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Stazione di Padova Campo Marte

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La stazione di Padova Campo Marte era una stazione ferroviaria di Padova, situata sulla linea Padova-Bologna, che collegava la città veneta all'Emilia-Romagna, a Rovigo, Ferrara ed al sud Italia. Era posta lungo Corso Australia, una delle tangenziali cittadine, nonché vicino all'aeroporto. La stazione è comandata dal Dirigente Movimento di Padova, dal momento che Campo Marte è stata integrata nell'ACC di Padova. Prima del 1970 la stazione era così costituita: Cabina A: ACI ad 80 leve e serratura centrale con chiavi di risulta, lato Padova; Cabina B: ACI a 15 leve e serratura centrale con chiavi di risulta, lato Bologna; PG Montà: apparato a filo a 5 leve, nelle vicinanze del Deposito Locomotive. I deviatoi erano interamente a mano con fermascambi a chiave, mentre il segnalamento, prima del 1967, era ad ala con manovra idrodinamica e successivamente luminoso con luci sovrapposte. Successivamente, dal 1970 fino agli anni 2000 la stazione ebbe in dotazione un ACEI tipo OMS2, con due posti di movimento, dotati di serratura centrale con chiavi di risulta, di cui il B, venne dismesso, centralizzando tutto il lato Bologna. La stazione era raccordata alla omonima Squadra Rialzo che si occupava delle riparazioni sia di carri merci che di vetture passeggeri della divisione Trasporto regionale del Veneto. Tutti i fabbricati sono attualmente in stato di abbandono se non già demoliti. L'impianto viene utilizzato come bivio per i raccordi utilizzati dai treni merci da e per Bologna in direzione del gruppo scambi Montà (sulla linea per Milano) e gruppo scambi Altichiero (sul tronco comune alle linee per Bassano e per Calalzo). Padova Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale

Estratto dall'articolo di Wikipedia Stazione di Padova Campo Marte (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Stazione di Padova Campo Marte
Corso Australia, Padova Sant'Ignazio

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Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 45.4082 ° E 11.8519 °
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Indirizzo

Via Chiesanuova - Rubano Sarmeola

Corso Australia
35143 Padova, Sant'Ignazio
Veneto, Italia
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Luoghi vicini

Porta San Giovanni (Padova)
Porta San Giovanni (Padova)

Porta San Giovanni è una delle otto porte appartenenti alle mura di Padova, situata nella parte occidentale della città. È stata realizzata dall'architetto Giovanni Maria Falconetto nel 1528, in concomitanza di Porta Savonarola. La città di Padova, per la Repubblica di Venezia, rappresenta l'ultimo baluardo da fortificare per difendere il proprio territorio sulla terraferma. Per questo motivo, in seguito ai duri episodi avvenuti durante la Guerra di Cambrai (primi anni del 1500), Venezia dà avvio ad un'importante opera di fortificazione della città di Padova; questo progetto inizia a partire dalle mura in quanto era necessario un primo livello difensivo per salvaguardare la città. Nonostante l’architetto abbia dato normalmente molta importanza al fattore estetico, in questo progetto cercò di fondere l’estetica con la funzionalità. La porta subì diverse perdite nel corso della storia: un esempio è il leone marciano, realizzato in pietra d’Istria, che venne abbattuto durante le guerre napoleoniche. Nel XVIII secolo, per aumentare l’efficienza difensiva, Porta San Giovanni (insieme ad altre porte della cinta muraria) ha subito un intervento di aggiunta di un corpo di guardia a due piani sulla facciata esterna. Porta San Giovanni presenta una pianta a forma quadrangolare; le due facciate sono larghe 14m, entrambe rivestite in trachite e decorate con degli stemmi in pietra d'Istria. Una caratteristica di spicco di questa porta è che la facciata esterna non sporge rispetto alle mura bensì è in linea con esse; il motivo di questa scelta era di tipo funzionale in quanto, in questo modo, si evitavano attacchi alla struttura dai lati della porta. La facciata esterna presenta, sulla fascia inferiore, quattro semicolonne di ordine corinzio vitruviano con fusti realizzati in pietra trachitica e capitelli a più file di foglie lisce. Ai lati dell'apertura centrale sono collocate le porte pedonali decorate con lesene e un frontone triangolare: la porta più a Sud era attraversabile mentre l'altra aveva solo funzione decorativa. Inoltre, l'architrave sovrastante l'apertura centrale, presenta un'iscrizione che rimanda al periodo in cui è stata realizzata l'opera, ovvero sotto il rettorato di Sante Contarini. La fascia superiore presentava al centro il leone marciano, simbolo della Repubblica di Venezia, che fu abbattuto successivamente durante le guerre napoleoniche; sulla sinistra e sulla destra del leone centrale si trovano rispettivamente gli stemmi di Pandolfo Morosini (podestà del 1526) e di Sante Contarini (rettore del tempo) entrambi realizzati in pietra d'Istria. Il piano attico non è rivestito in trachite e presenta due feritoie all'estremità. La facciata interna presenta sulla fascia inferiore quattro lesene su un campo murario bugnato; nella fascia superiore, sulla destra ritroviamo lo stesso stemma del Contarini mentre, sul lato destro, si trova lo stemma di Maffeo Michiel (podestà del 1527). Il piano attico è equivalente a quello della facciata esterna. A differenza della pianta esterna, lo spazio interno è a pianta quadrata ed è coperto da una volta a crociera sorretta da pilastri angolari sporgenti. Grazie ad una porta posizionata al centro del fianco meridionale, si può raggiungere il piano più alto salendo la scala che attraversa lo spessore della muratura; nel pilastro posizionato a sud-ovest si apriva un varco che fungeva da tramite con l’ambiente esterno. Nella zona più a Sud a ridosso della porta, più precisamente all'interno della cortina muraria, è posizionata la casamatta per l'artiglieria. Gli ultimi restauri riportarono alla luce il camino, probabilmente aggiunto in seguito dal momento che questo non faceva parte del progetto originario. Nel XVIII secolo è stato aggiunto il ponte che permetteva di oltrepassare il fossato, sostituendo così l’originario ponte levatoio; il parapetto del ponte non si appoggia alla facciata della porta ma si ferma qualche metro, evitando di addossarsi alle basi delle colonne. Giuliana Mazzi, Adriano Verdi, Vittorio Dal Piaz, Le mura di Padova: percorso storico-architettonico, Padova, 2002 Ugo Fadini, Mura di Padova: guida al sistema bastionato rinascimentale, Vicenza, 2013 Lionello Puppi, Fulvio Zuliani, Padova: case e palazzi, Vicenza, 1977 Mura di Padova Giovanni Maria Falconetto Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta San Giovanni Sito dell'associazione "Comitato Mura di Padova", su muradipadova.it.

Chiesa di San Prosdocimo (Padova)
Chiesa di San Prosdocimo (Padova)

Il Duomo dei militari San Prosdocimo è un edificio religioso di origine medievale che si affaccia su contrà di San Giovanni alle Navi, ora via San Prosdocimo, a Padova. L'edificio sacro faceva parte di un monastero di monache benedettine. Sconsacrato nel 1806 ed utilizzato come magazzino militare, è stato riconsacrato il 10 aprile 1990 dall'Ordinario militare S.Ecc. mons. Giovanni Marra e divenendo Duomo dei Militari San Prosdocimo. Per la parte infrastrutturale fa capo al Comando Forze Operative Nord ed è una chiesa dipendente dall'Ordinariato militare in Italia. La chiesa è retta dal cappellano militare dello stesso Comando. La chiesa e il vicino monastero - ancora esistente - sono legati alle vicende della Beata Eustochio Lucrezia Bellini, monaca benedettina vissuta nel monastero. Morta il 13 febbraio 1469, il suo corpo fu tumulato nella chiesa il 14 novembre 1475 e vi rimase fino all'11 settembre 1806, allorché venne traslato nella cappella di sinistra della chiesa di San Pietro. L'edificio religioso, già delle monache benedettine che ebbero di fianco illustre monastero, in seguito alle legislazioni napoleoniche divenne panificio e magazzino di proprietà militare. Nel 1990 dopo un attento recupero, è tornato ad essere chiesa parrocchiale dipendente dall'Ordinariato militare in Italia. Chiuso in seguito alle scosse di terremoto del 2012, dopo un attento lavoro di ripristino è stato ufficialmente riaperto dall'Ordinario Militare per l'Italia S.Ecc. mons. Santo Marcianò con solenne cerimonia il 5 novembre 2019, concelebranti l’Abate emerito Francesco Trolese della Basilica di santa Giustina e mons. Giuliano Zatti, Vicario Generale della Diocesi di Padova. L'altare, contenente le reliquie ex ossibus di sant'Antonio di Padova, di san Leopoldo Mandic, del beato Francesco Faà di Bruno, delle beate Rafaela Ybarra de Vilallonga e Marie-Léonie Paradis, è stato riconsacrato alla presenza di 25 concelebranti tra cui i cappellani militari del Veneto. Riguardano quelli della beata Eustochio Bellini e del beato padre Marco d'Aviano. Nel 1444 nel monastero di San Prosdocimo, dove non vigeva ancora la regola della clausura, nacque Lucrezia Bellini, da Giacomo Bellini e da Maddalena Cavalcabò, monaca del monastero. All'età di sette anni Lucrezia venne riportata nel convento dove, nel 1461, vestì l'abito benedettino con il nome di Eustochio (Giulia Eustochio fu Julia Eustachim, nata a Roma nel 368 d.C. e morta a Betlemme nel 418, discepola prediletta di San Girolamo). Giovane ed inesperta, priva di affetti, Eustochio seppe rimanere estranea ai mali che la circondavano; visse con singolare pazienza e rassegnazione la sua condizione di figlia illegittima e di 'monaca indemoniata', sopportando con serenità le vessazioni del maligno, i maltrattamenti delle monache e le accuse di stregoneria, il tutto accompagnato dall'esercizio di un'ascesi intensa, dalla pratica esemplare delle virtù teologali e cardinali, dalla piena osservanza dei voti religiosi, che la portarono ad annullarsi completamente in Dio ed a conquistarsi un posto di riguardo nel cuore dei padovani. Il 13 febbraio 1469 Eustochio morì, a soli 25 anni, in concetto di santità e venne sepolta nel convento. Subito dopo la sua morte si verificarono numerosi prodigi e segni miracolosi che contribuirono ad aumentare la fama di santità; uno dei più importanti fu il soave profumo che il suo corpo cominciò ad emanare, profumo che continuò a sentirsi nei pressi del sepolcro per molti anni. Il 16 novembre 1472, in occasione della ricognizione per la beatificazione ed il trasferimento della salma, il suo sepolcro fu aperto e si scoprì, davanti alle autorità, che il corpo, dopo oltre tre anni di sepoltura senza cassa, era rimasto incorrotto. Nella circostanza, il corpo venne rivestito con un nuovo abito monacale e deposto, in cassa, in un altro sepolcro da dove, il 14 novembre 1475, fu solennemente trasportato in Chiesa e tumulato in un'arca di marmo vicino all'altare con l'iscrizione "BEATAE EUSTOCHIO PADUANE" (alla Beata Eustochio Padovana). Nel frattempo, nel luogo della sua prima sepoltura, rimasto aperto, il 6 gennaio 1473 comparve una vena d'acqua limpida ed abbondante che fu ritenuta da tutti miracolosa, sia per il luogo sia perché la natura del terreno non presentava alcuna traccia di umidità, la cui presenza avrebbe invece comportato la corruzione del corpo di Eustochio. Quest'acqua prodigiosa guariva ogni infermità, purché nell'infermo non fossero mancate la fede e la disposizione che si richiede per ricevere la grazia. La tradizione popolare racconta che dall'abbondanza o dalla scarsità di quest'acqua si potevano prevedere periodi buoni o meno buoni per i raccolti o per gli avvenimenti storici della città di Padova, e che l'acqua cessò di sgorgare nel 1806, qualche tempo prima dello spostamento del corpo della Beata. Il culto per la Beata Eustochio fu riconosciuto ufficialmente da Papa Clemente XIII, nel 1760. L'8 settembre 1676 accadde, a San Prosdocimo, un miracolo del beato padre Marco d'Aviano, uno dei personaggi più importanti della storia religiosa e politica del Settecento. Nato ad Aviano il 17 novembre 1631, egli giunse a Padova all'inizio del 1676, assegnato al convento dei Cappuccini, ed il 15 agosto, per la festa dell'Assunzione, tenne a San Prosdocimo, nella chiesa del monastero, una predica tanto infiammata sulle glorie di Maria che tutti i fedeli ne furono incantati. Le monache, piene di entusiasmo, ne parlarono a suor Vincenza, una loro consorella che da tredici anni giaceva a letto paralizzata, la quale fu presa da un irrefrenabile desiderio di ascoltare quel Padre, così che la Madre Badessa si adoperò affinché nel convento dei Cappuccini fosse inviato nuovamente padre Marco, cosa che avvenne l'8 settembre per la festa della Natività di Maria Santissima. L'inferma, posta su di una barella, fu trasportata nella chiesa dove poté assistere alla predica; dopo il panegirico per la Natività di Maria, padre Marco, a consolazione dell'ammalata, recitò le litanie lauretane ed impartì la benedizione all'inferma la quale, prima del termine della stessa, esclamò a gran voce: "Sono guarita, sono guarita!". Lo stesso Padre rimase stupito e dopo essersi ripreso ordinò alla suora, indicandole la vicina scala: "Ora sali e poi scendi questa scala", cosa che lei fece con facilità. Campane a festa annunciarono il lieto evento agli stupefatti abitanti di Padova. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Prosdocimo Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Ordinariato militare in Italia

Stazione meteorologica di Padova Aeroporto
Stazione meteorologica di Padova Aeroporto

La stazione meteorologica di Padova Aeroporto è la stazione meteorologica di riferimento relativa alla città di Padova. La stazione dopo vent'anni di inattività ha ripreso le rilevazioni nel 2010 con l'emissione di SYNOP dalla nuova stazione automatica DCP e dal 24 luglio 2012 con l'emissione di METAR dalla nuova stazione aeroportuale presidiata. La stazione meteorologica presidiata, gestita dall'ENAV e contrassegnata dal codice ICAO LIPU, si trova nell'area climatica dell'Italia nord-orientale, nel Veneto, nel comune di Padova, presso l'aeroporto di Padova, a 14 metri s.l.m. e alle coordinate geografiche 45°23′42.78″N 11°51′00.8″E45°23′42.78″N, 11°51′00.8″E. Originariamente, la stazione meteorologica sinottica era presidiata e contrassegnata dal codice WMO 16095 fino alla sua dismissione del 1991; in seguito, a partire dal 2010, è stata riattivata una stazione meteorologica automatica DCP contrassegnata dal codice WMO 16582, situata a 15 metri s.l.m.. In base alla media trentennale di riferimento 1961-1990, ancora in uso per l'Organizzazione meteorologica mondiale e definita Climate Normal (CLINO), la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta a +2,2 °C, quella del mese più caldo, luglio, è di +23,0 °C. Nel medesimo trentennio, la temperatura minima assoluta ha toccato i -19,2 °C nel gennaio 1985 (media delle minime assolute annue di -8,4 °C), mentre la massima assoluta ha fatto registrare i +36,4 °C nel luglio 1983 (media delle massime assolute annue di +33,6 °C). Mediamente, si contano 60 giorni di gelo all'anno. La nuvolosità media annua si attesta a 4,2 okta, con minimo di 3 okta a luglio e massimo di 5,3 okta a novembre. Le precipitazioni medie annue, distribuite in modo irregolare con un minimo relativo invernale, si attestano a 846 mm e sono distribuite mediamente in 84 giorni di pioggia. L'umidità relativa media annua si attesta al valore di 72,6 % con minimo di 68 % a luglio e massimo di 81 % a dicembre. L'eliofania assoluta media annua fa registrare il valore di 5,5 ore giornaliere, con minimo di 1,7 ore giornaliere a dicembre e massimo di 9,9 ore giornaliere a luglio. Nella tabella sottostante sono riportati i valori delle temperature estreme mensili registrate dal 1946 ad oggi (mancano i dati tra il 1991 e il 2009), con il relativo anno in cui sono state registrate. Nel periodo esaminato, la temperatura minima assoluta ha toccato i -19,2 °C nel gennaio 1985 mentre la massima assoluta ha raggiunto i +39,6 °C nel Giugno 2019 Padova Stazione meteorologica Clima italiano Dati in tempo reale registrati dalla stazione meteorologica di Padova Aeroporto, su meteoam.it.

Aeroporto di Padova
Aeroporto di Padova

L'Aeroporto di Padova (ICAO: LIPU), citato anche con il nome commerciale di Aeroporto Civile di Padova "Gino Allegri", è un aeroporto italiano situato a circa 3 km a sud ovest del centro della città di Padova. La struttura, intitolata alla memoria del tenente pilota Gino Allegri, è posta all'altitudine di 13 m / 44 ft sul livello del mare, dotata di un piccolo terminal e di due piste, la principale lunga 1 122 m e larga 30 m (3 681 × 98 ft), con orientamento 04/22, fondo in asfalto e dotata di impianto di illuminazione a bassa intensità (LIRL) e sistema di assistenza all'atterraggio PAPI, la secondaria parallela alla prima da 617 × 30 m e fondo in erba. L'aeroporto, gestito dalla Aeroporto civile di Padova S.p.A., effettua attività secondo le regole e gli orari sia IFR che VFR ed è aperto al traffico commerciale. Classificato come City airport, questo aeroporto è uno dei pochi inseriti nel tessuto urbano di una città. L'aeroporto di Padova viene realizzato durante la prima guerra mondiale assieme ad altri piccoli aeroporti sparsi per i comuni della provincia, in particolare si ricorda il campo di aviazione di San Pelagio nell'omonima frazione di Due Carrare, dove il 9 agosto 1918 la squadriglia "Serenissima", sotto la guida di Gabriele D'Annunzio, partì per il celebre volo su Vienna. Gino Allegri, a cui è intitolato l'aeroporto di Padova, morì durante l'atterraggio sul campo di San Pelagio. Durante gli anni successivi alla prima guerra mondiale l'aeroporto di Padova fu usato per scopi militari ospitando il 1º Stormo caccia oggi 1ª Brigata aerea "operazioni speciali" fino al 1987, anno in cui venne aperto anche ai voli civili. Il Ministero dei trasporti nel 1995 riconosce l'aeroporto come scalo di interesse sociale per i voli sanitari ed umanitari. Sede del comando della 1ª Brigata Aerea fino al 31 ottobre 2009, l'Aeronautica Militare sta procedendo a dismettere la propria base militare; inoltre era sede di un gruppo squadroni AVES (oggi già interamente trasferito a Bolzano, al 54°), la cui base è oggi chiusa ed in stato di abbandono. Questo aeroporto è aperto al traffico di voli turistici nazionali e internazionali, voli di linea charter, privati di imprenditori, commerciali e cargo nazionali ed internazionali e voli militari di elicotteri e velivoli leggeri. Qui ha sede anche l'Aeroclub di Padova con la sua scuola volo e di volo a vela. Quello che però rende questo aeroporto importante sono soprattutto i voli sanitari e di emergenza per malati gravi e per i trapianti di organi. L'aeroporto è la base di partenza del servizio di elisoccorso del SUEM di Padova. All'aeroporto di Padova non esistono voli di linea regolari: alcuni progetti di potenziamento dello scalo sono stati contrastati dagli abitanti delle zone circostanti, in quanto la struttura si trova pienamente integrata nel centro urbano, e l'implementazione di voli creerebbe non pochi problemi per la vivibilità dei quartieri interessati; anzi, vi sono dei comitati che si battono per la chiusura completa dello scalo e la sua riconversione in parco. Nel 2006 e nel 2007 la gestione dell'aeroporto da parte della Save Spa ha chiuso i bilanci in forte deficit. La società ACP SpA in Liquidazione ha cessato la gestione dell'Aeroporto "G. Allegri" di Padova dall'11 dicembre 2014. Nel 2022 la gestione dell'aeroporto passa a Heron Air SRL, la quale investirà 2,5 milioni di euro per la ristrutturazione dello scalo. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Aeroporto di Padova Sito ufficiale, su airportpadova.it. Gruppo Volovelistico Patavino, su voloavelapadova.it. Pagina della 1ª Brigata Aerea sul Sito ufficiale dell'Aeronautica Militare, su aeronautica.difesa.it. Google mappe: l'aeroporto di Padova visto dal satellite, su maps.google.it. Il campo di aviazione su ilfrontedelcielo.it

Porta Savonarola
Porta Savonarola

Porta Savonarola è una delle otto porte di accesso delle mura cinquecentesche della città di Padova. Il progettista fu Giovanni Maria Falconetto che, non essendo un ingegnere militare, si concentrò maggiormente sulla bellezza formale dell'edificio, ma non trascurando la sua funzione primaria, quella difensiva. La costruzione di Porta Savonarola venne iniziata nel 1528 e conclusa nel 1530, per completare il progetto di fortificazione delle città di Padova da parte della Repubblica Veneta. Porta Savonarola è la porta Nord-Ovest delle mura, oggi all'incrocio tra via Vicenza, via Savonarola e corso Milano. Durante e dopo gli anni della Guerra della Lega di Cambrai, la Serenissima si fece promotrice di una serie di iniziative architettoniche quali la costruzione delle mura di Padova, essendo l'ultima città della Repubblica da difendere. Il progetto contava di edificare 8 porte di accesso alla città; il numero è esiguo perché la struttura della porta è un punto assai debole. L'opera di fortificazione prende avvio nel 1509 e a concludere l'impresa fu Giovanni Maria Falconetto con l'ultimazione di Porta Savonarola realizzata nel 1528 e finita nel 1530. Porta Savonarola presenta due ingressi: uno verso l'esterno (ovest), che un tempo dava verso le compagne, l'altro verso l'interno (est) che si affacciava alla città. Porta Savonarola presenta una pianta rettangolare esterna. L'interno è caratterizzato un ambiente ottagonale con nicchie semicircolari inquadrate da una semplice cornice e una volta di copertura a spicchi. Dall'estradosso della volta di copertura è possibile raggiungere il sottotetto tramite una scala ricavata nello spessore della muratura. Porta Savonarola è realizzata sul modello dell'arco di trionfo romano. La facciata esterna (ovest) della porta è tripartita verticalmente e posa su una base scarpata. Sono presenti quattro colonne di ordine composito in pietra d'Istria poste sopra un piedistallo che risaltano rispetto alla muratura scura in trachite. Negli angoli in basso ci sono due porte, quella di destra in origine era aperta e riservata all'accesso pedonale, ora chiusa. La figura di Marte campale tra le fiamme è rappresentata in chiave all'arco della porta di accesso alla città. Nella volta dell'arcata del portone di accesso alla città sopra le due porte sono scolpiti in altorilievo due clipei in trachite raffiguranti in pietra d'Istria Bacco e Pomona (o Cerere, divinità della fertilità rurale) in pietra d'Istria. Il piano attico è decorato con due stemmi celebrativi delle casate della città e il Leone Marciano. Quest'ultimo venne distrutto insieme agli stemmi della Serenissima dai Francesi nel 1797, poi nel 1928 furono ricostruiti. Venne anche demolita l'ultima arcata del ponte levatoio che successivamente viene sostituito negli anni Trenta del Novecento con una passerella in legno. La facciata interna (est) è simile a quella esterna: è anch'essa tripartita verticalmente, ma presenta solo le colonne laterali in pietra d'Istria. I clipei raffigurano Medoacus (divinità fluviale rappresentante il fiume che passa all'interno della città) e Minerva (protettrice della città). Nella chiave di volta dell'arco della porta di accesso alle campagne è raffigurata la fenice personificata. Anche questo piano attico è decorato dagli stemmi della città e al centro si trova una grande iscrizione che ricorda il doge Andrea Gritti con la data del 1530. Falconetto riprende dalla Porta Aurea di Ravenna, con il valore di una citazione, il motivo dei grandi clipei sui due fronti della grande porta Savonarola del 1530, firmata e datata, articolata con fornice centrale e due porticine laterali fiancheggiate da due semicolonne, dove pone al secondo ordine i clipei copiati dalla porta ravennate, ornati dai busti delle divinità tutelari la città, sul tipo della porta di Augusto a Rimini. Insiste su questo schema di porte ad atrio coperto, unico fornice con aperture laterali più piccole anche nella porta San Giovanni del 1528, anch'essa firmata. Giovanni Maria Falconetto utilizza un sistema decorativo di fronti e fregi aderenti ai modelli antichi che si lega allo sviluppo architettonico del periodo, tramite questo usufruisce dell'ordine architettonico come strumento compositivo dell'intero edificio. Rispetto alle altre porte cinquecentesche Falconetto prende solo l'allineamento alla cortina delle mura, dalle architetture dell'epoca crea una elaborazione formale con la supremazia della bellezza formale rispetto alla funzionalità difensiva. Lo spazio interno è di difficile gestione militare: si ispira allo studiolo di Varrone presso Cassino, stesso modello per l'Odeo Cornaro, ulteriore dimostrazione del fatto che Falconetto non è un ingegnere militare ma un architetto che ha poco interesse per la funzione difensiva dell'edificio. Le scelte architettoniche del Falconetto possono essere interpretate secondo la concezione Albertiana della città come grande casa: Porta San Giovanni (Padova) Mura di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta Savonarola Sito dell'associazione "Comitato Mura di Padova", su muradipadova.it.

Chiesa di San Benedetto Vecchio
Chiesa di San Benedetto Vecchio

La chiesa di San Benedetto abate chiamata da secoli chiesa di San Benedetto Vecchio (per non confonderla con la vicina chiesa di San Benedetto Novello) è un edificio di origine medievale che si affaccia su Riviera San Benedetto, verso il Bacchiglione, a Padova. L'edificio sorse con l'annesso monastero benedettino per volere del beato Girolamo Forzatè. Come narra il Portenari, la chiesa di San Benedetto sarebbe sorta per volere di Girolamo Forzatè nel 1195 con il monastero benedettino "in distinti claustri e domicilij pose monaci e monache, e lo governò santamente con titolo di Priore per alquanti anni" (A. Portenari, 1623, pag. 471) e a confermare la data di fondazione si aggiungono gli Annales Patavini e i Libri Regiminum Padue. Alcuni documenti ricordano che il monastero fu fondato in prossimità di un ospitales. Il monastero doppio, con comunità femminile guidata da una badessa e quella maschile capeggiata dal priore, in seguito alla morte del fondatore (1248) fu destinato alle sole monache, mentre i monaci costruirono poco distante una nuova sede con chiesa, San Benedetto Novello (1262). Ricordano le fonti che la chiesa, consacrata il 31 agosto 1222, originariamente si poneva al centro del monastero, a divisione della parte maschile e femminile. Dopo la scissione, il monastero fiorì ampiamente, tanto che tra il 1356 e il 1397 vi fu badessa Anna Buzzaccarini, cognata del Principe di Padova Francesco il Vecchio che fece adornare le strutture riccamente, a proprie spese. Dopo Anna, seguì la figura di Orsola Buzzaccarini che donò la chiesa e il monastero di Sant'Orsola (1402) ai Francescani dell'Osservanza mentre, alcuni decenni dopo, vi giunse una giovane educanda, Caterina Cornaro, dove ricette educazione sino all'età di quattordici anni. La chiesa rimase inalterata sino al 1612 quando la badessa Aurora da Camposampiero promosse lavori di adeguamento, probabilmente a seguito delle riforme liturgiche del Concilio di Trento. Si cambiò l'orientamento e la facciata, prima posta verso ponente, fu rivolta verso levante dove originariamente era posto il presbiterio. Il Portenari ricorda che attorno al 1620 fu "ridotta in bellissima forma, e vagamente ornata". Il 3 luglio 1628 il cardinale Pietro Valier in visita pastorale la trova "bene tecta, ampla et alba". Nei decenni seguenti la costruzione fu arricchita e adornata di nuove opere ed altari. Con le legislazioni ecclesiastiche napoleoniche del 1810 il monastero benedettino fu soppresso e trasformato in caserma d'artiglieria mentre la chiesa assunse il titolo di parrocchiale, assorbendo quello della chiesa di San Leonardo. Agli inizi del XX secolo l'edificio subì numerosi interventi di restauro, ma l'11 marzo 1944 fu colpito dalle bombe alleate che devastarono la struttura e distrussero numerose opere d'arte, tra cui il ciclo delle storie dell'Apocalisse di Giusto de' Menabuoi. Nel primo dopoguerra si avviarono i restauri che favorirono il recupero dell'aspetto romanico. Oggi in continuità con i decreti napoleonici la chiesa è parrocchiale affidata al clero secolare della diocesi di Padova. Accanto alla chiesa si erge la caserma "Prandina" che insiste su quello che era il monastero delle benedettine. Nella chiesa è sepolta Giustiniana Wynne. La facciata, che è preceduta da un ampio sagrato alberato (anticamente era pavimentato), si erge verso levante. L'aspetto attuale si deve ai lavori attuati nel XVII secolo, sulla parete occupata sino al XVI secolo dall'abside della chiesa. È di ordine composito e rispetta i raffinati stilemi manieristici in voga in città sin dalla seconda metà del cinquecento ricollegandosi ai lavori di Dario Varotari. Si eleva su due registri, tutti ritmati da sottili paraste terminate da raffinati capitelli tuscanici (in basso) e ionici. Sopra, un attico coronato da statue sulla quale, al centro, poggia un timpano. Si apre un unico portale timpanato e ai lati, due nicchie e due finestre, come in alto, dove campeggiano quattro aperture quadrangolari. Al centro del timpano è posto un altorilievo raffigurante il Padre Eterno, che si collega con il sottostante San Benedetto in gloria, sempre ad altorilievo. Nel dipinto del Padovanino che ritrae il beato Forzatè, posto all'interno della chiesa, è ritratto l'edificio prima dei lavori di costruzione della facciata. Sulla sinistra, rispetto alla facciata, si apre un vicolo che permette la visione della fiancata romanica della chiesa, aperta da monofore e ritmata da archetti pensili. Sul retro, anche se occultata da edifici e dal campanile, è possibile scorgere la vecchia facciata romanica della chiesa, ingentilita da bifore e da arcatelle ceche. L'attuale aspetto slanciato, aperto da quattro monofore e tamburo coperto da cupolino a cipolla è settecentesco, ma si eleva sulla canna del campanile medievale, già coperto da una cuspide conica e aperto da bifore. Varcata la porta d'ingresso, si accede ad suggestivo interno suddiviso in tre navi, convergente verso il monumentale altare maggiore. Dopo i lavori di restauro post-bellici, predomina il caldo colore del cotto, ritmato dalla arcate a tutto sesto sostenute da pilastri e da arcatelle ceche romaniche decorate dalle cromie dello stemma della città di Padova che pure si ritrova ritmicamente raffigurato a fresco lungo le pareti. La navata centrale è coperta a capriate lignee, mentre le navate laterali sono voltate a crociera. La grandiosa macchina barocca dell'altar maggiore, opera (1663) di Girolamo Galeazzo Veri, poggia sulla vecchia controfacciata romanica. La quasi quinta architettonica, elaborata sulle cromie marmoree del bianco e del nero è ingentilita da sette statue di santi benedettini e padovani di Tommaso Allio e dalla grande pala di Alessandro Maganza raffigurante La Trasfigurazione. Notevolissimo il tabernacolo, coronato da una elegante turba angelica. In alto, sulle pareti dove sono state portate alla luce le arcate romaniche tamponate sono posti tre teleri tra cui Mosè che fa scaturire le acque di Alessandro Varotari (donata nel settecento dal conte Girolamo Dotto) e Gesù Cristo con Apostoli dispensa il pane alle turbe affamate di Francesco Minorello. Sopra agli stalli lignei che percorrono le pareti sono poste quattordici statue gotiche in terracotta che forse già decoravano il pontile della chiesa, atterrato nel seicento. Sulla cappella accanto al presbiterio, decorata a fresco nel settecento, è posta la bella pala di Domenico Robusti raffigurante Gesù Cristo in aria, san Pietro che detta lo evangelio a san Marco, e più sotto i santi Girolamo, Domenico e Tecla opera commissionata dal patrizio Marco Querini. Un tempo la cappella era riservata alle monache, che seguivano la messa dalla larga grata che si affaccia sull'altare. Sull'altare lungo la navata è posto, rivestito delle insegne pontificali, il corpo incorrotto del beato Giordano Forzatè, sovrastato da una pala che lo raffigura mentre traccia sul terreno la pianta del monastero, opera di Alessandro Varotari. Sui tre altari barocchi posti lungo la navata laterale, sono collocate interessanti opere, di Pietro Damini la pala raffigurante il Transito di san Benedetto, di Luca da Reggio quella raffigurante la Vergine di Loreto sopra sant'Elena Imperatrice (proveniente dalla demolita chiesa di San Leonardo) e un San Gerolamo della cerchia di Giulio Campagnola. Il fonte battesimale, accanto all'ingresso, sembra poggiare sopra un'ara sacrificale di età romana. Sopra, una piccola tela secentesca raffigura il battesimo di Cristo. Accanto alla porta di ingresso resti di affreschi del XIII secolo tra cui una rara deposizione. Le visite pastorali effettuate tra il XVII e XVIII secolo danno la possibilità di delineare l'andamento liturgico-musicale della chiesa di quei tempi in modo abbastanza esauriente: alle monache era possibile seguire le funzioni solo dalla cappella con grata verso il presbiterio (la cappella della navata destra) oppure cantare dalla cantoria posta in controfacciata, nascoste da tende. Nel 1657 il vescovo notò alcuni accesi scontri all'interno della comunità composta da 46 religiose, diverbi provocati da alcune monache (Speronella Speroni e Faustina Stefani) irrequiete "di fronte al dovere cantare e suonare l'organo". Più lapidario fu il vescovo Giorgio Cornaro nel 1717, dove decretò che il canto fosse "canto fermo, monastico e divoto per lodare Dio non per vanità e compiacenza, con perdita di merito e forse con aggravio di demerito" e proibì quindi "ogni sorta di canto figurato, ogni strumento musicale in coro eccetto l'organo e la spinetta, per il tuono delle voci" riservandosi il compito di nominare il maestro di musica delle monache. Dall'opera Arte Organaria di Costanzo Antegnati sappiamo che nella chiesa di San Benedetto Vecchio si trovava uno strumento di Giovan Battista Antegnati, costruito tra il 1536 e il 1539, organo di cui non permangono altre sostanziose documentazioni. Solo in un contratto del 1899 si ritorna a parlare distintamente dell'organo, quando i Fabbricieri stipularono accordi con i Malvestio per il restauro di un organo, di cui non si conoscono le caratteristiche, già presente in cantoria. Costruito negli anni cinquanta del XX secolo dalla ditta organaria Fabbrica Organi Ruffatti, l'attuale organo trova posto sulla cantoria in controfacciata e sostituisce un precedente strumento Ruffatti, distrutto dal bombardamento del 1944. Lo strumento, a trasmissione integralmente elettrica, è costituito da un unico corpo, con cassa limitata al basamento e mostra formata da canne di principale disposte a palizzata. La sua consolle dispone di due tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32, con i comandi dei registri, delle unioni e degli accoppiamenti a placchetta. Al centro del chiostro che si innalzava accanto alla navata destra della chiesa cresceva il corniolo nato, secondo le cronache, dal bastone che il beato Giordano Forzatè utilizzò per tracciare sul terreno le dimensioni del monastero. La pianta dai poteri miracolosi, era tanto portentosa che i suoi frutti erano dispensati ai febbricitanti e quando doveva morire una delle monache o un componente della casa Capodilista (discendenti dal beato fondatore) un ramo di questa si seccava. Dopo la soppressione del monastero il corniolo fu sradicato e trasportato sino in contrà San Daniele e piantato nel giardino di Palazzo Capodilista dove ancora sopravvive rigoglioso con i suoi presunti ottocento e più anni. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova MDCCLXXX Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Ordine di San Benedetto Beato Giordano Forzatè Wikibooks contiene testi o manuali su disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di San Benedetto Vecchio La chiesa, su portedilo.it. L'organo a canne, su flickr.com. Immagine aerea della chiesa con l'antica facciata romanica (JPG), su sinemodo.it. URL consultato il 1º settembre 2012 (archiviato dall'url originale il 5 marzo 2016).

Chiesa di San Benedetto Novello
Chiesa di San Benedetto Novello

La chiesa di San Benedetto Novello è un edificio religioso di origine medievale che si erge verso Riviera San Benedetto, a Padova. Sorse con il contiguo cenobio per ospitare la comunità benedettina maschile fuoriuscita dal monastero "doppio" di San Benedetto Vecchio, anche se poi passò agli Olivetani. Oggi, chiesa e monastero titolato alla Visitazione di Santa Maria, appartengono ad una comunità di monache di clausura. La chiesa con il monastero (a priorato) furono principiati nel 1262 dalla comunità maschile fuoriuscita dal vicinissimo monastero benedettino "doppio" di San Benedetto (che era stato fondato dal beato Giordano Forzatè nel 1195) a causa dei contrasti di natura economica che sorsero con la comunità femminile. I monaci "albi" (così chiamati per la cocolla di colore chiaro che indossavano secondo le indicazioni del fondatore Giordano) dedicarono la chiesa a san Benedetto che fu definito "Novello" per distinguerlo da quello "Vecchio" che si trovava poco distante. La consacrazione avvenne il 6 marzo 1267, celebrata dal vescovo Giovanni Battista Forzatè. La decadenza del cenobio iniziò verso il XV secolo, tanto che fu in seguito ridotto a commenda. Nel 1441 papa Eugenio IV lo conferì al canonico Francesco del Legname che lo arricchì di beni, tra cui una cospicua biblioteca, e nel 1442 lo cedette agli Olivetani. Questi elevarono il priorato ad abbazia (il primo abate fu Ognibene Savonarola) e ricostruirono prima i chiostri (1504) sui progetti di Antonio e Giovanni Ferrarese e poi, nel 1567, per volere dell'abate Ippolito Calza, la chiesa abbaziale, che sorse su progetto di Francesco da Trevigi. Gli Olivetani ressero ed arricchirono l'abbazia sino al 1797 quando, con la caduta della Repubblica di Venezia, furono espulsi. Riammessi nel 1800 persero il monastero definitivamente nel 1810, quando finì alienato in seguito alle legislazioni ecclesiastiche napoleoniche. Per un periodo lo acquistò la famiglia Zugno che ne fece case ed abitazioni. La chiesa subì abbandono e demolizioni. L'intero complesso risorse verso la fine del Ottocento quando fu occupato da una comunità di monache di clausura. La chiesa venne ripristinata e riconsacrata nel 1894. Nella chiesa furono sepolti illustri personaggi: l'astronomo e matematico Geminiano Montanari, il "gran professore di sacri canoni" Sigismondo Brunello, il teologo Marco Negro vescovo della diocesi di Ossero (†1485). Il monastero ospitò nel 1457 Enea Silvio Piccolomini e per un breve periodo pure il poeta Torquato Tasso. Chiese di Padova Diocesi di Padova Ordine benedettino Olivetani Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa dell'ex Monastero della Visitazione

Chiesa di Sant'Antonio di Vienna
Chiesa di Sant'Antonio di Vienna

La chiesa di Sant'Antonio Abate, conosciuta come chiesa di Sant'Antonio di Vienna, è un edificio religioso medievale che si erge in contrà Savonarola, a Padova. La costruzione fa parte del Collegio San Marco, una struttura adattata nel 1771 all'accoglienza degli studenti universitari, e precedentemente usata come monastero prima dai Canonici di Sant'Antonio di Vienne e in seguito dai Canonici Renani. Oggi è la cappella della sede legale del Collegio universitario don Nicola Mazza che nel 1953 ha riaperto il Collegio San Marco come propria prima residenza. Ricorda il Portenari che "l'ordine degli hospitalarij di S. Antonio di Vienna" fondarono "in contrada della Savonarola l'hospitale di S. Antonio da Vienna, edificandovi anco un monastero e una chiesa ad honore dell'istesso santo". Era forse il principio del XIII secolo. In seguito la chiesa e il monastero passarono ai Canonici Renani che restaurarono nel 1570 l'intero complesso, erigendo il porticato che si affaccia sulla via. Con le soppressione dei conventini del 1769 i vari edifici furono adattati a collegio destinato agli studenti disagiati dello Studio. Il Collegio San Marco fu chiuso con l'arrivo delle truppe francesi nel 1797 che lo ridussero a caserma. La chiesa fu chiusa al culto e l'intero complesso, di proprietà militare, divenne caserma del VII reggimento degli Alpini e danneggiato dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. In seguito il Collegio San Marco venne riaperto come prima residenza del Collegio don Nicola Mazza che ancora vi ha sede legale. La chiesa, radicalmente restaurata negli anni cinquanta del Novecento, è officiata come cappella del collegio. La facciata, rivolta a mezzogiorno, s'innalza verso via Savonarola. È preceduta da un portico a serliana cinquecentesco, mentre è asseribile al Settecento il portale a tutto sesto che si apre sulla gotica muratura del XIII-XIV secolo, mossa da lesene e archetti pensili e alleggerita da un grande rosone. La vetrata inserita in tale rosone è stata eseguita nel 2005 da Franco Corradini. Le grate accanto al portale servivano forse alla distribuzione della carità. Il fianco destro, lungo via Collegio San Marco, mostra le spiccate caratteristiche gotiche, come lesene e archetti pensili, slanciate monofore decorate da archetti in pietra trilobati. L'abside, suggestiva, è poligonale e aperta sempre da monofore. Accanto al fianco sinistro, verso la facciata, si erge il Collegio San Marco, mentre verso l'abside una sacrestia pure gotica. L'interno è a navata unica, luminoso e ampio, coperto da capriate, mentre l'abside è voltata a ombrello, con costoloni molto marcati di sapore francese, raro caso in Veneto. Sulla sinistra dell'altar maggiore si apre la sacrestia. Imponente il Sant'Antonio Abate raffigurato in proporzioni giganti sulla parete dell'abside. Lungo le pareti si susseguono brani di affresco, alcuni attribuibili ad Altichiero da Zevio ed altri a Jacopo da Verona o ad un suo allievo. Bellissima la Crocifissione con offerente. Non reca opere di importante valore se non un dossale ligneo quattrocentesco e un angelo ligneo barocco. Secondo Paola Tosetti Grandi, prima delle spoliazioni napoleoniche, la chiesa era dotata di arredo barocco risalente alla ristrutturazione del complesso monastico del 1570. Fra questi, Tosetti Grandi ricorda in particolare un coro ligneo, sostenuto da tre archi su colonne, che seguiva il controportale. Inoltre, menziona una pala che decorava l'altar maggiore e due altari che abbellivano i lati della navata. L'abside ospitava una pala d'altare dipinta da Francesco Zanella raffigurante Sant'Antonio Abate, Sant'Agostino e Arcangelo Canetoli, che è oggi conservata nei magazzini del museo civico di Padova. In origine questa era racchiusa in una cornice di pietra di Custoza e sovrastata da un crocifisso di legno. Sul lato destro della navata si trovava un altare dedicato all'Addolorata, decorato da una pala. Sulla sinistra, un altare dedicato a Sant'Antonio Abate ospitante, oltre ad un ritratto del santo, anche un ritratto di Canetoli, attribuito ad un autore veneto, oggi conservato nei magazzini del Museo Antoniano. Infine, Tosetti Grandi riporta che all'interno della sacrestia si trovava una pala d'altare dedicata a Sant'Osvaldo martire, di scuola veneziana. Sulla moderna cantoria in controfacciata, si trova l'organo a canne, costruito nel 2007 dalla ditta organaria codroipese Zanin. Lo strumento si ispira alla tradizione tedesca del XVIII secolo, sia per le caratteristiche foniche, sia per l'estetica. La trasmissione è integralmente meccanica, e la consolle, a finestra, ha due testiere di 56 note ciascuna e una pedaliera dritta di 30 note. I registri sono 25, per un totale di 1626 canne. La cassa lignea, con decorazioni dorate, è dotata di due torri laterali e da una più piccola centrale, unite da due ali di canne; il positivo tergale, invece, è costituito da due torri e una facciata centrale a cuspide. Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Collegio San Marco Collegio universitario don Nicola Mazza Organo della chiesa di Sant'Antonio di Vienna a Padova Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Sant'Antonio di Vienna a Padova L'organo a canne, su organday.altervista.org.

Chiesa di San Pietro Apostolo (Padova)
Chiesa di San Pietro Apostolo (Padova)

La chiesa di San Pietro Apostolo è un edificio religioso che si affaccia su contrà San Pietro ora via San Pietro a Padova. La chiesa già esisteva nel IV secolo, anche se subì una ricostruzione alla fine dell'XI secolo. Sino al 1809 fu parrocchia e chiesa delle monache benedettine che avevano il titolo di canonichesse a rispetto di un regio privilegio del IX secolo. Ludovico II il 22 aprile 866 la univa all'episcopio patavino. La chiesa è uno straordinario complesso in cui si sovrappongono fenomeni edilizi e decorativi che spaziano dal medioevo al neogotico. Oggi è rettoria assoggetta alla Cattedrale. La chiesa sorse come cappella di un complesso palatino sede del fisco imperiale di età tardo antica, forse già alla fine del IV secolo. La cappella divenne in seguito abbazia che venne però distrutta dalle incursioni ungare dell'899-900. L'abbazia aveva giurisdizione regia, e si fregiava del titolo di canonica che Ludovico II unì alla cura episcopale patavina. Non a caso, dopo la ricostruzione, attuata prima del 1026, il vescovo Orso vi instaurò un monastero di monache benedettine che ebbero il titolo di "canonichesse", e per un periodo anche il benefizio della chiesa di San Nicolò. La vecchia chiesa, a tre navate, con campanile, nel XIV secolo fu ampliata e abbellita, così pure nel 1480 quando, per volere della abbadessa Angela degli Alvarotti, fu restaurata e dotata di una facciata rinascimentale che permetteva l'apertura di un ampio coro collegato col vicino monastero. Nelle visite pastorali i vescovi Pietro Barozzi e Francesco Pisani sottolineavano l'adeguatezza della chiesa, anche se bisognosa di interventi. Fu forse in questo periodo che la chiesa venne ridotta a navata unica, rendendo le navate laterali cappelle indipendenti. Anche la badessa Drusilla Forzadura si occupò di alcuni interventi, tra cui, nel 1652, la costruzione di un nuovo altare maggiore grazie al denaro donato dal giurista Giovanni Cefali. L'ultimo sostanziale intervento architettonico fu l'impresa compiuta nel 1765, quando una parte della vecchia navata destra fu occupata da una perfetta ricostruzione della santa casa di Loreto. Dopo le legislazioni napoleoniche del 1809, le monache di San Pietro restarono in sito ancora per qualche decennio, e accolsero pure le fuoriuscite dal monastero di San Prosdocimo, che portarono la salma della Beata Eustochio. Tra Ottocento e Novecento l'Arciprete della Cattedrale Vincenzo Scarpa intervenne pesantemente, ricostruendo altari e promuovendo interventi di abbellimento in stile neogotico. Oggi, la chiesa, retta dall'Arciprete della Cattedrale di cui è chiesa assoggetta, attende importanti lavori di consolidamento e restauro. La presenza delle reliquie della Beata Eustochio attirano fedeli e pellegrini. La chiesa, orientata a levante, si innalza su via San Pietro: la facciata, retta su quattro snelle arcate che aprono un portico, mossa da paraste (terminanti in capitelli in stile lombardesco) e ingentilita da una bifora quattrocentesca è in puro stile rinascimentale; forse un tempo era impreziosita da affreschi e quadrature a falso marmo. Sotto il portico, coperto da volta a crociera, il portale maggiore, quattrocentesco e pure lombardesco. A sinistra, si sussegue quello che era il monastero delle benedettine, tutte struttura pesantemente alterata nello scorso secolo, mentre a sinistra sporge la navata destra, dove spicca un tamponato portale trecentesco e i conci di riporto di cui è costituita l'antica muratura che prosegue anche sulla fiancata, che è aperta da finestre quadrangolari gotiche e da un altro portale quattrocentesco. Si collega in continuità la casa canonica, di origine medievale, come testimonia il rarissimo capitello votivo trecentesco coperto da ghimberga sorretta da mensole a protezione di un affresco raffigurante la Crocifissione, forse seicentesco. Pure la vicina porta è del XIV secolo. Spicca poi il campanile, forse il più antico della città, la cui parte inferiore sembrerebbe databile al X secolo, mentre la cella aperta da monofore e oculi e coperta da una elegante copertura in rame, risale forse alla fine del Cinquecento. L'abside, non visibile, mostra il suo aspetto gotico del XIV-XV secolo. L'interno presenta numerose opere d'arte. La navata centrale, coperta da volte ad ombrello quattrocentesche, presenta quattro altari neoclassici, risalenti all'inizio dell'Ottocento. Sul primo altare a sinistra, è ospitata la splendida tela di Jacopo Palma il Giovane raffigurante La conversione di San Paolo. La Veneta Repubblica istituì nel 1734 il gioco del Lotto e questo divenne di moda anche tra gli ecclesiastici e le monache. Nell'estrazione del 21 gennaio 1745 essendo usciti numeri 1-2-3-12-90, le monache benedettine di San Pietro fecero una così grossa vincita che dovettero mandar a prendere i denari con una carriola. Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Chiesa di San Pietro Apostolo, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Palazzo Mussato

Palazzo Mussato è un edificio civile di Padova, sito nel centro storico della città. Il palazzo fu rifabbricato su preesistenze probabilmente medievali sulla strada di Concariola (edifici già citati nel 1685 da Giulio Mussato "casa dominicale in Padova di Concariola con l'altra casa e stalla dirimpetto") in seguito all'investitura della corona regia e del titolo di conte palatino dell'Alvise Mussato, avvenuta nel 1712 e mossa dall'imperatore Carlo VI. L'opera fu voluta dal marchese Vitaliano e poi compiuta dal figlio Galeazzo. Il progetto fu del conte Gerolamo Frigimelica. La costruzione coronò l'ascesa della famiglia che culminò con la seduta nel Maggior Consiglio di Giulio Antonio e il di lui matrimonio con Lucrezia, figlia di Sebastiano Giustiniani, avvenuto il 22 settembre 1778. Con la morte dell'ultimo erede Alvise nel 1849, la fastosa abitazione fu acquistata all'incanto dal comune di Padova per un "prezzo moderatissimo" di 36.600 lire austriache. La collezione dei Mussato (25 tele, tra cui 6 paesaggi di Giuseppe Zais e 70 gessi) fu portata al Palazzo Comunale ad opera di Andrea Gloria che ne fece uno dei fondi fondamentali per la formazione del futuro Museo Civico agli Eremitani. La struttura divenne caserma e poi sede distaccata di alcuni istituti cittadini per divenire nel 1940 Scuola Media Statale "Francesco Petrarca". Se all'esterno si mantenne uno stile austero e severo in linea con la tradizione patavina, all'interno la famiglia volle per il piano nobile decorazioni e rifiniture di primissimo livello, che andassero ad accogliere la collezione antiquaria e la quadreria. Gli affreschi furono probabilmente commissionati a Francesco Zugno e Giambattista Crosato, Giambattista Canal, Francesco Zanchi. Ne risultò una delle più compiute testimonianze dell'arte abitativa patrizia a Padova nel Settecento. La famiglia Mussato era nota per il vizio del giuoco d'azzardo, tanto che fecero porre sulla facciata interna del palazzo una lapide, ancora presente, che ammoniva i famigli al trattenersi dal giocare d'azzardo, con la pena dell'esclusione dall'eredità. Paola Piatta Cingano Ca' Mussato: da nobile dimora a sede scolastica in "Padova e il suo territorio" Aprile 1997