolo è stato aggiunto il ponte che permetteva di oltrepassare il fossato, sostituendo così l’originario ponte levatoio; il parapetto del ponte non si appoggia alla facciata della porta ma si ferma qualche metro, evitando di addossarsi alle basi delle colonne. Giuliana Mazzi, Adriano Verdi, Vittorio Dal Piaz, Le mura di Padova: percorso storico-architettonico, Padova, 2002 Ugo Fadini, Mura di Padova: guida al sistema bastionato rinascimentale, Vicenza, 2013 Lionello Puppi, Fulvio Zuliani, Padova: case e palazzi, Vicenza, 1977 Mura di Padova Giovanni Maria Falconetto Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta San Giovanni Sito dell'associazione "Comitato Mura di Padova", su muradipadova.it.

Chiesa di San Prosdocimo (Padova)
Chiesa di San Prosdocimo (Padova)

Il Duomo dei militari San Prosdocimo è un edificio religioso di origine medievale che si affaccia su contrà di San Giovanni alle Navi, ora via San Prosdocimo, a Padova. L'edificio sacro faceva parte di un monastero di monache benedettine. Sconsacrato nel 1806 ed utilizzato come magazzino militare, è stato riconsacrato il 10 aprile 1990 dall'Ordinario militare S.Ecc. mons. Giovanni Marra e divenendo Duomo dei Militari San Prosdocimo. Per la parte infrastrutturale fa capo al Comando Forze Operative Nord ed è una chiesa dipendente dall'Ordinariato militare in Italia. La chiesa è retta dal cappellano militare dello stesso Comando. La chiesa e il vicino monastero - ancora esistente - sono legati alle vicende della Beata Eustochio Lucrezia Bellini, monaca benedettina vissuta nel monastero. Morta il 13 febbraio 1469, il suo corpo fu tumulato nella chiesa il 14 novembre 1475 e vi rimase fino all'11 settembre 1806, allorché venne traslato nella cappella di sinistra della chiesa di San Pietro. L'edificio religioso, già delle monache benedettine che ebbero di fianco illustre monastero, in seguito alle legislazioni napoleoniche divenne panificio e magazzino di proprietà militare. Nel 1990 dopo un attento recupero, è tornato ad essere chiesa parrocchiale dipendente dall'Ordinariato militare in Italia. Chiuso in seguito alle scosse di terremoto del 2012, dopo un attento lavoro di ripristino è stato ufficialmente riaperto dall'Ordinario Militare per l'Italia S.Ecc. mons. Santo Marcianò con solenne cerimonia il 5 novembre 2019, concelebranti l’Abate emerito Francesco Trolese della Basilica di santa Giustina e mons. Giuliano Zatti, Vicario Generale della Diocesi di Padova. L'altare, contenente le reliquie ex ossibus di sant'Antonio di Padova, di san Leopoldo Mandic, del beato Francesco Faà di Bruno, delle beate Rafaela Ybarra de Vilallonga e Marie-Léonie Paradis, è stato riconsacrato alla presenza di 25 concelebranti tra cui i cappellani militari del Veneto. Riguardano quelli della beata Eustochio Bellini e del beato padre Marco d'Aviano. Nel 1444 nel monastero di San Prosdocimo, dove non vigeva ancora la regola della clausura, nacque Lucrezia Bellini, da Giacomo Bellini e da Maddalena Cavalcabò, monaca del monastero. All'età di sette anni Lucrezia venne riportata nel convento dove, nel 1461, vestì l'abito benedettino con il nome di Eustochio (Giulia Eustochio fu Julia Eustachim, nata a Roma nel 368 d.C. e morta a Betlemme nel 418, discepola prediletta di San Girolamo). Giovane ed inesperta, priva di affetti, Eustochio seppe rimanere estranea ai mali che la circondavano; visse con singolare pazienza e rassegnazione la sua condizione di figlia illegittima e di 'monaca indemoniata', sopportando con serenità le vessazioni del maligno, i maltrattamenti delle monache e le accuse di stregoneria, il tutto accompagnato dall'esercizio di un'ascesi intensa, dalla pratica esemplare delle virtù teologali e cardinali, dalla piena osservanza dei voti religiosi, che la portarono ad annullarsi completamente in Dio ed a conquistarsi un posto di riguardo nel cuore dei padovani. Il 13 febbraio 1469 Eustochio morì, a soli 25 anni, in concetto di santità e venne sepolta nel convento. Subito dopo la sua morte si verificarono numerosi prodigi e segni miracolosi che contribuirono ad aumentare la fama di santità; uno dei più importanti fu il soave profumo che il suo corpo cominciò ad emanare, profumo che continuò a sentirsi nei pressi del sepolcro per molti anni. Il 16 novembre 1472, in occasione della ricognizione per la beatificazione ed il trasferimento della salma, il suo sepolcro fu aperto e si scoprì, davanti alle autorità, che il corpo, dopo oltre tre anni di sepoltura senza cassa, era rimasto incorrotto. Nella circostanza, il corpo venne rivestito con un nuovo abito monacale e deposto, in cassa, in un altro sepolcro da dove, il 14 novembre 1475, fu solennemente trasportato in Chiesa e tumulato in un'arca di marmo vicino all'altare con l'iscrizione "BEATAE EUSTOCHIO PADUANE" (alla Beata Eustochio Padovana). Nel frattempo, nel luogo della sua prima sepoltura, rimasto aperto, il 6 gennaio 1473 comparve una vena d'acqua limpida ed abbondante che fu ritenuta da tutti miracolosa, sia per il luogo sia perché la natura del terreno non presentava alcuna traccia di umidità, la cui presenza avrebbe invece comportato la corruzione del corpo di Eustochio. Quest'acqua prodigiosa guariva ogni infermità, purché nell'infermo non fossero mancate la fede e la disposizione che si richiede per ricevere la grazia. La tradizione popolare racconta che dall'abbondanza o dalla scarsità di quest'acqua si potevano prevedere periodi buoni o meno buoni per i raccolti o per gli avvenimenti storici della città di Padova, e che l'acqua cessò di sgorgare nel 1806, qualche tempo prima dello spostamento del corpo della Beata. Il culto per la Beata Eustochio fu riconosciuto ufficialmente da Papa Clemente XIII, nel 1760. L'8 settembre 1676 accadde, a San Prosdocimo, un miracolo del beato padre Marco d'Aviano, uno dei personaggi più importanti della storia religiosa e politica del Settecento. Nato ad Aviano il 17 novembre 1631, egli giunse a Padova all'inizio del 1676, assegnato al convento dei Cappuccini, ed il 15 agosto, per la festa dell'Assunzione, tenne a San Prosdocimo, nella chiesa del monastero, una predica tanto infiammata sulle glorie di Maria che tutti i fedeli ne furono incantati. Le monache, piene di entusiasmo, ne parlarono a suor Vincenza, una loro consorella che da tredici anni giaceva a letto paralizzata, la quale fu presa da un irrefrenabile desiderio di ascoltare quel Padre, così che la Madre Badessa si adoperò affinché nel convento dei Cappuccini fosse inviato nuovamente padre Marco, cosa che avvenne l'8 settembre per la festa della Natività di Maria Santissima. L'inferma, posta su di una barella, fu trasportata nella chiesa dove poté assistere alla predica; dopo il panegirico per la Natività di Maria, padre Marco, a consolazione dell'ammalata, recitò le litanie lauretane ed impartì la benedizione all'inferma la quale, prima del termine della stessa, esclamò a gran voce: "Sono guarita, sono guarita!". Lo stesso Padre rimase stupito e dopo essersi ripreso ordinò alla suora, indicandole la vicina scala: "Ora sali e poi scendi questa scala", cosa che lei fece con facilità. Campane a festa annunciarono il lieto evento agli stupefatti abitanti di Padova. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Prosdocimo Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Ordinariato militare in Italia