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Porta San Giovanni (Padova)

Mura e porte di PadovaPagine con mappe
Padova Porta San Giovanni 060906
Padova Porta San Giovanni 060906

Porta San Giovanni è una delle otto porte appartenenti alle mura di Padova, situata nella parte occidentale della città. È stata realizzata dall'architetto Giovanni Maria Falconetto nel 1528, in concomitanza di Porta Savonarola. La città di Padova, per la Repubblica di Venezia, rappresenta l'ultimo baluardo da fortificare per difendere il proprio territorio sulla terraferma. Per questo motivo, in seguito ai duri episodi avvenuti durante la Guerra di Cambrai (primi anni del 1500), Venezia dà avvio ad un'importante opera di fortificazione della città di Padova; questo progetto inizia a partire dalle mura in quanto era necessario un primo livello difensivo per salvaguardare la città. Nonostante l’architetto abbia dato normalmente molta importanza al fattore estetico, in questo progetto cercò di fondere l’estetica con la funzionalità. La porta subì diverse perdite nel corso della storia: un esempio è il leone marciano, realizzato in pietra d’Istria, che venne abbattuto durante le guerre napoleoniche. Nel XVIII secolo, per aumentare l’efficienza difensiva, Porta San Giovanni (insieme ad altre porte della cinta muraria) ha subito un intervento di aggiunta di un corpo di guardia a due piani sulla facciata esterna. Porta San Giovanni presenta una pianta a forma quadrangolare; le due facciate sono larghe 14m, entrambe rivestite in trachite e decorate con degli stemmi in pietra d'Istria. Una caratteristica di spicco di questa porta è che la facciata esterna non sporge rispetto alle mura bensì è in linea con esse; il motivo di questa scelta era di tipo funzionale in quanto, in questo modo, si evitavano attacchi alla struttura dai lati della porta. La facciata esterna presenta, sulla fascia inferiore, quattro semicolonne di ordine corinzio vitruviano con fusti realizzati in pietra trachitica e capitelli a più file di foglie lisce. Ai lati dell'apertura centrale sono collocate le porte pedonali decorate con lesene e un frontone triangolare: la porta più a Sud era attraversabile mentre l'altra aveva solo funzione decorativa. Inoltre, l'architrave sovrastante l'apertura centrale, presenta un'iscrizione che rimanda al periodo in cui è stata realizzata l'opera, ovvero sotto il rettorato di Sante Contarini. La fascia superiore presentava al centro il leone marciano, simbolo della Repubblica di Venezia, che fu abbattuto successivamente durante le guerre napoleoniche; sulla sinistra e sulla destra del leone centrale si trovano rispettivamente gli stemmi di Pandolfo Morosini (podestà del 1526) e di Sante Contarini (rettore del tempo) entrambi realizzati in pietra d'Istria. Il piano attico non è rivestito in trachite e presenta due feritoie all'estremità. La facciata interna presenta sulla fascia inferiore quattro lesene su un campo murario bugnato; nella fascia superiore, sulla destra ritroviamo lo stesso stemma del Contarini mentre, sul lato destro, si trova lo stemma di Maffeo Michiel (podestà del 1527). Il piano attico è equivalente a quello della facciata esterna. A differenza della pianta esterna, lo spazio interno è a pianta quadrata ed è coperto da una volta a crociera sorretta da pilastri angolari sporgenti. Grazie ad una porta posizionata al centro del fianco meridionale, si può raggiungere il piano più alto salendo la scala che attraversa lo spessore della muratura; nel pilastro posizionato a sud-ovest si apriva un varco che fungeva da tramite con l’ambiente esterno. Nella zona più a Sud a ridosso della porta, più precisamente all'interno della cortina muraria, è posizionata la casamatta per l'artiglieria. Gli ultimi restauri riportarono alla luce il camino, probabilmente aggiunto in seguito dal momento che questo non faceva parte del progetto originario. Nel XVIII secolo è stato aggiunto il ponte che permetteva di oltrepassare il fossato, sostituendo così l’originario ponte levatoio; il parapetto del ponte non si appoggia alla facciata della porta ma si ferma qualche metro, evitando di addossarsi alle basi delle colonne. Giuliana Mazzi, Adriano Verdi, Vittorio Dal Piaz, Le mura di Padova: percorso storico-architettonico, Padova, 2002 Ugo Fadini, Mura di Padova: guida al sistema bastionato rinascimentale, Vicenza, 2013 Lionello Puppi, Fulvio Zuliani, Padova: case e palazzi, Vicenza, 1977 Mura di Padova Giovanni Maria Falconetto Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta San Giovanni Sito dell'associazione "Comitato Mura di Padova", su muradipadova.it.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Porta San Giovanni (Padova) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Porta San Giovanni (Padova)
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Porta San Giovanni

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Padova Porta San Giovanni 060906
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Chiesa di San Prosdocimo (Padova)
Chiesa di San Prosdocimo (Padova)

Il Duomo dei militari San Prosdocimo è un edificio religioso di origine medievale che si affaccia su contrà di San Giovanni alle Navi, ora via San Prosdocimo, a Padova. L'edificio sacro faceva parte di un monastero di monache benedettine. Sconsacrato nel 1806 ed utilizzato come magazzino militare, è stato riconsacrato il 10 aprile 1990 dall'Ordinario militare S.Ecc. mons. Giovanni Marra e divenendo Duomo dei Militari San Prosdocimo. Per la parte infrastrutturale fa capo al Comando Forze Operative Nord ed è una chiesa dipendente dall'Ordinariato militare in Italia. La chiesa è retta dal cappellano militare dello stesso Comando. La chiesa e il vicino monastero - ancora esistente - sono legati alle vicende della Beata Eustochio Lucrezia Bellini, monaca benedettina vissuta nel monastero. Morta il 13 febbraio 1469, il suo corpo fu tumulato nella chiesa il 14 novembre 1475 e vi rimase fino all'11 settembre 1806, allorché venne traslato nella cappella di sinistra della chiesa di San Pietro. L'edificio religioso, già delle monache benedettine che ebbero di fianco illustre monastero, in seguito alle legislazioni napoleoniche divenne panificio e magazzino di proprietà militare. Nel 1990 dopo un attento recupero, è tornato ad essere chiesa parrocchiale dipendente dall'Ordinariato militare in Italia. Chiuso in seguito alle scosse di terremoto del 2012, dopo un attento lavoro di ripristino è stato ufficialmente riaperto dall'Ordinario Militare per l'Italia S.Ecc. mons. Santo Marcianò con solenne cerimonia il 5 novembre 2019, concelebranti l’Abate emerito Francesco Trolese della Basilica di santa Giustina e mons. Giuliano Zatti, Vicario Generale della Diocesi di Padova. L'altare, contenente le reliquie ex ossibus di sant'Antonio di Padova, di san Leopoldo Mandic, del beato Francesco Faà di Bruno, delle beate Rafaela Ybarra de Vilallonga e Marie-Léonie Paradis, è stato riconsacrato alla presenza di 25 concelebranti tra cui i cappellani militari del Veneto. Riguardano quelli della beata Eustochio Bellini e del beato padre Marco d'Aviano. Nel 1444 nel monastero di San Prosdocimo, dove non vigeva ancora la regola della clausura, nacque Lucrezia Bellini, da Giacomo Bellini e da Maddalena Cavalcabò, monaca del monastero. All'età di sette anni Lucrezia venne riportata nel convento dove, nel 1461, vestì l'abito benedettino con il nome di Eustochio (Giulia Eustochio fu Julia Eustachim, nata a Roma nel 368 d.C. e morta a Betlemme nel 418, discepola prediletta di San Girolamo). Giovane ed inesperta, priva di affetti, Eustochio seppe rimanere estranea ai mali che la circondavano; visse con singolare pazienza e rassegnazione la sua condizione di figlia illegittima e di 'monaca indemoniata', sopportando con serenità le vessazioni del maligno, i maltrattamenti delle monache e le accuse di stregoneria, il tutto accompagnato dall'esercizio di un'ascesi intensa, dalla pratica esemplare delle virtù teologali e cardinali, dalla piena osservanza dei voti religiosi, che la portarono ad annullarsi completamente in Dio ed a conquistarsi un posto di riguardo nel cuore dei padovani. Il 13 febbraio 1469 Eustochio morì, a soli 25 anni, in concetto di santità e venne sepolta nel convento. Subito dopo la sua morte si verificarono numerosi prodigi e segni miracolosi che contribuirono ad aumentare la fama di santità; uno dei più importanti fu il soave profumo che il suo corpo cominciò ad emanare, profumo che continuò a sentirsi nei pressi del sepolcro per molti anni. Il 16 novembre 1472, in occasione della ricognizione per la beatificazione ed il trasferimento della salma, il suo sepolcro fu aperto e si scoprì, davanti alle autorità, che il corpo, dopo oltre tre anni di sepoltura senza cassa, era rimasto incorrotto. Nella circostanza, il corpo venne rivestito con un nuovo abito monacale e deposto, in cassa, in un altro sepolcro da dove, il 14 novembre 1475, fu solennemente trasportato in Chiesa e tumulato in un'arca di marmo vicino all'altare con l'iscrizione "BEATAE EUSTOCHIO PADUANE" (alla Beata Eustochio Padovana). Nel frattempo, nel luogo della sua prima sepoltura, rimasto aperto, il 6 gennaio 1473 comparve una vena d'acqua limpida ed abbondante che fu ritenuta da tutti miracolosa, sia per il luogo sia perché la natura del terreno non presentava alcuna traccia di umidità, la cui presenza avrebbe invece comportato la corruzione del corpo di Eustochio. Quest'acqua prodigiosa guariva ogni infermità, purché nell'infermo non fossero mancate la fede e la disposizione che si richiede per ricevere la grazia. La tradizione popolare racconta che dall'abbondanza o dalla scarsità di quest'acqua si potevano prevedere periodi buoni o meno buoni per i raccolti o per gli avvenimenti storici della città di Padova, e che l'acqua cessò di sgorgare nel 1806, qualche tempo prima dello spostamento del corpo della Beata. Il culto per la Beata Eustochio fu riconosciuto ufficialmente da Papa Clemente XIII, nel 1760. L'8 settembre 1676 accadde, a San Prosdocimo, un miracolo del beato padre Marco d'Aviano, uno dei personaggi più importanti della storia religiosa e politica del Settecento. Nato ad Aviano il 17 novembre 1631, egli giunse a Padova all'inizio del 1676, assegnato al convento dei Cappuccini, ed il 15 agosto, per la festa dell'Assunzione, tenne a San Prosdocimo, nella chiesa del monastero, una predica tanto infiammata sulle glorie di Maria che tutti i fedeli ne furono incantati. Le monache, piene di entusiasmo, ne parlarono a suor Vincenza, una loro consorella che da tredici anni giaceva a letto paralizzata, la quale fu presa da un irrefrenabile desiderio di ascoltare quel Padre, così che la Madre Badessa si adoperò affinché nel convento dei Cappuccini fosse inviato nuovamente padre Marco, cosa che avvenne l'8 settembre per la festa della Natività di Maria Santissima. L'inferma, posta su di una barella, fu trasportata nella chiesa dove poté assistere alla predica; dopo il panegirico per la Natività di Maria, padre Marco, a consolazione dell'ammalata, recitò le litanie lauretane ed impartì la benedizione all'inferma la quale, prima del termine della stessa, esclamò a gran voce: "Sono guarita, sono guarita!". Lo stesso Padre rimase stupito e dopo essersi ripreso ordinò alla suora, indicandole la vicina scala: "Ora sali e poi scendi questa scala", cosa che lei fece con facilità. Campane a festa annunciarono il lieto evento agli stupefatti abitanti di Padova. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Prosdocimo Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Ordinariato militare in Italia

Chiesa di San Benedetto Novello
Chiesa di San Benedetto Novello

La chiesa di San Benedetto Novello è un edificio religioso di origine medievale che si erge verso Riviera San Benedetto, a Padova. Sorse con il contiguo cenobio per ospitare la comunità benedettina maschile fuoriuscita dal monastero "doppio" di San Benedetto Vecchio, anche se poi passò agli Olivetani. Oggi, chiesa e monastero titolato alla Visitazione di Santa Maria, appartengono ad una comunità di monache di clausura. La chiesa con il monastero (a priorato) furono principiati nel 1262 dalla comunità maschile fuoriuscita dal vicinissimo monastero benedettino "doppio" di San Benedetto (che era stato fondato dal beato Giordano Forzatè nel 1195) a causa dei contrasti di natura economica che sorsero con la comunità femminile. I monaci "albi" (così chiamati per la cocolla di colore chiaro che indossavano secondo le indicazioni del fondatore Giordano) dedicarono la chiesa a san Benedetto che fu definito "Novello" per distinguerlo da quello "Vecchio" che si trovava poco distante. La consacrazione avvenne il 6 marzo 1267, celebrata dal vescovo Giovanni Battista Forzatè. La decadenza del cenobio iniziò verso il XV secolo, tanto che fu in seguito ridotto a commenda. Nel 1441 papa Eugenio IV lo conferì al canonico Francesco del Legname che lo arricchì di beni, tra cui una cospicua biblioteca, e nel 1442 lo cedette agli Olivetani. Questi elevarono il priorato ad abbazia (il primo abate fu Ognibene Savonarola) e ricostruirono prima i chiostri (1504) sui progetti di Antonio e Giovanni Ferrarese e poi, nel 1567, per volere dell'abate Ippolito Calza, la chiesa abbaziale, che sorse su progetto di Francesco da Trevigi. Gli Olivetani ressero ed arricchirono l'abbazia sino al 1797 quando, con la caduta della Repubblica di Venezia, furono espulsi. Riammessi nel 1800 persero il monastero definitivamente nel 1810, quando finì alienato in seguito alle legislazioni ecclesiastiche napoleoniche. Per un periodo lo acquistò la famiglia Zugno che ne fece case ed abitazioni. La chiesa subì abbandono e demolizioni. L'intero complesso risorse verso la fine del Ottocento quando fu occupato da una comunità di monache di clausura. La chiesa venne ripristinata e riconsacrata nel 1894. Nella chiesa furono sepolti illustri personaggi: l'astronomo e matematico Geminiano Montanari, il "gran professore di sacri canoni" Sigismondo Brunello, il teologo Marco Negro vescovo della diocesi di Ossero (†1485). Il monastero ospitò nel 1457 Enea Silvio Piccolomini e per un breve periodo pure il poeta Torquato Tasso. Chiese di Padova Diocesi di Padova Ordine benedettino Olivetani Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa dell'ex Monastero della Visitazione

Palazzo Mussato

Palazzo Mussato è un edificio civile di Padova, sito nel centro storico della città. Il palazzo fu rifabbricato su preesistenze probabilmente medievali sulla strada di Concariola (edifici già citati nel 1685 da Giulio Mussato "casa dominicale in Padova di Concariola con l'altra casa e stalla dirimpetto") in seguito all'investitura della corona regia e del titolo di conte palatino dell'Alvise Mussato, avvenuta nel 1712 e mossa dall'imperatore Carlo VI. L'opera fu voluta dal marchese Vitaliano e poi compiuta dal figlio Galeazzo. Il progetto fu del conte Gerolamo Frigimelica. La costruzione coronò l'ascesa della famiglia che culminò con la seduta nel Maggior Consiglio di Giulio Antonio e il di lui matrimonio con Lucrezia, figlia di Sebastiano Giustiniani, avvenuto il 22 settembre 1778. Con la morte dell'ultimo erede Alvise nel 1849, la fastosa abitazione fu acquistata all'incanto dal comune di Padova per un "prezzo moderatissimo" di 36.600 lire austriache. La collezione dei Mussato (25 tele, tra cui 6 paesaggi di Giuseppe Zais e 70 gessi) fu portata al Palazzo Comunale ad opera di Andrea Gloria che ne fece uno dei fondi fondamentali per la formazione del futuro Museo Civico agli Eremitani. La struttura divenne caserma e poi sede distaccata di alcuni istituti cittadini per divenire nel 1940 Scuola Media Statale "Francesco Petrarca". Se all'esterno si mantenne uno stile austero e severo in linea con la tradizione patavina, all'interno la famiglia volle per il piano nobile decorazioni e rifiniture di primissimo livello, che andassero ad accogliere la collezione antiquaria e la quadreria. Gli affreschi furono probabilmente commissionati a Francesco Zugno e Giambattista Crosato, Giambattista Canal, Francesco Zanchi. Ne risultò una delle più compiute testimonianze dell'arte abitativa patrizia a Padova nel Settecento. La famiglia Mussato era nota per il vizio del giuoco d'azzardo, tanto che fecero porre sulla facciata interna del palazzo una lapide, ancora presente, che ammoniva i famigli al trattenersi dal giocare d'azzardo, con la pena dell'esclusione dall'eredità. Paola Piatta Cingano Ca' Mussato: da nobile dimora a sede scolastica in "Padova e il suo territorio" Aprile 1997

Chiesa di Sant'Anna (Padova)
Chiesa di Sant'Anna (Padova)

La chiesa di Sant'Anna è un edificio di origine medievale che fu luogo di culto sino alla fine del XIX secolo. Si affaccia su contrà sant'Anna ora via Sperone Speroni a Padova. Fu la chiesa del vicino monastero delle monache benedettine ora sede dell'istituto tecnico "Belzoni-Boaga". La chiesa è menzionata in documenti del XII e XIII secolo. Fu poi ricostruita nel 1303 da un certo Compagnino per conto di alcune monache domenicane che vi costruirono accanto un monastero con chiostro. Alle domenicane subentrò nel 1459 una nutrita comunità di monache benedettine che la ressero sino agli inizi dell'Ottocento quando, a causa delle leggi ecclesiastiche napoleoniche, il monastero fu requisito. Le monache furono spostate a San Benedetto Novello e le strutture convertite in casa di ricovero. La chiesa di Sant'Anna fu officiata ancora per un qualche tempo, poi finì suddivisa in aule per accogliere l'istituto tecnico "Belzoni-Boaga" che ancora oggi vi insiste. Nella chiesa era sepolto il giovane artista padovano Luigi Benetello, morto a ventun'anni, nel 1555. La chiesa si innalza sull'angolo tra via Sperone Speroni e via Santa Rosa. La facciata, rivolta a settentrione, ancora ben individuabile: si innalza su un portico aperto da tre fornici retti da pilastri e colonne: sopra un timpano è marcato da una leggera modanatura. La fiancata lungo via Santa Rosa è alterata dalle numerose aperture aperte dopo la chiusura al culto della chiesa. A ponente si affiancano ancora le strutture del monastero col bel chiostro quattrocentesco. Sino agli inizi del Novecento si innalzava ancora il campanile. L'interno, ora stravolto, era ampio 15 metri in lunghezza e largo 9: sull'altare maggiore vi era la pala di Domenico Campagnola La Vergine col Bambino, sant'Anna e san Pietro apostolo ed altri santi ai lati Nascita della Vergine e Presentazione al Tempio di Guy Louis II Vernansal. Nella sacrestia stava un quadretto raffigurante san Gerolamo che nel settecento attribuivano ad Albrecht Dürer e una tela di Giovanni Battista Bissoni L'angelo addita a Cristo un fanciullo. All'ingresso sono ancora visibili le colonne marmoree e le volte che sostenevano il coro pensile della monache "il barco" che nel 1866 fu occupato un organo di Angelo Agostini che finì nel 1886 (forse in occasione della chiusura al culto della chiesa) nella parrocchiale di Lozzo di Cadore. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova 1780 Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori Giuseppe Toffanin, Cento chiese padovane scomparse, Editoriale Programma AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Anna

Specola di Padova
Specola di Padova

La Specola di Padova è la sede dell'Osservatorio Astronomico di Padova, una delle più importanti strutture di ricerca dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Nato come gabinetto universitario nel 1767, l'Osservatorio divenne ente giuridico autonomo nel 1923, per confluire infine nell'INAF nel 2001. La Specola fu realizzata trasformando e riadattando interamente la torre principale del Castelvecchio, la cosiddetta Torlonga. È alta 49,59 m (53,30 m con l'antenna parafulmine) per 252 gradini (dati dallo spaccato nord della torre Specola eseguito da Giovanni Silva nel 1911). La Torlonga era un'antica torre di difesa medievale edificata nel IX secolo d.C. Fu risistemata da Ezzelino III da Romano nel XIII secolo ed è legata alla fama di crudeltà di quest'ultimo: fu infatti prigione e sala di tortura per i nemici del tiranno, caduto il quale il castello fu abbandonato. Nella seconda metà del Trecento, i Carraresi, nuovi signori di Padova, edificarono il nuovo castello sui resti del preesistente, in parallelo al corso del Bacchiglione. In un'antica veduta della città di Padova è raffigurato colorato a quadri bianchi e rossi (Giusto de' Menabuoi nella Basilica di Sant'Antonio di Padova). Con la costruzione della cinta muraria cinquecentesca il castello e la torlonga persero la loro funzione militare e caddero in abbandono. Infatti, nel Settecento l'antica fortezza, in gran parte cadente, veniva chiamata "Castel Vecchio" e da tempo era stata destinata a magazzino di granaglie, di paglia, di fieno, deposito di armi e munizioni. Nel 1761 il senato veneziano decretò l'istituzione di un osservatorio astronomico per l'Università padovana. Il progetto fu voluto dall'abate Giuseppe Toaldo che assieme all'architetto Domenico Cerato di Vicenza utilizzò l'esistente torrione, aggiungendovi alla sommità la sala di accesso alle torrette d'osservazione. I lavori, condotti su progetto di Domenico Cerato, contemplavano la creazione di due osservatori distinti, ognuno adatto a svolgere una precisa funzione. Sulla sommità della torre sarebbe stato costruito l'osservatorio superiore, un ambiente ottagonale dotato di alte finestre per consentire, dall'interno della sala, l'osservazione del cielo a 360 gradi. Gli strumenti, tutti dotati di montatura con ruote, potevano infatti essere spostati nella terrazza circostante, più ampia verso sud perché l'orizzonte sud è la direzione privilegiata per le osservazioni astronomiche nell'emisfero boreale. A circa 16 m di altezza sarebbe stato costruito l'osservatorio inferiore, una sala progettata appositamente per eseguire le osservazioni al meridiano celeste. Qui infatti fu realizzata la linea meridiana, fondamentale per determinare l'istante esatto del mezzogiorno locale, e qui fu installato il grande quadrante murale che serviva per osservare il passaggio degli astri al meridiano celeste. A testimonianza della trasformazione della torre-prigione in un luogo dedicato agli studi astronomici fu incisa una lapide sopra la porta a pianterreno della torre quando i lavori furono ultimati nel 1777. Dal settembre 1772 all'agosto 1773 la sala ottagonale dell'osservatorio superiore venne affrescata dal pittore vicentino Giacomo Ciesa con soggetti di carattere astronomico ideati da Toaldo. Settecento, e fino ai primi anni dell'Ottocento, l'accesso alla Specola avveniva dall'attuale piazza Castello. Nel 1773, prima ancora che i lavori della Specola fossero finiti, Toaldo ottenne il permesso di collocare un parafulmine. Quello della Specola fu la prima installazione di un parafulmine installato su un edificio pubblico nella Repubblica di Venezia (l'invenzione era stata fatta da Benjamin Franklin nel 1750), una decisione presa con la consulenza del professore ginevrino Horace-Bénédict de Saussure, di passaggio per Padova. Nel 1777 la Specola di Padova venne infine completata come edificio, ma altrettanto non si poteva dire del corredo strumentario. L'acquisizione degli strumenti avvenne a varie riprese; nel 1779, dopo un viaggio per nave dall'Inghilterra a Venezia, poi in battello dalla città lagunare sino all'Osservatorio, arrivò un grande quadrante che venne fissato al muro appositamente predisposto e orientato con grande precisione lungo l'asse nord-sud all'interno della sala meridiana. Nel complesso il corredo strumentario della Specola, verso la fine del Settecento, era formato da quadranti, cannocchiali rifrattori, orologi a pendolo, e altri strumenti per la misura delle coordinate celesti come lo strumento dei passaggi e la macchina parallattica. Il 25 luglio 1806, Napoleone emanava il decreto con il quale veniva conservata l'Università di Padova, e con essa anche l'Osservatorio. Con l'entrata in guerra dell'Italia il 24 maggio 1915, Padova, dopo Udine, divenne la sede del Comando supremo delle forze armate: furono requisiti dal Comando generale gli apparati telegrafici in uso all'Osservatorio per il servizio dell'ora; nel 1916 fu requisita la torre per il servizio di avvistamento degli aerei nemici. Direttore della Specola era in quegli anni Antonio Maria Antoniazzi. I locali dell'Osservatorio furono riconsegnati all'università di Padova nel 1919. Con la costruzione della succursale di Asiago nel 1942 (Osservatorio astrofisico di Asiago) e il suo sviluppo negli anni successivi (Stazione osservativa di Asiago Cima Ekar), la torre della Specola non fu più usata per compiere osservazioni astronomiche. Alcuni locali furono invece trasformati per collocarvi la biblioteca antica e l'archivio. Nel 1994 l'Osservatorio di Padova, giuridicamente autonomo dal 1923, presentò domanda al Ministero delle finanze per poter acquisire un nuovo edificio, la cosiddetta Casa del Munizioniere del Castelvecchio, che era divenuta infermeria del carcere sotto il dominio austriaco. Nello stesso anno il consiglio direttivo deliberò l'istituzione della sezione museale dell'Osservatorio, con la denominazione di "Museo La Specola". L'acquisizione dei nuovi spazi, avvenuta qualche anno più tardi, permise poi all'Osservatorio di ampliare il percorso museale e di destinare interamente la torre a museo. Dal 1994, quindi, il Museo La Specola, conserva, restaura ed espone gli strumenti di osservazione utilizzati dagli astronomi padovani nel corso dei 250 anni della loro storia. Castello di Padova Mura di Padova Storia di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Osservatorio e museo "La Specola" INAF - Osservatorio Astronomico di Padova, su oapd.inaf.it. URL consultato il 16 giugno 2017 (archiviato dall'url originale il 26 marzo 2021). INAF-Osservatorio Astronomico di Padova, Museo La Specola, su beniculturali.inaf.it.

Chiesa di San Benedetto Vecchio
Chiesa di San Benedetto Vecchio

La chiesa di San Benedetto abate chiamata da secoli chiesa di San Benedetto Vecchio (per non confonderla con la vicina chiesa di San Benedetto Novello) è un edificio di origine medievale che si affaccia su Riviera San Benedetto, verso il Bacchiglione, a Padova. L'edificio sorse con l'annesso monastero benedettino per volere del beato Girolamo Forzatè. Come narra il Portenari, la chiesa di San Benedetto sarebbe sorta per volere di Girolamo Forzatè nel 1195 con il monastero benedettino "in distinti claustri e domicilij pose monaci e monache, e lo governò santamente con titolo di Priore per alquanti anni" (A. Portenari, 1623, pag. 471) e a confermare la data di fondazione si aggiungono gli Annales Patavini e i Libri Regiminum Padue. Alcuni documenti ricordano che il monastero fu fondato in prossimità di un ospitales. Il monastero doppio, con comunità femminile guidata da una badessa e quella maschile capeggiata dal priore, in seguito alla morte del fondatore (1248) fu destinato alle sole monache, mentre i monaci costruirono poco distante una nuova sede con chiesa, San Benedetto Novello (1262). Ricordano le fonti che la chiesa, consacrata il 31 agosto 1222, originariamente si poneva al centro del monastero, a divisione della parte maschile e femminile. Dopo la scissione, il monastero fiorì ampiamente, tanto che tra il 1356 e il 1397 vi fu badessa Anna Buzzaccarini, cognata del Principe di Padova Francesco il Vecchio che fece adornare le strutture riccamente, a proprie spese. Dopo Anna, seguì la figura di Orsola Buzzaccarini che donò la chiesa e il monastero di Sant'Orsola (1402) ai Francescani dell'Osservanza mentre, alcuni decenni dopo, vi giunse una giovane educanda, Caterina Cornaro, dove ricette educazione sino all'età di quattordici anni. La chiesa rimase inalterata sino al 1612 quando la badessa Aurora da Camposampiero promosse lavori di adeguamento, probabilmente a seguito delle riforme liturgiche del Concilio di Trento. Si cambiò l'orientamento e la facciata, prima posta verso ponente, fu rivolta verso levante dove originariamente era posto il presbiterio. Il Portenari ricorda che attorno al 1620 fu "ridotta in bellissima forma, e vagamente ornata". Il 3 luglio 1628 il cardinale Pietro Valier in visita pastorale la trova "bene tecta, ampla et alba". Nei decenni seguenti la costruzione fu arricchita e adornata di nuove opere ed altari. Con le legislazioni ecclesiastiche napoleoniche del 1810 il monastero benedettino fu soppresso e trasformato in caserma d'artiglieria mentre la chiesa assunse il titolo di parrocchiale, assorbendo quello della chiesa di San Leonardo. Agli inizi del XX secolo l'edificio subì numerosi interventi di restauro, ma l'11 marzo 1944 fu colpito dalle bombe alleate che devastarono la struttura e distrussero numerose opere d'arte, tra cui il ciclo delle storie dell'Apocalisse di Giusto de' Menabuoi. Nel primo dopoguerra si avviarono i restauri che favorirono il recupero dell'aspetto romanico. Oggi in continuità con i decreti napoleonici la chiesa è parrocchiale affidata al clero secolare della diocesi di Padova. Accanto alla chiesa si erge la caserma "Prandina" che insiste su quello che era il monastero delle benedettine. Nella chiesa è sepolta Giustiniana Wynne. La facciata, che è preceduta da un ampio sagrato alberato (anticamente era pavimentato), si erge verso levante. L'aspetto attuale si deve ai lavori attuati nel XVII secolo, sulla parete occupata sino al XVI secolo dall'abside della chiesa. È di ordine composito e rispetta i raffinati stilemi manieristici in voga in città sin dalla seconda metà del cinquecento ricollegandosi ai lavori di Dario Varotari. Si eleva su due registri, tutti ritmati da sottili paraste terminate da raffinati capitelli tuscanici (in basso) e ionici. Sopra, un attico coronato da statue sulla quale, al centro, poggia un timpano. Si apre un unico portale timpanato e ai lati, due nicchie e due finestre, come in alto, dove campeggiano quattro aperture quadrangolari. Al centro del timpano è posto un altorilievo raffigurante il Padre Eterno, che si collega con il sottostante San Benedetto in gloria, sempre ad altorilievo. Nel dipinto del Padovanino che ritrae il beato Forzatè, posto all'interno della chiesa, è ritratto l'edificio prima dei lavori di costruzione della facciata. Sulla sinistra, rispetto alla facciata, si apre un vicolo che permette la visione della fiancata romanica della chiesa, aperta da monofore e ritmata da archetti pensili. Sul retro, anche se occultata da edifici e dal campanile, è possibile scorgere la vecchia facciata romanica della chiesa, ingentilita da bifore e da arcatelle ceche. L'attuale aspetto slanciato, aperto da quattro monofore e tamburo coperto da cupolino a cipolla è settecentesco, ma si eleva sulla canna del campanile medievale, già coperto da una cuspide conica e aperto da bifore. Varcata la porta d'ingresso, si accede ad suggestivo interno suddiviso in tre navi, convergente verso il monumentale altare maggiore. Dopo i lavori di restauro post-bellici, predomina il caldo colore del cotto, ritmato dalla arcate a tutto sesto sostenute da pilastri e da arcatelle ceche romaniche decorate dalle cromie dello stemma della città di Padova che pure si ritrova ritmicamente raffigurato a fresco lungo le pareti. La navata centrale è coperta a capriate lignee, mentre le navate laterali sono voltate a crociera. La grandiosa macchina barocca dell'altar maggiore, opera (1663) di Girolamo Galeazzo Veri, poggia sulla vecchia controfacciata romanica. La quasi quinta architettonica, elaborata sulle cromie marmoree del bianco e del nero è ingentilita da sette statue di santi benedettini e padovani di Tommaso Allio e dalla grande pala di Alessandro Maganza raffigurante La Trasfigurazione. Notevolissimo il tabernacolo, coronato da una elegante turba angelica. In alto, sulle pareti dove sono state portate alla luce le arcate romaniche tamponate sono posti tre teleri tra cui Mosè che fa scaturire le acque di Alessandro Varotari (donata nel settecento dal conte Girolamo Dotto) e Gesù Cristo con Apostoli dispensa il pane alle turbe affamate di Francesco Minorello. Sopra agli stalli lignei che percorrono le pareti sono poste quattordici statue gotiche in terracotta che forse già decoravano il pontile della chiesa, atterrato nel seicento. Sulla cappella accanto al presbiterio, decorata a fresco nel settecento, è posta la bella pala di Domenico Robusti raffigurante Gesù Cristo in aria, san Pietro che detta lo evangelio a san Marco, e più sotto i santi Girolamo, Domenico e Tecla opera commissionata dal patrizio Marco Querini. Un tempo la cappella era riservata alle monache, che seguivano la messa dalla larga grata che si affaccia sull'altare. Sull'altare lungo la navata è posto, rivestito delle insegne pontificali, il corpo incorrotto del beato Giordano Forzatè, sovrastato da una pala che lo raffigura mentre traccia sul terreno la pianta del monastero, opera di Alessandro Varotari. Sui tre altari barocchi posti lungo la navata laterale, sono collocate interessanti opere, di Pietro Damini la pala raffigurante il Transito di san Benedetto, di Luca da Reggio quella raffigurante la Vergine di Loreto sopra sant'Elena Imperatrice (proveniente dalla demolita chiesa di San Leonardo) e un San Gerolamo della cerchia di Giulio Campagnola. Il fonte battesimale, accanto all'ingresso, sembra poggiare sopra un'ara sacrificale di età romana. Sopra, una piccola tela secentesca raffigura il battesimo di Cristo. Accanto alla porta di ingresso resti di affreschi del XIII secolo tra cui una rara deposizione. Le visite pastorali effettuate tra il XVII e XVIII secolo danno la possibilità di delineare l'andamento liturgico-musicale della chiesa di quei tempi in modo abbastanza esauriente: alle monache era possibile seguire le funzioni solo dalla cappella con grata verso il presbiterio (la cappella della navata destra) oppure cantare dalla cantoria posta in controfacciata, nascoste da tende. Nel 1657 il vescovo notò alcuni accesi scontri all'interno della comunità composta da 46 religiose, diverbi provocati da alcune monache (Speronella Speroni e Faustina Stefani) irrequiete "di fronte al dovere cantare e suonare l'organo". Più lapidario fu il vescovo Giorgio Cornaro nel 1717, dove decretò che il canto fosse "canto fermo, monastico e divoto per lodare Dio non per vanità e compiacenza, con perdita di merito e forse con aggravio di demerito" e proibì quindi "ogni sorta di canto figurato, ogni strumento musicale in coro eccetto l'organo e la spinetta, per il tuono delle voci" riservandosi il compito di nominare il maestro di musica delle monache. Dall'opera Arte Organaria di Costanzo Antegnati sappiamo che nella chiesa di San Benedetto Vecchio si trovava uno strumento di Giovan Battista Antegnati, costruito tra il 1536 e il 1539, organo di cui non permangono altre sostanziose documentazioni. Solo in un contratto del 1899 si ritorna a parlare distintamente dell'organo, quando i Fabbricieri stipularono accordi con i Malvestio per il restauro di un organo, di cui non si conoscono le caratteristiche, già presente in cantoria. Costruito negli anni cinquanta del XX secolo dalla ditta organaria Fabbrica Organi Ruffatti, l'attuale organo trova posto sulla cantoria in controfacciata e sostituisce un precedente strumento Ruffatti, distrutto dal bombardamento del 1944. Lo strumento, a trasmissione integralmente elettrica, è costituito da un unico corpo, con cassa limitata al basamento e mostra formata da canne di principale disposte a palizzata. La sua consolle dispone di due tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32, con i comandi dei registri, delle unioni e degli accoppiamenti a placchetta. Al centro del chiostro che si innalzava accanto alla navata destra della chiesa cresceva il corniolo nato, secondo le cronache, dal bastone che il beato Giordano Forzatè utilizzò per tracciare sul terreno le dimensioni del monastero. La pianta dai poteri miracolosi, era tanto portentosa che i suoi frutti erano dispensati ai febbricitanti e quando doveva morire una delle monache o un componente della casa Capodilista (discendenti dal beato fondatore) un ramo di questa si seccava. Dopo la soppressione del monastero il corniolo fu sradicato e trasportato sino in contrà San Daniele e piantato nel giardino di Palazzo Capodilista dove ancora sopravvive rigoglioso con i suoi presunti ottocento e più anni. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova MDCCLXXX Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Ordine di San Benedetto Beato Giordano Forzatè Wikibooks contiene testi o manuali su disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di San Benedetto Vecchio La chiesa, su portedilo.it. L'organo a canne, su flickr.com. Immagine aerea della chiesa con l'antica facciata romanica (JPG), su sinemodo.it. URL consultato il 1º settembre 2012 (archiviato dall'url originale il 5 marzo 2016).

Chiesa di San Pietro Apostolo (Padova)
Chiesa di San Pietro Apostolo (Padova)

La chiesa di San Pietro Apostolo è un edificio religioso che si affaccia su contrà San Pietro ora via San Pietro a Padova. La chiesa già esisteva nel IV secolo, anche se subì una ricostruzione alla fine dell'XI secolo. Sino al 1809 fu parrocchia e chiesa delle monache benedettine che avevano il titolo di canonichesse a rispetto di un regio privilegio del IX secolo. Ludovico II il 22 aprile 866 la univa all'episcopio patavino. La chiesa è uno straordinario complesso in cui si sovrappongono fenomeni edilizi e decorativi che spaziano dal medioevo al neogotico. Oggi è rettoria assoggetta alla Cattedrale. La chiesa sorse come cappella di un complesso palatino sede del fisco imperiale di età tardo antica, forse già alla fine del IV secolo. La cappella divenne in seguito abbazia che venne però distrutta dalle incursioni ungare dell'899-900. L'abbazia aveva giurisdizione regia, e si fregiava del titolo di canonica che Ludovico II unì alla cura episcopale patavina. Non a caso, dopo la ricostruzione, attuata prima del 1026, il vescovo Orso vi instaurò un monastero di monache benedettine che ebbero il titolo di "canonichesse", e per un periodo anche il benefizio della chiesa di San Nicolò. La vecchia chiesa, a tre navate, con campanile, nel XIV secolo fu ampliata e abbellita, così pure nel 1480 quando, per volere della abbadessa Angela degli Alvarotti, fu restaurata e dotata di una facciata rinascimentale che permetteva l'apertura di un ampio coro collegato col vicino monastero. Nelle visite pastorali i vescovi Pietro Barozzi e Francesco Pisani sottolineavano l'adeguatezza della chiesa, anche se bisognosa di interventi. Fu forse in questo periodo che la chiesa venne ridotta a navata unica, rendendo le navate laterali cappelle indipendenti. Anche la badessa Drusilla Forzadura si occupò di alcuni interventi, tra cui, nel 1652, la costruzione di un nuovo altare maggiore grazie al denaro donato dal giurista Giovanni Cefali. L'ultimo sostanziale intervento architettonico fu l'impresa compiuta nel 1765, quando una parte della vecchia navata destra fu occupata da una perfetta ricostruzione della santa casa di Loreto. Dopo le legislazioni napoleoniche del 1809, le monache di San Pietro restarono in sito ancora per qualche decennio, e accolsero pure le fuoriuscite dal monastero di San Prosdocimo, che portarono la salma della Beata Eustochio. Tra Ottocento e Novecento l'Arciprete della Cattedrale Vincenzo Scarpa intervenne pesantemente, ricostruendo altari e promuovendo interventi di abbellimento in stile neogotico. Oggi, la chiesa, retta dall'Arciprete della Cattedrale di cui è chiesa assoggetta, attende importanti lavori di consolidamento e restauro. La presenza delle reliquie della Beata Eustochio attirano fedeli e pellegrini. La chiesa, orientata a levante, si innalza su via San Pietro: la facciata, retta su quattro snelle arcate che aprono un portico, mossa da paraste (terminanti in capitelli in stile lombardesco) e ingentilita da una bifora quattrocentesca è in puro stile rinascimentale; forse un tempo era impreziosita da affreschi e quadrature a falso marmo. Sotto il portico, coperto da volta a crociera, il portale maggiore, quattrocentesco e pure lombardesco. A sinistra, si sussegue quello che era il monastero delle benedettine, tutte struttura pesantemente alterata nello scorso secolo, mentre a sinistra sporge la navata destra, dove spicca un tamponato portale trecentesco e i conci di riporto di cui è costituita l'antica muratura che prosegue anche sulla fiancata, che è aperta da finestre quadrangolari gotiche e da un altro portale quattrocentesco. Si collega in continuità la casa canonica, di origine medievale, come testimonia il rarissimo capitello votivo trecentesco coperto da ghimberga sorretta da mensole a protezione di un affresco raffigurante la Crocifissione, forse seicentesco. Pure la vicina porta è del XIV secolo. Spicca poi il campanile, forse il più antico della città, la cui parte inferiore sembrerebbe databile al X secolo, mentre la cella aperta da monofore e oculi e coperta da una elegante copertura in rame, risale forse alla fine del Cinquecento. L'abside, non visibile, mostra il suo aspetto gotico del XIV-XV secolo. L'interno presenta numerose opere d'arte. La navata centrale, coperta da volte ad ombrello quattrocentesche, presenta quattro altari neoclassici, risalenti all'inizio dell'Ottocento. Sul primo altare a sinistra, è ospitata la splendida tela di Jacopo Palma il Giovane raffigurante La conversione di San Paolo. La Veneta Repubblica istituì nel 1734 il gioco del Lotto e questo divenne di moda anche tra gli ecclesiastici e le monache. Nell'estrazione del 21 gennaio 1745 essendo usciti numeri 1-2-3-12-90, le monache benedettine di San Pietro fecero una così grossa vincita che dovettero mandar a prendere i denari con una carriola. Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Chiesa di San Pietro Apostolo, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Castelvecchio (Padova)
Castelvecchio (Padova)

Il Castelvecchio, anticamente definito Castello della Torlonga ma oggi conosciuto anche come Castello di Ezzelino, o Castello Carrarese o ancora Castello di Padova, è una fortificazione di origine altomedievale posta sulla biforcazione del Bacchiglione dove si divide in Tronco Maestro e Naviglio interno. Deve le attuali caratteristiche alla signoria dei Da Carrara. Durante il XIX secolo e il XX secolo venne in gran parte utilizzato come prigione statale mentre il mastio, la Torlonga, è dal XVIII secolo la Specola cittadina. La fortezza un tempo era chiamata Castello della Torlonga. Assunse il nome di Castelvecchio quando si iniziò a costruire il Castelnuovo dopo il 1513. In età romantica fu chiamato Castello di Ezzelino per il fascino sinistro evocato dal tiranno. Oggi, con la riscoperta culturale della signoria dei Da Carrara, è frequentemente definito Castello Carrarese. L'area antistante l'edificio è Piazza Castello: in età veneziana fu luogo di esercitazioni militari e di esecuzioni capitali. La struttura del castello attuale è l'evoluzione di un sistema difensivo di origine altomedievale che aveva nella Torlonga (la torre-longa) il suo fulcro: costruita nel IX secolo nella strategica area in cui il Bacchiglione andava dividendosi (punto già occupato da fortificazioni di età romana) fu citata per la prima volta nel 1062. La torre, tra il X secolo ed il XI secolo, fu circondata da una breve muraglia che la proteggeva verso la città. Questo mastio fu poi inglobato alla cinta muraria di età comunale; lì vicino, verso ponente, si aprì una porta urbica. Rimangono invece tracce del castello fatto costruire da Ezzelino III da Romano, tiranno della città dal 1237 al 1256: la più notevole è la Torlonga, la maggiore delle due torri del castello. Il Castello fungeva da perno difensivo della cinta muraria duecentesca. Il 1237 è l’anno in cui iniziano i lavori di costruzione del Castello. Per edificare la grande fortezza nei pressi di San Tomaso, occorrevano decine di migliaia di mattoni, ma la produttività delle fornaci del tempo era assai limitata. Di conseguenza furono utilizzati materiali provenienti dalla demolizione di imponenti e belle case patrizie delle famiglie che si inimicarono Ezzelino III. Privata di ben dieci edifici per questo scopo, Padova rimase deturpata. Ma ben presto si capì che il Castello non era destinato solo allo scopo difensivo. A partire dal 1241, Ezzelino pianificò la repressione dell’opposizione guelfa e così iniziò a segregare i prigionieri nei sotterranei del nuovo Castello. Più che prigioni queste furono “tombe per i vivi”. Anche le due torri del castello vennero progettate come orribili prigioni dove i padovani erano destinati a morire di fame. Vennero chiamate Zilie perché il loro architetto fu Zilio Milanese, anch’esso poi prigioniero lì dentro. Una torre guardava la città e l’altra la campagna. Quest’ultima esiste tuttora ed è l’attuale Specola. Nel 1256 i crociati entrarono a Padova per volere di Papa Alessandro IV e occuparono la città. Il Castello resistette per tre giorni, dopodiché fu dichiarata la fine del breve periodo di tirannia di Ezzelino III da Romano. Caduto il tiranno, le fortificazioni furono abbandonate fino alla signoria dei Carraresi. Nel 1374, questi fecero ricostruire il castello includendo le due torri che dipinsero a scacchi bianchi e rossi. Il Castello venne collegato alla Reggia Carrarese dal “traghetto”, un passaggio sopraelevato che aveva la funzione di collegare i centri del potere politico e militare. Questa via di fuga poteva essere utilizzata solo dai provisionati e dal Principe e venne fatta costruire da Umbertino da Carrara negli anni compresi fra il 1343 e il 1345 (anno della sua morte). Francesco I da Carrara detto Il Vecchio fu signore di Padova quando venne ricostruito il castello e, infatti, governò dal 1350 al 1388, promuovendo una politica di espansione. Con la costruzione delle mura rinascimentali ad opera di Bartolomeo d'Alviano il valore strategico del castello fu ridotto a zero. La Repubblica di Venezia vagheggiò anche la costruzione di un Castelnovo sul versante est delle mura, ma di questo progetto rimangono solo alcuni bastioni. Nel 1777 fu ultimata la trasformazione della Torlonga in Specola per le osservazioni astronomiche. I resti del castello ebbero successivamente usi diversi (osservatorio astronomico, prigione, ecc.). In particolare il castello ha avuto funzione di prigione fino al secondo dopoguerra. L'Amministrazione carceraria padovana ha tuttora alcuni uffici in Piazza Castello. Mura di Padova Specola di Padova Storia di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Castelvecchio Sito sul restauro del Castello Carrarese, su castellocarrarese.it. URL consultato il 10 settembre 2007 (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2007). Il castello di Padova, su muradipadova.it, Comitato Mura di Padova (archiviato dall'url originale il 13 novembre 2017).