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Chiesa di San Benedetto Novello

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La chiesa di San Benedetto Novello è un edificio religioso di origine medievale che si erge verso Riviera San Benedetto, a Padova. Sorse con il contiguo cenobio per ospitare la comunità benedettina maschile fuoriuscita dal monastero "doppio" di San Benedetto Vecchio, anche se poi passò agli Olivetani. Oggi, chiesa e monastero titolato alla Visitazione di Santa Maria, appartengono ad una comunità di monache di clausura. La chiesa con il monastero (a priorato) furono principiati nel 1262 dalla comunità maschile fuoriuscita dal vicinissimo monastero benedettino "doppio" di San Benedetto (che era stato fondato dal beato Giordano Forzatè nel 1195) a causa dei contrasti di natura economica che sorsero con la comunità femminile. I monaci "albi" (così chiamati per la cocolla di colore chiaro che indossavano secondo le indicazioni del fondatore Giordano) dedicarono la chiesa a san Benedetto che fu definito "Novello" per distinguerlo da quello "Vecchio" che si trovava poco distante. La consacrazione avvenne il 6 marzo 1267, celebrata dal vescovo Giovanni Battista Forzatè. La decadenza del cenobio iniziò verso il XV secolo, tanto che fu in seguito ridotto a commenda. Nel 1441 papa Eugenio IV lo conferì al canonico Francesco del Legname che lo arricchì di beni, tra cui una cospicua biblioteca, e nel 1442 lo cedette agli Olivetani. Questi elevarono il priorato ad abbazia (il primo abate fu Ognibene Savonarola) e ricostruirono prima i chiostri (1504) sui progetti di Antonio e Giovanni Ferrarese e poi, nel 1567, per volere dell'abate Ippolito Calza, la chiesa abbaziale, che sorse su progetto di Francesco da Trevigi. Gli Olivetani ressero ed arricchirono l'abbazia sino al 1797 quando, con la caduta della Repubblica di Venezia, furono espulsi. Riammessi nel 1800 persero il monastero definitivamente nel 1810, quando finì alienato in seguito alle legislazioni ecclesiastiche napoleoniche. Per un periodo lo acquistò la famiglia Zugno che ne fece case ed abitazioni. La chiesa subì abbandono e demolizioni. L'intero complesso risorse verso la fine del Ottocento quando fu occupato da una comunità di monache di clausura. La chiesa venne ripristinata e riconsacrata nel 1894. Nella chiesa furono sepolti illustri personaggi: l'astronomo e matematico Geminiano Montanari, il "gran professore di sacri canoni" Sigismondo Brunello, il teologo Marco Negro vescovo della diocesi di Ossero (†1485). Il monastero ospitò nel 1457 Enea Silvio Piccolomini e per un breve periodo pure il poeta Torquato Tasso. Chiese di Padova Diocesi di Padova Ordine benedettino Olivetani Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa dell'ex Monastero della Visitazione

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Chiesa di San Benedetto Novello
Riviera San Benedetto, Padova San Giuseppe

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Chiesa di San Benedetto Vecchio
Chiesa di San Benedetto Vecchio

La chiesa di San Benedetto abate chiamata da secoli chiesa di San Benedetto Vecchio (per non confonderla con la vicina chiesa di San Benedetto Novello) è un edificio di origine medievale che si affaccia su Riviera San Benedetto, verso il Bacchiglione, a Padova. L'edificio sorse con l'annesso monastero benedettino per volere del beato Girolamo Forzatè. Come narra il Portenari, la chiesa di San Benedetto sarebbe sorta per volere di Girolamo Forzatè nel 1195 con il monastero benedettino "in distinti claustri e domicilij pose monaci e monache, e lo governò santamente con titolo di Priore per alquanti anni" (A. Portenari, 1623, pag. 471) e a confermare la data di fondazione si aggiungono gli Annales Patavini e i Libri Regiminum Padue. Alcuni documenti ricordano che il monastero fu fondato in prossimità di un ospitales. Il monastero doppio, con comunità femminile guidata da una badessa e quella maschile capeggiata dal priore, in seguito alla morte del fondatore (1248) fu destinato alle sole monache, mentre i monaci costruirono poco distante una nuova sede con chiesa, San Benedetto Novello (1262). Ricordano le fonti che la chiesa, consacrata il 31 agosto 1222, originariamente si poneva al centro del monastero, a divisione della parte maschile e femminile. Dopo la scissione, il monastero fiorì ampiamente, tanto che tra il 1356 e il 1397 vi fu badessa Anna Buzzaccarini, cognata del Principe di Padova Francesco il Vecchio che fece adornare le strutture riccamente, a proprie spese. Dopo Anna, seguì la figura di Orsola Buzzaccarini che donò la chiesa e il monastero di Sant'Orsola (1402) ai Francescani dell'Osservanza mentre, alcuni decenni dopo, vi giunse una giovane educanda, Caterina Cornaro, dove ricette educazione sino all'età di quattordici anni. La chiesa rimase inalterata sino al 1612 quando la badessa Aurora da Camposampiero promosse lavori di adeguamento, probabilmente a seguito delle riforme liturgiche del Concilio di Trento. Si cambiò l'orientamento e la facciata, prima posta verso ponente, fu rivolta verso levante dove originariamente era posto il presbiterio. Il Portenari ricorda che attorno al 1620 fu "ridotta in bellissima forma, e vagamente ornata". Il 3 luglio 1628 il cardinale Pietro Valier in visita pastorale la trova "bene tecta, ampla et alba". Nei decenni seguenti la costruzione fu arricchita e adornata di nuove opere ed altari. Con le legislazioni ecclesiastiche napoleoniche del 1810 il monastero benedettino fu soppresso e trasformato in caserma d'artiglieria mentre la chiesa assunse il titolo di parrocchiale, assorbendo quello della chiesa di San Leonardo. Agli inizi del XX secolo l'edificio subì numerosi interventi di restauro, ma l'11 marzo 1944 fu colpito dalle bombe alleate che devastarono la struttura e distrussero numerose opere d'arte, tra cui il ciclo delle storie dell'Apocalisse di Giusto de' Menabuoi. Nel primo dopoguerra si avviarono i restauri che favorirono il recupero dell'aspetto romanico. Oggi in continuità con i decreti napoleonici la chiesa è parrocchiale affidata al clero secolare della diocesi di Padova. Accanto alla chiesa si erge la caserma "Prandina" che insiste su quello che era il monastero delle benedettine. Nella chiesa è sepolta Giustiniana Wynne. La facciata, che è preceduta da un ampio sagrato alberato (anticamente era pavimentato), si erge verso levante. L'aspetto attuale si deve ai lavori attuati nel XVII secolo, sulla parete occupata sino al XVI secolo dall'abside della chiesa. È di ordine composito e rispetta i raffinati stilemi manieristici in voga in città sin dalla seconda metà del cinquecento ricollegandosi ai lavori di Dario Varotari. Si eleva su due registri, tutti ritmati da sottili paraste terminate da raffinati capitelli tuscanici (in basso) e ionici. Sopra, un attico coronato da statue sulla quale, al centro, poggia un timpano. Si apre un unico portale timpanato e ai lati, due nicchie e due finestre, come in alto, dove campeggiano quattro aperture quadrangolari. Al centro del timpano è posto un altorilievo raffigurante il Padre Eterno, che si collega con il sottostante San Benedetto in gloria, sempre ad altorilievo. Nel dipinto del Padovanino che ritrae il beato Forzatè, posto all'interno della chiesa, è ritratto l'edificio prima dei lavori di costruzione della facciata. Sulla sinistra, rispetto alla facciata, si apre un vicolo che permette la visione della fiancata romanica della chiesa, aperta da monofore e ritmata da archetti pensili. Sul retro, anche se occultata da edifici e dal campanile, è possibile scorgere la vecchia facciata romanica della chiesa, ingentilita da bifore e da arcatelle ceche. L'attuale aspetto slanciato, aperto da quattro monofore e tamburo coperto da cupolino a cipolla è settecentesco, ma si eleva sulla canna del campanile medievale, già coperto da una cuspide conica e aperto da bifore. Varcata la porta d'ingresso, si accede ad suggestivo interno suddiviso in tre navi, convergente verso il monumentale altare maggiore. Dopo i lavori di restauro post-bellici, predomina il caldo colore del cotto, ritmato dalla arcate a tutto sesto sostenute da pilastri e da arcatelle ceche romaniche decorate dalle cromie dello stemma della città di Padova che pure si ritrova ritmicamente raffigurato a fresco lungo le pareti. La navata centrale è coperta a capriate lignee, mentre le navate laterali sono voltate a crociera. La grandiosa macchina barocca dell'altar maggiore, opera (1663) di Girolamo Galeazzo Veri, poggia sulla vecchia controfacciata romanica. La quasi quinta architettonica, elaborata sulle cromie marmoree del bianco e del nero è ingentilita da sette statue di santi benedettini e padovani di Tommaso Allio e dalla grande pala di Alessandro Maganza raffigurante La Trasfigurazione. Notevolissimo il tabernacolo, coronato da una elegante turba angelica. In alto, sulle pareti dove sono state portate alla luce le arcate romaniche tamponate sono posti tre teleri tra cui Mosè che fa scaturire le acque di Alessandro Varotari (donata nel settecento dal conte Girolamo Dotto) e Gesù Cristo con Apostoli dispensa il pane alle turbe affamate di Francesco Minorello. Sopra agli stalli lignei che percorrono le pareti sono poste quattordici statue gotiche in terracotta che forse già decoravano il pontile della chiesa, atterrato nel seicento. Sulla cappella accanto al presbiterio, decorata a fresco nel settecento, è posta la bella pala di Domenico Robusti raffigurante Gesù Cristo in aria, san Pietro che detta lo evangelio a san Marco, e più sotto i santi Girolamo, Domenico e Tecla opera commissionata dal patrizio Marco Querini. Un tempo la cappella era riservata alle monache, che seguivano la messa dalla larga grata che si affaccia sull'altare. Sull'altare lungo la navata è posto, rivestito delle insegne pontificali, il corpo incorrotto del beato Giordano Forzatè, sovrastato da una pala che lo raffigura mentre traccia sul terreno la pianta del monastero, opera di Alessandro Varotari. Sui tre altari barocchi posti lungo la navata laterale, sono collocate interessanti opere, di Pietro Damini la pala raffigurante il Transito di san Benedetto, di Luca da Reggio quella raffigurante la Vergine di Loreto sopra sant'Elena Imperatrice (proveniente dalla demolita chiesa di San Leonardo) e un San Gerolamo della cerchia di Giulio Campagnola. Il fonte battesimale, accanto all'ingresso, sembra poggiare sopra un'ara sacrificale di età romana. Sopra, una piccola tela secentesca raffigura il battesimo di Cristo. Accanto alla porta di ingresso resti di affreschi del XIII secolo tra cui una rara deposizione. Le visite pastorali effettuate tra il XVII e XVIII secolo danno la possibilità di delineare l'andamento liturgico-musicale della chiesa di quei tempi in modo abbastanza esauriente: alle monache era possibile seguire le funzioni solo dalla cappella con grata verso il presbiterio (la cappella della navata destra) oppure cantare dalla cantoria posta in controfacciata, nascoste da tende. Nel 1657 il vescovo notò alcuni accesi scontri all'interno della comunità composta da 46 religiose, diverbi provocati da alcune monache (Speronella Speroni e Faustina Stefani) irrequiete "di fronte al dovere cantare e suonare l'organo". Più lapidario fu il vescovo Giorgio Cornaro nel 1717, dove decretò che il canto fosse "canto fermo, monastico e divoto per lodare Dio non per vanità e compiacenza, con perdita di merito e forse con aggravio di demerito" e proibì quindi "ogni sorta di canto figurato, ogni strumento musicale in coro eccetto l'organo e la spinetta, per il tuono delle voci" riservandosi il compito di nominare il maestro di musica delle monache. Dall'opera Arte Organaria di Costanzo Antegnati sappiamo che nella chiesa di San Benedetto Vecchio si trovava uno strumento di Giovan Battista Antegnati, costruito tra il 1536 e il 1539, organo di cui non permangono altre sostanziose documentazioni. Solo in un contratto del 1899 si ritorna a parlare distintamente dell'organo, quando i Fabbricieri stipularono accordi con i Malvestio per il restauro di un organo, di cui non si conoscono le caratteristiche, già presente in cantoria. Costruito negli anni cinquanta del XX secolo dalla ditta organaria Fabbrica Organi Ruffatti, l'attuale organo trova posto sulla cantoria in controfacciata e sostituisce un precedente strumento Ruffatti, distrutto dal bombardamento del 1944. Lo strumento, a trasmissione integralmente elettrica, è costituito da un unico corpo, con cassa limitata al basamento e mostra formata da canne di principale disposte a palizzata. La sua consolle dispone di due tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32, con i comandi dei registri, delle unioni e degli accoppiamenti a placchetta. Al centro del chiostro che si innalzava accanto alla navata destra della chiesa cresceva il corniolo nato, secondo le cronache, dal bastone che il beato Giordano Forzatè utilizzò per tracciare sul terreno le dimensioni del monastero. La pianta dai poteri miracolosi, era tanto portentosa che i suoi frutti erano dispensati ai febbricitanti e quando doveva morire una delle monache o un componente della casa Capodilista (discendenti dal beato fondatore) un ramo di questa si seccava. Dopo la soppressione del monastero il corniolo fu sradicato e trasportato sino in contrà San Daniele e piantato nel giardino di Palazzo Capodilista dove ancora sopravvive rigoglioso con i suoi presunti ottocento e più anni. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova MDCCLXXX Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Ordine di San Benedetto Beato Giordano Forzatè Wikibooks contiene testi o manuali su disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di San Benedetto Vecchio La chiesa, su portedilo.it. L'organo a canne, su flickr.com. Immagine aerea della chiesa con l'antica facciata romanica (JPG), su sinemodo.it. URL consultato il 1º settembre 2012 (archiviato dall'url originale il 5 marzo 2016).

Chiesa di San Pietro Apostolo (Padova)
Chiesa di San Pietro Apostolo (Padova)

La chiesa di San Pietro Apostolo è un edificio religioso che si affaccia su contrà San Pietro ora via San Pietro a Padova. La chiesa già esisteva nel IV secolo, anche se subì una ricostruzione alla fine dell'XI secolo. Sino al 1809 fu parrocchia e chiesa delle monache benedettine che avevano il titolo di canonichesse a rispetto di un regio privilegio del IX secolo. Ludovico II il 22 aprile 866 la univa all'episcopio patavino. La chiesa è uno straordinario complesso in cui si sovrappongono fenomeni edilizi e decorativi che spaziano dal medioevo al neogotico. Oggi è rettoria assoggetta alla Cattedrale. La chiesa sorse come cappella di un complesso palatino sede del fisco imperiale di età tardo antica, forse già alla fine del IV secolo. La cappella divenne in seguito abbazia che venne però distrutta dalle incursioni ungare dell'899-900. L'abbazia aveva giurisdizione regia, e si fregiava del titolo di canonica che Ludovico II unì alla cura episcopale patavina. Non a caso, dopo la ricostruzione, attuata prima del 1026, il vescovo Orso vi instaurò un monastero di monache benedettine che ebbero il titolo di "canonichesse", e per un periodo anche il benefizio della chiesa di San Nicolò. La vecchia chiesa, a tre navate, con campanile, nel XIV secolo fu ampliata e abbellita, così pure nel 1480 quando, per volere della abbadessa Angela degli Alvarotti, fu restaurata e dotata di una facciata rinascimentale che permetteva l'apertura di un ampio coro collegato col vicino monastero. Nelle visite pastorali i vescovi Pietro Barozzi e Francesco Pisani sottolineavano l'adeguatezza della chiesa, anche se bisognosa di interventi. Fu forse in questo periodo che la chiesa venne ridotta a navata unica, rendendo le navate laterali cappelle indipendenti. Anche la badessa Drusilla Forzadura si occupò di alcuni interventi, tra cui, nel 1652, la costruzione di un nuovo altare maggiore grazie al denaro donato dal giurista Giovanni Cefali. L'ultimo sostanziale intervento architettonico fu l'impresa compiuta nel 1765, quando una parte della vecchia navata destra fu occupata da una perfetta ricostruzione della santa casa di Loreto. Dopo le legislazioni napoleoniche del 1809, le monache di San Pietro restarono in sito ancora per qualche decennio, e accolsero pure le fuoriuscite dal monastero di San Prosdocimo, che portarono la salma della Beata Eustochio. Tra Ottocento e Novecento l'Arciprete della Cattedrale Vincenzo Scarpa intervenne pesantemente, ricostruendo altari e promuovendo interventi di abbellimento in stile neogotico. Oggi, la chiesa, retta dall'Arciprete della Cattedrale di cui è chiesa assoggetta, attende importanti lavori di consolidamento e restauro. La presenza delle reliquie della Beata Eustochio attirano fedeli e pellegrini. La chiesa, orientata a levante, si innalza su via San Pietro: la facciata, retta su quattro snelle arcate che aprono un portico, mossa da paraste (terminanti in capitelli in stile lombardesco) e ingentilita da una bifora quattrocentesca è in puro stile rinascimentale; forse un tempo era impreziosita da affreschi e quadrature a falso marmo. Sotto il portico, coperto da volta a crociera, il portale maggiore, quattrocentesco e pure lombardesco. A sinistra, si sussegue quello che era il monastero delle benedettine, tutte struttura pesantemente alterata nello scorso secolo, mentre a sinistra sporge la navata destra, dove spicca un tamponato portale trecentesco e i conci di riporto di cui è costituita l'antica muratura che prosegue anche sulla fiancata, che è aperta da finestre quadrangolari gotiche e da un altro portale quattrocentesco. Si collega in continuità la casa canonica, di origine medievale, come testimonia il rarissimo capitello votivo trecentesco coperto da ghimberga sorretta da mensole a protezione di un affresco raffigurante la Crocifissione, forse seicentesco. Pure la vicina porta è del XIV secolo. Spicca poi il campanile, forse il più antico della città, la cui parte inferiore sembrerebbe databile al X secolo, mentre la cella aperta da monofore e oculi e coperta da una elegante copertura in rame, risale forse alla fine del Cinquecento. L'abside, non visibile, mostra il suo aspetto gotico del XIV-XV secolo. L'interno presenta numerose opere d'arte. La navata centrale, coperta da volte ad ombrello quattrocentesche, presenta quattro altari neoclassici, risalenti all'inizio dell'Ottocento. Sul primo altare a sinistra, è ospitata la splendida tela di Jacopo Palma il Giovane raffigurante La conversione di San Paolo. La Veneta Repubblica istituì nel 1734 il gioco del Lotto e questo divenne di moda anche tra gli ecclesiastici e le monache. Nell'estrazione del 21 gennaio 1745 essendo usciti numeri 1-2-3-12-90, le monache benedettine di San Pietro fecero una così grossa vincita che dovettero mandar a prendere i denari con una carriola. Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Chiesa di San Pietro Apostolo, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Palazzo Mussato

Palazzo Mussato è un edificio civile di Padova, sito nel centro storico della città. Il palazzo fu rifabbricato su preesistenze probabilmente medievali sulla strada di Concariola (edifici già citati nel 1685 da Giulio Mussato "casa dominicale in Padova di Concariola con l'altra casa e stalla dirimpetto") in seguito all'investitura della corona regia e del titolo di conte palatino dell'Alvise Mussato, avvenuta nel 1712 e mossa dall'imperatore Carlo VI. L'opera fu voluta dal marchese Vitaliano e poi compiuta dal figlio Galeazzo. Il progetto fu del conte Gerolamo Frigimelica. La costruzione coronò l'ascesa della famiglia che culminò con la seduta nel Maggior Consiglio di Giulio Antonio e il di lui matrimonio con Lucrezia, figlia di Sebastiano Giustiniani, avvenuto il 22 settembre 1778. Con la morte dell'ultimo erede Alvise nel 1849, la fastosa abitazione fu acquistata all'incanto dal comune di Padova per un "prezzo moderatissimo" di 36.600 lire austriache. La collezione dei Mussato (25 tele, tra cui 6 paesaggi di Giuseppe Zais e 70 gessi) fu portata al Palazzo Comunale ad opera di Andrea Gloria che ne fece uno dei fondi fondamentali per la formazione del futuro Museo Civico agli Eremitani. La struttura divenne caserma e poi sede distaccata di alcuni istituti cittadini per divenire nel 1940 Scuola Media Statale "Francesco Petrarca". Se all'esterno si mantenne uno stile austero e severo in linea con la tradizione patavina, all'interno la famiglia volle per il piano nobile decorazioni e rifiniture di primissimo livello, che andassero ad accogliere la collezione antiquaria e la quadreria. Gli affreschi furono probabilmente commissionati a Francesco Zugno e Giambattista Crosato, Giambattista Canal, Francesco Zanchi. Ne risultò una delle più compiute testimonianze dell'arte abitativa patrizia a Padova nel Settecento. La famiglia Mussato era nota per il vizio del giuoco d'azzardo, tanto che fecero porre sulla facciata interna del palazzo una lapide, ancora presente, che ammoniva i famigli al trattenersi dal giocare d'azzardo, con la pena dell'esclusione dall'eredità. Paola Piatta Cingano Ca' Mussato: da nobile dimora a sede scolastica in "Padova e il suo territorio" Aprile 1997

Chiesa di San Prosdocimo (Padova)
Chiesa di San Prosdocimo (Padova)

Il Duomo dei militari San Prosdocimo è un edificio religioso di origine medievale che si affaccia su contrà di San Giovanni alle Navi, ora via San Prosdocimo, a Padova. L'edificio sacro faceva parte di un monastero di monache benedettine. Sconsacrato nel 1806 ed utilizzato come magazzino militare, è stato riconsacrato il 10 aprile 1990 dall'Ordinario militare S.Ecc. mons. Giovanni Marra e divenendo Duomo dei Militari San Prosdocimo. Per la parte infrastrutturale fa capo al Comando Forze Operative Nord ed è una chiesa dipendente dall'Ordinariato militare in Italia. La chiesa è retta dal cappellano militare dello stesso Comando. La chiesa e il vicino monastero - ancora esistente - sono legati alle vicende della Beata Eustochio Lucrezia Bellini, monaca benedettina vissuta nel monastero. Morta il 13 febbraio 1469, il suo corpo fu tumulato nella chiesa il 14 novembre 1475 e vi rimase fino all'11 settembre 1806, allorché venne traslato nella cappella di sinistra della chiesa di San Pietro. L'edificio religioso, già delle monache benedettine che ebbero di fianco illustre monastero, in seguito alle legislazioni napoleoniche divenne panificio e magazzino di proprietà militare. Nel 1990 dopo un attento recupero, è tornato ad essere chiesa parrocchiale dipendente dall'Ordinariato militare in Italia. Chiuso in seguito alle scosse di terremoto del 2012, dopo un attento lavoro di ripristino è stato ufficialmente riaperto dall'Ordinario Militare per l'Italia S.Ecc. mons. Santo Marcianò con solenne cerimonia il 5 novembre 2019, concelebranti l’Abate emerito Francesco Trolese della Basilica di santa Giustina e mons. Giuliano Zatti, Vicario Generale della Diocesi di Padova. L'altare, contenente le reliquie ex ossibus di sant'Antonio di Padova, di san Leopoldo Mandic, del beato Francesco Faà di Bruno, delle beate Rafaela Ybarra de Vilallonga e Marie-Léonie Paradis, è stato riconsacrato alla presenza di 25 concelebranti tra cui i cappellani militari del Veneto. Riguardano quelli della beata Eustochio Bellini e del beato padre Marco d'Aviano. Nel 1444 nel monastero di San Prosdocimo, dove non vigeva ancora la regola della clausura, nacque Lucrezia Bellini, da Giacomo Bellini e da Maddalena Cavalcabò, monaca del monastero. All'età di sette anni Lucrezia venne riportata nel convento dove, nel 1461, vestì l'abito benedettino con il nome di Eustochio (Giulia Eustochio fu Julia Eustachim, nata a Roma nel 368 d.C. e morta a Betlemme nel 418, discepola prediletta di San Girolamo). Giovane ed inesperta, priva di affetti, Eustochio seppe rimanere estranea ai mali che la circondavano; visse con singolare pazienza e rassegnazione la sua condizione di figlia illegittima e di 'monaca indemoniata', sopportando con serenità le vessazioni del maligno, i maltrattamenti delle monache e le accuse di stregoneria, il tutto accompagnato dall'esercizio di un'ascesi intensa, dalla pratica esemplare delle virtù teologali e cardinali, dalla piena osservanza dei voti religiosi, che la portarono ad annullarsi completamente in Dio ed a conquistarsi un posto di riguardo nel cuore dei padovani. Il 13 febbraio 1469 Eustochio morì, a soli 25 anni, in concetto di santità e venne sepolta nel convento. Subito dopo la sua morte si verificarono numerosi prodigi e segni miracolosi che contribuirono ad aumentare la fama di santità; uno dei più importanti fu il soave profumo che il suo corpo cominciò ad emanare, profumo che continuò a sentirsi nei pressi del sepolcro per molti anni. Il 16 novembre 1472, in occasione della ricognizione per la beatificazione ed il trasferimento della salma, il suo sepolcro fu aperto e si scoprì, davanti alle autorità, che il corpo, dopo oltre tre anni di sepoltura senza cassa, era rimasto incorrotto. Nella circostanza, il corpo venne rivestito con un nuovo abito monacale e deposto, in cassa, in un altro sepolcro da dove, il 14 novembre 1475, fu solennemente trasportato in Chiesa e tumulato in un'arca di marmo vicino all'altare con l'iscrizione "BEATAE EUSTOCHIO PADUANE" (alla Beata Eustochio Padovana). Nel frattempo, nel luogo della sua prima sepoltura, rimasto aperto, il 6 gennaio 1473 comparve una vena d'acqua limpida ed abbondante che fu ritenuta da tutti miracolosa, sia per il luogo sia perché la natura del terreno non presentava alcuna traccia di umidità, la cui presenza avrebbe invece comportato la corruzione del corpo di Eustochio. Quest'acqua prodigiosa guariva ogni infermità, purché nell'infermo non fossero mancate la fede e la disposizione che si richiede per ricevere la grazia. La tradizione popolare racconta che dall'abbondanza o dalla scarsità di quest'acqua si potevano prevedere periodi buoni o meno buoni per i raccolti o per gli avvenimenti storici della città di Padova, e che l'acqua cessò di sgorgare nel 1806, qualche tempo prima dello spostamento del corpo della Beata. Il culto per la Beata Eustochio fu riconosciuto ufficialmente da Papa Clemente XIII, nel 1760. L'8 settembre 1676 accadde, a San Prosdocimo, un miracolo del beato padre Marco d'Aviano, uno dei personaggi più importanti della storia religiosa e politica del Settecento. Nato ad Aviano il 17 novembre 1631, egli giunse a Padova all'inizio del 1676, assegnato al convento dei Cappuccini, ed il 15 agosto, per la festa dell'Assunzione, tenne a San Prosdocimo, nella chiesa del monastero, una predica tanto infiammata sulle glorie di Maria che tutti i fedeli ne furono incantati. Le monache, piene di entusiasmo, ne parlarono a suor Vincenza, una loro consorella che da tredici anni giaceva a letto paralizzata, la quale fu presa da un irrefrenabile desiderio di ascoltare quel Padre, così che la Madre Badessa si adoperò affinché nel convento dei Cappuccini fosse inviato nuovamente padre Marco, cosa che avvenne l'8 settembre per la festa della Natività di Maria Santissima. L'inferma, posta su di una barella, fu trasportata nella chiesa dove poté assistere alla predica; dopo il panegirico per la Natività di Maria, padre Marco, a consolazione dell'ammalata, recitò le litanie lauretane ed impartì la benedizione all'inferma la quale, prima del termine della stessa, esclamò a gran voce: "Sono guarita, sono guarita!". Lo stesso Padre rimase stupito e dopo essersi ripreso ordinò alla suora, indicandole la vicina scala: "Ora sali e poi scendi questa scala", cosa che lei fece con facilità. Campane a festa annunciarono il lieto evento agli stupefatti abitanti di Padova. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Prosdocimo Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Ordinariato militare in Italia

Chiesa di Sant'Antonio di Vienna
Chiesa di Sant'Antonio di Vienna

La chiesa di Sant'Antonio Abate, conosciuta come chiesa di Sant'Antonio di Vienna, è un edificio religioso medievale che si erge in contrà Savonarola, a Padova. La costruzione fa parte del Collegio San Marco, una struttura adattata nel 1771 all'accoglienza degli studenti universitari, e precedentemente usata come monastero prima dai Canonici di Sant'Antonio di Vienne e in seguito dai Canonici Renani. Oggi è la cappella della sede legale del Collegio universitario don Nicola Mazza che nel 1953 ha riaperto il Collegio San Marco come propria prima residenza. Ricorda il Portenari che "l'ordine degli hospitalarij di S. Antonio di Vienna" fondarono "in contrada della Savonarola l'hospitale di S. Antonio da Vienna, edificandovi anco un monastero e una chiesa ad honore dell'istesso santo". Era forse il principio del XIII secolo. In seguito la chiesa e il monastero passarono ai Canonici Renani che restaurarono nel 1570 l'intero complesso, erigendo il porticato che si affaccia sulla via. Con le soppressione dei conventini del 1769 i vari edifici furono adattati a collegio destinato agli studenti disagiati dello Studio. Il Collegio San Marco fu chiuso con l'arrivo delle truppe francesi nel 1797 che lo ridussero a caserma. La chiesa fu chiusa al culto e l'intero complesso, di proprietà militare, divenne caserma del VII reggimento degli Alpini e danneggiato dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. In seguito il Collegio San Marco venne riaperto come prima residenza del Collegio don Nicola Mazza che ancora vi ha sede legale. La chiesa, radicalmente restaurata negli anni cinquanta del Novecento, è officiata come cappella del collegio. La facciata, rivolta a mezzogiorno, s'innalza verso via Savonarola. È preceduta da un portico a serliana cinquecentesco, mentre è asseribile al Settecento il portale a tutto sesto che si apre sulla gotica muratura del XIII-XIV secolo, mossa da lesene e archetti pensili e alleggerita da un grande rosone. La vetrata inserita in tale rosone è stata eseguita nel 2005 da Franco Corradini. Le grate accanto al portale servivano forse alla distribuzione della carità. Il fianco destro, lungo via Collegio San Marco, mostra le spiccate caratteristiche gotiche, come lesene e archetti pensili, slanciate monofore decorate da archetti in pietra trilobati. L'abside, suggestiva, è poligonale e aperta sempre da monofore. Accanto al fianco sinistro, verso la facciata, si erge il Collegio San Marco, mentre verso l'abside una sacrestia pure gotica. L'interno è a navata unica, luminoso e ampio, coperto da capriate, mentre l'abside è voltata a ombrello, con costoloni molto marcati di sapore francese, raro caso in Veneto. Sulla sinistra dell'altar maggiore si apre la sacrestia. Imponente il Sant'Antonio Abate raffigurato in proporzioni giganti sulla parete dell'abside. Lungo le pareti si susseguono brani di affresco, alcuni attribuibili ad Altichiero da Zevio ed altri a Jacopo da Verona o ad un suo allievo. Bellissima la Crocifissione con offerente. Non reca opere di importante valore se non un dossale ligneo quattrocentesco e un angelo ligneo barocco. Secondo Paola Tosetti Grandi, prima delle spoliazioni napoleoniche, la chiesa era dotata di arredo barocco risalente alla ristrutturazione del complesso monastico del 1570. Fra questi, Tosetti Grandi ricorda in particolare un coro ligneo, sostenuto da tre archi su colonne, che seguiva il controportale. Inoltre, menziona una pala che decorava l'altar maggiore e due altari che abbellivano i lati della navata. L'abside ospitava una pala d'altare dipinta da Francesco Zanella raffigurante Sant'Antonio Abate, Sant'Agostino e Arcangelo Canetoli, che è oggi conservata nei magazzini del museo civico di Padova. In origine questa era racchiusa in una cornice di pietra di Custoza e sovrastata da un crocifisso di legno. Sul lato destro della navata si trovava un altare dedicato all'Addolorata, decorato da una pala. Sulla sinistra, un altare dedicato a Sant'Antonio Abate ospitante, oltre ad un ritratto del santo, anche un ritratto di Canetoli, attribuito ad un autore veneto, oggi conservato nei magazzini del Museo Antoniano. Infine, Tosetti Grandi riporta che all'interno della sacrestia si trovava una pala d'altare dedicata a Sant'Osvaldo martire, di scuola veneziana. Sulla moderna cantoria in controfacciata, si trova l'organo a canne, costruito nel 2007 dalla ditta organaria codroipese Zanin. Lo strumento si ispira alla tradizione tedesca del XVIII secolo, sia per le caratteristiche foniche, sia per l'estetica. La trasmissione è integralmente meccanica, e la consolle, a finestra, ha due testiere di 56 note ciascuna e una pedaliera dritta di 30 note. I registri sono 25, per un totale di 1626 canne. La cassa lignea, con decorazioni dorate, è dotata di due torri laterali e da una più piccola centrale, unite da due ali di canne; il positivo tergale, invece, è costituito da due torri e una facciata centrale a cuspide. Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Collegio San Marco Collegio universitario don Nicola Mazza Organo della chiesa di Sant'Antonio di Vienna a Padova Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Sant'Antonio di Vienna a Padova L'organo a canne, su organday.altervista.org.

Palazzo Liviano
Palazzo Liviano

Il palazzo Liviano è un edificio padovano del XX secolo, situato nella zona del vecchio capitaniato della città: fu infatti costruito incorporando nella sua struttura i resti dell'antico palazzo del Capitanio. Intitolato in onore dello storico Tito Livio, oggi ospita la Scuola di Scienze Umane, Sociali e del Patrimonio culturale ed il Dipartimento dei Beni Culturali: Archeologia, Storia dell'Arte, del Cinema e della Musica dell'Università di Padova ed il Museo di scienze archeologiche e d'arte. È inoltre collegato con la Sala dei Giganti, antica struttura affrescata che ospita oggi concerti e convegni. Si trova attualmente nella parte occidentale di piazza Capitaniato, antico cortile della Reggia Carrarese ristrutturato al tempo della dominazione veneziana, quando vi fu costruita la sede di uno dei due capitani veneziani che governavano Padova. Il palazzo fu edificato su iniziativa di Carlo Anti, rettore dell'Università di Padova dal 1932 al 1943, che in tale periodo fece ristrutturare molti dei palazzi dell'ateneo invitando a Padova alcuni tra i maggiori artisti nazionali. Struttura dallo spiccato stile metafisico, il Liviano fu costruito dall'architetto milanese Gio Ponti, che si occupò anche di diversi particolari dell'arredamento interno. L'affresco eseguito nell'atrio da Massimo Campigli tra il 1937 e il 1940, in collaborazione con sua moglie Giuditta Scalini, raffigura l'archeologia, patrimonio della cultura italiana. Un altro affresco, situato sulla sinistra della fascia mediana della parete maggiore, raffigura Campigli, Ponti, Anti e Scalini, vestita con abiti maschili e con le carte dei progetti in mano. Nel 2009 gli affreschi del palazzo sono stati restaurati. La scultura dell'atrio che raffigura Tito Livio chinato e in atteggiamento riflessivo, fu realizzata da Arturo Martini nel 1942. Nel 1937 fu allestito al terzo piano del palazzo il Museo di Scienze Archeologiche e d'Arte. Nei sotterranei del Liviano sono presenti anche dei rifugi antiaerei, che non sono mai stati utilizzati. Il 22 aprile 1978, il Professor Ezio Riondato fu ferito da un colpo di pistola ad una gamba mentre entrava in classe al Liviano. L'attentato venne rivendicato dai Comitati Comunisti Combattenti. Sul luogo dell'attentato è ora presente una targa in ricordo. Il palazzo è direttamente collegato alla celebre Sala dei Giganti, dove si tengono convegni e concerti. Questo salone, cui si accede tramite una scalinata posta sul fianco dell'attuale palazzo Liviano, deve il suo nome ai suoi affreschi che rappresentano in grandezza naturale eroi e grandi personaggi dell'antichità. Il tema degli affreschi, che sono del primo Cinquecento, riprende quello degli affreschi precedenti che decoravano una sala oggi perduta dell'antica Reggia Carrarese. Gli affreschi originali furono ispirati da un'opera del Petrarca, a quel tempo ospite dei signori di Padova. Il Museo di Scienze Archeologiche e d'Arte, collocato al terzo piano del palazzo, conserva importanti testimonianze scultoree dell'antichità e rinascimentali. Di rilievo i ritrovamenti archeologici che risalgono al tempo degli etruschi, dei greci e dei romani. Università degli Studi di Padova Palazzo Maldura Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Liviano Palazzo Liviano e Sala dei Giganti, unipd.it

Palazzo Selvatico Luzzato Dina
Palazzo Selvatico Luzzato Dina

Palazzo Selvatico Luzzato Dina (o palazzo Luzzatto Dina) è la sede del Dipartimento di Scienze storiche e Geografiche dell'antichità (Dissgea) dell'Università degli studi di Padova. La struttura è stata per molto tempo la sede di una serie di illustri proprietari: il primo di questi fu Antonio Selvatico. L'acquisizione dell'immobile, appartenuto precedentemente al nobile padovano Stefano Mota, è datata 6 maggio 1406 . Il Palazzo rimase di proprietà della famiglia Selvatico per tre secoli ma la casa originaria non presentava gli edifici attuali. Nel corso del 1553 Bartolomeo Selvatico acquistò una residenza adiacente a quella di famiglia, un tempo appartenuta a Francesco Petrarca lungo l'attuale via Dietro Duomo (che costeggia il retro del Duomo di Padova), insieme all'orto annesso. Nel 1588 il fratello Girolamo comprò un altro pezzo di terreno, in angolo con l'odierno Vicolo Estense. Tutti questi edifici vennero unificati dal più noto esponente della famiglia Selvatico, il medico Benedetto Selvatico (1574-1658), il quale diede un contributo notevole alla realizzazione del complesso attuale. I lavori iniziarono nel 1610 con l'ampliamento della casa costruendo le grandi sale del piano nobile che corrisponde all'attuale Biblioteca di Storia e commissionò la ricostruzione della facciata principale conferendogli la struttura attuale. Tuttavia, per ricavare ulteriori attestazioni riguardanti la modifica della residenza, bisogna attendere il biennio 1616-18. In quegli anni vennero apportate delle modifiche con il rinnovamento della scala delle cantine, della stanza “prima da basso”, l'aggiunta di una uccelliera, di una fontana, ed infine la sistemazione del giardino. L'intervento di più ampia portata si ebbe nel corso del 1622 con la costruzione di una palazzina “dietro Duomo” che sostituì la casa addossata a sud al cugino Sperindio Selvatico, la quale si trovava all'angolo con via San Giovanni delle Navi (attuale via Vescovado). Lo stabile, in quell'anno, venne collegato alla casa grande attraverso un “coridor”, ovvero un ballatoio posto lungo la casa di Sperindio. Inoltre, con il consenso del cugino, Benedetto poté portare alla realizzazione di una facciata su via Giovanni delle navi dando un aspetto unitario, anche se internamente le abitazioni rimasero divise. La data ultima di ristrutturazione del complesso è datata 1627, da quell'anno non sono risultati altri lavori di ristrutturazione o di ampliamento del palazzo complice, probabilmente, l'arrivo della peste nel corso del 1631. Si dovette attendere il 1640 per avere ulteriori cambiamenti all'interno della casa, infatti, in quell'anno, il patrimonio venne diviso tra Benedetto, che mantenne la palazzina, e i nipoti Alvise e Antonio, figli del fratello Francesco, ai quali cedette la parte del palazzo di fronte a via San Giovanni delle navi. Con questa divisione Benedetto pensava di mantenere un'unione nel tempo all'interno della famiglia, in realtà fu l'inizio dei numerosi liti che, alla morte di Benedetto, ebbe come risultato la divisione della residenza. Nel corso del 1668 arrivò a palazzo, oltre i già citati Alvise e Pietro, Antonio il terzo fratello che portò ad un'ulteriore suddivisione del patrimonio. A partire dal 1693 si inaugurò, in occasione del matrimonio di Benedetto II Pietro Alvise Selvatico, figlio di Benedetto Alvise, una campagna decorativa degli interni del palazzo e la realizzazione di una scuderia di fianco all'attuale Palazzo Jonoch Gulinelli. Dopo un'ulteriore divisione dei beni tra i due fratelli, non vi furono altri restauri alla casa almeno fino al 1783. Con Benedetto Selvatico, figlio di Alvise e nipote di Benedetto II, si inaugurò una seconda campagna decorativa del palazzo e la costruzione di un appartamento a nord della palazzina "dietro Duomo". La realizzazione dell'edificio fu commissionata dal fratello Benedetto Giovanni Andrea, canonico della Cattedrale. Benedetto Giovanni inoltre, diede con un contributo notevole per la costruzione della cosiddetta “Stanza delle vedute prospettiche” nella palazzina a fianco. Nel 1738, grazie al matrimonio tra Alvise, figlio di Benedetto II e della marchesa Maddalena Frigimelica, la famiglia cominciò a spostarsi verso un'altra loro residenza di maggior interesse: il palazzo Frigimelica in via dei Tadi, acquisito proprio dall'unione tra i due nobili. La divisione del 1788, successiva al completo sposamento della sede in via dei Tadi, ebbe il merito di ridurre i proprietari del palazzo e, di conseguenza, il numero di appartamenti in cui quest'ultimo era stato a lungo diviso: lo testimoniano sia la divisione tra i soli Benedetto Pietro e Benedetto Bartolomeo Selvatico risalente al 1790, sia, vent'anni dopo, il catasto napoleonico. Nel corso dell'Ottocento, dopo la dominazione napoleonica il palazzo passò nelle mani di Pietro selvatico Estense, figlio di Bartolomeo, il quale nel 1852 venderà ai fratelli Beniamino e Pellegrino Dina. I due fratelli non avendo eredi lasciarono ai figli della sorella Enrichetta, sposata con Giacobbe Luzzato (o Luzzatto), il patrimonio e il loro cognome. Lo stabile da quel momento è noto come Palazzo Luzzato Dina. Il palazzo nel 1989 venne donato all'Università da Augusta Luzzato Dina, la quale non avendo eredi, dopo la morte del suo unico figlio Pier Galeazzo nel 1946, decise di offrire il patrimonio storico-architettonico del palazzo all'Ateneo di Padova. La residenza della dinastia Selvatico divenne dopo due restauri, il primo nel 1995 e il secondo nel 2003, la sede del Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell'Antichità di Padova (Dissgea). Patavina libertas: una storia europea dell'Università di Padova (1222-2022), Padova, 2021. G.Bresciani Alvarez, L 'architettura civile del Barocco a Padova, in Padova, Case e palazzi, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1977. D. Tosato, Palazzo Selvatico, Buzzacarini, in Affreschi nei palazzi di Padova. Il Sei e Settecento, a cura di a cura di V. Mancini, A. Tomezzoli, Verona, D. Ton, Scripta Ed, 2018. A. Franceschi, Selvatico, vicende familiari e patrimoniali, «Padova e il suo territorio», agosto 2005. ASPD, Archivi Privati, Famiglia Selvatico Estense. A. Franceschi, Selvatico, vicende familiari e patrimoniali, «Padova e il suo territorio», vol. 20, agosto, 2005. Augusta Luzzato Dina Università degli Studi di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Selvatico Luzzato Dina Sito ufficiale, su bibliotecastoria.cab.unipd.it. Biblioteca di storia (CAB) Il Palazzo Luzzato Dina dal sito del Dissgea

Teatro Verdi (Padova)
Teatro Verdi (Padova)

Il Teatro Nuovo oggi Teatro Verdi è il principale teatro padovano. L'edificio, commissionato da una società di nobili padovani, venne realizzato dall'architetto padovano Giovanni Gloria su progetto dell'architetto Antonio Cugini di Reggio. Nel 1751 venne inaugurato con un melodramma di Metastasio e fu chiamato "Teatro Nuovo e della Nobiltà". Nel 1847 fu ristrutturato al suo esterno da Antonio Monte su disegno di Giuseppe Jappelli. Nel 1884 fu rimodernato internamente dall'architetto milanese Achille Sfondrini che aveva progettato il Teatro dell'Opera di Roma. La volta, che rappresenta la Danza delle Ore fu dipinta da Pietro Paoletti e rifatta successivamente da Giacomo Casa. L'inaugurazione avvenne l'8 giugno 1884 con l'attuale nome. Le musiche per l'apertura del teatro rimodernato sono dovute al musicista patavino Angelo Tessaro. Originariamente il Teatro era affiancato dallo stretto vicolo dei Subiotti; dal 1958 questo assetto venne sconvolto con l'apertura di Corso Milano. Vennero inoltre demolite alcune case addossate all'edificio, rivelando tre grandi finestre ogivali che servivano a dare luce al palcoscenico. Il Verdi è la sede operativa del Teatro Stabile del Veneto e sede del terzo anno dell'Accademia Teatrale "Carlo Goldoni". In passato è stato sede unica dell'Accademia d'Arte drammatica "Palcoscenico". Carmelo Alberti (a cura di), Il Teatro Verdi di Padova 1992-2010. Storia, cronache e immagini (PDF), Venezia, Marsilio, 2010, ISBN 978-88-317-08425. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Teatro Verdi https://padova.italiani.it/scopricitta/il-teatro-verdi-di-padova-nel-teatro-stabile-del-veneto/ Sito ufficiale, su teatrostabileveneto.it. (EN) Teatro Verdi, su Structurae.

Duomo di Padova
Duomo di Padova

La Basilica cattedrale di Santa Maria Assunta (conosciuta dai patavini semplicemente come il Duomo) è il principale luogo di culto cattolico di Padova e sede vescovile della diocesi omonima almeno dal IV secolo. Dedicata all'Assunzione di Maria ha la dignità di basilica minore ed è inoltre sede parrocchiale. Al suo interno si venerano i corpi di san Daniele, san Leonino e di san Gregorio Barbarigo. L'edificio attuale risale al XVI secolo e alla sua costruzione intervenne Michelangelo Buonarroti. Si affaccia su piazza Duomo. Accanto si innalza il complesso del Vescovado. Dipendono dalla cattedrale le rettorie di San Clemente e San Pietro. È monumento nazionale italiano. La prima cattedrale, edificata dopo il cosiddetto editto di Costantino, sorgeva, secondo la tradizione, nell'area del sagrato attuale, nella zona segnata oggi da una colonna in pietra sormontata da una croce. Pare fosse originariamente dedicata a santa Giustina e in seguito ad una delle sue ricostruzioni o restauri (462 o 602) la sede episcopale di Patavium associò ad un primitivo titolo quello di Santa Maria, conforme al culto della Theotókos legittimato dal concilio di Efeso. Sempre antiche fonti, riconducono alla figura del vescovo Tricidio la ricostruzione di una delle primitive chiese, verso l'anno 620 che poi venne ricostruita tra l'899 e il 900 perché ab Ungharis inflammata. Solo nel 1075 il vescovo Olderico consacrò una definitiva cattedrale, costruita sulle rovine delle precedenti. Per quest'ultima fase edilizia, gli storici tra i secoli XVII e XIX ipotizzavano un edificio con facciata posta a levante, dotato di una confessione e di una sottoconfessione (cripta) nell'area absidale dove era posta la sepoltura del vescovo Tricidio la cui lapide, con rovine e nicchie fu portata alla luce durante lo scavo delle fondamenta dell'attuale facciata. All'epoca si trovò somiglianza tra i rovine ritrovate e l'abside della chiesa di Santa Sofia. Nel 1874 nel tentativo di innalzare un monumento al canonico Francesco Petrarca, furono ritrovati alcuni grossi macigni, giacenti tuttora alla profondità di circa tre metri, al lato est del sagrato. Questa basilica (o una sua ristrutturazione) cadde nel famoso terremoto del 3 gennaio 1117. La campagna di scavo e ricerca promossa dalla cattedra di Archeologia medievale dell'Università degli Studi di Padova tra il 2011 e il 2012 ha smontato molte ipotesi formulate nel passato e aperto numerose problematiche riguardo allo sviluppo edificatorio dell'intera area del Palazzo Episcopale, della cattedrale e del battistero. Nell'angolo nord-est del sagrato, dove nell'Ottocento si concentrarono ritrovamenti di notevole entità, è stata individuata la base di una grandiosa torre a pianta quadrata (dieci metri per lato) in stile romanico-adriatico databile tra il X ed XII secolo, forse un campanile della primitiva cattedrale atterrato in epoca imprecisata (XIV secolo?). Gli scavi effettuati alle basi degli edifici databili tra il IX e il XI secolo che si accostano a nord del battistero hanno rivelato una serie di ambienti pavimentati a mosaico databili tra il IV e il V secolo di indubbia destinazione liturgica, ricollegabili ai simili ambienti con stesso motivo pavimentale ritrovati ad Aquileia e Grado, ambienti che furono poi distrutti da un incendio. Tra i ritrovamenti, una scarsella in pietra per reliquie, un lacerto d'altare databile al V o VI secolo, frammenti di arredo liturgico di varie epoche usato come materiale di spiano, sepolcri (56 individui riconosciuti) e tracce di occupazione domestica in età longobarda. Gli scavi, interrotti per mancanza di fondi, attendono ora un seguito. A seguito del sisma del 1117, una nuova cattedrale sorse sul progetto dell'architetto Macillo, non è chiaro se sui resti della cattedrale oldericiana o in una nuova posizione per favorire l'apertura di una piazza e ampio sagrato. Fu consacrata il 24 aprile 1180. La nuova chiesa si ergeva nell'area dell'attuale cattedrale, con identico orientamento (facciata a levante e presbiterio a ponente) divisa in tre navate di non grandi dimensioni e transetto. La navata laterale a sud si affacciava su una strada che costeggiava il Palazzo Episcopale e il campanile, la navata laterale a nord era contigua al chiostro dei Canonici e il battistero. Internamente le navate erano divise da colonne e pilastri che si alternavano, secondo modulo di tradizione ottoniana. Nel 1227 si ricostruì il campanile e tra il 1399 e il 1400 il vescovo Stefano da Carrara promosse alcuni lavori di restauro e abbellimento e la costruzione di volte a crociera. Il vescovo Pietro Barozzi volle ammodernare la chiesa con la costruzione di un nuovo grande presbiterio secondo modo et struttura romanae ecclesiae S. Petri, il progetto di Bernardo Rossellino per il coro della basilica vaticana. La prima pietra dell'avvio ai lavori fu benedetta e posta nelle fondamenta il 6 maggio 1522 dal cardinale Francesco Pisani che con i Canonici e i Prebendati finanziava la ricostruzione. Prendeva avvio un cantiere monumentale che sarebbe perdurato per due secoli. Il 2 gennaio 1551 il capitolo dei Canonici approvava il modello per il presbiterio dell'ingegnosissimo e illustrissimo Michelangelo Buonarroti a sostituzione di un progetto di Jacopo Sansovino. Il progetto michelangiolesco fu portato a compimento dal proto Andrea da Valle e da Agostino Righetto, nei decenni successivi con non poche variazioni all'idea originale. Il presbiterio veniva inaugurato dal vescovo Federico Cornaro il 14 aprile 1582. Corner aveva intatto fatto abbattere il vecchio campanile medievale che si innalzava sulla sinistra, rispetto alla facciata e fece concludere l'attuale, già principiato dal cardinale Pisani. La facciata vecchia fu prolungata e adornata con un portale che precedentemente era alla parte destra della facciata orientale. Verso il 1635 si proseguì con la costruzione del braccio destro del transetto e nel 1693 con quello sinistro, mentre i resti della vecchia cattedrale venivano via via demoliti e occupati dalle nuove navate progettate da Gerolamo Frigimelica e da Giambattista Novello. Il 25 agosto 1754 il cardinale Carlo Rezzonico consacrò solennemente la nuova cattedrale che ricevette poi il titolo di basilica minore. Nel 1756 si iniziò a costruire la cupola maggiore su progetto di Giovanni Gloria e di Giorgio Massari. Il 13 maggio 1797 le truppe francesi irruppero nel duomo e lo spogliarono accuratamente di tutta l'argenteria, splendido dono in gran parte di Clemente XIII e di altri effetti preziosi. Nel 1822 la copertura della cupola maggiore bruciò in seguito la caduta di un fulmine. Venne ricomposta poi sotto la guida dell'ingegner Giuseppe Bissacco. Nel 1931, a cura del canonico Giovanni Alessi e dell'architetto Vittorio Bettin si restaurò il settecentesco pavimento della basilica alterando la precedente conformazione e asportando, nell'occasione, numerose lapidi sepolcrali. Il capitolo canonicale della cattedrale patavina vanta una storia millenaria e un tempo era annoverato tra i più ricchi e nobili d'Italia, tanto che i Canonici (sin dal IX secolo) erano definiti "cardinali di Lombardia" e il vescovo, parte integrante del capitolo, era definito "piccolo papa". Al capitolo, "seminario dei vescovi", si aggiungevano poi altre quattro dignità come dodici sottocanonici, sei custodi e sei mansionari. Per un lungo periodo fu autonomo. Tre pontefici uscirono dal capitolo canonicale della cattedrale: Eugenio IV, Paolo II e Alessandro VIII più diciotto cardinali. La prima dignità corrisponde nel ruolo di canonico arciprete della cattedrale che è a capo del capitolo prima dignitas post pontificalem; questo, a contrario di altri capitoli che hanno conservato nell'arcidiacono il ruolo primaziale, si deve probabilmente alla figura di san Bellino: in seguito al suo ministero sembra stabilita la precedenza dell'Arciprete sopra l'Arcidiacono. Con la bolla "Decorem Domus Dei" del papa Alessandro VI al capitolo fu aggiunta la carica del primicerio che seguiva in terza posizione le dignità dell'arciprete e dell'arcidiacono godendo di vari benefizj tra cui San Pietro in Volta; il primo fu Nicolò Malipiero dal 1496. Papa Benedetto XIV, con mediazione del vescovo Carlo cardinal Rezzonico, concesse ai Canonici l'uso nel coro di Cappa magna, e di Rocchetto, in tempo d'inverno, e di Cotta sopra il Rocchetto nella state, come i Canonici delle Basiliche di Roma; di portare il cordone rosso nel Cappello; nel celebrar la Messa l'uso del Canone, e della Bugia; di godere de' privilegi de' Protonotari della S. Sede, e di mettere sulle loro armi il Cappello de' medesimi Protonotari; va aggiunta pure una speciale croce pettorale di smalto e con nastro porpureo pendente al collo donata da papa Clemente XIII ai canonici con l'obbligo di tramandarla ai Successori; questa è decorata da una parte dell'Assunzione della Beata Vergine, dall'altro da san Gregorio Barbarigo. Ai canonici e i canonici onorari, ancora oggi tutti protonotari apostolici soprannumerari durante munere, si aggiungono gli arcipreti di Montagnana, Cittadella e Thiene (pure protonotari) e gli arcipreti col titolo di abate mitrato di Piove di Sacco ed Este. Tra le figure di spicco e levatura culturale troviamo nel Dugento Pietro Colonna, poi elevato alla porpora da papa Nicolò IV. Tra il Trecento e il Quattrocento furono canonici Francesco Petrarca e il compositore Johannes Ciconia. In seguito Pietro Bembo fu "Canonico soprannumerario per privilegio Pontificio" e ancora Paolo Gualdo assunse la prima carica di arciprete. Oggigiorno l'istituzione soffre di un'oggettiva decadenza. Leoperto preposito (874) Lorenzo archipresbiter, rector, custos in Ecclesia S. Maria (950-964) Anselmo (964-970) Martino (979) Grimaldo (979) Eldidino (1034) Iveldino (1041) Inno (1065) Grimaldo (1071) Eriberto (1088) Alberto (1102) San Bellino Bertaldi (1109-1128) Viviano (1128-1139) Uberto Spiga (1139-1166) Wifredo (1166-1194) Giambono Scarella (1194-1203) Floriano (1203-1220) Giacomo Conrado (1220-1230) Egidio (1230-1236) Dellacorra (1236-1256?) Pietro Scrovegni (1256-1276) Tommaso Guarnerini (1276-1282) Bovetino de' Bovetini (1282-1294) Giovanni degli Abbati (1294-1301) Altigrado Cattaneo (1301-1304) Pandolfo da Lusia(1304-?) Aiperto Orzalemo (1313-?) Conrado Concoregio (1316-1330) Matteo Reate (1330-1333) Bartolomeo Capodivacca (1333-1356) Pileo da Prata (1356-1359) Giovanni Piacentini (1359-1365) Angelo Castiglione (1365-1384) Conte da Carrara (1384-1388?) Giovanni Enzenguerati o Enzegerati (1389-1397) Francesco Zabarella (1397-1414) Bartolomeo degli Astorelli (1414-1421) Benedetto Galli dalla Galta (1421-1426) Bartolomeo Zabarella (1426-1430) Agostino Michiel (1430-1447) Girolamo Michiel (1447-1472) Gabriele Contarini (1472-1477) Nicolò Franco (1477-1480) Taddeo Querini (1480-1509) Pietro Lippomano (1509-1517) Angelo Lippomano (1517-1548) Francesco Zabarella (Coadiutore dal 1543, stabile 1548-1571) Ludovico Zabarella (Coadiutore dal 1561, stabile 1571-1591) Girolamo Zacco (1591-1609) Paolo Gualdo (1609-1621) Giuseppe Gualdo (1621-1640) Albertino Barisoni (1640-1656) Galeazzo Mussato (1656-1665) Paolo Dolfin (1665-1671) Pietro Antonio Dolfin (1671-1685) Antonio Loredan (1685-1713) Faustino Bonlini (1713-1733) Antonio Marino Priuli (1733-1738) Girolamo Barbarigo (1738-1760) Lauro Campolongo (1760-1771) Giovanni Dotto (1771-1797) Marco Regolo Sambonifacio (1797-?) -- Vincenzo Scarpa (1829-1854) Giovanni Battista Marconi Angelo Fontanarossa (1870?) -- Giuseppe Schievano Ulderico Gamba Giovanni Foffani (?-1992) Piero Lievore (1992-2014) Umberto Sordo (2014-2018) Maurizio Brasson (2018-2021) Giuliano Miotto (dal 2021) La basilica di Santa Maria Assunta nella cattedrale si innalza tra l'imponente mole del palazzo episcopale e la compatta massa del battistero. La pianta è a croce latina. Sulla terza campata si eleva un tiburio ottagonale e sulla crociera del transetto l'alta cupola del Gloria coperta a piombo. Ai lati del presbiterio si innalzano due sacrestie, quella dei Canonici e quella dei Prebendati. Tra quest'ultima sacrestia e il braccio del transetto destro si eleva il campanile. Le porte laterali aprono rispettivamente sul piccolo cortile della canonica e su via dietro duomo, verso l'ingresso carraio del palazzo episcopale. Sul campanile è incastonata una lapide mutila d'età romana che menziona la Gens Fabia di Veio, titolo che spettò alla popolazione patavina dai tempi della fondazione del municipium nel 49 a.C. Il campanile della Cattedrale ospita un concerto di sette campane a sistema veronese (6 in scala di Do + ottavino), tutte fuse dalla Fonderia Pontificia Daciano Colbachini e Figli di Padova nel 1923. La facciata su cui si aprono i tre portali è incompleta. Secondo Gerolamo Frigimelica si sarebbe dovuto aprire un arioso atrio di accesso e al piano superiore, un solenne loggiato, sullo stile delle basiliche romane; in facciata un grande frontone classico sostenuto da sei poderose semicolonne di ordine corinzio. Secondo l'architetto a collegare l'atrio, la loggia e il palazzo episcopale, si sarebbe aperta una rampa coperta, sulla destra, rimasta incompiuta. Durante i bombardamenti della prima guerra mondiale un ordigno colpì la facciata che rovinò, nella parte superiore. In occasione dei restauri si aprì il piccolo rosone. Suddiviso in tre navate lo spazio è misurato e armonioso. Suggestiva la prospettiva dal portale maggiore. Sulla navata centrale si aprono due grandi cupole, una ellittica, in corrispondenza delle cappelle di San Gregorio Barbarigo e San Lorenzo Giustiniani e la maggiore, circolare è posta nella crociera. Lungo le navate laterali si aprono le cappelle. Sotto il presbiterio, la cripta e la cappella della Santa Croce. La prima cappella che si apre sulla navata destra, dall'ingresso, con altare donato nel 1760 dalla fraglia dei calzolai ospita una pala opera di Dionisio Gardini e raffigurante San Pio X (che in fu seminarista a Padova). Originariamente vi era posta una tavola di Giambattista Mingardi raffigurante il martirio dei santi Crispino e Crispiniano, protettori dei calzolai. Nella seconda cappella, sull'altare, una pala raffigurante il martirio di san Lorenzo, opera di Alessandro Galvano. La cappella di San Lorenzo Giustiniani, con grande altare fu voluta dal Vescovo Nicolò Antonio Giustiniani per onorare il suo santo antenato. La statua in marmo di Carrara è di Felice Chiereghin (1788). La pala retrostante con la Vergine e santi è attribuita ad Alessandro Varotari "il Padovanino". Il vescovo committente è sepolto nella cappella. Alle pareti epigrafi e resti di monumenti sepolcrali vescovili appartenenti alla cattedrale macilliana. Dal 1809, dietro all'altare è posto, celato da una lastra marmorea, il corpo di san Leonino vescovo di Padova, un tempo venerato nella chiesa di San Leonino in Prà della Valle. Nell'altare seguente, una moderna raffigurazione del Sacro Cuore (di R. Mulata) a sostituzione di San Carlo Borromeo in preghiera, opera di Battista Bissoni, già nella basilica antoniana. Nell'atrio della porta alla canonica due monumenti di Girolamo Campagna, quello di sinistra a Sperone Speroni e quello di destra della figlia Giulia Speroni. Sul grandioso altare, opera di Mattia Carneri che lo disegnò nel 1647 è esposto un dipinto bizantineggiante ritenuto per secoli opera di Giotto, ma in realtà il dipinto è ben più antico anche se l'attuale è frutto di un restauro o di una ridipintura seicentesca. La macchina lignea con volute e cherubini su cui è esposto il dipinto, poggia su un pianerottolo rialzato su cui saliva il vescovo o i canonici durante le solennità mariane a venerare l'immagine. Ai lati due statue, opere di Bernardo Falconi, raffiguranti i santi Pietro e Paolo. Sui fianchi dell'altare i cancelli bronzei con i dottori della chiesa precedentemente posti a chiusura del presbiterio, splendida opera di Angelo Scarabello. In alto, due teleri: una Adorazione dei Magi di Francesco Zanella e l'Incoronazione della Vergine di Gregorio Lazzarini. Sul lato destro l'arca e gisant policromo del cardinale Francesco Zabarella, sormontata da monumentale arcosolio gotico su cui sono poste cinque statue (Vergine e santi) attribuite a Rinaldino di Francia. Il monumento si trovava nella cattedrale maciliana, nella cappella di San Paolo e venne poi rimontato nell'attuale posizione nel 1641 levando via tutto l'oro che vi era per essere consumato per spese della famiglia del conte Giacomo Zabarella che commissionò a Luca Ferrari le decorazioni pittoriche a sostituzione degli affreschi quattrocenteschi presenti originariamente. Dall'altra parte, monumenti funebri di canonici tra cui le iscrizioni del cardinale Bartolomeo Zabarella e di Achille Zabarella. Nell'atrio, sopra la porta della sacrestia una piccola Natività seicentesca dalla ricca cornice intagliata, ai lati una tela di Andrea Vicentino e une tela di Francesco Minorello. All'interno tele seicentesche tra cui copia da Caravaggio. Spiccano due Santi Pietro e Paolo di Francesco Lopez. Al centro del soffitto, Assunzione, su tela di Niccolò Bambini e affreschi di Francesco Zanella. Sul lato della sacrestia dei Prebendati v'è un monumento barocco del cardinale Pietro Valier, il busto è una copia seicentesca di un lavoro di Gian Lorenzo Bernini, sull'altro, verso la sacrestia dei Canonici vi è il monumento al vescovo Francesco Scipione Dondi dall'Orologio. Tra gli organi, l'altare maggiore di Daniele Danieletti consacrato il 2 dicembre 1770 dal vescovo Antonio Marino Priuli e sopra, il baldacchino di Cesare Bovo con il Padre Eterno di Francesco Zanella. Sopra, ai lati, si susseguono tele inserite negli spazi architettonici: Il riposo sulla via dell'Egitto di M. Laos, pittore francese del primo Settecento e Circoncisione di Antonio Fumiani. Segue poi una Natività di Antonio Balestra e i Santi patroni della città di Padova di ignoto settecentesco. Sulla sinistra si innalza il monumento che i Canonici vollero per onorare papa Benedetto XIV che concesse loro la cappa magna e il cardinale Carlo Rezzonico mediatore, è opera di Giovanni Maria Morlaiter. Il coro ligneo è opera di Filippo Parodi. Al suolo una piccola lapide ricorda l'anno 1698 in cui si portarono a compimento i sedili e la pavimentazione, grazie al lascito del canonico Pietro Labia (†1692). Opera realizzata alla luce delle disposizioni della CEI (not. 31 maggio 1996) in occasione del terzo centenario della morte di san Gregorio Barbarigo. L'opera è di Giuliano Vangi: sue sono le decorazioni, l'altare, l'ambone, la cattedra e il crocifisso. Tutto il nuovo spazio, che si innalza al di sotto della cupola del Gloria e sul transetto è in marmo di Carrara. Non è stato asportato nulla di antico, solo le balaustre sono state ridimensionare e ricollocate. Agli scalini di accesso sono raffigurati i quattro protettori della città di Padova. L'opera è stata accolta con pareri discordanti. Sotto alla cupola maggiore e quindi al nuovo presbiterio, vi è il grande sepolcreto dove riposano le spoglie dei vescovi di Padova. Fu in uso sino al XIX secolo. Vi è conservato il corpo di san Daniele Martire all'interno dell'urna romana sotto la mensa d'altare, da quando fu trasportato dalla basilica di Santa Giustina nel 1076. L'attuale sistemazione dell'altare, con le parti più antiche poste in rilievo, risale alla metà del Novecento: precedentemente era riccamente ornato di marmi e di preziosissimi bronzi opera di Tiziano Aspetti, opere ora isolate e dislocate. Le vetrate della cripta sono opera moderna (inaugurate nel 2010) del prof. Ryszard Demel. Accanto all'aula maggiore, sorge la cappella della Santa Croce (si trova al di sotto della Sacrestia dei Canonici) ricoperta di marmi e stucchi nel 1676 per volere dell'illustre canonico letterato Giambattista Vero. Tra la decorazione plastica, preziose pitture raffigurano la storia della vera Croce, oggi in grave stato di deperimento. L'altare, prezioso lavoro in stile tardomanierista caratterizzato dall'uso di marmi neri e bianchi e inserti a marmi policromi, occupa il fondo del vano. La cancellata dorata sopra la mensa chiude una nicchia dove veniva conservato la reliquia della Croce, posta entro uno sbalorditivo reliquiario in argento dorato e smalti, alto 35 cm., un capolavoro dell'oreficeria gotica ad opera di Bartolomeo da Bologna ora esposto nel Palazzo Episcopale. Nella cappella sono deposti i feretri dei vescovi di Padova a partire dal vescovo Francesco Scipione Dondi dall'Orologio, seguito poi dai vescovi Federico Manfredini e Giuseppe Callegari, i cui corpi vennero qui ricomposti dopo il 1945 poiché la cappella funeraria neogotica che li ospitava presso il cimitero monumentale vicino al santuario dell'Arcella venne colpita da un feroce bombardamento durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1988 venne deposto il feretro di Filippo Franceschi e nel 1992 quello del vescovo emerito Girolamo Bartolomeo Bortignon. Nell'atrio alcuni dipinti: Annunciazione e Visitazione di Jean Raoux e un'Annunciazione di Francesco Zanella. All'interno, la Sacrestia conserva una pinacoteca, frutto dei lasciti dei canonici. Parte della pinacoteca è ora esposta al Palazzo Episcopale. Opere di Bassano, Liberi, Forabosco e Brusasorci tra cui spicca una Madonna orante del Sassoferrato. Nella parte superiore concorrono i ritratti dei canonici illustri, tra cui il pregevole ritratto di Francesco Petrarca. L'altare è armoniosa opera del Massari, vi sono inseriti i pannelli in bronzo di Jacopo Gabano tra cui spicca un'ultima cena. I due angeli oranti sono opera di Tommaso Bonazza (destra) e Jacopo Gabano (sinistra). In alto ricchissimo baldacchino in stile rocaille in legno dorato, con simboli eucaristici. Alle pareti tele settecentesche di ignoto con Caduta della manna, e Consegna della tavole della legge. A destra monumento funebre del cardinale Pileo da Prata opera di Pierpaolo dalle Masegne con arca e gisant e baldacchino, opera del gusto iperrealista gotico di inizio Quattrocento. A sinistra, l'elegante sepolcro del vescovo Pietro Barozzi attribuito ad Alessandro Vittoria e già attribuito a Tullio Lombardo. Di fronte alla porta verso il palazzo episcopale, il grande pulpito ligneo, commissionato dal canonico Selvatico e magnifica opera di Filippo Parodi, che ha scolpito di sua mano le figure che lo adornano. Nell'atrio della porta, Monumento al canonico Francesco Petrarca di Rinaldo Rinaldi (1793-1873) e lapide a memoria della visita di papa Pio VI avvenuta nel 1782. La cappella di San Giuseppe con grande altare, opera di Tommaso Bonazza e pala con Vergine in trono con san Cesareo e Giuseppe di Giovanni Antonio Pellegrini. Accanto all'altare lapide di dedicazione della cappella ai Santi Benedetto e Cesario da parte del vescovo Ildebrandino Conti che qui vi è sepolto. La lastra tombale gotica è stata recentemente dispersa. Alle pareti, tele di Dario Varotari. Dopo la cappella di San Gregorio segue la cappella di San Gerolamo con splendida pala di Pietro Damini, San Gerolamo che si percuote con un sasso. Vi è raffigurato il committente, Girolamo Selvatico. Nella cappella della Madonna dei ciechi, innanzi la porta d'ingresso sinistra, dove si soffermavano i ciechi, sicuri di trovare l'uscita, sull'altare in marmo bianco è collocata una pala di Antonio Buttafogo sulla quale è inserita una tavola quattrocentesca, forse dello Squarcione, raffigurante la Vergine e il Bambin Gesù. Restaurata nel 1997 conserva dal tempo della beatificazione, il corpo di san Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova. L'altare sotto cui è esposto il santo corpo, è di Giorgio Massari, mentre la statua del santo è lavoro di Francesco Androsi. È arricchito dai busti bronzei dei quattro santi protettori di Padova opere dell'orafo Angelo Scarabello. La statua in marmo del Santo è di Francesco Andreosi. Dietro l'altare Crocifissione con sante Maddalena e Caterina, di Pietro Damini. La cappella è decorata a fresco da Giovanbattista Mingardi. Sul pavimento innanzi all'altare è sepolto il vescovo Sante Veronese. La cattedrale vantava la cappella musicale più antica del mondo, infaustamente abolita alla metà del Novecento. Istituita alla fine del XIII secolo, era organo dipendente dal capitolo dei Canonici, che designava il maestro di cappella e i musicisti. Il periodo d'oro della cappella fu quello tra XIII e XV secolo quando era guidata da compositori come Marchetto da Padova e Johannes Ciconia di cui restano importantissime testimonianze nel ricchissimo fondo musicale dell'epoca conservato nella biblioteca capitolare. Qualcuno ha ipotizzato che nell'ambito della cappella musicale della cattedrale di Padova sia nato l'uso dei cori spezzati, quello stile policorale pensato e sviluppato dall'allora maestro di cappella Rufino Bartolucci a cui si rifece Adrian Willaert. Dopo anni di oblio, grazie all'attività del maestro Alessio Randon, la cattedrale gode oggi di un servizio musicale stabile nella "Cappella Musicale della Cattedrale", ufficializzata nel 2015 dal vescovo Antonio Mattiazzo. Organista titolare è il maestro Alessandro Perin. Marchetto da Padova Johannes Ciconia Rufino Bartolucci Giordano Pasetto Costanzo Porta Ippolito Chamaterò Lelio Bertani Ludovico Balbi Baldassare Donato Bartolomeo Barbarino Amadio Freddi Giambattista Marinoni detto il Giove Giovanni Battista Mosto Giulio Cesare Martinengo Bartolomeo Favaretto Bertoldo Sperindio Stefano Landi Giacomo Rampini Gaetano Valeri Marco Antonio Suman Luigi Bottazzo Alcuni documenti del XIV secolo ricordano che nella cattedrale era presente un magna organa. Tra il 1457 e il 1459 il celebre organaro Bernardo d'Alemagna costruì, presso il coro, un nuovo organo che venne presto rifatto (1493) dal figlio Antonio Dilmani. Nel 1497 intervenne sullo strumento Leonardo di Salisburgo che lo ampliò con novum alium registrum. Nel 1648 il vecchio organo fu riportato nella nuova cattedrale - dopo un attento restauro affidato ad Ercole Valvassori e la costruzione di una nuova cassa ad opera di Bartolomeo Amighetti - e fu posto nel primo nichio del choro dalla parte della sagrestia dei canonici. Nel 1700 fu ampliata la cantoria, mentre nel 1707 lo strumento fu radicalmente restaurato da Michele Colberg. L'ultimo ampliamento, ad opera di don Giorgio Pinafo, fu autorizzato nel 1756. Nel febbraio del 1790 il capitolo decise di eliminare il vecchio organo e di far costruire due nuovi strumenti battenti, ai lati dell'altare maggiore. I lavori furono affidati a Gaetano Callido, mentre le cantorie furono progettate dall'architetto padovano Daniele Danieletti che realizzò due opere simmetriche sullo stile classico con decorazioni in stile rocaille. Alle casse si aggiunsero alcune statue allegoriche di Luigi Verona e a corona, monumentali stemmi episcopali del canonico Giovanni Battista Santonini, finanziatore dell'opera. Il 15 agosto 1791 furono inaugurati gli strumenti con la messa e i vespri cantati dalla cappella Antoniana. Callido installò un organo a due manuali con pedaliera in cornu epistulae e un organo corale ad un solo manuale senza pedaliera in cornu evangelii: gli strumenti furono subito giudicati inadeguati per la vastità dell'ambiente tanto che il Callido minacciò di ritirarli e già nel 1796 il Capitolo si affidò a Francesco Dacci per sottoporli ad un intervento migliorativo. Nel 1846 Angelo Agostini restaurò e ampliò entrambi gli strumenti. Dalla metà del XIX secolo Domenico Malvestio sostituì l'organo all'epistola con un nuovo organo meccanico a tre manuali con materiale del Callido e dell'Agostini su progetto di Oreste Ravanello. L'organo fu inaugurato l'11 giugno 1907, ma cadde presto in disuso, tanto che Malvestio posizionò un nuovo organo ai lati del coro. Nel 1922 per volere del vescovo Luigi Pellizzo fu liberata la cassa al Vangelo del piccolo strumento Callido/Malvestio che fu ceduto alla parrocchia di Faedis (Udine). Nel 1958 l'organo Malvestio posto al coro venne acquistato dalla parrocchia di San Luca di Tribano e sostituito con un nuovo strumento ad opera della ditta Tamburini (opus 400); fu elettrificato l'organo all'epistola e al vangelo, posta una nuova struttura. Le 5380 canne erano gestite da un'unica console a quattro manuali al presbiterio. Lo strumento a trasmissione elettrica era composto da 91 registri (63 reali). Quest'organo è rimasto in funzione sino al 1999. Su progetto di Francesco Finotti, a partire dalle ultime modifiche apportate da Tamburini, nel 2001 la ditta Zanin ha avviato un grande piano di riqualificazione del materiale esistente, la riorganizzazione delle canne all'interno delle casse storiche (con il recupero e la ricollocazione rigorosa dell'opera callidiana) e la dislocazione del materiale fonico estratto su due nuovi corpi posti a pavimento del presbiterio. Durante i lavori è stato costruito e posizionato nel transetto un organo suppletivo ad un manuale e pedaliera, tuttora esistente. Il nuovo grande organo della cattedrale è stato inaugurato e benedetto domenica 11 aprile 2010. La consolle monumentale, originale della ditta Tamburini, è dotata di quattro tastiere di 58 note ciascuna e pedaliera dritta di 32 note, è a trasmissione via radio e comanda 4968 canne: quelle relative ai manuali I, II e III e al pedale sono disposte nelle cantorie gemelle del presbiterio, mentre le canne del manuale IV si trovano all'interno delle nuove casse nel presbiterio. Nel transetto della cattedrale, si trova un secondo organo a canne semovibile. Questo è stato costruito nel 1999 da Francesco Zanin per sostituire l'organo maggiore in fase di restauro e, dopo il completamento di quest'ultimo, è rimasto con il preciso scopo dell'accompagnamento del coro. A trasmissione meccanica, ha un'unica tastiera di 54 note e una pedaliera retta di 30. Il battistero di Padova, ubicato a destra della cattedrale, risale al XII secolo, subì vari rimaneggiamenti nel secolo successivo, e venne consacrato dal Guido, patriarca di Grado (1281). È anche il mausoleo dei Carraresi. Gli affreschi con cui è decorato (1375-1376) sono considerati il capolavoro di Giusto de' Menabuoi. L'ingente patrimonio appartenente alla biblioteca Capitolare, un tempo conservato nei locali superiori alla sacrestia dei Canonici, è ora conservato presso appositi spazi nell'Episcopio. Si rimanda alla relativa voce per la relativa trattazione. Adiacente alla Sacrestia dei Canonici, è tuttora visibile al numero 28 di via Dietro Duomo la casa canonicale di Francesco Petrarca, nominato canonico della basilica nel 1349 per intercessione dell'amico Jacopo II da Carrara. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il poeta il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne una rendita annua di 200 ducati d'oro. Battistero di Padova Episcopio patavino Chiese di Padova Diocesi di Padova Parrocchie della diocesi di Padova Monumenti di Padova Museo diocesano di Padova Wikibooks contiene testi o manuali sulle disposizioni foniche degli organi a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul duomo di Padova L'organo corale (PDF), su francescofinotti.it. URL consultato il 27 gennaio 2012 (archiviato dall'url originale l'8 maggio 2006).

Loggia dei Carraresi
Loggia dei Carraresi

La Loggia dei Carraresi è un edificio storico di Padova situato in via Accademia. Costituisce l'ultima parte sopravvissuta per intero della Reggia Carrarese, la grande residenza dei Da Carrara, signori di Padova. Dal 2021 è inclusa dall'UNESCO tra i patrimoni dell'umanità nel sito dei cicli di affreschi del XIV secolo di Padova. Il complesso della Reggia, fatto costruire fra il 1339 e il 1343, comprendeva un Palazzo di ponente (più antico) e un Palazzo di levante, collegati fra loro mediante un edificio centrale e con un ampio cortile interno che corrispondeva grossomodo all'odierna piazza Capitaniato. Dal Palazzo di ponente partiva il cosiddetto traghetto alle mura, un passaggio sopraelevato, percorribile anche a cavallo, che univa la Reggia alla cinta muraria, al Castello e alla Torlonga. Questo permetteva al Signore un più facile spostamento, oltre che una maggior possibilità di fuga in caso di pericolo. Nel corso dei secoli, il complesso degli edifici della Reggia ha subito un inevitabile degrado con demolizioni e modifiche, e il fronte della loggia è l'unica struttura rimasta quasi intatta. Caratterizzata da un doppio ordine di nove snelle colonne in marmo rosa di Verona disposte su due livelli, a formare due portici sovrapposti con copertura aggettante, la loggia fu realizzata su disegno di Domenico da Firenze e fu voluta da Ubertino da Carrara per "poter passeggiare in terra e in alto riparato dalla pioggia". Nelle stanze retrostanti, si trova la Sala delle Adunanze dove è presente ciò che resta della Cappella privata, terminata prima del 1354 quando fu ospite il futuro imperatore Carlo IV; vi si trovano alcuni affreschi del Guariento raffiguranti episodi biblici. La copertura era decorata di blu con stelle d'oro e aveva al centro tondi lignei raffiguranti La Madonna con il Bambino e i quattro Evangelisti (di cui ai Musei Civici rimangono la Madonna e san Matteo). Tra le pareti e il soffitto erano disposte cinquanta tavole dipinte con le Gerarchie Angeliche, in parte conservate ai Musei Civici.Un'ala della loggia fu demolita nel 1877 dall'architetto Camillo Boito per fare posto all'adiacente scuola elementare Reggia Carrarese, all'indomani dell'entrata in vigore della legge Coppino del 15 luglio 1877 sull'obbligo dell'istruzione primaria. Tale progetto fu premiato alla Mostra Didattica di Roma e all'Esposizione nazionale italiana di Milano del 1881. Dove è collocata la scuola esisteva il "bruollo dai pozuoli di soto", dalla cronaca del Gatari, cioè un frutteto adiacente ai parapetti del portico inferiore. La Loggia è ciò che resta del Palazzo di ponente ed è tuttora sede dell'Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti. Nelle sue sale è esposta la famosa mappa di Padova realizzata in china e acquarellata a seppia dal cartografo e accademico Giovanni Valle nel 1784, che si avvalse per primo dei calcoli trigonometrici per le sue piante e prima pianta di Padova realizzata con misure in scala. All'interno si trovano l'Anticamera dei Cimieri dove trionfano i medaglioni contenenti i cimieri Carraresi alternati al simbolo del carro e la Camera dei Carri dove è rimasta una decorazione a finto tessuto ad arabeschi con cimieri e carri. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Loggia dei Carraresi

Chiesa di Sant'Anna (Padova)
Chiesa di Sant'Anna (Padova)

La chiesa di Sant'Anna è un edificio di origine medievale che fu luogo di culto sino alla fine del XIX secolo. Si affaccia su contrà sant'Anna ora via Sperone Speroni a Padova. Fu la chiesa del vicino monastero delle monache benedettine ora sede dell'istituto tecnico "Belzoni-Boaga". La chiesa è menzionata in documenti del XII e XIII secolo. Fu poi ricostruita nel 1303 da un certo Compagnino per conto di alcune monache domenicane che vi costruirono accanto un monastero con chiostro. Alle domenicane subentrò nel 1459 una nutrita comunità di monache benedettine che la ressero sino agli inizi dell'Ottocento quando, a causa delle leggi ecclesiastiche napoleoniche, il monastero fu requisito. Le monache furono spostate a San Benedetto Novello e le strutture convertite in casa di ricovero. La chiesa di Sant'Anna fu officiata ancora per un qualche tempo, poi finì suddivisa in aule per accogliere l'istituto tecnico "Belzoni-Boaga" che ancora oggi vi insiste. Nella chiesa era sepolto il giovane artista padovano Luigi Benetello, morto a ventun'anni, nel 1555. La chiesa si innalza sull'angolo tra via Sperone Speroni e via Santa Rosa. La facciata, rivolta a settentrione, ancora ben individuabile: si innalza su un portico aperto da tre fornici retti da pilastri e colonne: sopra un timpano è marcato da una leggera modanatura. La fiancata lungo via Santa Rosa è alterata dalle numerose aperture aperte dopo la chiusura al culto della chiesa. A ponente si affiancano ancora le strutture del monastero col bel chiostro quattrocentesco. Sino agli inizi del Novecento si innalzava ancora il campanile. L'interno, ora stravolto, era ampio 15 metri in lunghezza e largo 9: sull'altare maggiore vi era la pala di Domenico Campagnola La Vergine col Bambino, sant'Anna e san Pietro apostolo ed altri santi ai lati Nascita della Vergine e Presentazione al Tempio di Guy Louis II Vernansal. Nella sacrestia stava un quadretto raffigurante san Gerolamo che nel settecento attribuivano ad Albrecht Dürer e una tela di Giovanni Battista Bissoni L'angelo addita a Cristo un fanciullo. All'ingresso sono ancora visibili le colonne marmoree e le volte che sostenevano il coro pensile della monache "il barco" che nel 1866 fu occupato un organo di Angelo Agostini che finì nel 1886 (forse in occasione della chiusura al culto della chiesa) nella parrocchiale di Lozzo di Cadore. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova 1780 Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori Giuseppe Toffanin, Cento chiese padovane scomparse, Editoriale Programma AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Anna