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Chiesa di San Bartolomeo Apostolo (Genova, Sampierdarena)

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Sampierdarena
Genova Sampierdarena chiesa San Bartolomeo Promontorio 01
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La chiesa di San Bartolomeo Apostolo è un luogo di culto cattolico Italiano, situato a Promotorio, località del quartiere genovese di Sampierdarena. La sua comunità parrocchiale fa parte del vicariato di Sampierdarena dell'arcidiocesi di Genova. Sorge sulla costa della collina di Promontorio, antico borgo rurale sulle alture di Sampierdarena, al margine della salita proveniente da San Bartolomeo del Fossato. La chiesa fu fondata dai religiosi vallombrosani come dipendenza della sottostante abbazia San Bartolomeo del Fossato, con la stessa intitolazione. Tradizionalmente è indicato il 1090 come anno di fondazione, ed è citata, in termini assai generici, in un documento del 1138, mentre il primo documento specifico riferito all'insediamento è del 1311. Rimasta una dipendenza dei vallombrosani fino a quando essi restarono al Fossato, fu più volte ristrutturata e trasformata nel corso dei secoli. Nel 1580 fu restaurata a spese del patrizio Bartolomeo Centurione. Nel 1632 i monaci di Vallombrosa abbandonarono definitivamente le due chiese, che vennero entrambe affidate all'arcivescovo di Genova, quella del Fossato come commenda e quella di Promontorio come parrocchia, funzioni esercitate tramite vicari da lui delegati. Intorno al 1780 fu condotta una profonda trasformazione architettonica, che stravolse l'originario impianto romanico, e nella prima metà dell'Ottocento, grazie ai contributi di alcuni fedeli, la chiesa venne ulteriormente ampliata. Con questi due interventi vennero aggiunte le due navate laterali, rifatta la facciata ed ampliati presbiterio ed abside. A partire dal 1865 con l'istituzione delle nuove parrocchie di Santa Maria delle Grazie e di San Gaetano la giurisdizione parrocchiale di Promontorio venne fortemente ridimensionata. Altre parti del territorio parrocchiale vennero scorporate nel corso del Novecento per la creazione di altre nuove parrocchie (Belvedere, Fossato, Santa Maria della Vittoria). Restauri eseguiti verso la fine dell'Ottocento hanno portato alla luce alcune delle superstiti strutture medioevali, attraverso le quali è stato possibile ricostruire la struttura originaria dell'edificio. Nonostante gli ampliamenti intervenuti nel corso dei secoli, la chiesa si presenta di modeste dimensioni ed appare oggi nel suo rifacimento ottocentesco. La facciata a capanna è priva di decorazioni ed ha un portale molto semplice, sormontato da una finestra semicircolare. Caratteristica è la torre nolare, unico elemento superstite della struttura romanica originaria, che si eleva sulla crociera: di forma esagonale, è costruita in pietra di Promontorio e termina con una cuspide piramidale in mattoni. La chiesa ha tre brevi navate, ciascuna con un proprio abside. Oltre all'altare maggiore, le absidi laterali ospitano due cappelle. Poche le opere d'arte conservate nella chiesa: la più notevole è il seicentesco dipinto della Madonna della Salute, collocato nella cappella absidale di destra, attribuito alla scuola del Sassoferrato; nella chiesa è conservata anche una statua lignea della Madonna del Rosario, tradizionalmente attribuita alla scuola del Maragliano, appartenente alla confraternita del Rosario, che ha il proprio oratorio accanto alla chiesa. Nell'oratorio sono conservati due grandi crocifissi lignei da processione finemente intagliati (Cristo bianco e Cristo moro). Nel pavimento della chiesa si trova la tomba di Francisco José Rodrigues de Andrade, vescovo di Funchal, nell'isola portoghese di Madera, dal 1821 al 1838. Il prelato, sostenitore del re Michele, fu costretto all'esilio nel 1834 quando questi, sconfitto dagli avversari politici, dovette abdicare. Rimasto formalmente a capo della diocesi portoghese, il vescovo riparò a Genova, ospite in San Bartolomeo del Fossato; alla sua morte, nel 1838, venne sepolto a Promontorio. Guida d'Italia - Liguria, Milano, TCI, 2009. C. Praga, Genova fuori le mura, 2006, Fratelli Frilli Editori. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Bartolomeo di Promontorio

Estratto dall'articolo di Wikipedia Chiesa di San Bartolomeo Apostolo (Genova, Sampierdarena) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Chiesa di San Bartolomeo Apostolo (Genova, Sampierdarena)
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Genova Sampierdarena chiesa San Bartolomeo Promontorio 01
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Luoghi vicini

Forte Tenaglia
Forte Tenaglia

Forte Tenaglia (208 s.l.m.) è un'opera fortificata di Genova, risalente al 1633. Originariamente inserita nell'andamento delle "Mura Nuove" a difesa della città, è situata sulle alture di Sampierdarena, in un crinale dominante sulla val Polcevera. Deve il suo nome alla particolare conformazione architettonica che assomiglia a una tenaglia, opera che in architettura militare viene detta opera a corno. Il nome deriva dalla prima forma che gli era stata data ai tempi dell'edificazione, appunto a tenaglia. Tuttavia c'è il dubbio se il nome corretto sia tenaglia o tenaglie. Nella maggior parte dei documenti storici il nome è al singolare, tuttavia nella recente fase di recupero da parte dell'associazione "La Piuma OdV" è stata riscoperta una targa marmorea recante il nome tenaglie. La storpiatura dal singolare al plurale deriva da una errata traduzione del francese la tenaille, come recitano i disegni di progetto. Il forte sorge sull'area originariamente occupata dalla Bastia di Promontorio, una fortificazione che risalirebbe al 1478. La posizione era per Genova cruciale per la difesa del territorio, vista la posizione dominante sulla Val Polcevera. Della rocca quattrocentesca non si hanno fonti certe sulla composizione architettonica. Il bastione fu demolito nel 1633, durante la costruzione delle Mura Nuove, per far posto ad una fortificazione avanzata, una “tenaglia” (come veniva definita questo tipo di fortificazione nell’architettura militare coeva) a forma di corno (ossia una tenaglia realizzata come opera a corno), con batterie rivolte alla foce del torrente Polcevera. Già nel 1625, con la minaccia degli eserciti franco-savoiardi, fra i molti consigli per difendere la città vi fu quello del frate Pier Francesco da Genova, secondo il quale occorreva potenziare la Bastia del Promontorio, della quale era evidente l'importanza strategica : Secondo le indicazioni dell'architetto Padre Fiorenzuola, il tracciato delle Mura lasciò fuori il promontorio pianeggiante dove sorgeva la Bastia, che però per ragioni di sicurezza non doveva essere demolita "fino a che non sia finito il cinto in detta parte". Nel 1747 durante l'assedio austriaco, la linea occidentale delle mura fu rinforzata secondo i dettami dell'ingegnere francese Jacques De Sicre, per poi essere quasi abbandonato fino al 1797 anno di una rivolta antifrancese, in cui nel forte si asserragliarono l'11 luglio, alcuni insorti, sconfitti dalle truppe del generale Duphont. Con l'intervento del Genio Militare Sabaudo, iniziarono quei lavori che renderanno l'opera da semplice avanguardia, a vero e proprio forte. In un periodo compreso tra il 1815 ed il 1830, lo stretto camminamento all'opera a corno fu rialzato, con materiale di riporto, di circa 10 m, ed allargato di 25, in modo da formare un terrapieno. A metà di questo, dal 1831 fu inglobata la caserma interrata. Con l'elevazione della cortina settentrionale e della fronte a ponente, e l'innalzamento di cortine in parallelo a chiusura del perimetro, si ottenne la finale forma a "L". Nel 1849 con i moti popolari, il Forte fu occupato da insorti (come accadde per i forti vicini, Belvedere e Crocetta), ma a causa di un traditore nelle file dei rivoltosi, il forte fu riconquistato dalle truppe regie; Nel 1914 l'intero sistema difensivo genovese, ritenuto ormai inadeguato, venne abbandonato, passando dal Demanio Pubblico Militare al Demanio Patrimoniale dello Stato. Nel 1917 vi vennero rinchiusi prigionieri di guerra dell'esercito austro-ungarico. Tuttavia all'inizio del secondo conflitto mondiale l'esercito modificò le vecchie postazioni sull'opera, edificando quattro piazzole in cemento armato per pezzi di contraerea da 88/56, oggi ancora visibili, nei pressi delle quali furono realizzati piccole strutture per il servizio della guarnigione. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, il forte passò nelle mani della Wehrmacht, e fu danneggiato da un bombardamento alleato, effettuato per indurre la guarnigione alla resa, che diroccò in parte sulla cortina meridionale. Dal 2011 il forte è stato dato in concessione dall'ente proprietario, che era il Demanio e oggi è il Comune di Genova, all'associazione onlus La Piuma (oggi OdV) che ha proceduto tramite volontari alla bonifica dalle piante infestanti, dai rifiuti di ogni sorta e ai rilevamenti topografici nell'ottica di un progetto con finalità sociali, culturali e ambientali, a favore della città di Genova e del pubblico in generale. L'associazione ha condotto il restauro della Casa del Telegrafo, nella parte superiore del complesso, dove oggi risiede la casa-famiglia della Piuma e vi sono locali ad uso di gruppi, volontari ed eventi. L'associazione accoglie regolarmente gruppi di visitatori in occasione di giornate di apertura (Porte Aperte), eventi a tema storico, culturale, artistico o naturalistico, trekking urbani, attività didattiche o di volontariato, e su prenotazione concordata. Ne dà comunicazione tramite sito web, pagina facebook e newsletter. Inoltre due giorni a settimana (mercoledì e sabato) è possibile partecipare ai lavori di manutenzione e recupero condotti da volontari, previa contatto con i responsabili. Il forte presenta elementi originari, come intonaci con impresse le firme di soldati, l'argano per il sollevamento dei materiali, inferriate originali, una santabarbara in ottimo stato di conservazione e diverse piazzole in cui erano posizionati i cannoni della contraerea. A piedi, per gli amanti dell'escursionismo, un interessante percorso alla scoperta di alcune delle opere fortificate occidentali di Genova conduce dalla collina di Belvedere fino al Forte Sperone lungo il sentiero delle antiche Mura, passando per Forte Tenaglia, toccando anche i resti del Forte Belvedere, Forte Crocetta e poi prosegue per Forte Begato. In automobile da Dinegro prendendo via Venezia, via Ferrara e poi via Bianco verso sinistra. Oppure da via Cantore a Sampierdarena, si segue salita Belvedere e poi salita al Forte della Crocetta, dove si lascia l'automobile per prendere un veloce sentiero che porta fino al Forte. In autobus da Stazione Principe con il n.38 fino al capolinea Granarolo, e a piedi per 10 minuti lungo via Bianco fino allo sterrato indicato per il Forte. Stefano Finauri, Forti di Genova, Servizi Editoriali, Genova, 2007, ISBN 978-88-89384-27-5 Tarantino Stefano-Gaggero Federico-Arecco Diana, Forti di Genova e sentieri tra Nervi e Recco alta via dei monti liguri, Edizioni del Magistero, Genova. Roberto Badino, Forti di Genova, Sagep, Genova 1969 Riccardo Dellepiane, Mura e fortificazioni di Genova, Nuova editrice genovese, Genova, 2008, [prima edizione 1984]. Cappellini A., Le Fortificazioni di Genova, Ed. F.lli Pagano Editore, Genova, 1939 Comune di Genova - Assessorato giardini e foreste, Genova. Il parco urbano delle Mura. Itinerari storico-natura Forti di Genova Mura di Genova Fortificazione Fortificazione alla moderna Regno di Sardegna Val Polcevera Sampierdarena Forte Belvedere (Genova) Forte Crocetta Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Forte Tenaglia Mappe, itinerari e foto dei forti di Genova, su forti-genova.com. URL consultato il 4 settembre 2018 (archiviato dall'url originale il 24 luglio 2010).

Belvedere (Genova)
Belvedere (Genova)

Belvedere (Bervei in ligure) è un quartiere del comune di Genova ed una delle unità urbanistiche che compongono la circoscrizione di Sampierdarena. Fa parte del Municipio II Centro Ovest. La collina su cui sorge (altitudine: 129 m slm) si affaccia sul versante sinistro della Val Polcevera e sul sottostante abitato di Sampierdarena. Gli antichi genovesi denominarono questa località Belovidere per la folta vegetazione e per la presenza di numerose ville e giardini patrizi che a partire dal XV secolo molte famiglie nobili di Genova vi avevano costruito come loro residenze di campagna. Il toponimo, di derivazione intuitiva, fa riferimento al panorama che si gode da questa collina, che insieme a quella di Coronata, sul versante opposto della valle, segna la fine della Valpolcevera. Il panorama spazia dal monte di Portofino a Capo Mele, con ampia vista sulla Valpolcevera, facendo della collina un luogo strategico, caratteristica che nell'Ottocento ne ha determinato la militarizzazione, con la costruzione di fortificazioni che hanno stravolto e sacrificato l'abitato. A poca distanza da Belvedere si trova la località detta Crocetta (in ligure Croxetta de Bervei), il cui nome fa riferimento all'incrocio tra due antiche strade, quella che da Sampierdarena, superato Belvedere, proseguiva a mezza costa per l'alta Valpolcevera e quella che da Genova (quartiere di San Teodoro) conduceva a ponente passando per il Campasso (altro rione sampierdarenese nella bassa Valpolcevera). Questo incrocio, anche se non più frequentato dai viaggiatori, è ancor oggi riconoscibile e ben delimitato da antiche case. Per secoli importante luogo di transito, fino all'apertura delle prime strade di fondovalle, anche questo borgo ospitò case di villeggiatura di ricche famiglie genovesi e nell'Ottocento subì anch'esso i disagi causati dalla presenza del vicino Forte Crocetta, costruito poco più a monte del citato quadrivio sulla struttura del soppresso convento agostiniano del S.S. Crocefisso, con annessa chiesa, risalente ai primi anni del Seicento. Sulla piazza principale, in posizione dominante sull'abitato di Sampierdarena, sorge il Santuario di Nostra Signora di Belvedere, la cui prima edificazione risale alla fine del XIII secolo come cappella dell'annesso convento delle monache agostiniane. La chiesa, citata per la prima volta in un documento del 1285, è composta da un'unica navata ed ha subito nel tempo una serie di rifacimenti. Nel 1665 è stata completamente rifatta ed arricchita dei due altari laterali. Le pareti sono ornate da pregevoli tele e dipinti. Nel 1351 alle monache agostiniane subentrarono i frati dello stesso ordine che, salvo un'interruzione dal 1409 al 1472, vi rimasero fino alla soppressione napoleonica del 1800. Nel 1819 la chiesa rischiò di essere demolita per far spazio alle fortificazioni volute dal governo sabaudo, provvedimento poi rientrato. La chiesa fu riaperta nel 1821, sotto la custodia di preti diocesani. Fu eretta in parrocchia dal 1931 (con decreto del 24 dicembre 1930) dal cardinale Carlo Dalmazio Minoretti, arcivescovo di Genova. La festa patronale viene celebrata nella solennità della Natività di Maria, l'8 settembre. Caratterizza il paesaggio di Belvedere anche la presenza di diverse fortificazioni (vedi anche Mura di Genova), costruite tra il 1815 e il 1830. Già durante gli assedi austriaci del 1746-1747 e del 1800 sull'altura di Belvedere erano state approntate delle postazioni difensive. Vista l'importanza strategica della collina, a partire dal 1815, dopo l'annessione della Liguria al Regno di Sardegna, stabilita dal Congresso di Vienna, furono erette dal governo sabaudo due nuove fortificazioni che avevano lo scopo di difendere le mura principali di Genova: Forte Belvedere, la cui struttura costituisce oggi il terrapieno del campo sportivo M. Morgavi; per la sua realizzazione furono demolite diverse case ed anche la chiesa rischiò di essere abbattuta. Alla fine dell'Ottocento, venute meno le motivazioni strategiche che avevano portato alla sua edificazione, fu trasformato in una batteria a difesa del porto di Genova. Nel 1938 vi fu collocata una batteria contraerea. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 fu occupato dai soldati tedeschi che lo tennero fino al termine del conflitto. Nel dopoguerra, dismesso dal demanio militare, fu ceduto a privati. Come detto, dagli anni settanta sulla sua struttura sorge il campo sportivo Morgavi. Forte Crocetta, sovrastato dall'imponente Forte Tenaglia (che fa parte delle mura secentesche di Genova, anch'esso ampliato tra il 1815 e il 1830), fu costruito poco a monte di Belvedere, presso il borgo della Crocetta, sull'area già occupata dal secentesco convento degli Agostiniani e dall'annessa chiesa del Santissimo Crocefisso. L'edificio religioso fu demolito nel 1818. La costruzione del forte, dopo una modifica di progetto intervenuta nel corso dei lavori, si concluse nel 1830. Dismesso dal demanio militare nel 1914, a varie riprese fu abitato fino al 1961. Oggi è chiuso e in stato di abbandono. Corinna Praga, Genova fuori le mura, Fratelli Frilli Editori, 2006. Goffredo Casalis, Dizionario geografico, storico, statistico e commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, 1849. Stefano Finauri, Forti di Genova, Edizioni Servizi Editoriali, 2007. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Belvedere

Stadio di Villa Scassi
Stadio di Villa Scassi

Lo stadio Villa Scassi era un impianto sportivo di Sampierdarena, città del Genovese in seguito incorporata al capoluogo ligure. Era ricavato nel parco della cinquecentesca villa Imperiale Scassi, detta La Bellezza, acquistata nel 1888 dall'allora comune di Sampierdarena. Costruito dall'impresa Stura, poteva contenere sulle sue tribune in legno al massimo 5 000 spettatori stipati come in una scatola di pillole. "A scàtoa de pìloe" fu infatti il soprannome con cui i sampierdarenesi presero a chiamare l'impianto, benché il giornalista sportivo Carlo Bergoglio, detto "Carlin", preferisse chiamarlo "la scatola dei biscotti". Fu inaugurato nel 1920 con un derby amichevole tra i padroni di casa della Sampierdarenese e l'Andrea Doria terminato con il risultato di 4-1. La Sampierdarenese vi disputò i suoi primi 8 campionati nella massima serie nazionale, compresa la finale di andata del campionato di Prima Categoria FIGC 1921-1922 del 7 maggio 1922 contro la Novese, finita a reti inviolate. L'impianto ebbe vita breve, fu infatti chiuso nel 1928 e demolito per fare spazio all'attuale via Antonio Cantore. Nino Gotta, Pierluigi Gambino, 1000 volte Sampdoria, Genova, De Ferrari, 1991. Maurizio Medulla, Sampierdarena. Vita e immagini di una città, Genova, De Ferrari, 2007. Tito Tuvo, Marcello G. Campagnol, Storia di Sampierdarena, Genova, D'Amore Editore, 1975. Gino Dellachà, Una storia biancorossonera - Il calcio a San Pier d'Arena dal tempo dei pionieri del Liguria alla Sampdoria, Genova, Edizioni Sportmedia, novembre 2016, pp. 32-34. Società Ginnastica Comunale Sampierdarenese Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stadio di Villa Scassi

Villa Doria delle Franzoniane
Villa Doria delle Franzoniane

Villa Doria, ora Istituto Madri Pie Franzoniane, è una villa patrizia genovese situata nel quartiere di Sampierdarena. Venne fatta costruire dalla famiglia Doria nel XVI secolo, ma a differenza di altre ville del quartiere, tutte disposte su un asse immaginario ben riconoscibile, questa è disposta in posizione angolata, nella parte inferiore di via Nicolò D'Aste. Del progetto originale sopravvive l'edificio centrale e la torretta di difesa, mentre è aggiunta successiva il ninfeo del giardino, fatto erigere nel 1594 in occasione del matrimonio tra una Doria e Camillo Pavese. Il parco della villa, anche se notevolmente ridotto rispetto all'originale, presenta ancora caratteristiche tipiche del gusto tardo-manierista per le meraviglie artificiali e il richiamo a simboli astronomici e alchemici. Al termine del XVIII secolo la villa venne ceduta alla famiglia Franzoni, successivamente Paolo Gerolamo Franzoni, abate appartenente alla famiglia, la cedette alla congregazione delle Madri Pie che ancora oggi vi risiedono. Intorno agli anni venti del Novecento l'edificio divenne sede dei membri anziani del gruppo scout, i quali, con l'approvazione delle suore, in quel periodo scavarono e asportarono i detriti delle fondamenta della villa, ricavandosi alcuni spazi per l'aggregazione. Nel 1935 alla struttura originale dell'edificio venne aggiunta la parte affacciata su via Cantore. La villa, utilizzata oggi come scuola materna, è stata restaurata, anche se parte del suo splendore è andato perduto con l'aggiunta di altri edifici più recenti addossati alla costruzione.

Villa Spinola di San Pietro
Villa Spinola di San Pietro

La villa Spinola di San Pietro è una villa patrizia situata nel quartiere genovese di Sampierdarena, edificata dalla famiglia Lercari, passata agli Spinola e sede del liceo statale Piero Gobetti. La villa fu fatta costruire nella seconda metà del XVI secolo da Giovanni Battista Lercari, doge della Repubblica di Genova nel biennio 1563-1565, proprietario del Palazzo Lercari-Spinola di via degli Orefici. Lo stesso doge ne finanziò la decorazione interna delle sale, che fu iniziata al piano terreno con l'affresco della vasta volta dell'atrio, con grottesche e paesaggi realizzati da un autore non identificato. Sempre al piano terreno, l'ambiente che presenta le decorazioni di maggior pregio, giunte fino a noi in ottimo stato di conservazione, è la sala con le Storie di Paride raffigurate sulla volta, attribuite a Bernardo Castello, che raffigura al centro il Ratto di Elena, affiancato da Paride fanciullo consegnato ai pastori, il Convito degli dei e Il giudizio di Paride, entro cornici bianche a stucco. A seguito della tragica scomparsa del figlio maggiore del doge, la campagna decorativa cinquecentesca venne interrotta. Successivamente, la villa pervenne per via ereditaria al nipote Giovanni Battista Spinola, che nel 1616 aveva acquistato il titolo ducale di San Pietro in Galatina. Giovanni Battista Spinola (cognato del celebre condottiero Ambrogio Spinola, ritratto da Velasquez nel famoso dipinto La resa di Breda) la fece rimaneggiare conferendole la struttura che ha ancora oggi e completando la decorazione interna. Con i lavori eseguiti tra il 1622 e il 1625 l'edificio subì sostanziali modifiche, con la chiusura delle logge e l'apertura di nuove finestre. Fino all'Ottocento rimase di proprietà degli eredi degli Spinola, fu poi ceduta a vari istituti religiosi (prima le Dame del Sacro Cuore e poi le Figlie della carità di San Vincenzo de' Paoli, note come "Cappellone") ed infine nel 1920 al comune di Sampierdarena che la adibì a scuola. Nel drastico processo di trasformazione che subì il borgo di Sanpierdarena, da villaggio di pescatori e luogo di villeggiatura patrizia a polo industriale e logistico, la villa perdette completamente il vastissimo parco che si estendeva sia a valle fino quasi al mare, sia a monte sulle colline, abbellite da peschiere e giochi d'acqua per i quali i Lercari avevano fatto costruire un apposito acquedotto. La villa perse quindi completamente l'intenso rapporto con il paesaggio circostante, garantito dalle ampie logge al piano terreno e al secondo piano del progetto alessiano, visibili sulle incisioni che Rubens dedicò alla villa. Con la creazione della Grande Genova, nel 1926, è entrata a far parte del patrimonio del comune di Genova. Nel frattempo era stata sopraelevata di un piano; un tempo in posizione aperta e dominante, dal primo Novecento è circondata e quasi soffocata dai caseggiati costruiti intorno, tanto che l'ingresso dovette essere spostato nella facciata a monte perché lo spazio antistante era stato quasi interamente occupato da un edificio di abitazione che copre la vista della facciata principale. L'aspetto severo dell'edificio è anche dovuto alla perdita delle decorazioni pittoriche che ornavano la facciata principale e contribuivano ad ingentilire l'impatto. Attualmente è sede del liceo statale Piero Gobetti. La villa è costruita secondo il classico modello alessiano, simile nella struttura alla villa Giustiniani Cambiaso di Albaro, ma non si conosce il nome del progettista. È uno dei due palazzi sampierdarenesi descritti da Rubens nel volume Palazzi di Genova (l'altro è "La Fortezza"), dove è identificato come il palazzo "C". Come molte ville del Cinquecento, fu dotata di una torretta di protezione. All'interno è presente un importante ciclo di affreschi dei secoli XVI e XVII secolo riferibili a Bernardo Castello (Ratto di Elena e Storie di Paride) nell'atrio, Giovanni Carlone (Imprese di Megollo Lercari e Nozze di Pellina e Luca Spinola) nel salone del piano nobile e Giovanni Andrea Ansaldo (Imprese di Ambrogio Spinola e Gesta di Perseo) nelle stanze laterali, tutti di grande pregio. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su villa Spinola di San Pietro Sito del Liceo Gobetti, con immagini dell'interno e degli affreschi, su gobetti.edu.it. URL consultato l'11 Dicembre 2020 (archiviato dall'url originale il 3 agosto 2021).

Villa Serra Doria Masnata
Villa Serra Doria Masnata

Villa Serra Doria Masnata è un edificio civile storico di Genova, risalente al XII secolo. Affacciata su via Cantore, il progetto della villa venne commissionato nel 1613 all'architetto Bartolomeo Bianco da parte del nobile Paolo Serra. Federico Alizeri, nella sua Guida del 1875, la indica di proprietà della famiglia Doria. Dalla planimetria di Matteo Vinzoni del 1757 si evince la presenza di un vasto terreno, oggi ridottissimo, che si sviluppava dall'asse fondamentale interno (via Nicolò Daste) sino alla la ripida "crosa" (l'attuale salita Salvator Rosa) che conduceva alla chiesa di San Bartolomeo Apostolo del Promontorio. Diverse le vicissitudini dell'edificio. Nel 1746 la villa divenne sede del quartiere generale austriaco, sotto il comando del Generale Antoniotto Botta Adorno inviato dall'imperatrice Maria Teresa d'Austria. Nel XIX secolo la proprietà passò alla famiglia Masnata, poi al Comune di Sampierdarena, per ospitarvi nel 1874 l'Ospedale Civile. Tra il 1919 e il 1926 l'edificio ospitò un collegio femminile delle suore Cappellone. La villa con il giardino rimangono inalterati sino ai primi decenni del Novecento con l'apertura di via Cantore (1930-1935). Con l'abbassamento della quota del terreno, dovuto alla costruzione della via, l'edificio ha cambiato le proporzioni originarie. Il palazzo fu poi sede della Biblioteca Gallino, spostata e del Liceo Classico Giuseppe Mazzini e dal 1967 ospita la Scuola Media Statale "Nicolò Barabino". La decorazione originaria della facciata si è persa, come pure affreschi che decoravano gli ambienti interni. La tipologia architettonica richiama vagamente la vicina villa Imperiale Scassi, caratterizzata da una struttura rettangolare sviluppata in lunghezza e tripartita nella facciata. Le ali ed il poggiolo sono posteriori al progetto del Bianco. Gli ambienti interni sono caratterizzati al primo piano dalla sala retrostante all'ingresso e da un'apertura verso il giardino, tutto disposto in asse di simmetria. Al secondo piano si accede tramite lo scalone impostato a sinistra in fondo all'ingresso. Al piano superiore viene mantenuta la tripartizione degli ambienti come il piano sottostante, dove al centro sono disposti la loggia e il grande salone e ai lati i salotti e camere realizzando una continuità di visuale nella ripartizione degli ambienti da nord a sud verso il mare. Luciano Grossi Bianchi, Emmina De Negri, Cesare, Fera, Le Ville Genovesi, Genova, Italia Nostra, 1967, pag. 189. Armando Di Raimondo, Luciana Müller Profumo, Bartolomeo Bianco e Genova: la controversa paternità dell'opera architettonica tra '500 e '600, Genova, E.R.G.A., 1982, pp. 18-20. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su villa Serra Doria Masnata