place

Chiesa di Sant'Anna (Padova)

Chiese dedicate a sant'AnnaChiese sconsacrate di PadovaPagine con mappe
ChiesaSant'AnnaPadova
ChiesaSant'AnnaPadova

La chiesa di Sant'Anna è un edificio di origine medievale che fu luogo di culto sino alla fine del XIX secolo. Si affaccia su contrà sant'Anna ora via Sperone Speroni a Padova. Fu la chiesa del vicino monastero delle monache benedettine ora sede dell'istituto tecnico "Belzoni-Boaga". La chiesa è menzionata in documenti del XII e XIII secolo. Fu poi ricostruita nel 1303 da un certo Compagnino per conto di alcune monache domenicane che vi costruirono accanto un monastero con chiostro. Alle domenicane subentrò nel 1459 una nutrita comunità di monache benedettine che la ressero sino agli inizi dell'Ottocento quando, a causa delle leggi ecclesiastiche napoleoniche, il monastero fu requisito. Le monache furono spostate a San Benedetto Novello e le strutture convertite in casa di ricovero. La chiesa di Sant'Anna fu officiata ancora per un qualche tempo, poi finì suddivisa in aule per accogliere l'istituto tecnico "Belzoni-Boaga" che ancora oggi vi insiste. Nella chiesa era sepolto il giovane artista padovano Luigi Benetello, morto a ventun'anni, nel 1555. La chiesa si innalza sull'angolo tra via Sperone Speroni e via Santa Rosa. La facciata, rivolta a settentrione, ancora ben individuabile: si innalza su un portico aperto da tre fornici retti da pilastri e colonne: sopra un timpano è marcato da una leggera modanatura. La fiancata lungo via Santa Rosa è alterata dalle numerose aperture aperte dopo la chiusura al culto della chiesa. A ponente si affiancano ancora le strutture del monastero col bel chiostro quattrocentesco. Sino agli inizi del Novecento si innalzava ancora il campanile. L'interno, ora stravolto, era ampio 15 metri in lunghezza e largo 9: sull'altare maggiore vi era la pala di Domenico Campagnola La Vergine col Bambino, sant'Anna e san Pietro apostolo ed altri santi ai lati Nascita della Vergine e Presentazione al Tempio di Guy Louis II Vernansal. Nella sacrestia stava un quadretto raffigurante san Gerolamo che nel settecento attribuivano ad Albrecht Dürer e una tela di Giovanni Battista Bissoni L'angelo addita a Cristo un fanciullo. All'ingresso sono ancora visibili le colonne marmoree e le volte che sostenevano il coro pensile della monache "il barco" che nel 1866 fu occupato un organo di Angelo Agostini che finì nel 1886 (forse in occasione della chiusura al culto della chiesa) nella parrocchiale di Lozzo di Cadore. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova 1780 Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori Giuseppe Toffanin, Cento chiese padovane scomparse, Editoriale Programma AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Anna

Estratto dall'articolo di Wikipedia Chiesa di Sant'Anna (Padova) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Chiesa di Sant'Anna (Padova)
Via Santa Rosa, Padova San Giuseppe

Coordinate geografiche (GPS) Indirizzo Luoghi vicini
placeMostra sulla mappa

Wikipedia: Chiesa di Sant'Anna (Padova)Continua a leggere su Wikipedia

Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 45.404582 ° E 11.869218 °
placeMostra sulla mappa

Indirizzo

Via Santa Rosa

Via Santa Rosa
35122 Padova, San Giuseppe
Veneto, Italia
mapAprire su Google Maps

ChiesaSant'AnnaPadova
ChiesaSant'AnnaPadova
Condividere l'esperienza

Luoghi vicini

Palazzo Mussato

Palazzo Mussato è un edificio civile di Padova, sito nel centro storico della città. Il palazzo fu rifabbricato su preesistenze probabilmente medievali sulla strada di Concariola (edifici già citati nel 1685 da Giulio Mussato "casa dominicale in Padova di Concariola con l'altra casa e stalla dirimpetto") in seguito all'investitura della corona regia e del titolo di conte palatino dell'Alvise Mussato, avvenuta nel 1712 e mossa dall'imperatore Carlo VI. L'opera fu voluta dal marchese Vitaliano e poi compiuta dal figlio Galeazzo. Il progetto fu del conte Gerolamo Frigimelica. La costruzione coronò l'ascesa della famiglia che culminò con la seduta nel Maggior Consiglio di Giulio Antonio e il di lui matrimonio con Lucrezia, figlia di Sebastiano Giustiniani, avvenuto il 22 settembre 1778. Con la morte dell'ultimo erede Alvise nel 1849, la fastosa abitazione fu acquistata all'incanto dal comune di Padova per un "prezzo moderatissimo" di 36.600 lire austriache. La collezione dei Mussato (25 tele, tra cui 6 paesaggi di Giuseppe Zais e 70 gessi) fu portata al Palazzo Comunale ad opera di Andrea Gloria che ne fece uno dei fondi fondamentali per la formazione del futuro Museo Civico agli Eremitani. La struttura divenne caserma e poi sede distaccata di alcuni istituti cittadini per divenire nel 1940 Scuola Media Statale "Francesco Petrarca". Se all'esterno si mantenne uno stile austero e severo in linea con la tradizione patavina, all'interno la famiglia volle per il piano nobile decorazioni e rifiniture di primissimo livello, che andassero ad accogliere la collezione antiquaria e la quadreria. Gli affreschi furono probabilmente commissionati a Francesco Zugno e Giambattista Crosato, Giambattista Canal, Francesco Zanchi. Ne risultò una delle più compiute testimonianze dell'arte abitativa patrizia a Padova nel Settecento. La famiglia Mussato era nota per il vizio del giuoco d'azzardo, tanto che fecero porre sulla facciata interna del palazzo una lapide, ancora presente, che ammoniva i famigli al trattenersi dal giocare d'azzardo, con la pena dell'esclusione dall'eredità. Paola Piatta Cingano Ca' Mussato: da nobile dimora a sede scolastica in "Padova e il suo territorio" Aprile 1997

Palazzo Selvatico Luzzato Dina
Palazzo Selvatico Luzzato Dina

Palazzo Selvatico Luzzato Dina (o palazzo Luzzatto Dina) è la sede del Dipartimento di Scienze storiche e Geografiche dell'antichità (Dissgea) dell'Università degli studi di Padova. La struttura è stata per molto tempo la sede di una serie di illustri proprietari: il primo di questi fu Antonio Selvatico. L'acquisizione dell'immobile, appartenuto precedentemente al nobile padovano Stefano Mota, è datata 6 maggio 1406 . Il Palazzo rimase di proprietà della famiglia Selvatico per tre secoli ma la casa originaria non presentava gli edifici attuali. Nel corso del 1553 Bartolomeo Selvatico acquistò una residenza adiacente a quella di famiglia, un tempo appartenuta a Francesco Petrarca lungo l'attuale via Dietro Duomo (che costeggia il retro del Duomo di Padova), insieme all'orto annesso. Nel 1588 il fratello Girolamo comprò un altro pezzo di terreno, in angolo con l'odierno Vicolo Estense. Tutti questi edifici vennero unificati dal più noto esponente della famiglia Selvatico, il medico Benedetto Selvatico (1574-1658), il quale diede un contributo notevole alla realizzazione del complesso attuale. I lavori iniziarono nel 1610 con l'ampliamento della casa costruendo le grandi sale del piano nobile che corrisponde all'attuale Biblioteca di Storia e commissionò la ricostruzione della facciata principale conferendogli la struttura attuale. Tuttavia, per ricavare ulteriori attestazioni riguardanti la modifica della residenza, bisogna attendere il biennio 1616-18. In quegli anni vennero apportate delle modifiche con il rinnovamento della scala delle cantine, della stanza “prima da basso”, l'aggiunta di una uccelliera, di una fontana, ed infine la sistemazione del giardino. L'intervento di più ampia portata si ebbe nel corso del 1622 con la costruzione di una palazzina “dietro Duomo” che sostituì la casa addossata a sud al cugino Sperindio Selvatico, la quale si trovava all'angolo con via San Giovanni delle Navi (attuale via Vescovado). Lo stabile, in quell'anno, venne collegato alla casa grande attraverso un “coridor”, ovvero un ballatoio posto lungo la casa di Sperindio. Inoltre, con il consenso del cugino, Benedetto poté portare alla realizzazione di una facciata su via Giovanni delle navi dando un aspetto unitario, anche se internamente le abitazioni rimasero divise. La data ultima di ristrutturazione del complesso è datata 1627, da quell'anno non sono risultati altri lavori di ristrutturazione o di ampliamento del palazzo complice, probabilmente, l'arrivo della peste nel corso del 1631. Si dovette attendere il 1640 per avere ulteriori cambiamenti all'interno della casa, infatti, in quell'anno, il patrimonio venne diviso tra Benedetto, che mantenne la palazzina, e i nipoti Alvise e Antonio, figli del fratello Francesco, ai quali cedette la parte del palazzo di fronte a via San Giovanni delle navi. Con questa divisione Benedetto pensava di mantenere un'unione nel tempo all'interno della famiglia, in realtà fu l'inizio dei numerosi liti che, alla morte di Benedetto, ebbe come risultato la divisione della residenza. Nel corso del 1668 arrivò a palazzo, oltre i già citati Alvise e Pietro, Antonio il terzo fratello che portò ad un'ulteriore suddivisione del patrimonio. A partire dal 1693 si inaugurò, in occasione del matrimonio di Benedetto II Pietro Alvise Selvatico, figlio di Benedetto Alvise, una campagna decorativa degli interni del palazzo e la realizzazione di una scuderia di fianco all'attuale Palazzo Jonoch Gulinelli. Dopo un'ulteriore divisione dei beni tra i due fratelli, non vi furono altri restauri alla casa almeno fino al 1783. Con Benedetto Selvatico, figlio di Alvise e nipote di Benedetto II, si inaugurò una seconda campagna decorativa del palazzo e la costruzione di un appartamento a nord della palazzina "dietro Duomo". La realizzazione dell'edificio fu commissionata dal fratello Benedetto Giovanni Andrea, canonico della Cattedrale. Benedetto Giovanni inoltre, diede con un contributo notevole per la costruzione della cosiddetta “Stanza delle vedute prospettiche” nella palazzina a fianco. Nel 1738, grazie al matrimonio tra Alvise, figlio di Benedetto II e della marchesa Maddalena Frigimelica, la famiglia cominciò a spostarsi verso un'altra loro residenza di maggior interesse: il palazzo Frigimelica in via dei Tadi, acquisito proprio dall'unione tra i due nobili. La divisione del 1788, successiva al completo sposamento della sede in via dei Tadi, ebbe il merito di ridurre i proprietari del palazzo e, di conseguenza, il numero di appartamenti in cui quest'ultimo era stato a lungo diviso: lo testimoniano sia la divisione tra i soli Benedetto Pietro e Benedetto Bartolomeo Selvatico risalente al 1790, sia, vent'anni dopo, il catasto napoleonico. Nel corso dell'Ottocento, dopo la dominazione napoleonica il palazzo passò nelle mani di Pietro selvatico Estense, figlio di Bartolomeo, il quale nel 1852 venderà ai fratelli Beniamino e Pellegrino Dina. I due fratelli non avendo eredi lasciarono ai figli della sorella Enrichetta, sposata con Giacobbe Luzzato (o Luzzatto), il patrimonio e il loro cognome. Lo stabile da quel momento è noto come Palazzo Luzzato Dina. Il palazzo nel 1989 venne donato all'Università da Augusta Luzzato Dina, la quale non avendo eredi, dopo la morte del suo unico figlio Pier Galeazzo nel 1946, decise di offrire il patrimonio storico-architettonico del palazzo all'Ateneo di Padova. La residenza della dinastia Selvatico divenne dopo due restauri, il primo nel 1995 e il secondo nel 2003, la sede del Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell'Antichità di Padova (Dissgea). Patavina libertas: una storia europea dell'Università di Padova (1222-2022), Padova, 2021. G.Bresciani Alvarez, L 'architettura civile del Barocco a Padova, in Padova, Case e palazzi, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1977. D. Tosato, Palazzo Selvatico, Buzzacarini, in Affreschi nei palazzi di Padova. Il Sei e Settecento, a cura di a cura di V. Mancini, A. Tomezzoli, Verona, D. Ton, Scripta Ed, 2018. A. Franceschi, Selvatico, vicende familiari e patrimoniali, «Padova e il suo territorio», agosto 2005. ASPD, Archivi Privati, Famiglia Selvatico Estense. A. Franceschi, Selvatico, vicende familiari e patrimoniali, «Padova e il suo territorio», vol. 20, agosto, 2005. Augusta Luzzato Dina Università degli Studi di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo Selvatico Luzzato Dina Sito ufficiale, su bibliotecastoria.cab.unipd.it. Biblioteca di storia (CAB) Il Palazzo Luzzato Dina dal sito del Dissgea

Castelvecchio (Padova)
Castelvecchio (Padova)

Il Castelvecchio, anticamente definito Castello della Torlonga ma oggi conosciuto anche come Castello di Ezzelino, o Castello Carrarese o ancora Castello di Padova, è una fortificazione di origine altomedievale posta sulla biforcazione del Bacchiglione dove si divide in Tronco Maestro e Naviglio interno. Deve le attuali caratteristiche alla signoria dei Da Carrara. Durante il XIX secolo e il XX secolo venne in gran parte utilizzato come prigione statale mentre il mastio, la Torlonga, è dal XVIII secolo la Specola cittadina. La fortezza un tempo era chiamata Castello della Torlonga. Assunse il nome di Castelvecchio quando si iniziò a costruire il Castelnuovo dopo il 1513. In età romantica fu chiamato Castello di Ezzelino per il fascino sinistro evocato dal tiranno. Oggi, con la riscoperta culturale della signoria dei Da Carrara, è frequentemente definito Castello Carrarese. L'area antistante l'edificio è Piazza Castello: in età veneziana fu luogo di esercitazioni militari e di esecuzioni capitali. La struttura del castello attuale è l'evoluzione di un sistema difensivo di origine altomedievale che aveva nella Torlonga (la torre-longa) il suo fulcro: costruita nel IX secolo nella strategica area in cui il Bacchiglione andava dividendosi (punto già occupato da fortificazioni di età romana) fu citata per la prima volta nel 1062. La torre, tra il X secolo ed il XI secolo, fu circondata da una breve muraglia che la proteggeva verso la città. Questo mastio fu poi inglobato alla cinta muraria di età comunale; lì vicino, verso ponente, si aprì una porta urbica. Rimangono invece tracce del castello fatto costruire da Ezzelino III da Romano, tiranno della città dal 1237 al 1256: la più notevole è la Torlonga, la maggiore delle due torri del castello. Il Castello fungeva da perno difensivo della cinta muraria duecentesca. Il 1237 è l’anno in cui iniziano i lavori di costruzione del Castello. Per edificare la grande fortezza nei pressi di San Tomaso, occorrevano decine di migliaia di mattoni, ma la produttività delle fornaci del tempo era assai limitata. Di conseguenza furono utilizzati materiali provenienti dalla demolizione di imponenti e belle case patrizie delle famiglie che si inimicarono Ezzelino III. Privata di ben dieci edifici per questo scopo, Padova rimase deturpata. Ma ben presto si capì che il Castello non era destinato solo allo scopo difensivo. A partire dal 1241, Ezzelino pianificò la repressione dell’opposizione guelfa e così iniziò a segregare i prigionieri nei sotterranei del nuovo Castello. Più che prigioni queste furono “tombe per i vivi”. Anche le due torri del castello vennero progettate come orribili prigioni dove i padovani erano destinati a morire di fame. Vennero chiamate Zilie perché il loro architetto fu Zilio Milanese, anch’esso poi prigioniero lì dentro. Una torre guardava la città e l’altra la campagna. Quest’ultima esiste tuttora ed è l’attuale Specola. Nel 1256 i crociati entrarono a Padova per volere di Papa Alessandro IV e occuparono la città. Il Castello resistette per tre giorni, dopodiché fu dichiarata la fine del breve periodo di tirannia di Ezzelino III da Romano. Caduto il tiranno, le fortificazioni furono abbandonate fino alla signoria dei Carraresi. Nel 1374, questi fecero ricostruire il castello includendo le due torri che dipinsero a scacchi bianchi e rossi. Il Castello venne collegato alla Reggia Carrarese dal “traghetto”, un passaggio sopraelevato che aveva la funzione di collegare i centri del potere politico e militare. Questa via di fuga poteva essere utilizzata solo dai provisionati e dal Principe e venne fatta costruire da Umbertino da Carrara negli anni compresi fra il 1343 e il 1345 (anno della sua morte). Francesco I da Carrara detto Il Vecchio fu signore di Padova quando venne ricostruito il castello e, infatti, governò dal 1350 al 1388, promuovendo una politica di espansione. Con la costruzione delle mura rinascimentali ad opera di Bartolomeo d'Alviano il valore strategico del castello fu ridotto a zero. La Repubblica di Venezia vagheggiò anche la costruzione di un Castelnovo sul versante est delle mura, ma di questo progetto rimangono solo alcuni bastioni. Nel 1777 fu ultimata la trasformazione della Torlonga in Specola per le osservazioni astronomiche. I resti del castello ebbero successivamente usi diversi (osservatorio astronomico, prigione, ecc.). In particolare il castello ha avuto funzione di prigione fino al secondo dopoguerra. L'Amministrazione carceraria padovana ha tuttora alcuni uffici in Piazza Castello. Mura di Padova Specola di Padova Storia di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Castelvecchio Sito sul restauro del Castello Carrarese, su castellocarrarese.it. URL consultato il 10 settembre 2007 (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2007). Il castello di Padova, su muradipadova.it, Comitato Mura di Padova (archiviato dall'url originale il 13 novembre 2017).

Duomo di Padova
Duomo di Padova

La Basilica cattedrale di Santa Maria Assunta (conosciuta dai patavini semplicemente come il Duomo) è il principale luogo di culto cattolico di Padova e sede vescovile della diocesi omonima almeno dal IV secolo. Dedicata all'Assunzione di Maria ha la dignità di basilica minore ed è inoltre sede parrocchiale. Al suo interno si venerano i corpi di san Daniele, san Leonino e di san Gregorio Barbarigo. L'edificio attuale risale al XVI secolo e alla sua costruzione intervenne Michelangelo Buonarroti. Si affaccia su piazza Duomo. Accanto si innalza il complesso del Vescovado. Dipendono dalla cattedrale le rettorie di San Clemente e San Pietro. È monumento nazionale italiano. La prima cattedrale, edificata dopo il cosiddetto editto di Costantino, sorgeva, secondo la tradizione, nell'area del sagrato attuale, nella zona segnata oggi da una colonna in pietra sormontata da una croce. Pare fosse originariamente dedicata a santa Giustina e in seguito ad una delle sue ricostruzioni o restauri (462 o 602) la sede episcopale di Patavium associò ad un primitivo titolo quello di Santa Maria, conforme al culto della Theotókos legittimato dal concilio di Efeso. Sempre antiche fonti, riconducono alla figura del vescovo Tricidio la ricostruzione di una delle primitive chiese, verso l'anno 620 che poi venne ricostruita tra l'899 e il 900 perché ab Ungharis inflammata. Solo nel 1075 il vescovo Olderico consacrò una definitiva cattedrale, costruita sulle rovine delle precedenti. Per quest'ultima fase edilizia, gli storici tra i secoli XVII e XIX ipotizzavano un edificio con facciata posta a levante, dotato di una confessione e di una sottoconfessione (cripta) nell'area absidale dove era posta la sepoltura del vescovo Tricidio la cui lapide, con rovine e nicchie fu portata alla luce durante lo scavo delle fondamenta dell'attuale facciata. All'epoca si trovò somiglianza tra i rovine ritrovate e l'abside della chiesa di Santa Sofia. Nel 1874 nel tentativo di innalzare un monumento al canonico Francesco Petrarca, furono ritrovati alcuni grossi macigni, giacenti tuttora alla profondità di circa tre metri, al lato est del sagrato. Questa basilica (o una sua ristrutturazione) cadde nel famoso terremoto del 3 gennaio 1117. La campagna di scavo e ricerca promossa dalla cattedra di Archeologia medievale dell'Università degli Studi di Padova tra il 2011 e il 2012 ha smontato molte ipotesi formulate nel passato e aperto numerose problematiche riguardo allo sviluppo edificatorio dell'intera area del Palazzo Episcopale, della cattedrale e del battistero. Nell'angolo nord-est del sagrato, dove nell'Ottocento si concentrarono ritrovamenti di notevole entità, è stata individuata la base di una grandiosa torre a pianta quadrata (dieci metri per lato) in stile romanico-adriatico databile tra il X ed XII secolo, forse un campanile della primitiva cattedrale atterrato in epoca imprecisata (XIV secolo?). Gli scavi effettuati alle basi degli edifici databili tra il IX e il XI secolo che si accostano a nord del battistero hanno rivelato una serie di ambienti pavimentati a mosaico databili tra il IV e il V secolo di indubbia destinazione liturgica, ricollegabili ai simili ambienti con stesso motivo pavimentale ritrovati ad Aquileia e Grado, ambienti che furono poi distrutti da un incendio. Tra i ritrovamenti, una scarsella in pietra per reliquie, un lacerto d'altare databile al V o VI secolo, frammenti di arredo liturgico di varie epoche usato come materiale di spiano, sepolcri (56 individui riconosciuti) e tracce di occupazione domestica in età longobarda. Gli scavi, interrotti per mancanza di fondi, attendono ora un seguito. A seguito del sisma del 1117, una nuova cattedrale sorse sul progetto dell'architetto Macillo, non è chiaro se sui resti della cattedrale oldericiana o in una nuova posizione per favorire l'apertura di una piazza e ampio sagrato. Fu consacrata il 24 aprile 1180. La nuova chiesa si ergeva nell'area dell'attuale cattedrale, con identico orientamento (facciata a levante e presbiterio a ponente) divisa in tre navate di non grandi dimensioni e transetto. La navata laterale a sud si affacciava su una strada che costeggiava il Palazzo Episcopale e il campanile, la navata laterale a nord era contigua al chiostro dei Canonici e il battistero. Internamente le navate erano divise da colonne e pilastri che si alternavano, secondo modulo di tradizione ottoniana. Nel 1227 si ricostruì il campanile e tra il 1399 e il 1400 il vescovo Stefano da Carrara promosse alcuni lavori di restauro e abbellimento e la costruzione di volte a crociera. Il vescovo Pietro Barozzi volle ammodernare la chiesa con la costruzione di un nuovo grande presbiterio secondo modo et struttura romanae ecclesiae S. Petri, il progetto di Bernardo Rossellino per il coro della basilica vaticana. La prima pietra dell'avvio ai lavori fu benedetta e posta nelle fondamenta il 6 maggio 1522 dal cardinale Francesco Pisani che con i Canonici e i Prebendati finanziava la ricostruzione. Prendeva avvio un cantiere monumentale che sarebbe perdurato per due secoli. Il 2 gennaio 1551 il capitolo dei Canonici approvava il modello per il presbiterio dell'ingegnosissimo e illustrissimo Michelangelo Buonarroti a sostituzione di un progetto di Jacopo Sansovino. Il progetto michelangiolesco fu portato a compimento dal proto Andrea da Valle e da Agostino Righetto, nei decenni successivi con non poche variazioni all'idea originale. Il presbiterio veniva inaugurato dal vescovo Federico Cornaro il 14 aprile 1582. Corner aveva intatto fatto abbattere il vecchio campanile medievale che si innalzava sulla sinistra, rispetto alla facciata e fece concludere l'attuale, già principiato dal cardinale Pisani. La facciata vecchia fu prolungata e adornata con un portale che precedentemente era alla parte destra della facciata orientale. Verso il 1635 si proseguì con la costruzione del braccio destro del transetto e nel 1693 con quello sinistro, mentre i resti della vecchia cattedrale venivano via via demoliti e occupati dalle nuove navate progettate da Gerolamo Frigimelica e da Giambattista Novello. Il 25 agosto 1754 il cardinale Carlo Rezzonico consacrò solennemente la nuova cattedrale che ricevette poi il titolo di basilica minore. Nel 1756 si iniziò a costruire la cupola maggiore su progetto di Giovanni Gloria e di Giorgio Massari. Il 13 maggio 1797 le truppe francesi irruppero nel duomo e lo spogliarono accuratamente di tutta l'argenteria, splendido dono in gran parte di Clemente XIII e di altri effetti preziosi. Nel 1822 la copertura della cupola maggiore bruciò in seguito la caduta di un fulmine. Venne ricomposta poi sotto la guida dell'ingegner Giuseppe Bissacco. Nel 1931, a cura del canonico Giovanni Alessi e dell'architetto Vittorio Bettin si restaurò il settecentesco pavimento della basilica alterando la precedente conformazione e asportando, nell'occasione, numerose lapidi sepolcrali. Il capitolo canonicale della cattedrale patavina vanta una storia millenaria e un tempo era annoverato tra i più ricchi e nobili d'Italia, tanto che i Canonici (sin dal IX secolo) erano definiti "cardinali di Lombardia" e il vescovo, parte integrante del capitolo, era definito "piccolo papa". Al capitolo, "seminario dei vescovi", si aggiungevano poi altre quattro dignità come dodici sottocanonici, sei custodi e sei mansionari. Per un lungo periodo fu autonomo. Tre pontefici uscirono dal capitolo canonicale della cattedrale: Eugenio IV, Paolo II e Alessandro VIII più diciotto cardinali. La prima dignità corrisponde nel ruolo di canonico arciprete della cattedrale che è a capo del capitolo prima dignitas post pontificalem; questo, a contrario di altri capitoli che hanno conservato nell'arcidiacono il ruolo primaziale, si deve probabilmente alla figura di san Bellino: in seguito al suo ministero sembra stabilita la precedenza dell'Arciprete sopra l'Arcidiacono. Con la bolla "Decorem Domus Dei" del papa Alessandro VI al capitolo fu aggiunta la carica del primicerio che seguiva in terza posizione le dignità dell'arciprete e dell'arcidiacono godendo di vari benefizj tra cui San Pietro in Volta; il primo fu Nicolò Malipiero dal 1496. Papa Benedetto XIV, con mediazione del vescovo Carlo cardinal Rezzonico, concesse ai Canonici l'uso nel coro di Cappa magna, e di Rocchetto, in tempo d'inverno, e di Cotta sopra il Rocchetto nella state, come i Canonici delle Basiliche di Roma; di portare il cordone rosso nel Cappello; nel celebrar la Messa l'uso del Canone, e della Bugia; di godere de' privilegi de' Protonotari della S. Sede, e di mettere sulle loro armi il Cappello de' medesimi Protonotari; va aggiunta pure una speciale croce pettorale di smalto e con nastro porpureo pendente al collo donata da papa Clemente XIII ai canonici con l'obbligo di tramandarla ai Successori; questa è decorata da una parte dell'Assunzione della Beata Vergine, dall'altro da san Gregorio Barbarigo. Ai canonici e i canonici onorari, ancora oggi tutti protonotari apostolici soprannumerari durante munere, si aggiungono gli arcipreti di Montagnana, Cittadella e Thiene (pure protonotari) e gli arcipreti col titolo di abate mitrato di Piove di Sacco ed Este. Tra le figure di spicco e levatura culturale troviamo nel Dugento Pietro Colonna, poi elevato alla porpora da papa Nicolò IV. Tra il Trecento e il Quattrocento furono canonici Francesco Petrarca e il compositore Johannes Ciconia. In seguito Pietro Bembo fu "Canonico soprannumerario per privilegio Pontificio" e ancora Paolo Gualdo assunse la prima carica di arciprete. Oggigiorno l'istituzione soffre di un'oggettiva decadenza. Leoperto preposito (874) Lorenzo archipresbiter, rector, custos in Ecclesia S. Maria (950-964) Anselmo (964-970) Martino (979) Grimaldo (979) Eldidino (1034) Iveldino (1041) Inno (1065) Grimaldo (1071) Eriberto (1088) Alberto (1102) San Bellino Bertaldi (1109-1128) Viviano (1128-1139) Uberto Spiga (1139-1166) Wifredo (1166-1194) Giambono Scarella (1194-1203) Floriano (1203-1220) Giacomo Conrado (1220-1230) Egidio (1230-1236) Dellacorra (1236-1256?) Pietro Scrovegni (1256-1276) Tommaso Guarnerini (1276-1282) Bovetino de' Bovetini (1282-1294) Giovanni degli Abbati (1294-1301) Altigrado Cattaneo (1301-1304) Pandolfo da Lusia(1304-?) Aiperto Orzalemo (1313-?) Conrado Concoregio (1316-1330) Matteo Reate (1330-1333) Bartolomeo Capodivacca (1333-1356) Pileo da Prata (1356-1359) Giovanni Piacentini (1359-1365) Angelo Castiglione (1365-1384) Conte da Carrara (1384-1388?) Giovanni Enzenguerati o Enzegerati (1389-1397) Francesco Zabarella (1397-1414) Bartolomeo degli Astorelli (1414-1421) Benedetto Galli dalla Galta (1421-1426) Bartolomeo Zabarella (1426-1430) Agostino Michiel (1430-1447) Girolamo Michiel (1447-1472) Gabriele Contarini (1472-1477) Nicolò Franco (1477-1480) Taddeo Querini (1480-1509) Pietro Lippomano (1509-1517) Angelo Lippomano (1517-1548) Francesco Zabarella (Coadiutore dal 1543, stabile 1548-1571) Ludovico Zabarella (Coadiutore dal 1561, stabile 1571-1591) Girolamo Zacco (1591-1609) Paolo Gualdo (1609-1621) Giuseppe Gualdo (1621-1640) Albertino Barisoni (1640-1656) Galeazzo Mussato (1656-1665) Paolo Dolfin (1665-1671) Pietro Antonio Dolfin (1671-1685) Antonio Loredan (1685-1713) Faustino Bonlini (1713-1733) Antonio Marino Priuli (1733-1738) Girolamo Barbarigo (1738-1760) Lauro Campolongo (1760-1771) Giovanni Dotto (1771-1797) Marco Regolo Sambonifacio (1797-?) -- Vincenzo Scarpa (1829-1854) Giovanni Battista Marconi Angelo Fontanarossa (1870?) -- Giuseppe Schievano Ulderico Gamba Giovanni Foffani (?-1992) Piero Lievore (1992-2014) Umberto Sordo (2014-2018) Maurizio Brasson (2018-2021) Giuliano Miotto (dal 2021) La basilica di Santa Maria Assunta nella cattedrale si innalza tra l'imponente mole del palazzo episcopale e la compatta massa del battistero. La pianta è a croce latina. Sulla terza campata si eleva un tiburio ottagonale e sulla crociera del transetto l'alta cupola del Gloria coperta a piombo. Ai lati del presbiterio si innalzano due sacrestie, quella dei Canonici e quella dei Prebendati. Tra quest'ultima sacrestia e il braccio del transetto destro si eleva il campanile. Le porte laterali aprono rispettivamente sul piccolo cortile della canonica e su via dietro duomo, verso l'ingresso carraio del palazzo episcopale. Sul campanile è incastonata una lapide mutila d'età romana che menziona la Gens Fabia di Veio, titolo che spettò alla popolazione patavina dai tempi della fondazione del municipium nel 49 a.C. Il campanile della Cattedrale ospita un concerto di sette campane a sistema veronese (6 in scala di Do + ottavino), tutte fuse dalla Fonderia Pontificia Daciano Colbachini e Figli di Padova nel 1923. La facciata su cui si aprono i tre portali è incompleta. Secondo Gerolamo Frigimelica si sarebbe dovuto aprire un arioso atrio di accesso e al piano superiore, un solenne loggiato, sullo stile delle basiliche romane; in facciata un grande frontone classico sostenuto da sei poderose semicolonne di ordine corinzio. Secondo l'architetto a collegare l'atrio, la loggia e il palazzo episcopale, si sarebbe aperta una rampa coperta, sulla destra, rimasta incompiuta. Durante i bombardamenti della prima guerra mondiale un ordigno colpì la facciata che rovinò, nella parte superiore. In occasione dei restauri si aprì il piccolo rosone. Suddiviso in tre navate lo spazio è misurato e armonioso. Suggestiva la prospettiva dal portale maggiore. Sulla navata centrale si aprono due grandi cupole, una ellittica, in corrispondenza delle cappelle di San Gregorio Barbarigo e San Lorenzo Giustiniani e la maggiore, circolare è posta nella crociera. Lungo le navate laterali si aprono le cappelle. Sotto il presbiterio, la cripta e la cappella della Santa Croce. La prima cappella che si apre sulla navata destra, dall'ingresso, con altare donato nel 1760 dalla fraglia dei calzolai ospita una pala opera di Dionisio Gardini e raffigurante San Pio X (che in fu seminarista a Padova). Originariamente vi era posta una tavola di Giambattista Mingardi raffigurante il martirio dei santi Crispino e Crispiniano, protettori dei calzolai. Nella seconda cappella, sull'altare, una pala raffigurante il martirio di san Lorenzo, opera di Alessandro Galvano. La cappella di San Lorenzo Giustiniani, con grande altare fu voluta dal Vescovo Nicolò Antonio Giustiniani per onorare il suo santo antenato. La statua in marmo di Carrara è di Felice Chiereghin (1788). La pala retrostante con la Vergine e santi è attribuita ad Alessandro Varotari "il Padovanino". Il vescovo committente è sepolto nella cappella. Alle pareti epigrafi e resti di monumenti sepolcrali vescovili appartenenti alla cattedrale macilliana. Dal 1809, dietro all'altare è posto, celato da una lastra marmorea, il corpo di san Leonino vescovo di Padova, un tempo venerato nella chiesa di San Leonino in Prà della Valle. Nell'altare seguente, una moderna raffigurazione del Sacro Cuore (di R. Mulata) a sostituzione di San Carlo Borromeo in preghiera, opera di Battista Bissoni, già nella basilica antoniana. Nell'atrio della porta alla canonica due monumenti di Girolamo Campagna, quello di sinistra a Sperone Speroni e quello di destra della figlia Giulia Speroni. Sul grandioso altare, opera di Mattia Carneri che lo disegnò nel 1647 è esposto un dipinto bizantineggiante ritenuto per secoli opera di Giotto, ma in realtà il dipinto è ben più antico anche se l'attuale è frutto di un restauro o di una ridipintura seicentesca. La macchina lignea con volute e cherubini su cui è esposto il dipinto, poggia su un pianerottolo rialzato su cui saliva il vescovo o i canonici durante le solennità mariane a venerare l'immagine. Ai lati due statue, opere di Bernardo Falconi, raffiguranti i santi Pietro e Paolo. Sui fianchi dell'altare i cancelli bronzei con i dottori della chiesa precedentemente posti a chiusura del presbiterio, splendida opera di Angelo Scarabello. In alto, due teleri: una Adorazione dei Magi di Francesco Zanella e l'Incoronazione della Vergine di Gregorio Lazzarini. Sul lato destro l'arca e gisant policromo del cardinale Francesco Zabarella, sormontata da monumentale arcosolio gotico su cui sono poste cinque statue (Vergine e santi) attribuite a Rinaldino di Francia. Il monumento si trovava nella cattedrale maciliana, nella cappella di San Paolo e venne poi rimontato nell'attuale posizione nel 1641 levando via tutto l'oro che vi era per essere consumato per spese della famiglia del conte Giacomo Zabarella che commissionò a Luca Ferrari le decorazioni pittoriche a sostituzione degli affreschi quattrocenteschi presenti originariamente. Dall'altra parte, monumenti funebri di canonici tra cui le iscrizioni del cardinale Bartolomeo Zabarella e di Achille Zabarella. Nell'atrio, sopra la porta della sacrestia una piccola Natività seicentesca dalla ricca cornice intagliata, ai lati una tela di Andrea Vicentino e une tela di Francesco Minorello. All'interno tele seicentesche tra cui copia da Caravaggio. Spiccano due Santi Pietro e Paolo di Francesco Lopez. Al centro del soffitto, Assunzione, su tela di Niccolò Bambini e affreschi di Francesco Zanella. Sul lato della sacrestia dei Prebendati v'è un monumento barocco del cardinale Pietro Valier, il busto è una copia seicentesca di un lavoro di Gian Lorenzo Bernini, sull'altro, verso la sacrestia dei Canonici vi è il monumento al vescovo Francesco Scipione Dondi dall'Orologio. Tra gli organi, l'altare maggiore di Daniele Danieletti consacrato il 2 dicembre 1770 dal vescovo Antonio Marino Priuli e sopra, il baldacchino di Cesare Bovo con il Padre Eterno di Francesco Zanella. Sopra, ai lati, si susseguono tele inserite negli spazi architettonici: Il riposo sulla via dell'Egitto di M. Laos, pittore francese del primo Settecento e Circoncisione di Antonio Fumiani. Segue poi una Natività di Antonio Balestra e i Santi patroni della città di Padova di ignoto settecentesco. Sulla sinistra si innalza il monumento che i Canonici vollero per onorare papa Benedetto XIV che concesse loro la cappa magna e il cardinale Carlo Rezzonico mediatore, è opera di Giovanni Maria Morlaiter. Il coro ligneo è opera di Filippo Parodi. Al suolo una piccola lapide ricorda l'anno 1698 in cui si portarono a compimento i sedili e la pavimentazione, grazie al lascito del canonico Pietro Labia (†1692). Opera realizzata alla luce delle disposizioni della CEI (not. 31 maggio 1996) in occasione del terzo centenario della morte di san Gregorio Barbarigo. L'opera è di Giuliano Vangi: sue sono le decorazioni, l'altare, l'ambone, la cattedra e il crocifisso. Tutto il nuovo spazio, che si innalza al di sotto della cupola del Gloria e sul transetto è in marmo di Carrara. Non è stato asportato nulla di antico, solo le balaustre sono state ridimensionare e ricollocate. Agli scalini di accesso sono raffigurati i quattro protettori della città di Padova. L'opera è stata accolta con pareri discordanti. Sotto alla cupola maggiore e quindi al nuovo presbiterio, vi è il grande sepolcreto dove riposano le spoglie dei vescovi di Padova. Fu in uso sino al XIX secolo. Vi è conservato il corpo di san Daniele Martire all'interno dell'urna romana sotto la mensa d'altare, da quando fu trasportato dalla basilica di Santa Giustina nel 1076. L'attuale sistemazione dell'altare, con le parti più antiche poste in rilievo, risale alla metà del Novecento: precedentemente era riccamente ornato di marmi e di preziosissimi bronzi opera di Tiziano Aspetti, opere ora isolate e dislocate. Le vetrate della cripta sono opera moderna (inaugurate nel 2010) del prof. Ryszard Demel. Accanto all'aula maggiore, sorge la cappella della Santa Croce (si trova al di sotto della Sacrestia dei Canonici) ricoperta di marmi e stucchi nel 1676 per volere dell'illustre canonico letterato Giambattista Vero. Tra la decorazione plastica, preziose pitture raffigurano la storia della vera Croce, oggi in grave stato di deperimento. L'altare, prezioso lavoro in stile tardomanierista caratterizzato dall'uso di marmi neri e bianchi e inserti a marmi policromi, occupa il fondo del vano. La cancellata dorata sopra la mensa chiude una nicchia dove veniva conservato la reliquia della Croce, posta entro uno sbalorditivo reliquiario in argento dorato e smalti, alto 35 cm., un capolavoro dell'oreficeria gotica ad opera di Bartolomeo da Bologna ora esposto nel Palazzo Episcopale. Nella cappella sono deposti i feretri dei vescovi di Padova a partire dal vescovo Francesco Scipione Dondi dall'Orologio, seguito poi dai vescovi Federico Manfredini e Giuseppe Callegari, i cui corpi vennero qui ricomposti dopo il 1945 poiché la cappella funeraria neogotica che li ospitava presso il cimitero monumentale vicino al santuario dell'Arcella venne colpita da un feroce bombardamento durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1988 venne deposto il feretro di Filippo Franceschi e nel 1992 quello del vescovo emerito Girolamo Bartolomeo Bortignon. Nell'atrio alcuni dipinti: Annunciazione e Visitazione di Jean Raoux e un'Annunciazione di Francesco Zanella. All'interno, la Sacrestia conserva una pinacoteca, frutto dei lasciti dei canonici. Parte della pinacoteca è ora esposta al Palazzo Episcopale. Opere di Bassano, Liberi, Forabosco e Brusasorci tra cui spicca una Madonna orante del Sassoferrato. Nella parte superiore concorrono i ritratti dei canonici illustri, tra cui il pregevole ritratto di Francesco Petrarca. L'altare è armoniosa opera del Massari, vi sono inseriti i pannelli in bronzo di Jacopo Gabano tra cui spicca un'ultima cena. I due angeli oranti sono opera di Tommaso Bonazza (destra) e Jacopo Gabano (sinistra). In alto ricchissimo baldacchino in stile rocaille in legno dorato, con simboli eucaristici. Alle pareti tele settecentesche di ignoto con Caduta della manna, e Consegna della tavole della legge. A destra monumento funebre del cardinale Pileo da Prata opera di Pierpaolo dalle Masegne con arca e gisant e baldacchino, opera del gusto iperrealista gotico di inizio Quattrocento. A sinistra, l'elegante sepolcro del vescovo Pietro Barozzi attribuito ad Alessandro Vittoria e già attribuito a Tullio Lombardo. Di fronte alla porta verso il palazzo episcopale, il grande pulpito ligneo, commissionato dal canonico Selvatico e magnifica opera di Filippo Parodi, che ha scolpito di sua mano le figure che lo adornano. Nell'atrio della porta, Monumento al canonico Francesco Petrarca di Rinaldo Rinaldi (1793-1873) e lapide a memoria della visita di papa Pio VI avvenuta nel 1782. La cappella di San Giuseppe con grande altare, opera di Tommaso Bonazza e pala con Vergine in trono con san Cesareo e Giuseppe di Giovanni Antonio Pellegrini. Accanto all'altare lapide di dedicazione della cappella ai Santi Benedetto e Cesario da parte del vescovo Ildebrandino Conti che qui vi è sepolto. La lastra tombale gotica è stata recentemente dispersa. Alle pareti, tele di Dario Varotari. Dopo la cappella di San Gregorio segue la cappella di San Gerolamo con splendida pala di Pietro Damini, San Gerolamo che si percuote con un sasso. Vi è raffigurato il committente, Girolamo Selvatico. Nella cappella della Madonna dei ciechi, innanzi la porta d'ingresso sinistra, dove si soffermavano i ciechi, sicuri di trovare l'uscita, sull'altare in marmo bianco è collocata una pala di Antonio Buttafogo sulla quale è inserita una tavola quattrocentesca, forse dello Squarcione, raffigurante la Vergine e il Bambin Gesù. Restaurata nel 1997 conserva dal tempo della beatificazione, il corpo di san Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova. L'altare sotto cui è esposto il santo corpo, è di Giorgio Massari, mentre la statua del santo è lavoro di Francesco Androsi. È arricchito dai busti bronzei dei quattro santi protettori di Padova opere dell'orafo Angelo Scarabello. La statua in marmo del Santo è di Francesco Andreosi. Dietro l'altare Crocifissione con sante Maddalena e Caterina, di Pietro Damini. La cappella è decorata a fresco da Giovanbattista Mingardi. Sul pavimento innanzi all'altare è sepolto il vescovo Sante Veronese. La cattedrale vantava la cappella musicale più antica del mondo, infaustamente abolita alla metà del Novecento. Istituita alla fine del XIII secolo, era organo dipendente dal capitolo dei Canonici, che designava il maestro di cappella e i musicisti. Il periodo d'oro della cappella fu quello tra XIII e XV secolo quando era guidata da compositori come Marchetto da Padova e Johannes Ciconia di cui restano importantissime testimonianze nel ricchissimo fondo musicale dell'epoca conservato nella biblioteca capitolare. Qualcuno ha ipotizzato che nell'ambito della cappella musicale della cattedrale di Padova sia nato l'uso dei cori spezzati, quello stile policorale pensato e sviluppato dall'allora maestro di cappella Rufino Bartolucci a cui si rifece Adrian Willaert. Dopo anni di oblio, grazie all'attività del maestro Alessio Randon, la cattedrale gode oggi di un servizio musicale stabile nella "Cappella Musicale della Cattedrale", ufficializzata nel 2015 dal vescovo Antonio Mattiazzo. Organista titolare è il maestro Alessandro Perin. Marchetto da Padova Johannes Ciconia Rufino Bartolucci Giordano Pasetto Costanzo Porta Ippolito Chamaterò Lelio Bertani Ludovico Balbi Baldassare Donato Bartolomeo Barbarino Amadio Freddi Giambattista Marinoni detto il Giove Giovanni Battista Mosto Giulio Cesare Martinengo Bartolomeo Favaretto Bertoldo Sperindio Stefano Landi Giacomo Rampini Gaetano Valeri Marco Antonio Suman Luigi Bottazzo Alcuni documenti del XIV secolo ricordano che nella cattedrale era presente un magna organa. Tra il 1457 e il 1459 il celebre organaro Bernardo d'Alemagna costruì, presso il coro, un nuovo organo che venne presto rifatto (1493) dal figlio Antonio Dilmani. Nel 1497 intervenne sullo strumento Leonardo di Salisburgo che lo ampliò con novum alium registrum. Nel 1648 il vecchio organo fu riportato nella nuova cattedrale - dopo un attento restauro affidato ad Ercole Valvassori e la costruzione di una nuova cassa ad opera di Bartolomeo Amighetti - e fu posto nel primo nichio del choro dalla parte della sagrestia dei canonici. Nel 1700 fu ampliata la cantoria, mentre nel 1707 lo strumento fu radicalmente restaurato da Michele Colberg. L'ultimo ampliamento, ad opera di don Giorgio Pinafo, fu autorizzato nel 1756. Nel febbraio del 1790 il capitolo decise di eliminare il vecchio organo e di far costruire due nuovi strumenti battenti, ai lati dell'altare maggiore. I lavori furono affidati a Gaetano Callido, mentre le cantorie furono progettate dall'architetto padovano Daniele Danieletti che realizzò due opere simmetriche sullo stile classico con decorazioni in stile rocaille. Alle casse si aggiunsero alcune statue allegoriche di Luigi Verona e a corona, monumentali stemmi episcopali del canonico Giovanni Battista Santonini, finanziatore dell'opera. Il 15 agosto 1791 furono inaugurati gli strumenti con la messa e i vespri cantati dalla cappella Antoniana. Callido installò un organo a due manuali con pedaliera in cornu epistulae e un organo corale ad un solo manuale senza pedaliera in cornu evangelii: gli strumenti furono subito giudicati inadeguati per la vastità dell'ambiente tanto che il Callido minacciò di ritirarli e già nel 1796 il Capitolo si affidò a Francesco Dacci per sottoporli ad un intervento migliorativo. Nel 1846 Angelo Agostini restaurò e ampliò entrambi gli strumenti. Dalla metà del XIX secolo Domenico Malvestio sostituì l'organo all'epistola con un nuovo organo meccanico a tre manuali con materiale del Callido e dell'Agostini su progetto di Oreste Ravanello. L'organo fu inaugurato l'11 giugno 1907, ma cadde presto in disuso, tanto che Malvestio posizionò un nuovo organo ai lati del coro. Nel 1922 per volere del vescovo Luigi Pellizzo fu liberata la cassa al Vangelo del piccolo strumento Callido/Malvestio che fu ceduto alla parrocchia di Faedis (Udine). Nel 1958 l'organo Malvestio posto al coro venne acquistato dalla parrocchia di San Luca di Tribano e sostituito con un nuovo strumento ad opera della ditta Tamburini (opus 400); fu elettrificato l'organo all'epistola e al vangelo, posta una nuova struttura. Le 5380 canne erano gestite da un'unica console a quattro manuali al presbiterio. Lo strumento a trasmissione elettrica era composto da 91 registri (63 reali). Quest'organo è rimasto in funzione sino al 1999. Su progetto di Francesco Finotti, a partire dalle ultime modifiche apportate da Tamburini, nel 2001 la ditta Zanin ha avviato un grande piano di riqualificazione del materiale esistente, la riorganizzazione delle canne all'interno delle casse storiche (con il recupero e la ricollocazione rigorosa dell'opera callidiana) e la dislocazione del materiale fonico estratto su due nuovi corpi posti a pavimento del presbiterio. Durante i lavori è stato costruito e posizionato nel transetto un organo suppletivo ad un manuale e pedaliera, tuttora esistente. Il nuovo grande organo della cattedrale è stato inaugurato e benedetto domenica 11 aprile 2010. La consolle monumentale, originale della ditta Tamburini, è dotata di quattro tastiere di 58 note ciascuna e pedaliera dritta di 32 note, è a trasmissione via radio e comanda 4968 canne: quelle relative ai manuali I, II e III e al pedale sono disposte nelle cantorie gemelle del presbiterio, mentre le canne del manuale IV si trovano all'interno delle nuove casse nel presbiterio. Nel transetto della cattedrale, si trova un secondo organo a canne semovibile. Questo è stato costruito nel 1999 da Francesco Zanin per sostituire l'organo maggiore in fase di restauro e, dopo il completamento di quest'ultimo, è rimasto con il preciso scopo dell'accompagnamento del coro. A trasmissione meccanica, ha un'unica tastiera di 54 note e una pedaliera retta di 30. Il battistero di Padova, ubicato a destra della cattedrale, risale al XII secolo, subì vari rimaneggiamenti nel secolo successivo, e venne consacrato dal Guido, patriarca di Grado (1281). È anche il mausoleo dei Carraresi. Gli affreschi con cui è decorato (1375-1376) sono considerati il capolavoro di Giusto de' Menabuoi. L'ingente patrimonio appartenente alla biblioteca Capitolare, un tempo conservato nei locali superiori alla sacrestia dei Canonici, è ora conservato presso appositi spazi nell'Episcopio. Si rimanda alla relativa voce per la relativa trattazione. Adiacente alla Sacrestia dei Canonici, è tuttora visibile al numero 28 di via Dietro Duomo la casa canonicale di Francesco Petrarca, nominato canonico della basilica nel 1349 per intercessione dell'amico Jacopo II da Carrara. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il poeta il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne una rendita annua di 200 ducati d'oro. Battistero di Padova Episcopio patavino Chiese di Padova Diocesi di Padova Parrocchie della diocesi di Padova Monumenti di Padova Museo diocesano di Padova Wikibooks contiene testi o manuali sulle disposizioni foniche degli organi a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul duomo di Padova L'organo corale (PDF), su francescofinotti.it. URL consultato il 27 gennaio 2012 (archiviato dall'url originale l'8 maggio 2006).

Specola di Padova
Specola di Padova

La Specola di Padova è la sede dell'Osservatorio Astronomico di Padova, una delle più importanti strutture di ricerca dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Nato come gabinetto universitario nel 1767, l'Osservatorio divenne ente giuridico autonomo nel 1923, per confluire infine nell'INAF nel 2001. La Specola fu realizzata trasformando e riadattando interamente la torre principale del Castelvecchio, la cosiddetta Torlonga. È alta 49,59 m (53,30 m con l'antenna parafulmine) per 252 gradini (dati dallo spaccato nord della torre Specola eseguito da Giovanni Silva nel 1911). La Torlonga era un'antica torre di difesa medievale edificata nel IX secolo d.C. Fu risistemata da Ezzelino III da Romano nel XIII secolo ed è legata alla fama di crudeltà di quest'ultimo: fu infatti prigione e sala di tortura per i nemici del tiranno, caduto il quale il castello fu abbandonato. Nella seconda metà del Trecento, i Carraresi, nuovi signori di Padova, edificarono il nuovo castello sui resti del preesistente, in parallelo al corso del Bacchiglione. In un'antica veduta della città di Padova è raffigurato colorato a quadri bianchi e rossi (Giusto de' Menabuoi nella Basilica di Sant'Antonio di Padova). Con la costruzione della cinta muraria cinquecentesca il castello e la torlonga persero la loro funzione militare e caddero in abbandono. Infatti, nel Settecento l'antica fortezza, in gran parte cadente, veniva chiamata "Castel Vecchio" e da tempo era stata destinata a magazzino di granaglie, di paglia, di fieno, deposito di armi e munizioni. Nel 1761 il senato veneziano decretò l'istituzione di un osservatorio astronomico per l'Università padovana. Il progetto fu voluto dall'abate Giuseppe Toaldo che assieme all'architetto Domenico Cerato di Vicenza utilizzò l'esistente torrione, aggiungendovi alla sommità la sala di accesso alle torrette d'osservazione. I lavori, condotti su progetto di Domenico Cerato, contemplavano la creazione di due osservatori distinti, ognuno adatto a svolgere una precisa funzione. Sulla sommità della torre sarebbe stato costruito l'osservatorio superiore, un ambiente ottagonale dotato di alte finestre per consentire, dall'interno della sala, l'osservazione del cielo a 360 gradi. Gli strumenti, tutti dotati di montatura con ruote, potevano infatti essere spostati nella terrazza circostante, più ampia verso sud perché l'orizzonte sud è la direzione privilegiata per le osservazioni astronomiche nell'emisfero boreale. A circa 16 m di altezza sarebbe stato costruito l'osservatorio inferiore, una sala progettata appositamente per eseguire le osservazioni al meridiano celeste. Qui infatti fu realizzata la linea meridiana, fondamentale per determinare l'istante esatto del mezzogiorno locale, e qui fu installato il grande quadrante murale che serviva per osservare il passaggio degli astri al meridiano celeste. A testimonianza della trasformazione della torre-prigione in un luogo dedicato agli studi astronomici fu incisa una lapide sopra la porta a pianterreno della torre quando i lavori furono ultimati nel 1777. Dal settembre 1772 all'agosto 1773 la sala ottagonale dell'osservatorio superiore venne affrescata dal pittore vicentino Giacomo Ciesa con soggetti di carattere astronomico ideati da Toaldo. Settecento, e fino ai primi anni dell'Ottocento, l'accesso alla Specola avveniva dall'attuale piazza Castello. Nel 1773, prima ancora che i lavori della Specola fossero finiti, Toaldo ottenne il permesso di collocare un parafulmine. Quello della Specola fu la prima installazione di un parafulmine installato su un edificio pubblico nella Repubblica di Venezia (l'invenzione era stata fatta da Benjamin Franklin nel 1750), una decisione presa con la consulenza del professore ginevrino Horace-Bénédict de Saussure, di passaggio per Padova. Nel 1777 la Specola di Padova venne infine completata come edificio, ma altrettanto non si poteva dire del corredo strumentario. L'acquisizione degli strumenti avvenne a varie riprese; nel 1779, dopo un viaggio per nave dall'Inghilterra a Venezia, poi in battello dalla città lagunare sino all'Osservatorio, arrivò un grande quadrante che venne fissato al muro appositamente predisposto e orientato con grande precisione lungo l'asse nord-sud all'interno della sala meridiana. Nel complesso il corredo strumentario della Specola, verso la fine del Settecento, era formato da quadranti, cannocchiali rifrattori, orologi a pendolo, e altri strumenti per la misura delle coordinate celesti come lo strumento dei passaggi e la macchina parallattica. Il 25 luglio 1806, Napoleone emanava il decreto con il quale veniva conservata l'Università di Padova, e con essa anche l'Osservatorio. Con l'entrata in guerra dell'Italia il 24 maggio 1915, Padova, dopo Udine, divenne la sede del Comando supremo delle forze armate: furono requisiti dal Comando generale gli apparati telegrafici in uso all'Osservatorio per il servizio dell'ora; nel 1916 fu requisita la torre per il servizio di avvistamento degli aerei nemici. Direttore della Specola era in quegli anni Antonio Maria Antoniazzi. I locali dell'Osservatorio furono riconsegnati all'università di Padova nel 1919. Con la costruzione della succursale di Asiago nel 1942 (Osservatorio astrofisico di Asiago) e il suo sviluppo negli anni successivi (Stazione osservativa di Asiago Cima Ekar), la torre della Specola non fu più usata per compiere osservazioni astronomiche. Alcuni locali furono invece trasformati per collocarvi la biblioteca antica e l'archivio. Nel 1994 l'Osservatorio di Padova, giuridicamente autonomo dal 1923, presentò domanda al Ministero delle finanze per poter acquisire un nuovo edificio, la cosiddetta Casa del Munizioniere del Castelvecchio, che era divenuta infermeria del carcere sotto il dominio austriaco. Nello stesso anno il consiglio direttivo deliberò l'istituzione della sezione museale dell'Osservatorio, con la denominazione di "Museo La Specola". L'acquisizione dei nuovi spazi, avvenuta qualche anno più tardi, permise poi all'Osservatorio di ampliare il percorso museale e di destinare interamente la torre a museo. Dal 1994, quindi, il Museo La Specola, conserva, restaura ed espone gli strumenti di osservazione utilizzati dagli astronomi padovani nel corso dei 250 anni della loro storia. Castello di Padova Mura di Padova Storia di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Osservatorio e museo "La Specola" INAF - Osservatorio Astronomico di Padova, su oapd.inaf.it. URL consultato il 16 giugno 2017 (archiviato dall'url originale il 26 marzo 2021). INAF-Osservatorio Astronomico di Padova, Museo La Specola, su beniculturali.inaf.it.