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PalaChiarbola

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Trieste palasport Chiarbola
Trieste palasport Chiarbola

Il Palazzo dello Sport Giorgio Calza o PalaChiarbola è un impianto sportivo coperto italiano di Trieste. Fu per vent'anni il primo e l'unico palazzo dello sport cittadino, tra il 1970, anno di inaugurazione, e i primi anni novanta; è intitolato a Giorgio Calza, lottatore triestino, e prende il nome originale dal rione cittadino di Chiarbola. Adatto a tutte le discipline che si praticano al chiuso, è stato l'impianto casalingo delle squadre triestine di pallacanestro e di hockey su pista. Oggi è utilizzato prevalentemente per il gioco della pallamano. Ha una capienza di poco superiore ai 2000 posti a sedere, suddivisi tra una tribuna e due curve. Dispone anche di una palestra secondaria di misure regolamentari, nonché di tre palestrine dedicate al pugilato e alle discipline dell'atletica pesante. Il PalaChiarbola è stato testimone dell'unica volta nella lunga carriera di Michael Jordan in cui il campione di basket statunitense mandò in frantumi il tabellone del canestro con una schiacciata; accadde il 26 agosto 1985 in un incontro promozionale organizzato dalla Nike, tra la Stefanel Trieste e la Juve Caserta, dove Jordan, in maglia triestina, segnò 41 punti e condusse la squadra alla vittoria per 113 a 112.

Estratto dall'articolo di Wikipedia PalaChiarbola (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

PalaChiarbola
Via Carnaro, Trieste Chiarbola

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PalaChiarbola

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34145 Trieste, Chiarbola
Friuli-Venezia Giulia, Italia
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Trieste palasport Chiarbola
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Luoghi vicini

Servola
Servola

Servola (Škedenj in sloveno, Ščedna nel locale dialetto sloveno, o in versione arcaica Ščiédna, Sèrvola in dialetto triestino), è un rione storico della città di Trieste. Confina a nord con la Via Baiamonti, a Sud con la Via Valmaura, a Est con la Via dell'Istria e ad a ovest con la costa del golfo di Trieste. Complessivamente misura circa 1,5 km² ed è distante dal centro cittadino circa 3 km in direzione sud. È uno dei centri delle manifestazioni del Carnevale triestino, citato dalla canzone popolare. È stata sede del Consiglio Circoscrizionale di Servola-Chiarbola, fino all'accorpamento con quello di Valmaura-Borgo San Sergio (attualmente con sede in Via Paisiello). È gemellata con il Rione Bianco di Faenza (dagli anni '70), e più recentemente con la Comunità degli Italiani di Villanova (Croazia) e con il villaggio di San Lorenzo (Reggio Calabria). La variante italiana (veneta) del toponimo deriva da Sylvula (selvetta), dal piccolo bosco che copriva la piccola penisola posta nella parte meridionale della città. Il nome venne storpiato prima in Selvola poi nella versione corrente. La variante slovena Škedenj, invece, significherebbe "fienile, aia", ma più probabilmente deriva dalla variante dialettale Ščedna (da čediti = tagliare). Il rione è anche noto per il caratteristico pane servolano (in particolare le famose Bighe) realizzato dalle cosiddette donne del pane (krušarce in sloveno e pancogole in dialetto triestino = donne panettieri). Servola aveva una tradizione di panificazione molto importante e riconosciuta non solo a Trieste. Nel 1756 vinse pure il primo premio in concorso indetto dalla Corona d'Austria per il pane migliore dell'Impero, e fu proprio in quella occasione che le pancògole servolane andarono a Vienna e a corte presentarono il loro pane, le Bighe Servolane. Si dice che durante la Seconda Guerra Mondiale il pane di Servola arrivasse fino all'ospedale partigiano di Franja (a Novaki, in Slovenia). L'attività delle "donne del pane" continuò anche dopo la guerra, fino alla fine del 1954, quando la panificazione casalinga venne proibita dalle nuove norme igieniche. A quel tempo a Servola c'erano ancora 8 "pancogole", che continuarono l'attività "di contrabbando".

Galleria di Montebello

La Galleria di Montebello, localmente conosciuta come Galleria di Piazza Foraggi, è una delle più importanti gallerie stradali della città di Trieste. Fu costruita nell'anno 1943 come rifugio antiaereo dal lato di Piazza Foraggi, mentre successivamente una seconda galleria antiaerea fu aperta dal lato opposto, in Via Francesco Salata. Esse avevano il rispettivo nome di rifugio Littorio e ricovero Luigi Razza; con uno stretto passaggio di servizio tra i due rifugi. Per il forte incremento di traffico veicolare il governo militare alleato, decise, nel 1949 di allargare le due aperture e scavare l'intera galleria con una dimensione continua, per una lunghezza complessiva di quasi 720 metri. L'opera per il traffico è stata realizzata dall'impresa Farsura. Dalla sua apertura la galleria, per oltre 70 anni non venne mai restaurata, arrivando a presentare grandi infiltrazioni di acqua. Per molti anni si è parlato del rifacimento, simile alla Galleria San Vito, ma la chiusura di questa avrebbe creato grandissimi accumuli di traffico per le strade secondarie, infatti la galleria è la strada principale che collega il centro città con la periferia meridionale di Trieste e l'inizio dell'ex strada statale 15 posto in Piazzale Baiamonti. Per permetterne la ristrutturazione, la galleria è stata chiusa nell'aprile 2022 e il traffico deviato lungo l'asse composto dalle vie Molino a Vento, Pestalozzi e dell'Istria, le linee del trasporto pubblico locale (gestite dalla Trieste Trasporti) sono state deviate in due soluzioni: 20, 21, 40 e 41 per l'asse nominato in precedenza, mentre la 23 e la 34 è stata deviata deviate per Via Svevo. È stata soppressa la linea 19 e sostituita dalla 34. Dopo svariati procastinamenti durati quasi un anno, la riapertura della galleria è avvenuta l'11 luglio 2023.

Risiera di San Sabba
Risiera di San Sabba

La Risiera di San Sabba fu un campo di concentramento nazista istituito a Trieste ufficialmente come campo di detenzione di polizia (Polizeihaftlager), unico ad essere dotato di un forno crematorio in tutto il territorio italiano. Servì in particolare ad eliminare gli appartenenti alla Resistenza operanti nel Litorale adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland - OZAK), ma altrettanto importante fu la sua funzione di campo di transito per gli ebrei della regione destinati ai campi di sterminio. Fu un luogo tipico del sistema di terrore nazista, atto da un lato a realizzare la soluzione finale della questione ebraica e a reprimere i cosiddetti "ribelli" (quelli che i tedeschi chiamavano Banditen), dall'altro a sfruttare sistematicamente la popolazione civile. Oltre ai prigionieri uccisi sul posto o deportati, vi furono rinchiusi anche i civili catturati nei rastrellamenti o destinati ai lavori forzati. L'ammontare complessivo delle vittime di San Sabba è stato ed è tuttora oggetto di discussione: le stime vanno da un minimo di 2000 persone a un massimo di 5000 (anche se quest'ultima stima è considerata "improbabile"), avvelenate dai gas di scarico dei mezzi di trasporto, abbattute con corpi contundenti o - meno frequentemente, secondo le testimonianze processuali - uccise con armi da fuoco. Circa 1450 ebrei deportati dall'OZAK passarono dalla Risiera: di questi solo una ventina fece ritorno. Di 28 ebrei invece è stata accertata l'uccisione all'interno del Lager in quanto considerati non in grado di affrontare il trasporto perché vecchi o malati. Nel 1965 la Risiera è stata dichiarata monumento nazionale, e nel 1975 è divenuta museo civico.