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Palazzo Selvatico Luzzato Dina

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Palazzo Selvatico Luzzato Dina (o palazzo Luzzatto Dina) è la sede del Dipartimento di Scienze storiche e Geografiche dell'antichità (Dissgea) dell'Università degli studi di Padova. La struttura è stata per molto tempo la sede di una serie di illustri proprietari: il primo di questi fu Antonio Selvatico. L'acquisizione dell'immobile, appartenuto precedentemente al nobile padovano Stefano Mota, è datata 6 maggio 1406 . Il Palazzo rimase di proprietà della famiglia Selvatico per tre secoli ma la casa originaria non presentava gli edifici attuali. Nel corso del 1553 Bartolomeo Selvatico acquistò una residenza adiacente a quella di famiglia, un tempo appartenuta a Francesco Petrarca lungo l'attuale via Dietro Duomo (che costeggia il retro del Duomo di Padova), insieme all'orto annesso. Nel 1588 il fratello Girolamo comprò un altro pezzo di terreno, in angolo con l'odierno Vicolo Estense. Tutti questi edifici vennero unificati dal più noto esponente della famiglia Selvatico, il medico Benedetto Selvatico (1574-1658), il quale diede un contributo notevole alla realizzazione del complesso attuale. I lavori iniziarono nel 1610 con l'ampliamento della casa costruendo le grandi sale del piano nobile che corrisponde all'attuale Biblioteca di Storia e commissionò la ricostruzione della facciata principale conferendogli la struttura attuale. Tuttavia, per ricavare ulteriori attestazioni riguardanti la modifica della residenza, bisogna attendere il biennio 1616-18. In quegli anni vennero apportate delle modifiche con il rinnovamento della scala delle cantine, della stanza “prima da basso”, l'aggiunta di una uccelliera, di una fontana, ed infine la sistemazione del giardino. L'intervento di più ampia portata si ebbe nel corso del 1622 con la costruzione di una palazzina “dietro Duomo” che sostituì la casa addossata a sud al cugino Sperindio Selvatico, la quale si trovava all'angolo con via San Giovanni delle Navi (attuale via Vescovado). Lo stabile, in quell'anno, venne collegato alla casa grande attraverso un “coridor”, ovvero un ballatoio posto lungo la casa di Sperindio. Inoltre, con il consenso del cugino, Benedetto poté portare alla realizzazione di una facciata su via Giovanni delle navi dando un aspetto unitario, anche se internamente le abitazioni rimasero divise. La data ultima di ristrutturazione del complesso è datata 1627, da quell'anno non sono risultati altri lavori di ristrutturazione o di ampliamento del palazzo complice, probabilmente, l'arrivo della peste nel corso del 1631. Si dovette attendere il 1640 per avere ulteriori cambiamenti all'interno della casa, infatti, in quell'anno, il patrimonio venne diviso tra Benedetto, che mantenne la palazzina, e i nipoti Alvise e Antonio, figli del fratello Francesco, ai quali cedette la parte del palazzo di fronte a via San Giovanni delle navi. Con questa divisione Benedetto pensava di mantenere un'unione nel tempo all'interno della famiglia, in realtà fu l'inizio dei numerosi liti che, alla morte di Benedetto, ebbe come risultato la divisione della residenza. Nel corso del 1668 arrivò a palazzo, oltre i già citati Alvise e Pietro, Antonio il terzo fratello che portò ad un'ulteriore suddivisione del patrimonio. A partire dal 1693 si inaugurò, in occasione del matrimonio di Benedetto II Pietro Alvise Selvatico, figlio di Benedetto Alvise, una campagna decorativa degli interni del palazzo e la realizzazione di una scuderia di fianco all'attuale Palazzo Jonoch Gulinelli. Dopo un'ulteriore divisione dei beni tra i due fratelli, non vi furono altri restauri alla casa almeno fino al 1783. Con Benedetto Selvatico, figlio di Alvise e nipote di Benedetto II, si inaugurò una seconda campagna decorativa del palazzo e la costruzione di un appartamento a nord della palazzina "dietro Duomo". La realizzazione dell'edificio fu commissionata dal fratello Benedetto Giovanni Andrea, canonico della Cattedrale. Benedetto Giovanni inoltre, diede con un contributo notevole per la costruzione della cosiddetta “Stanza delle vedute prospettiche” nella palazzina a fianco. Nel 1738, grazie al matrimonio tra Alvise, figlio di Benedetto II e della marchesa Maddalena Frigimelica, la famiglia cominciò a spostarsi verso un'altra loro residenza di maggior interesse: il palazzo Frigimelica in via dei Tadi, acquisito proprio dall'unione tra i due nobili. La divisione del 1788, successiva al completo sposamento della sede in via dei Tadi, ebbe il merito di ridurre i proprietari del palazzo e, di conseguenza, il numero di appartamenti in cui quest'ultimo era stato a lungo diviso: lo testimoniano sia la divisione tra i soli Benedetto Pietro e Benedetto Bartolomeo Selvatico risalente al 1790, sia, vent'anni dopo, il catasto napoleonico. Nel corso dell'Ottocento, dopo la dominazione napoleonica il palazzo passò nelle mani di Pietro selvatico Estense, figlio di Bartolomeo, il quale nel 1852 venderà ai fratelli Beniamino e Pellegrino Dina. I due fratelli non avendo eredi lasciarono ai figli della sorella Enrichetta, sposata con Giacobbe Luzzato (o Luzzatto), il patrimonio e il loro cognome. Lo stabile da quel momento è noto come Palazzo Luzzato Dina. Il palazzo nel 1989 venne donato all'Università da Augusta Luzzato Dina, la quale non avendo eredi, dopo la morte del suo unico figlio Pier Galeazzo nel 1946, decise di offrire il patrimonio storico-architettonico del palazzo all'Ateneo di Padova. La residenza della dinastia Selvatico divenne dopo due restauri, il primo nel 1995 e il secondo nel 2003, la sede del Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell'Antichità di Padova (Dissgea). Patavina libertas: una storia europea dell'Università di Padova (1222-2022), Padova, 2021. G.Bresciani Alvarez, L 'architettura civile del Barocco a Padova, in Padova, Case e palazzi, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1977. D. Tosato, Palazzo Selvatico, Buzzacarini, in Affreschi nei palazzi di Padova. Il Sei e Settecento, a cura di a cura di V. Mancini, A. Tomezzoli, Verona, D. Ton, Scripta Ed, 2018. A. Franceschi, Selvatico, vicende familiari e patrimoniali, «Padova e il suo territorio», agosto 2005. ASPD, Archivi Privati, Famiglia Selvatico Estense. A. Franceschi, Selvatico, vicende familiari e patrimoniali, «Padova e il suo territorio», vol. 20, agosto, 2005. Augusta Luzzato Dina Università degli Studi di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Selvatico Luzzato Dina Sito ufficiale, su bibliotecastoria.cab.unipd.it. Biblioteca di storia (CAB) Il Palazzo Luzzato Dina dal sito del Dissgea

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Palazzo Selvatico Luzzato Dina
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Duomo di Padova
Duomo di Padova

La Basilica cattedrale di Santa Maria Assunta (conosciuta dai patavini semplicemente come il Duomo) è il principale luogo di culto cattolico di Padova e sede vescovile della diocesi omonima almeno dal IV secolo. Dedicata all'Assunzione di Maria ha la dignità di basilica minore ed è inoltre sede parrocchiale. Al suo interno si venerano i corpi di san Daniele, san Leonino e di san Gregorio Barbarigo. L'edificio attuale risale al XVI secolo e alla sua costruzione intervenne Michelangelo Buonarroti. Si affaccia su piazza Duomo. Accanto si innalza il complesso del Vescovado. Dipendono dalla cattedrale le rettorie di San Clemente e San Pietro. È monumento nazionale italiano. La prima cattedrale, edificata dopo il cosiddetto editto di Costantino, sorgeva, secondo la tradizione, nell'area del sagrato attuale, nella zona segnata oggi da una colonna in pietra sormontata da una croce. Pare fosse originariamente dedicata a santa Giustina e in seguito ad una delle sue ricostruzioni o restauri (462 o 602) la sede episcopale di Patavium associò ad un primitivo titolo quello di Santa Maria, conforme al culto della Theotókos legittimato dal concilio di Efeso. Sempre antiche fonti, riconducono alla figura del vescovo Tricidio la ricostruzione di una delle primitive chiese, verso l'anno 620 che poi venne ricostruita tra l'899 e il 900 perché ab Ungharis inflammata. Solo nel 1075 il vescovo Olderico consacrò una definitiva cattedrale, costruita sulle rovine delle precedenti. Per quest'ultima fase edilizia, gli storici tra i secoli XVII e XIX ipotizzavano un edificio con facciata posta a levante, dotato di una confessione e di una sottoconfessione (cripta) nell'area absidale dove era posta la sepoltura del vescovo Tricidio la cui lapide, con rovine e nicchie fu portata alla luce durante lo scavo delle fondamenta dell'attuale facciata. All'epoca si trovò somiglianza tra i rovine ritrovate e l'abside della chiesa di Santa Sofia. Nel 1874 nel tentativo di innalzare un monumento al canonico Francesco Petrarca, furono ritrovati alcuni grossi macigni, giacenti tuttora alla profondità di circa tre metri, al lato est del sagrato. Questa basilica (o una sua ristrutturazione) cadde nel famoso terremoto del 3 gennaio 1117. La campagna di scavo e ricerca promossa dalla cattedra di Archeologia medievale dell'Università degli Studi di Padova tra il 2011 e il 2012 ha smontato molte ipotesi formulate nel passato e aperto numerose problematiche riguardo allo sviluppo edificatorio dell'intera area del Palazzo Episcopale, della cattedrale e del battistero. Nell'angolo nord-est del sagrato, dove nell'Ottocento si concentrarono ritrovamenti di notevole entità, è stata individuata la base di una grandiosa torre a pianta quadrata (dieci metri per lato) in stile romanico-adriatico databile tra il X ed XII secolo, forse un campanile della primitiva cattedrale atterrato in epoca imprecisata (XIV secolo?). Gli scavi effettuati alle basi degli edifici databili tra il IX e il XI secolo che si accostano a nord del battistero hanno rivelato una serie di ambienti pavimentati a mosaico databili tra il IV e il V secolo di indubbia destinazione liturgica, ricollegabili ai simili ambienti con stesso motivo pavimentale ritrovati ad Aquileia e Grado, ambienti che furono poi distrutti da un incendio. Tra i ritrovamenti, una scarsella in pietra per reliquie, un lacerto d'altare databile al V o VI secolo, frammenti di arredo liturgico di varie epoche usato come materiale di spiano, sepolcri (56 individui riconosciuti) e tracce di occupazione domestica in età longobarda. Gli scavi, interrotti per mancanza di fondi, attendono ora un seguito. A seguito del sisma del 1117, una nuova cattedrale sorse sul progetto dell'architetto Macillo, non è chiaro se sui resti della cattedrale oldericiana o in una nuova posizione per favorire l'apertura di una piazza e ampio sagrato. Fu consacrata il 24 aprile 1180. La nuova chiesa si ergeva nell'area dell'attuale cattedrale, con identico orientamento (facciata a levante e presbiterio a ponente) divisa in tre navate di non grandi dimensioni e transetto. La navata laterale a sud si affacciava su una strada che costeggiava il Palazzo Episcopale e il campanile, la navata laterale a nord era contigua al chiostro dei Canonici e il battistero. Internamente le navate erano divise da colonne e pilastri che si alternavano, secondo modulo di tradizione ottoniana. Nel 1227 si ricostruì il campanile e tra il 1399 e il 1400 il vescovo Stefano da Carrara promosse alcuni lavori di restauro e abbellimento e la costruzione di volte a crociera. Il vescovo Pietro Barozzi volle ammodernare la chiesa con la costruzione di un nuovo grande presbiterio secondo modo et struttura romanae ecclesiae S. Petri, il progetto di Bernardo Rossellino per il coro della basilica vaticana. La prima pietra dell'avvio ai lavori fu benedetta e posta nelle fondamenta il 6 maggio 1522 dal cardinale Francesco Pisani che con i Canonici e i Prebendati finanziava la ricostruzione. Prendeva avvio un cantiere monumentale che sarebbe perdurato per due secoli. Il 2 gennaio 1551 il capitolo dei Canonici approvava il modello per il presbiterio dell'ingegnosissimo e illustrissimo Michelangelo Buonarroti a sostituzione di un progetto di Jacopo Sansovino. Il progetto michelangiolesco fu portato a compimento dal proto Andrea da Valle e da Agostino Righetto, nei decenni successivi con non poche variazioni all'idea originale. Il presbiterio veniva inaugurato dal vescovo Federico Cornaro il 14 aprile 1582. Corner aveva intatto fatto abbattere il vecchio campanile medievale che si innalzava sulla sinistra, rispetto alla facciata e fece concludere l'attuale, già principiato dal cardinale Pisani. La facciata vecchia fu prolungata e adornata con un portale che precedentemente era alla parte destra della facciata orientale. Verso il 1635 si proseguì con la costruzione del braccio destro del transetto e nel 1693 con quello sinistro, mentre i resti della vecchia cattedrale venivano via via demoliti e occupati dalle nuove navate progettate da Gerolamo Frigimelica e da Giambattista Novello. Il 25 agosto 1754 il cardinale Carlo Rezzonico consacrò solennemente la nuova cattedrale che ricevette poi il titolo di basilica minore. Nel 1756 si iniziò a costruire la cupola maggiore su progetto di Giovanni Gloria e di Giorgio Massari. Il 13 maggio 1797 le truppe francesi irruppero nel duomo e lo spogliarono accuratamente di tutta l'argenteria, splendido dono in gran parte di Clemente XIII e di altri effetti preziosi. Nel 1822 la copertura della cupola maggiore bruciò in seguito la caduta di un fulmine. Venne ricomposta poi sotto la guida dell'ingegner Giuseppe Bissacco. Nel 1931, a cura del canonico Giovanni Alessi e dell'architetto Vittorio Bettin si restaurò il settecentesco pavimento della basilica alterando la precedente conformazione e asportando, nell'occasione, numerose lapidi sepolcrali. Il capitolo canonicale della cattedrale patavina vanta una storia millenaria e un tempo era annoverato tra i più ricchi e nobili d'Italia, tanto che i Canonici (sin dal IX secolo) erano definiti "cardinali di Lombardia" e il vescovo, parte integrante del capitolo, era definito "piccolo papa". Al capitolo, "seminario dei vescovi", si aggiungevano poi altre quattro dignità come dodici sottocanonici, sei custodi e sei mansionari. Per un lungo periodo fu autonomo. Tre pontefici uscirono dal capitolo canonicale della cattedrale: Eugenio IV, Paolo II e Alessandro VIII più diciotto cardinali. La prima dignità corrisponde nel ruolo di canonico arciprete della cattedrale che è a capo del capitolo prima dignitas post pontificalem; questo, a contrario di altri capitoli che hanno conservato nell'arcidiacono il ruolo primaziale, si deve probabilmente alla figura di san Bellino: in seguito al suo ministero sembra stabilita la precedenza dell'Arciprete sopra l'Arcidiacono. Con la bolla "Decorem Domus Dei" del papa Alessandro VI al capitolo fu aggiunta la carica del primicerio che seguiva in terza posizione le dignità dell'arciprete e dell'arcidiacono godendo di vari benefizj tra cui San Pietro in Volta; il primo fu Nicolò Malipiero dal 1496. Papa Benedetto XIV, con mediazione del vescovo Carlo cardinal Rezzonico, concesse ai Canonici l'uso nel coro di Cappa magna, e di Rocchetto, in tempo d'inverno, e di Cotta sopra il Rocchetto nella state, come i Canonici delle Basiliche di Roma; di portare il cordone rosso nel Cappello; nel celebrar la Messa l'uso del Canone, e della Bugia; di godere de' privilegi de' Protonotari della S. Sede, e di mettere sulle loro armi il Cappello de' medesimi Protonotari; va aggiunta pure una speciale croce pettorale di smalto e con nastro porpureo pendente al collo donata da papa Clemente XIII ai canonici con l'obbligo di tramandarla ai Successori; questa è decorata da una parte dell'Assunzione della Beata Vergine, dall'altro da san Gregorio Barbarigo. Ai canonici e i canonici onorari, ancora oggi tutti protonotari apostolici soprannumerari durante munere, si aggiungono gli arcipreti di Montagnana, Cittadella e Thiene (pure protonotari) e gli arcipreti col titolo di abate mitrato di Piove di Sacco ed Este. Tra le figure di spicco e levatura culturale troviamo nel Dugento Pietro Colonna, poi elevato alla porpora da papa Nicolò IV. Tra il Trecento e il Quattrocento furono canonici Francesco Petrarca e il compositore Johannes Ciconia. In seguito Pietro Bembo fu "Canonico soprannumerario per privilegio Pontificio" e ancora Paolo Gualdo assunse la prima carica di arciprete. Oggigiorno l'istituzione soffre di un'oggettiva decadenza. Leoperto preposito (874) Lorenzo archipresbiter, rector, custos in Ecclesia S. Maria (950-964) Anselmo (964-970) Martino (979) Grimaldo (979) Eldidino (1034) Iveldino (1041) Inno (1065) Grimaldo (1071) Eriberto (1088) Alberto (1102) San Bellino Bertaldi (1109-1128) Viviano (1128-1139) Uberto Spiga (1139-1166) Wifredo (1166-1194) Giambono Scarella (1194-1203) Floriano (1203-1220) Giacomo Conrado (1220-1230) Egidio (1230-1236) Dellacorra (1236-1256?) Pietro Scrovegni (1256-1276) Tommaso Guarnerini (1276-1282) Bovetino de' Bovetini (1282-1294) Giovanni degli Abbati (1294-1301) Altigrado Cattaneo (1301-1304) Pandolfo da Lusia(1304-?) Aiperto Orzalemo (1313-?) Conrado Concoregio (1316-1330) Matteo Reate (1330-1333) Bartolomeo Capodivacca (1333-1356) Pileo da Prata (1356-1359) Giovanni Piacentini (1359-1365) Angelo Castiglione (1365-1384) Conte da Carrara (1384-1388?) Giovanni Enzenguerati o Enzegerati (1389-1397) Francesco Zabarella (1397-1414) Bartolomeo degli Astorelli (1414-1421) Benedetto Galli dalla Galta (1421-1426) Bartolomeo Zabarella (1426-1430) Agostino Michiel (1430-1447) Girolamo Michiel (1447-1472) Gabriele Contarini (1472-1477) Nicolò Franco (1477-1480) Taddeo Querini (1480-1509) Pietro Lippomano (1509-1517) Angelo Lippomano (1517-1548) Francesco Zabarella (Coadiutore dal 1543, stabile 1548-1571) Ludovico Zabarella (Coadiutore dal 1561, stabile 1571-1591) Girolamo Zacco (1591-1609) Paolo Gualdo (1609-1621) Giuseppe Gualdo (1621-1640) Albertino Barisoni (1640-1656) Galeazzo Mussato (1656-1665) Paolo Dolfin (1665-1671) Pietro Antonio Dolfin (1671-1685) Antonio Loredan (1685-1713) Faustino Bonlini (1713-1733) Antonio Marino Priuli (1733-1738) Girolamo Barbarigo (1738-1760) Lauro Campolongo (1760-1771) Giovanni Dotto (1771-1797) Marco Regolo Sambonifacio (1797-?) -- Vincenzo Scarpa (1829-1854) Giovanni Battista Marconi Angelo Fontanarossa (1870?) -- Giuseppe Schievano Ulderico Gamba Giovanni Foffani (?-1992) Piero Lievore (1992-2014) Umberto Sordo (2014-2018) Maurizio Brasson (2018-2021) Giuliano Miotto (dal 2021) La basilica di Santa Maria Assunta nella cattedrale si innalza tra l'imponente mole del palazzo episcopale e la compatta massa del battistero. La pianta è a croce latina. Sulla terza campata si eleva un tiburio ottagonale e sulla crociera del transetto l'alta cupola del Gloria coperta a piombo. Ai lati del presbiterio si innalzano due sacrestie, quella dei Canonici e quella dei Prebendati. Tra quest'ultima sacrestia e il braccio del transetto destro si eleva il campanile. Le porte laterali aprono rispettivamente sul piccolo cortile della canonica e su via dietro duomo, verso l'ingresso carraio del palazzo episcopale. Sul campanile è incastonata una lapide mutila d'età romana che menziona la Gens Fabia di Veio, titolo che spettò alla popolazione patavina dai tempi della fondazione del municipium nel 49 a.C. Il campanile della Cattedrale ospita un concerto di sette campane a sistema veronese (6 in scala di Do + ottavino), tutte fuse dalla Fonderia Pontificia Daciano Colbachini e Figli di Padova nel 1923. La facciata su cui si aprono i tre portali è incompleta. Secondo Gerolamo Frigimelica si sarebbe dovuto aprire un arioso atrio di accesso e al piano superiore, un solenne loggiato, sullo stile delle basiliche romane; in facciata un grande frontone classico sostenuto da sei poderose semicolonne di ordine corinzio. Secondo l'architetto a collegare l'atrio, la loggia e il palazzo episcopale, si sarebbe aperta una rampa coperta, sulla destra, rimasta incompiuta. Durante i bombardamenti della prima guerra mondiale un ordigno colpì la facciata che rovinò, nella parte superiore. In occasione dei restauri si aprì il piccolo rosone. Suddiviso in tre navate lo spazio è misurato e armonioso. Suggestiva la prospettiva dal portale maggiore. Sulla navata centrale si aprono due grandi cupole, una ellittica, in corrispondenza delle cappelle di San Gregorio Barbarigo e San Lorenzo Giustiniani e la maggiore, circolare è posta nella crociera. Lungo le navate laterali si aprono le cappelle. Sotto il presbiterio, la cripta e la cappella della Santa Croce. La prima cappella che si apre sulla navata destra, dall'ingresso, con altare donato nel 1760 dalla fraglia dei calzolai ospita una pala opera di Dionisio Gardini e raffigurante San Pio X (che in fu seminarista a Padova). Originariamente vi era posta una tavola di Giambattista Mingardi raffigurante il martirio dei santi Crispino e Crispiniano, protettori dei calzolai. Nella seconda cappella, sull'altare, una pala raffigurante il martirio di san Lorenzo, opera di Alessandro Galvano. La cappella di San Lorenzo Giustiniani, con grande altare fu voluta dal Vescovo Nicolò Antonio Giustiniani per onorare il suo santo antenato. La statua in marmo di Carrara è di Felice Chiereghin (1788). La pala retrostante con la Vergine e santi è attribuita ad Alessandro Varotari "il Padovanino". Il vescovo committente è sepolto nella cappella. Alle pareti epigrafi e resti di monumenti sepolcrali vescovili appartenenti alla cattedrale macilliana. Dal 1809, dietro all'altare è posto, celato da una lastra marmorea, il corpo di san Leonino vescovo di Padova, un tempo venerato nella chiesa di San Leonino in Prà della Valle. Nell'altare seguente, una moderna raffigurazione del Sacro Cuore (di R. Mulata) a sostituzione di San Carlo Borromeo in preghiera, opera di Battista Bissoni, già nella basilica antoniana. Nell'atrio della porta alla canonica due monumenti di Girolamo Campagna, quello di sinistra a Sperone Speroni e quello di destra della figlia Giulia Speroni. Sul grandioso altare, opera di Mattia Carneri che lo disegnò nel 1647 è esposto un dipinto bizantineggiante ritenuto per secoli opera di Giotto, ma in realtà il dipinto è ben più antico anche se l'attuale è frutto di un restauro o di una ridipintura seicentesca. La macchina lignea con volute e cherubini su cui è esposto il dipinto, poggia su un pianerottolo rialzato su cui saliva il vescovo o i canonici durante le solennità mariane a venerare l'immagine. Ai lati due statue, opere di Bernardo Falconi, raffiguranti i santi Pietro e Paolo. Sui fianchi dell'altare i cancelli bronzei con i dottori della chiesa precedentemente posti a chiusura del presbiterio, splendida opera di Angelo Scarabello. In alto, due teleri: una Adorazione dei Magi di Francesco Zanella e l'Incoronazione della Vergine di Gregorio Lazzarini. Sul lato destro l'arca e gisant policromo del cardinale Francesco Zabarella, sormontata da monumentale arcosolio gotico su cui sono poste cinque statue (Vergine e santi) attribuite a Rinaldino di Francia. Il monumento si trovava nella cattedrale maciliana, nella cappella di San Paolo e venne poi rimontato nell'attuale posizione nel 1641 levando via tutto l'oro che vi era per essere consumato per spese della famiglia del conte Giacomo Zabarella che commissionò a Luca Ferrari le decorazioni pittoriche a sostituzione degli affreschi quattrocenteschi presenti originariamente. Dall'altra parte, monumenti funebri di canonici tra cui le iscrizioni del cardinale Bartolomeo Zabarella e di Achille Zabarella. Nell'atrio, sopra la porta della sacrestia una piccola Natività seicentesca dalla ricca cornice intagliata, ai lati una tela di Andrea Vicentino e une tela di Francesco Minorello. All'interno tele seicentesche tra cui copia da Caravaggio. Spiccano due Santi Pietro e Paolo di Francesco Lopez. Al centro del soffitto, Assunzione, su tela di Niccolò Bambini e affreschi di Francesco Zanella. Sul lato della sacrestia dei Prebendati v'è un monumento barocco del cardinale Pietro Valier, il busto è una copia seicentesca di un lavoro di Gian Lorenzo Bernini, sull'altro, verso la sacrestia dei Canonici vi è il monumento al vescovo Francesco Scipione Dondi dall'Orologio. Tra gli organi, l'altare maggiore di Daniele Danieletti consacrato il 2 dicembre 1770 dal vescovo Antonio Marino Priuli e sopra, il baldacchino di Cesare Bovo con il Padre Eterno di Francesco Zanella. Sopra, ai lati, si susseguono tele inserite negli spazi architettonici: Il riposo sulla via dell'Egitto di M. Laos, pittore francese del primo Settecento e Circoncisione di Antonio Fumiani. Segue poi una Natività di Antonio Balestra e i Santi patroni della città di Padova di ignoto settecentesco. Sulla sinistra si innalza il monumento che i Canonici vollero per onorare papa Benedetto XIV che concesse loro la cappa magna e il cardinale Carlo Rezzonico mediatore, è opera di Giovanni Maria Morlaiter. Il coro ligneo è opera di Filippo Parodi. Al suolo una piccola lapide ricorda l'anno 1698 in cui si portarono a compimento i sedili e la pavimentazione, grazie al lascito del canonico Pietro Labia (†1692). Opera realizzata alla luce delle disposizioni della CEI (not. 31 maggio 1996) in occasione del terzo centenario della morte di san Gregorio Barbarigo. L'opera è di Giuliano Vangi: sue sono le decorazioni, l'altare, l'ambone, la cattedra e il crocifisso. Tutto il nuovo spazio, che si innalza al di sotto della cupola del Gloria e sul transetto è in marmo di Carrara. Non è stato asportato nulla di antico, solo le balaustre sono state ridimensionare e ricollocate. Agli scalini di accesso sono raffigurati i quattro protettori della città di Padova. L'opera è stata accolta con pareri discordanti. Sotto alla cupola maggiore e quindi al nuovo presbiterio, vi è il grande sepolcreto dove riposano le spoglie dei vescovi di Padova. Fu in uso sino al XIX secolo. Vi è conservato il corpo di san Daniele Martire all'interno dell'urna romana sotto la mensa d'altare, da quando fu trasportato dalla basilica di Santa Giustina nel 1076. L'attuale sistemazione dell'altare, con le parti più antiche poste in rilievo, risale alla metà del Novecento: precedentemente era riccamente ornato di marmi e di preziosissimi bronzi opera di Tiziano Aspetti, opere ora isolate e dislocate. Le vetrate della cripta sono opera moderna (inaugurate nel 2010) del prof. Ryszard Demel. Accanto all'aula maggiore, sorge la cappella della Santa Croce (si trova al di sotto della Sacrestia dei Canonici) ricoperta di marmi e stucchi nel 1676 per volere dell'illustre canonico letterato Giambattista Vero. Tra la decorazione plastica, preziose pitture raffigurano la storia della vera Croce, oggi in grave stato di deperimento. L'altare, prezioso lavoro in stile tardomanierista caratterizzato dall'uso di marmi neri e bianchi e inserti a marmi policromi, occupa il fondo del vano. La cancellata dorata sopra la mensa chiude una nicchia dove veniva conservato la reliquia della Croce, posta entro uno sbalorditivo reliquiario in argento dorato e smalti, alto 35 cm., un capolavoro dell'oreficeria gotica ad opera di Bartolomeo da Bologna ora esposto nel Palazzo Episcopale. Nella cappella sono deposti i feretri dei vescovi di Padova a partire dal vescovo Francesco Scipione Dondi dall'Orologio, seguito poi dai vescovi Federico Manfredini e Giuseppe Callegari, i cui corpi vennero qui ricomposti dopo il 1945 poiché la cappella funeraria neogotica che li ospitava presso il cimitero monumentale vicino al santuario dell'Arcella venne colpita da un feroce bombardamento durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1988 venne deposto il feretro di Filippo Franceschi e nel 1992 quello del vescovo emerito Girolamo Bartolomeo Bortignon. Nell'atrio alcuni dipinti: Annunciazione e Visitazione di Jean Raoux e un'Annunciazione di Francesco Zanella. All'interno, la Sacrestia conserva una pinacoteca, frutto dei lasciti dei canonici. Parte della pinacoteca è ora esposta al Palazzo Episcopale. Opere di Bassano, Liberi, Forabosco e Brusasorci tra cui spicca una Madonna orante del Sassoferrato. Nella parte superiore concorrono i ritratti dei canonici illustri, tra cui il pregevole ritratto di Francesco Petrarca. L'altare è armoniosa opera del Massari, vi sono inseriti i pannelli in bronzo di Jacopo Gabano tra cui spicca un'ultima cena. I due angeli oranti sono opera di Tommaso Bonazza (destra) e Jacopo Gabano (sinistra). In alto ricchissimo baldacchino in stile rocaille in legno dorato, con simboli eucaristici. Alle pareti tele settecentesche di ignoto con Caduta della manna, e Consegna della tavole della legge. A destra monumento funebre del cardinale Pileo da Prata opera di Pierpaolo dalle Masegne con arca e gisant e baldacchino, opera del gusto iperrealista gotico di inizio Quattrocento. A sinistra, l'elegante sepolcro del vescovo Pietro Barozzi attribuito ad Alessandro Vittoria e già attribuito a Tullio Lombardo. Di fronte alla porta verso il palazzo episcopale, il grande pulpito ligneo, commissionato dal canonico Selvatico e magnifica opera di Filippo Parodi, che ha scolpito di sua mano le figure che lo adornano. Nell'atrio della porta, Monumento al canonico Francesco Petrarca di Rinaldo Rinaldi (1793-1873) e lapide a memoria della visita di papa Pio VI avvenuta nel 1782. La cappella di San Giuseppe con grande altare, opera di Tommaso Bonazza e pala con Vergine in trono con san Cesareo e Giuseppe di Giovanni Antonio Pellegrini. Accanto all'altare lapide di dedicazione della cappella ai Santi Benedetto e Cesario da parte del vescovo Ildebrandino Conti che qui vi è sepolto. La lastra tombale gotica è stata recentemente dispersa. Alle pareti, tele di Dario Varotari. Dopo la cappella di San Gregorio segue la cappella di San Gerolamo con splendida pala di Pietro Damini, San Gerolamo che si percuote con un sasso. Vi è raffigurato il committente, Girolamo Selvatico. Nella cappella della Madonna dei ciechi, innanzi la porta d'ingresso sinistra, dove si soffermavano i ciechi, sicuri di trovare l'uscita, sull'altare in marmo bianco è collocata una pala di Antonio Buttafogo sulla quale è inserita una tavola quattrocentesca, forse dello Squarcione, raffigurante la Vergine e il Bambin Gesù. Restaurata nel 1997 conserva dal tempo della beatificazione, il corpo di san Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova. L'altare sotto cui è esposto il santo corpo, è di Giorgio Massari, mentre la statua del santo è lavoro di Francesco Androsi. È arricchito dai busti bronzei dei quattro santi protettori di Padova opere dell'orafo Angelo Scarabello. La statua in marmo del Santo è di Francesco Andreosi. Dietro l'altare Crocifissione con sante Maddalena e Caterina, di Pietro Damini. La cappella è decorata a fresco da Giovanbattista Mingardi. Sul pavimento innanzi all'altare è sepolto il vescovo Sante Veronese. La cattedrale vantava la cappella musicale più antica del mondo, infaustamente abolita alla metà del Novecento. Istituita alla fine del XIII secolo, era organo dipendente dal capitolo dei Canonici, che designava il maestro di cappella e i musicisti. Il periodo d'oro della cappella fu quello tra XIII e XV secolo quando era guidata da compositori come Marchetto da Padova e Johannes Ciconia di cui restano importantissime testimonianze nel ricchissimo fondo musicale dell'epoca conservato nella biblioteca capitolare. Qualcuno ha ipotizzato che nell'ambito della cappella musicale della cattedrale di Padova sia nato l'uso dei cori spezzati, quello stile policorale pensato e sviluppato dall'allora maestro di cappella Rufino Bartolucci a cui si rifece Adrian Willaert. Dopo anni di oblio, grazie all'attività del maestro Alessio Randon, la cattedrale gode oggi di un servizio musicale stabile nella "Cappella Musicale della Cattedrale", ufficializzata nel 2015 dal vescovo Antonio Mattiazzo. Organista titolare è il maestro Alessandro Perin. Marchetto da Padova Johannes Ciconia Rufino Bartolucci Giordano Pasetto Costanzo Porta Ippolito Chamaterò Lelio Bertani Ludovico Balbi Baldassare Donato Bartolomeo Barbarino Amadio Freddi Giambattista Marinoni detto il Giove Giovanni Battista Mosto Giulio Cesare Martinengo Bartolomeo Favaretto Bertoldo Sperindio Stefano Landi Giacomo Rampini Gaetano Valeri Marco Antonio Suman Luigi Bottazzo Alcuni documenti del XIV secolo ricordano che nella cattedrale era presente un magna organa. Tra il 1457 e il 1459 il celebre organaro Bernardo d'Alemagna costruì, presso il coro, un nuovo organo che venne presto rifatto (1493) dal figlio Antonio Dilmani. Nel 1497 intervenne sullo strumento Leonardo di Salisburgo che lo ampliò con novum alium registrum. Nel 1648 il vecchio organo fu riportato nella nuova cattedrale - dopo un attento restauro affidato ad Ercole Valvassori e la costruzione di una nuova cassa ad opera di Bartolomeo Amighetti - e fu posto nel primo nichio del choro dalla parte della sagrestia dei canonici. Nel 1700 fu ampliata la cantoria, mentre nel 1707 lo strumento fu radicalmente restaurato da Michele Colberg. L'ultimo ampliamento, ad opera di don Giorgio Pinafo, fu autorizzato nel 1756. Nel febbraio del 1790 il capitolo decise di eliminare il vecchio organo e di far costruire due nuovi strumenti battenti, ai lati dell'altare maggiore. I lavori furono affidati a Gaetano Callido, mentre le cantorie furono progettate dall'architetto padovano Daniele Danieletti che realizzò due opere simmetriche sullo stile classico con decorazioni in stile rocaille. Alle casse si aggiunsero alcune statue allegoriche di Luigi Verona e a corona, monumentali stemmi episcopali del canonico Giovanni Battista Santonini, finanziatore dell'opera. Il 15 agosto 1791 furono inaugurati gli strumenti con la messa e i vespri cantati dalla cappella Antoniana. Callido installò un organo a due manuali con pedaliera in cornu epistulae e un organo corale ad un solo manuale senza pedaliera in cornu evangelii: gli strumenti furono subito giudicati inadeguati per la vastità dell'ambiente tanto che il Callido minacciò di ritirarli e già nel 1796 il Capitolo si affidò a Francesco Dacci per sottoporli ad un intervento migliorativo. Nel 1846 Angelo Agostini restaurò e ampliò entrambi gli strumenti. Dalla metà del XIX secolo Domenico Malvestio sostituì l'organo all'epistola con un nuovo organo meccanico a tre manuali con materiale del Callido e dell'Agostini su progetto di Oreste Ravanello. L'organo fu inaugurato l'11 giugno 1907, ma cadde presto in disuso, tanto che Malvestio posizionò un nuovo organo ai lati del coro. Nel 1922 per volere del vescovo Luigi Pellizzo fu liberata la cassa al Vangelo del piccolo strumento Callido/Malvestio che fu ceduto alla parrocchia di Faedis (Udine). Nel 1958 l'organo Malvestio posto al coro venne acquistato dalla parrocchia di San Luca di Tribano e sostituito con un nuovo strumento ad opera della ditta Tamburini (opus 400); fu elettrificato l'organo all'epistola e al vangelo, posta una nuova struttura. Le 5380 canne erano gestite da un'unica console a quattro manuali al presbiterio. Lo strumento a trasmissione elettrica era composto da 91 registri (63 reali). Quest'organo è rimasto in funzione sino al 1999. Su progetto di Francesco Finotti, a partire dalle ultime modifiche apportate da Tamburini, nel 2001 la ditta Zanin ha avviato un grande piano di riqualificazione del materiale esistente, la riorganizzazione delle canne all'interno delle casse storiche (con il recupero e la ricollocazione rigorosa dell'opera callidiana) e la dislocazione del materiale fonico estratto su due nuovi corpi posti a pavimento del presbiterio. Durante i lavori è stato costruito e posizionato nel transetto un organo suppletivo ad un manuale e pedaliera, tuttora esistente. Il nuovo grande organo della cattedrale è stato inaugurato e benedetto domenica 11 aprile 2010. La consolle monumentale, originale della ditta Tamburini, è dotata di quattro tastiere di 58 note ciascuna e pedaliera dritta di 32 note, è a trasmissione via radio e comanda 4968 canne: quelle relative ai manuali I, II e III e al pedale sono disposte nelle cantorie gemelle del presbiterio, mentre le canne del manuale IV si trovano all'interno delle nuove casse nel presbiterio. Nel transetto della cattedrale, si trova un secondo organo a canne semovibile. Questo è stato costruito nel 1999 da Francesco Zanin per sostituire l'organo maggiore in fase di restauro e, dopo il completamento di quest'ultimo, è rimasto con il preciso scopo dell'accompagnamento del coro. A trasmissione meccanica, ha un'unica tastiera di 54 note e una pedaliera retta di 30. Il battistero di Padova, ubicato a destra della cattedrale, risale al XII secolo, subì vari rimaneggiamenti nel secolo successivo, e venne consacrato dal Guido, patriarca di Grado (1281). È anche il mausoleo dei Carraresi. Gli affreschi con cui è decorato (1375-1376) sono considerati il capolavoro di Giusto de' Menabuoi. L'ingente patrimonio appartenente alla biblioteca Capitolare, un tempo conservato nei locali superiori alla sacrestia dei Canonici, è ora conservato presso appositi spazi nell'Episcopio. Si rimanda alla relativa voce per la relativa trattazione. Adiacente alla Sacrestia dei Canonici, è tuttora visibile al numero 28 di via Dietro Duomo la casa canonicale di Francesco Petrarca, nominato canonico della basilica nel 1349 per intercessione dell'amico Jacopo II da Carrara. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il poeta il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne una rendita annua di 200 ducati d'oro. Battistero di Padova Episcopio patavino Chiese di Padova Diocesi di Padova Parrocchie della diocesi di Padova Monumenti di Padova Museo diocesano di Padova Wikibooks contiene testi o manuali sulle disposizioni foniche degli organi a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul duomo di Padova L'organo corale (PDF), su francescofinotti.it. URL consultato il 27 gennaio 2012 (archiviato dall'url originale l'8 maggio 2006).

Palazzo Mussato

Palazzo Mussato è un edificio civile di Padova, sito nel centro storico della città. Il palazzo fu rifabbricato su preesistenze probabilmente medievali sulla strada di Concariola (edifici già citati nel 1685 da Giulio Mussato "casa dominicale in Padova di Concariola con l'altra casa e stalla dirimpetto") in seguito all'investitura della corona regia e del titolo di conte palatino dell'Alvise Mussato, avvenuta nel 1712 e mossa dall'imperatore Carlo VI. L'opera fu voluta dal marchese Vitaliano e poi compiuta dal figlio Galeazzo. Il progetto fu del conte Gerolamo Frigimelica. La costruzione coronò l'ascesa della famiglia che culminò con la seduta nel Maggior Consiglio di Giulio Antonio e il di lui matrimonio con Lucrezia, figlia di Sebastiano Giustiniani, avvenuto il 22 settembre 1778. Con la morte dell'ultimo erede Alvise nel 1849, la fastosa abitazione fu acquistata all'incanto dal comune di Padova per un "prezzo moderatissimo" di 36.600 lire austriache. La collezione dei Mussato (25 tele, tra cui 6 paesaggi di Giuseppe Zais e 70 gessi) fu portata al Palazzo Comunale ad opera di Andrea Gloria che ne fece uno dei fondi fondamentali per la formazione del futuro Museo Civico agli Eremitani. La struttura divenne caserma e poi sede distaccata di alcuni istituti cittadini per divenire nel 1940 Scuola Media Statale "Francesco Petrarca". Se all'esterno si mantenne uno stile austero e severo in linea con la tradizione patavina, all'interno la famiglia volle per il piano nobile decorazioni e rifiniture di primissimo livello, che andassero ad accogliere la collezione antiquaria e la quadreria. Gli affreschi furono probabilmente commissionati a Francesco Zugno e Giambattista Crosato, Giambattista Canal, Francesco Zanchi. Ne risultò una delle più compiute testimonianze dell'arte abitativa patrizia a Padova nel Settecento. La famiglia Mussato era nota per il vizio del giuoco d'azzardo, tanto che fecero porre sulla facciata interna del palazzo una lapide, ancora presente, che ammoniva i famigli al trattenersi dal giocare d'azzardo, con la pena dell'esclusione dall'eredità. Paola Piatta Cingano Ca' Mussato: da nobile dimora a sede scolastica in "Padova e il suo territorio" Aprile 1997

Chiesa di Sant'Anna (Padova)
Chiesa di Sant'Anna (Padova)

La chiesa di Sant'Anna è un edificio di origine medievale che fu luogo di culto sino alla fine del XIX secolo. Si affaccia su contrà sant'Anna ora via Sperone Speroni a Padova. Fu la chiesa del vicino monastero delle monache benedettine ora sede dell'istituto tecnico "Belzoni-Boaga". La chiesa è menzionata in documenti del XII e XIII secolo. Fu poi ricostruita nel 1303 da un certo Compagnino per conto di alcune monache domenicane che vi costruirono accanto un monastero con chiostro. Alle domenicane subentrò nel 1459 una nutrita comunità di monache benedettine che la ressero sino agli inizi dell'Ottocento quando, a causa delle leggi ecclesiastiche napoleoniche, il monastero fu requisito. Le monache furono spostate a San Benedetto Novello e le strutture convertite in casa di ricovero. La chiesa di Sant'Anna fu officiata ancora per un qualche tempo, poi finì suddivisa in aule per accogliere l'istituto tecnico "Belzoni-Boaga" che ancora oggi vi insiste. Nella chiesa era sepolto il giovane artista padovano Luigi Benetello, morto a ventun'anni, nel 1555. La chiesa si innalza sull'angolo tra via Sperone Speroni e via Santa Rosa. La facciata, rivolta a settentrione, ancora ben individuabile: si innalza su un portico aperto da tre fornici retti da pilastri e colonne: sopra un timpano è marcato da una leggera modanatura. La fiancata lungo via Santa Rosa è alterata dalle numerose aperture aperte dopo la chiusura al culto della chiesa. A ponente si affiancano ancora le strutture del monastero col bel chiostro quattrocentesco. Sino agli inizi del Novecento si innalzava ancora il campanile. L'interno, ora stravolto, era ampio 15 metri in lunghezza e largo 9: sull'altare maggiore vi era la pala di Domenico Campagnola La Vergine col Bambino, sant'Anna e san Pietro apostolo ed altri santi ai lati Nascita della Vergine e Presentazione al Tempio di Guy Louis II Vernansal. Nella sacrestia stava un quadretto raffigurante san Gerolamo che nel settecento attribuivano ad Albrecht Dürer e una tela di Giovanni Battista Bissoni L'angelo addita a Cristo un fanciullo. All'ingresso sono ancora visibili le colonne marmoree e le volte che sostenevano il coro pensile della monache "il barco" che nel 1866 fu occupato un organo di Angelo Agostini che finì nel 1886 (forse in occasione della chiusura al culto della chiesa) nella parrocchiale di Lozzo di Cadore. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova 1780 Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori Giuseppe Toffanin, Cento chiese padovane scomparse, Editoriale Programma AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Anna

Loggia dei Carraresi
Loggia dei Carraresi

La Loggia dei Carraresi è un edificio storico di Padova situato in via Accademia. Costituisce l'ultima parte sopravvissuta per intero della Reggia Carrarese, la grande residenza dei Da Carrara, signori di Padova. Dal 2021 è inclusa dall'UNESCO tra i patrimoni dell'umanità nel sito dei cicli di affreschi del XIV secolo di Padova. Il complesso della Reggia, fatto costruire fra il 1339 e il 1343, comprendeva un Palazzo di ponente (più antico) e un Palazzo di levante, collegati fra loro mediante un edificio centrale e con un ampio cortile interno che corrispondeva grossomodo all'odierna piazza Capitaniato. Dal Palazzo di ponente partiva il cosiddetto traghetto alle mura, un passaggio sopraelevato, percorribile anche a cavallo, che univa la Reggia alla cinta muraria, al Castello e alla Torlonga. Questo permetteva al Signore un più facile spostamento, oltre che una maggior possibilità di fuga in caso di pericolo. Nel corso dei secoli, il complesso degli edifici della Reggia ha subito un inevitabile degrado con demolizioni e modifiche, e il fronte della loggia è l'unica struttura rimasta quasi intatta. Caratterizzata da un doppio ordine di nove snelle colonne in marmo rosa di Verona disposte su due livelli, a formare due portici sovrapposti con copertura aggettante, la loggia fu realizzata su disegno di Domenico da Firenze e fu voluta da Ubertino da Carrara per "poter passeggiare in terra e in alto riparato dalla pioggia". Nelle stanze retrostanti, si trova la Sala delle Adunanze dove è presente ciò che resta della Cappella privata, terminata prima del 1354 quando fu ospite il futuro imperatore Carlo IV; vi si trovano alcuni affreschi del Guariento raffiguranti episodi biblici. La copertura era decorata di blu con stelle d'oro e aveva al centro tondi lignei raffiguranti La Madonna con il Bambino e i quattro Evangelisti (di cui ai Musei Civici rimangono la Madonna e san Matteo). Tra le pareti e il soffitto erano disposte cinquanta tavole dipinte con le Gerarchie Angeliche, in parte conservate ai Musei Civici.Un'ala della loggia fu demolita nel 1877 dall'architetto Camillo Boito per fare posto all'adiacente scuola elementare Reggia Carrarese, all'indomani dell'entrata in vigore della legge Coppino del 15 luglio 1877 sull'obbligo dell'istruzione primaria. Tale progetto fu premiato alla Mostra Didattica di Roma e all'Esposizione nazionale italiana di Milano del 1881. Dove è collocata la scuola esisteva il "bruollo dai pozuoli di soto", dalla cronaca del Gatari, cioè un frutteto adiacente ai parapetti del portico inferiore. La Loggia è ciò che resta del Palazzo di ponente ed è tuttora sede dell'Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti. Nelle sue sale è esposta la famosa mappa di Padova realizzata in china e acquarellata a seppia dal cartografo e accademico Giovanni Valle nel 1784, che si avvalse per primo dei calcoli trigonometrici per le sue piante e prima pianta di Padova realizzata con misure in scala. All'interno si trovano l'Anticamera dei Cimieri dove trionfano i medaglioni contenenti i cimieri Carraresi alternati al simbolo del carro e la Camera dei Carri dove è rimasta una decorazione a finto tessuto ad arabeschi con cimieri e carri. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Loggia dei Carraresi

Palazzo Liviano
Palazzo Liviano

Il palazzo Liviano è un edificio padovano del XX secolo, situato nella zona del vecchio capitaniato della città: fu infatti costruito incorporando nella sua struttura i resti dell'antico palazzo del Capitanio. Intitolato in onore dello storico Tito Livio, oggi ospita la Scuola di Scienze Umane, Sociali e del Patrimonio culturale ed il Dipartimento dei Beni Culturali: Archeologia, Storia dell'Arte, del Cinema e della Musica dell'Università di Padova ed il Museo di scienze archeologiche e d'arte. È inoltre collegato con la Sala dei Giganti, antica struttura affrescata che ospita oggi concerti e convegni. Si trova attualmente nella parte occidentale di piazza Capitaniato, antico cortile della Reggia Carrarese ristrutturato al tempo della dominazione veneziana, quando vi fu costruita la sede di uno dei due capitani veneziani che governavano Padova. Il palazzo fu edificato su iniziativa di Carlo Anti, rettore dell'Università di Padova dal 1932 al 1943, che in tale periodo fece ristrutturare molti dei palazzi dell'ateneo invitando a Padova alcuni tra i maggiori artisti nazionali. Struttura dallo spiccato stile metafisico, il Liviano fu costruito dall'architetto milanese Gio Ponti, che si occupò anche di diversi particolari dell'arredamento interno. L'affresco eseguito nell'atrio da Massimo Campigli tra il 1937 e il 1940, in collaborazione con sua moglie Giuditta Scalini, raffigura l'archeologia, patrimonio della cultura italiana. Un altro affresco, situato sulla sinistra della fascia mediana della parete maggiore, raffigura Campigli, Ponti, Anti e Scalini, vestita con abiti maschili e con le carte dei progetti in mano. Nel 2009 gli affreschi del palazzo sono stati restaurati. La scultura dell'atrio che raffigura Tito Livio chinato e in atteggiamento riflessivo, fu realizzata da Arturo Martini nel 1942. Nel 1937 fu allestito al terzo piano del palazzo il Museo di Scienze Archeologiche e d'Arte. Nei sotterranei del Liviano sono presenti anche dei rifugi antiaerei, che non sono mai stati utilizzati. Il 22 aprile 1978, il Professor Ezio Riondato fu ferito da un colpo di pistola ad una gamba mentre entrava in classe al Liviano. L'attentato venne rivendicato dai Comitati Comunisti Combattenti. Sul luogo dell'attentato è ora presente una targa in ricordo. Il palazzo è direttamente collegato alla celebre Sala dei Giganti, dove si tengono convegni e concerti. Questo salone, cui si accede tramite una scalinata posta sul fianco dell'attuale palazzo Liviano, deve il suo nome ai suoi affreschi che rappresentano in grandezza naturale eroi e grandi personaggi dell'antichità. Il tema degli affreschi, che sono del primo Cinquecento, riprende quello degli affreschi precedenti che decoravano una sala oggi perduta dell'antica Reggia Carrarese. Gli affreschi originali furono ispirati da un'opera del Petrarca, a quel tempo ospite dei signori di Padova. Il Museo di Scienze Archeologiche e d'Arte, collocato al terzo piano del palazzo, conserva importanti testimonianze scultoree dell'antichità e rinascimentali. Di rilievo i ritrovamenti archeologici che risalgono al tempo degli etruschi, dei greci e dei romani. Università degli Studi di Padova Palazzo Maldura Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Liviano Palazzo Liviano e Sala dei Giganti, unipd.it