place

Chiesa di San Michele Arcangelo (Padova, Pozzoveggiani)

Chiese dedicate a san Michele ArcangeloChiese della diocesi di PadovaChiese di PadovaChiese romaniche del VenetoContestualizzare fonti - architettura
Contestualizzare fonti - ottobre 2022Informazioni senza fontePagine con mappe
Chiesa di San Michele Arcangelo Padova, Pozzoveggiani
Chiesa di San Michele Arcangelo Padova, Pozzoveggiani

La chiesa di San Michele Arcangelo è una chiesa cattolica di origine medievale, situata a Pozzoveggiani, località compresa nella frazione Salboro di Padova (a circa 5 km dal centro storico, lungo il vecchio tracciato della via Annia). Una prima chiesa venne edificata tra il VI-VII secolo era una semplice cella sue dimensioni ridotte e di forma cubica ed aveva un anomalo orientamento con la facciata rivolta ad est e l'abside ad ovest. La chiesa fu ampliata nel XII secolo con impianto basilicale a tre navate e tre absidi semicircolari e facciata a forma di capanna. La chiesa è degna di nota per due cicli di affreschi, resti della cella primitiva e dell'abside antico: il primo gruppo è datato X-XI secolo e raffigura gli apostoli posti tra gli archi di un colonnato; le figure presentano i caratteri tipici del periodo carolingio-ottoniano. Il secondo gruppo si trova nell'abside, dove vi è un Cristo Pantocratore affiancato dai simboli degli Evangelisti (tetramorfo) e teoria di santi ed apostoli, un pellicano che nutre i suoi piccoli; questo gruppo risale al XII-XIII secolo. Dietro l'altare sono affrescati dei cavalieri armati, un pavone cacciato da una figura metà uomo e metà uccello, una civetta, simbolo raramente rappresentato all'interno delle chiese, in quanto rimanda al paganesimo e al culto della dea Atena, dea della saggezza (un esempio è presente nella chiesa di Notre Dame a Digione). Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Michele a Pozzoveggiani Chiesa di San Michele Arcangelo, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Sito di Legambiente Padova, su salvalarte.legambientepadova.it. URL consultato l'8 agosto 2014 (archiviato dall'url originale il 16 febbraio 2019).

Estratto dall'articolo di Wikipedia Chiesa di San Michele Arcangelo (Padova, Pozzoveggiani) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Chiesa di San Michele Arcangelo (Padova, Pozzoveggiani)
Via Pozzoveggiani, Padova

Coordinate geografiche (GPS) Indirizzo Sito web Luoghi vicini
placeMostra sulla mappa

Wikipedia: Chiesa di San Michele Arcangelo (Padova, Pozzoveggiani)Continua a leggere su Wikipedia

Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 45.352675 ° E 11.899757 °
placeMostra sulla mappa

Indirizzo

Oratorio di San Michele

Via Pozzoveggiani
35124 Padova
Veneto, Italia
mapAprire su Google Maps

Sito web
padovanet.it

linkVisita il sito web

Chiesa di San Michele Arcangelo Padova, Pozzoveggiani
Chiesa di San Michele Arcangelo Padova, Pozzoveggiani
Condividere l'esperienza

Luoghi vicini

Salboro
Salboro

Salboro è una frazione del comune italiano di Padova. Sorge a sud del centro storico di Padova dal quale dista circa 5 Km, lungo la strada provinciale 3 diretta da Padova ad Anguillara Veneta. Nei pressi si snodano i confini comunali con Ponte San Nicolò (frazione Rio) e Albignasego (frazione San Giacomo). Dei corsi d'acqua si cita lo scolo Baracchia, che si muove in direzione ovest-est lambendo Pozzoveggiani, località minore che si estende a sud del paese. per poi confluire sul fiume Bacchiglione nei pressi di Roncajette. Per la sua posizione periferica, la zona mantiene ancora i suoi caratteri rurali e vi sussistono tutt'oggi alcune aziende agricole e zootecniche. Di Salboro si hanno notizie dal X secolo d.C. ma ha probabilmente origini più antiche data la posizione lungo la romana via Annia. Del medesimo periodo sono i resti di una centuriazione, ancora riconoscibile nelle attuali vie Palla Strozzi e San Giacomo. In un diploma dell'imperatore Berengario del 918 è attestata Publiciano o Pobliciano, divenuta nel 1027 Puteus Vitaliani: è l'attuale località Pozzoveggiani, in cui sorge la chiesa di San Michele che è la più antica della zona. Il toponimo potrebbe legarsi alla presenza di un puteus "pozzo" e a un possidente di epoca romana, Vitellius; esiste una tradizione che lo rimanda a Vitalianus, padre della martire Giustina di Padova che sarebbe stato proprietario dei terreni circostanti. Nel 1045 compare il locus ubi dicitur Selburia, mentre nel 1055 si cita la villa que dicitur Spasano. Probabilmente Spasano, sede della chiesa di Santa Maria Assunta, era il centro principale, mentre Salboro rappresentava una località minore. In seguito i ruoli si ribaltarono, tanto che nel 1595, per la prima volta, la chiesa di Santa Maria è detta "di Salboro". Salboro sembra avvicinarsi al latino silvarium, ad indicare una località boscosa; Spasano è forse derivato da spatium e da patēre "essere aperto", nel senso di "ampia distesa pianeggiante". Le chiese di Spasano-Salboro e di Pozzoveggiani erano unite sin dai tempi più antichi, anche se la seconda ebbe per diverso tempo un proprio cimitero e una propria fabbriceria. Inoltre, il rettore di Spasano-Salboro doveva celebrare messa alternativamente nei due luoghi di culto. Citata per la prima volta, accanto alla chiesa di San Michele, in un diploma del vescovo Bellino di Padova del 1130, fu cappella dipendente dall'arcipretato di Padova. Nel 1686 fu visitata dal vescovo Gregorio Barbarigo che la reputò di dimensioni insufficienti, tuttavia venne ampliata solo a partire dal 1859; nell'occasione, coro e presbiterio furono spostati da est a ovest. Nonostante i rifacimenti, la vecchia chiesa di Salboro non era ancora sufficiente ad accogliere l'accresciuta popolazione: il 19 ottobre 1954 il vescovo Girolamo Bartolomeo Bortignon notò che la chiesa era povera e di dimensioni anguste, ma anche che gli abitanti erano restii a sostenere le ingenti spese per una nuova costruzione. Ciononostante, il 21 novembre 1970 iniziò l'erezione del nuovo luogo sacro accanto all'altro, su progetto degli architetti Pietro Bettella e Filippo Navarra. Fu inaugurato nel 1974 e consacrato nel 1977. A pianta curvilinea e alzato a stella, culmina con una volta sostenuta dalla trabeazione perimetrale, conferendole l'aspetto di una tenda. Il presbiterio è sovrastato da un Cristo in rame sbalzato di Giampaolo Menegazzo. Vi sono conservate anche alcune opere d'arte provenienti dalla vecchia chiesa: spicca una tela di Giovan Battista Bissoni del 1609, raffigurante l'Assunzione della Madonna con i dodici apostoli e il committente; più recente il fonte battesimale scolpito nel 1943 Luigi Strazzabosco, con quattro scene tratte dalle Sacre Scritture. Come già detto, è citata accanto all'attuale parrocchiale a partire dal 1130, ma è probabilmente la più antica chiesa della zona. Conserva un ciclo di affreschi del XII secolo, raffigurante Cristo in maestà, gli evangelisti e gli apostoli Taddeo, Matteo, Giacomo, Giovanni e Pietro. La chiesa di San Michele Arcangelo si trova a cinque chilometri da Padova sulla strada per Bovolenta nella frazione Pozzoveggiani, questo nome deriva anticamente da PUTEUS VITALIANI, dove "puteus" significa "pozzo" (sul lato sud è presente infatti un pozzo) e "Vitaliani" un ricco terriero era stato il padre di Santa Giustina e uno dei primi cristiani. Questa zona è stata occupata dai Longobardi nel VI secolo, qui vicino vi era la capitale Cividale, mentre Treviso, Vicenza e Verona erano sotto il dominio di Alboino. Venne edificata nel XII secolo sopra un edificio più antico, una cella memoriale del VI - VII secolo di forma cubica, con l’abside eccezionalmente rivolta ad ovest invece che ad est com'era consuetudine degli antichi edifici. Per questo motivo fu "ritrasformata" ribaltandone la facciata e la posizione dell'altare di modo che fosse rivolto ad est. Inoltre fu notevolmente ampliata in tre navate e tre absidi semicircolari. Successivamente tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo fu trasformato in oratorio utilizzando solo la navata centrale. La navata sud è stata demolita ed infatti dall’esterno si vedono ancora le colonne murate. Nonostante questi pesanti cambiamenti la chiesa conserva lo stile iniziale bizantino con forte influenza carolingia. Il muro ha una distribuzione di mattoni a spina di pesce, una metologia costruttiva già abbastanza avanzata per l'epoca. È una delle chiese più antiche della provincia di Padova, rimasta intatta fino a noi, forse anche perché in disparte da un centro abitato, quasi nascosta. Una chiesetta campestre ai margini del bosco proveniente dalle prime costruzioni cristiane, conservando le origini della religione come dentro uno scrigno. Sul fianco meridionale interno sono state innestate due formelle in terracotta riportanti figure geometriche e zoomorfe. All’interno sono presenti splendidi affreschi romanici del X-XIII secolo che ricoprono la cella memoriale (antico edificio) e l’abside. I più antichi sono le immagini degli Apostoli che si trovano nelle arcate. Poi nel catino absidale emerge un Cristo Pantocreatore nella mandorla con attorno i quattro evangelisti. Vi è anche il simbolo del Cristo, un pellicano che dà nutrimento col proprio sangue ai piccoli. Nella parte inferiore vi sono cavalieri in armatura. Nella fascia inferiore dell'abside, quella più in prossimità del suolo, sono rappresentati a "sinopia" cavalieri in duello, animali e figure zoomorfe e antropomorfe. Questo gruppo figurativo poco ha a che fare con e sacre immagini soprastanti, essendo rappresentazione "a sé" senza un riferimento sacro o narrativo. Simile e quasi identica ai cavalieri presenti nella chiesa di Summaga, sempre in Veneto, la fascia di San Michele Arcangelo si trova nella zona più sacra della chiesa, dietro l'altare. Perché raramente, ma comunque più volte e in una chiesa vicina, sono stati rappresentati a "sinopia" cavalieri in duello all'interno di un luogo sacro? Uomini a cavallo che nulla hanno a che fare con guerre sante, templari o santi guerrieri, personaggi sconosciuti con scudi e lance, attorniati da animali e figure antropomorfe. C'è chi ha spiegato l'immagine come "gioco di penna", come se l'artista si fosse allenato o avesse provato gli strumenti prima di coprire le immagini con figure sacre. Oppure semplicemente in questo luogo era sacra la figura stessa del cavaliere perché sapeva difendere la gente, proteggere gli indifesi, grazie al suo onore puro e volto a Dio. Dopotutto armi e armature erano estremamente care nel medioevo, in pochi se le potevano permettere, i contadini naturalmente si difendevano come potevano, quindi un uomo d'arme che prestava la sua protezione era visto come un "salvatore". Si trova nel centro abitato, all'incrocio tra via Lago Dolfin e via Pietro Bembo. Costruita nell'Ottocento, si caratterizza per il grande parco che si sviluppa a nord della casa padronale, progettato da Giuseppe Jappelli. Lo spazio a sud, che un tempo doveva costituire un giardino più raccolto, aperto verso la campagna, è ora occupato da un maneggio. Lo stesso palazzo ha subito delle modifiche interne poiché è stato adibito a ristorante. Questo edificio è un volume di forma allungata orientato in direzione est-ovest. È costituito da un corpo porticato alle cui estremità si innalzano due corpi a torre, anch'essi con arcate al piano terra. Questo schema "torre-loggia-torre" non è unico, ma si ripete anche in alcune ville venete della provincia di Vicenza: si citano il castello di Thiene, villa Pisani a Bagnolo di Lonigo, villa Rezzonico a Bassano del Grappa. Delle facciate del palazzo, quella nord, rivolta al parco, e quella ovest, lungo la strada principale, si distinguono per una maggiore attenzione decorativa: al piano terra è stato utilizzato il bugnato rustico, le finestre sono incorniciate e sopra gli architravi si trova una modanatura lavorata a listelli. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Salboro

Voltabarozzo
Voltabarozzo

Voltabarozzo (Quartiere 4 Sud-Est) è uno dei quartieri del comune di Padova. Voltabarozzo fa parte del quartiere 4 Sud-Est del comune di Padova. Si estende dal Lungargine Sebastiano Ziani e Lungargine Sabbionari fino alle porte settentrionali del comune di Ponte San Nicolò. Comprende le zone di Santa Croce, Sant'Osvaldo, Bassanello, Voltabarozzo. Il quartiere confina a Nord con il Bassanello, il Lungargine Sebastiano Ziani e Lungargine Sabbionari. A Est con Roncaglia e il Bacchiglione, a Sud con Rio e la frazione di Salboro e a Ovest con Via Pietro Bembo. La costruzione del canale era inserita nel progetto realizzato da Vittorio Fossombroni, che era un illustre ingegnere, e da Pietro Paleocapa. La costruzione risale al 1882 e servì a porre fine alle inondazioni causate dalle piene del fiume Bacchiglione. Tale corso d'acqua doveva avere la funzione di scaricare le acque del fiume - da cui il nome - fuori dal centro della città di Padova. il progetto contemplava la realizzazione di tre manufatti regolatori, che, in caso di piena del fiume, servivano a deviare l'acqua nello Scaricatore. L'alluvione del 1882 dimostrò che ciò non era sufficiente. Il progetto fu rielaborato dall'ingegnere Luigi Gasparini nel 1922. Fu lui a decidere il collegamento del canale al Piovego. fu così la Conca di Navigazione di voltabarozzo; la conca è ancora oggi in funzione. si tratta di una sorta di ascensore d'acqua, collocato proprio nel punto in cui lo scaricatore si separava dal San Gregorio. Furono costruiti tre sostegni: all'origine del canale San Gregorio, sull'immissione dello scaricatore nel Roncajette e a Voltabarozzo. quest'ultimo sostegno ha anche un'altra funzione, oltre quella di regolazione delle acque: all'interno si trova la centrale idroelettrica costruita nel 2000 con una potenza installata di 1 MW. Nei pressi di questi manufatti si trova il Centro modelli idraulici, creato nel 1969 dal Magistrato delle acque di Venezia per gli studi riguardanti la Laguna di Venezia. La prima carta che riprende il territorio de La Volta del Berozzo - cioè la "svolta" della strada costruita nel 1205 - 1212 dal podestà Barozzo del Borgo di Cremona - è di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni nella Gran Carta del Padovano risalente al 1776. Dall'etimologia della parola si deduce che derivi dal fatto che in questo antico borgo, la strada Vecchia, che portava dalla Porta Pontecorvo al Piovese, faceva una svolta. Nel XIII secolo l'insediamento era un piccolo villaggio sotto la giurisdizione della parrocchia di San Lorenzo, chiesa poi distrutta, che sorgeva nelle vicinanze del sotto passaggio San Lorenzo. L'antico territorio di Voltabarozzo ha subito un'importante trasformazione a partire dal XIII secolo, quando i conti da Rio erano proprietari di questa vasta area. Tra il 1835 e il 1836 Padova venne colpita da un'epidemia di colera con 1282 casi, nel 1849 con 890 e nel 1854-55 con 1096. Il 9 gennaio del 1910 prese il via dal ponte di Voltabarozzo il cross country podistico organizzato dal settimanale il Pedrocchino. Partirono 15 concorrenti, la gara, con arrivo in Prato della Valle, è vinta da Enrico Stefanini del Club Pedestre Ginnastico. Nell'estate del 1911 la Società ciclisti di Voltabarozzo organizza una gara sul percorso Padova-Piove di Sacco e ritorno. Vi partecipano 28 corridori e all'arrivo è primo Guglielmo Zorzi. I circoli rionali fascisti, poi Gruppi rionali, costituirono l'articolazione del partito fascista a contatto immediato con la popolazione, da cui iniziò la propaganda del regime. Offrivano assistenza e momenti di vita ricreativa, sportiva, culturale e di educazione politica. I Circoli e i Gruppi sono dedicati a eroi della Prima Guerra Mondiale o a personalità del fascismo. La chiesa di Voltabarozzo venne costruita il 23 maggio 1310, ma cominciò in realtà a essere officiata il 6 dicembre 1315. Nel maggio 1310 i conti Andrea e Giovanni da Rio si recarono nel palazzo vescovile per proporre di costruire una chiesa dedicata ai santi Pietro e Paolo offrendo in cambio un terreno dove costruire insieme a 14 campi per il mantenimento del sacerdote, e inoltre si offrirono di assicurare: un calice, delle croci, dei paramenti e dei libri sacri per le celebrazioni liturgiche. La richiesta venne accettata dal vicario vescovile ma non potrà avere un cimitero, non potrà seppellire alcun defunto, non potrà udire le confessioni, e ciò potrà avvenire solo in caso di necessità e con l'autorizzazione dei parroci di san Lorenzo. Il 2 giugno viene benedetta la prima pietra dal vescovo. Il 16 giugno il prete Simeone (uno dei due titolari della chiesa di San Lorenzo) pone finalmente in opera il cantiere. Il capo cantiere fu Ameto, il progettista Martino Granello di Piove di Sacco il quale progettò una chiesa piccola e modesta. I signori Da Rio, ritrovatisi nuovamente davanti al vicario vescovile sul finire del 1315, concordarono in un futuro autonomo sul territorio parrocchiale; inoltre, il prete e il cappellano che vi faranno residenza potranno dare sepoltura ai loro parrocchiani e dare i sacramenti. Si stabilirono i confini della nuova parrocchia, che comprendeva nove case attorno ad essa più altre case sparse dislocate oltre la torre di un altro ricco proprietario in direzione di Roncaglia, vicino a un fiumiciattolo chiamato Tergola. In segno di riverenza, i fedeli di Voltabarozzo e i sacerdoti daranno infatti ai preti della vecchia cappella cittadina da cui in passato dipendevano una libbra di incenso e un terzo delle offerte raccolte nella festività di San Lorenzo. Voltabarozzo col suo vasto territorio rimase fino al principio del Novecento la sola parrocchia fuori le mura in tutta la zona sud orientale di Padova. Nel 1795 la chiesa viene rifatta in stile classico e nel 1928 viene ampliata dall'architetto Vincenzo Bonato con l'aggiunta delle navate laterali. Gli affreschi presenti nella chiesa sono Apoteosi San Pietro e Spirito santo con angeli. Il primo affresco si trova al centro della navata centrale ed è un'opera tipicamente barocca. Adiacenti ai lati superiori e inferiori dell'affresco sono raffigurate con posizioni iconografiche i legni del martirio di San Pietro e i simboli papali ed ecclesiastici. In origine i dipinti dovrebbero essere stati quattro, infatti il tema iconografico è incompleto mancando L'Evangelista Giovanni. Mentre le prime due tele sono poste in chiesa rispettivamente sopra la porta della cappellina e sopra la porta della sagrestia. L'Immacolata, di autore ignoto, è un fine dipinto di piccole dimensioni, quindi si presume che per esso fosse stata prevista collocazione particolare, quasi privata; lo stile è settecentesco. Il parco dei Faggi ha origine nel 1862, anno in cui il conte Leopoldo Ferri - proprietario di Villa Giulietta situata nel fondo agricolo di Voltabarozzo - arricchisce l'ampio giardino all'inglese che circonda la residenza compiendo un gesto d'amore per la sua sposa Annetta, giovane donna della nobiltà ungherese dei baroni Wodianer von Kapriota di Budapest. Per il quartiere di Voltabarozzo e la città di Padova è una presenza rilevante dal punto di vista storico, monumentale e naturalistico. Il giardino ha una superficie di circa 23000 m² e al suo interno sono stati collocati elementi decorativi di pregio come il pozzo, una piccola fontana, vecchi muretti e ha una biodiversità molto elevata. Deve il suo nome alla presenza di alcuni esemplari di faggio, tra cui uno secolare, Fagus sylvatica asplenifolia (faggio a foglia di felce). Sono presenti inoltre numerose varietà di alberi e arbusti tra cui abeti, bossi, rosai, tassi, bamboo, semi sequoia e specie esotiche. Il faggio è un genere di pianta originaria dell'Europa, America, Giappone e Cina; Il tasso è un genere della famiglia delle Taxaceae (Conifere) che comprende specie di alberi e arbusti sempreverdi dai 5 ai 25 m, originarie dell'emisfero boreale; L'abete è un genere comprendente 48 specie di conifere sempreverdi della famiglia delle pinacee, è originario delle zone di clima boreale dell'Europa, dalle Alpi Marittime attraverso l'Europa centro-settentrionale fino agli Urali; Le Rosacee sono una famiglia di Angiosperme cosmopolita comprendente poco meno di 5000 specie in 91 generi di erbe, arbusti e alberi, tra cui moltissime di grande importanza per l'economia umana (es. alimentari, ornamentali, medicinali, foraggere e industriali) dell'Asia e dell'Europa; Il Bosso è un genere appartenente alla famiglia delle Buxaceae; è un arbusto cespuglioso sempreverde, ramoso compatto con fusto, rami e legno giallastri. Si trova spontaneo in luoghi rocciosi, aridi anche calcarei, in Europa, Asia e Africa. Il bamboo è una tribù di piante spermatofite monocotiledoni appartenente alla famiglia delle Poaceae (ex Graminaceae) e sottofamiglia Bambusoideae. Le palme sono una famiglia di piante monocotiledoni appartenenti all'ordine Arecales, diffuse per la maggior parte nei climi tropicale e subtropicale Villa Ferri Treves De' Bonfili-Rignano Sgaravatti, di notevole valore storico e artistico, è adibita a sede scolastica. Venne costruita come residenza di villeggiatura a cavallo di due secoli (XVIII – XIX) per volontà del suo proprietario Andrea Cittadella. Dalla grande carta del padovano di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni (1780) e della mappa del catasto napoleonico (1811) risulta l'esistenza di questa villa veneta. Andrea abitava in città e l'aveva costruita come casa di villeggiatura. Nel 1840 ne divenne proprietaria Luigia Verardi che nel 17 dicembre del 1855 sottoscrisse l'atto di compravendita dell'intera proprietà al conte Leopoldo Ferri. I Ferri abitavano vicino alla Basilica del Santo. Tale casa con il suo giardino annesso passò in seguito di proprietà in proprietà, fino ad essere acquisita nel 1970 dal Comune di Padova. Le scuole pubbliche del quartiere fanno parte dell'VIII Istituto Comprensivo di Padova: Scuola secondaria di primo grado "Luigi Stefanini" Scuola primaria "Ippolito Nievo" Altre scuole: Scuola materna non statale "Ferrante Aporti" Asilo nido "Lo scarabocchio". La sede scolastica, già Villa Ferri Treves De' Bonfili-Rignano Sgaravatti, di notevole interesse storico e artistico, è stata intitolata al filosofo e pedagogista Luigi Stefanini (Treviso, 1891 – Padova, 1956). Nel 1860 Leopoldo Ferri costruì una grande villa (l'attuale Scuola Stefanini) immersa in un grande parco (Parco dei Faggi) dedicata a Giulia Facchini, sua madre. Nel 1861 sposò Anna, una nobile ungherese. La villa è caratterizzata da uno stile romantico molto diffuso in quegli anni nell'Europa centrale. Vengono, infatti, utilizzati disegni con riferimenti neobizantini e neoromantici; la facciata principale non è rivolta verso sud, come nelle ville venete, ma verso nord, privilegiando così l'affaccio verso il parco-giardino, il quale nasce con la villa e costeggia via Piovese. Nell'angolo nord-ovest della facciata vi è il grande stemma in pietra con raffigurate le insegne delle tre famiglie che hanno segnato la vita del Conte Leopoldo: la famiglia Zabarella (fascia con tre stelle); la famiglia Waldner (immagine del pellicano); la famiglia Facchini (zampa d'aquila o di gallo). Tali stemmi sono richiamati anche nei soffitti delle sale del piano terra, decorati con dipinti fastosi con disegni floreali e geometrici assieme allo stemma della famiglia Ferri e della casa d'Austria. Nel 1902 la casa venne venduta alla baronessa Vittoria Treves dei Bonfili che ci abiterà, assieme al marito Alberto Rignano, per circa 25 anni. In questo periodo la villa venne ampliata verso sud, in stile Liberty in accordo con la moda del periodo. Nel 1927 la villa e il parco vennero acquistate dal commendatore Vittorio Sgaravatti, che oltre a dimorarvi ne fece anche la sede della ditta “Società Sgaravatti Sementi”. Subito dopo l'acquisto venne costruito un nuovo edificio, la semenzaia (l'attuale scuola primaria). A causa di cattivi investimenti nel 1969 la società fallì e nella procedura fallimentare si inserì il Comune di Padova che acquista gli immobili nel 1970. La villa ospita la scuola primaria "Ippolito Nievo" e la scuola secondaria di primo grado "Luigi Stefanini". I restauri dell'edificio scolastico iniziarono nel 2009 e finirono nell'aprile 2013; la villa si trovava in gravi condizioni: il tetto aveva molte infiltrazioni, alcuni controsoffitti cadevano; nel primo piano le parti lignee erano deteriorate e non le si è potute salvare; l'intonaco era fortemente danneggiato. Gli interventi strutturali hanno interessato il solaio del secondo piano e la struttura di copertura, per garantire sia la capacità portante sia il miglioramento sismico dell'edificio. Per la copertura si sono aumentate le capacità portanti delle travi. Invece le mensole sono state trattate con protesi lignee, inoltre sono state inserite in opera staffe metalliche. Gli stucchi di Villa Ferri sono in gesso e hanno consentito di svolgere il lavoro più velocemente, ma data la sua consistenza porosa non è adatto agli ambienti umidi e agli sbalzi termici, per questo la maggior parte degli stucchi di Villa Ferri sono ceduti e si è dovuto provvedere al loro restauro. L'arco Tudor è basso e ampio e rappresenta lo stile inglese,è a punta e schiacciato. A Villa Ferri è bicentrico con i 2 raccordi superiori retti;viene detto anche arco parabolico perché può sostenere un peso di 1500 kg per metro lineare.Le porte del piano terra sono rivestite con impalcature di radica di noce, nella parte interna, mentre quella esterna è rivestita in lastronatura di noce. Il restauro delle decorazioni delle pareti sono riferite alla seconda metà del XX secolo e realizzate con calce e tempera. Lo stemma era appartenente al nobile consiglio della città di Padova fino dal secolo XVI, fu decorata del titolo comitale nella persona di Pellegrino Ferri da Federico IV re di Danimarca nel 1709; titolo che fu riconosciuto dalla Repubblica Veneta nel 1710 e confermato da Francesco I imperatore d'Austria nel 1819. In questo stemma compare l'aquila bicipite nera con le ali aperte, tipica degli Asburgo che contiene un altro scudo, diviso in quattro parti. Sopra lo scudo c'è la scritta S.P.Q.R. [ simbolo di Roma e poi del Sacro Romano Impero, dal quale la corona d'Austria si riteneva erede]. Mario Bortolami (a cura di), 1310-2010 Voltabarozzo - Comunità da 700 anni, Tipografia Veneta, 2010, pp. 17,18,19,20,21,22. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Voltabarozzo La storia della parrocchia, su voltabarozzo.it. Voltabarozzo, su b4padova.it. URL consultato il 7 dicembre 2019 (archiviato dall'url originale il 28 novembre 2019).

Albignasego
Albignasego

Albignasego (Albignàxego in veneto) è un comune italiano di 26 921 abitanti della provincia di Padova in Veneto. È parte integrante dell'area metropolitana della città di Padova e risulta essere il secondo comune della provincia per popolazione, dopo il capoluogo. Albignasego è situato nella pianura padano-veneta a sud di Padova e a pochi chilometri dai colli Euganei. Il toponimo Albignasego deriva dal nome latino di persona Albinius, che molto probabilmente fu il nome di un proprietario terriero di queste terre, ed all'accostamento ad esso del suffisso -aticus che indica appartenenza, perciò il nome della cittadina significherebbe "appartenenza di Albinio". Il territorio comunale risulta essere stato abitato fin dall'epoca preistorica. Reperti dell'Età del bronzo sono stati rinvenuti agli inizi del XX secolo in località Mandriola ed attualmente sono conservati al Museo civico di Padova. La presenza dei corsi d'acqua insieme alla fertilità del territorio garantirono fino all'epoca romana una continuità abitativa nel territorio albignaseghese. Con l'arrivo delle legioni romane in Veneto la zona fu interessata dalla centuriazione e bonificata per permettere un migliore sfruttamento del suolo. Tra il 49 a.C. e il 45 a.C. il territorio del comune entrò nella sfera amministrativa del municipio romano di Patavium (attuale Padova). Il primo documento noto in cui si cita Albignasego è un diploma dell'imperatore Berengario I con il quale veniva ribadito il diritto di assegnazione delle decime di Villa Albignasega ai Canonici della Cattedrale di Padova. Lo stesso toponimo appare in altri documenti dello stesso genere, mentre se ne ritrova uno diverso in una "stima" papale del 1297, dove viene citata la parrocchia cittadina come San Tommaso de Bignasico. Dal XV secolo Albignasego lega la sua storia alla famiglia degli Obizzi, casato originario di Lucca con discendenze in diverse città del centro-nord Italia, tra le quali anche Padova. Lo stemma e il gonfalone di Albignasego sono stati concessi con regio decreto del 7 gennaio 1938. Il campo verde fa riferimento alla diffusa agricoltura e ai vasti boschi presenti all'epoca della concessione dello stemma. Il bue rappresenta gli antichi allevamenti di bovini ed è inoltre simbolo dell'eroismo e della forza d'animo dimostrata dalla comunità albignaseghese. Il gonfalone è un drappo di verde riccamente ornato di ricami d'oro. Il complesso architettonico, detto anche della Mandriola, posto nei pressi del terzo chilometro della Strada statale 16 Adriatica, fu costruito della famiglia veronese dei Conti di San Bonifacio nel XVI secolo. La villa fu fatta costruire nella zona attualmente conosciuta come Mandriola, ma detta in epoche storiche anche San Bonifacio, dalla nobile famiglia veronese dei San Bonifacio, visto che la Famiglia dei Conti di San Bonifacio si divide allora in due rami, di cui l'uno rimane a Padova e l'altro torna a stabilirsi in Verona. La facciata principale della villa risulta in parte mutila dell'originale frontone perso in seguito a una tromba d'aria che si è abbattuta negli anni settanta del secolo scorso sulla zona. Inalterato, invece, risulta il monumentale Salone delle Feste o Sala da Ballo della Villa che occupa l'altezza dei due piani dell'edificio. Ha le pareti decorate da affreschi raffiguranti le fatiche di Ercole e il soffitto è decorato da un grande affresco di scuola "tiepolesca ", dai colori leggeri che raffigura Apollo e le Muse ed è attribuito a Gian Battista Canal. Di notevole interesse è la balaustra lignea che delimita il ballatoio che corre lungo tutto il perimetro della sala. Rilevante l'annesso Parco romantico di circa cinque ettari, che circonda la villa, abbellito da viali intervallati da grandi statue settecentesche rappresentanti personaggi mitologici che conducono attraverso il grande bosco composto da una vasta quantità e varietà di piante secolari e monumentali altre che al laghetto. Adiacente alla villa è presente un edificio risalente al XVI-XVII secolo, restaurato nel Settecento per le nozze di Ercole San Bonifacio con Teresa degli Obizzi. Infine, va citato l'annesso oratorio dedicato a San Jacopo (risalente al Seicento), che presenta un campanile a cuspide di tipo romanico a pigna. Questo oratorio aveva nome di Abbazia e fu la prima chiesa della comunità di "Mandriola". Dentro la villa furono girate alcune scene del film L'ingenua di Gianfranco Baldanello con Ilona Staller (1975). La piazza si trova nel centro del paese e accanto a Villa Obizzi. Inizialmente adibita a parcheggio, è stata riqualificata nel 2020. La Villa Obizzi risale al XVII secolo, ed è accostata alla figura di Pio Enea II Obizzi. Essa sorge nel centro del paese ed è circondata da un giardino, il quale ora è diventato il "Parco della Rimembranza". La villa è adibita a sede di uffici comunali e alla biblioteca della cittadina. Numerosi i restauri, l'ultimo dei quali ha riportato la villa al suo antico splendore nel 2007. La villa, il cui nome completo è Villa Lion Salom Bragadin si trova nella frazione di Lion (unico centro storico presente nella città) ed è attorniata da un grazioso parco con un piccolo laghetto. Essa fu costruita sul finire del XVI secolo su mandato della famiglia veneziana dei Bragadin. Nei secoli successivi subì diverse ristrutturazioni da parte dei successivi proprietari, gli Obizzi ed i Salom: questi ultimi fecero costruire nel parco un piccolo castello in stile "romantico-decadente". La maggior parte della villa è posseduta dalla famiglia Michieli e ospita un celebre ristorante-prosciutteria, mentre la zona del castelletto e delle cantine è posseduta dalla famiglia Gulisano. Abitanti censiti Al 31 dicembre 2022 la popolazione straniera era di 1 599 abitanti, pari al 7,26% della popolazione. Sono due i quotidiani storici che si occupano attualmente della cronaca locale della città: il Gazzettino e il Mattino di Padova. Dal 2020 viene distribuito gratuitamente a tutte le famiglie l'edizione locale del mensile Il Giornale Di nel supplemento denominato "Il Giornale di Albignasego". Albignasego conta sette ambiti territoriali omogenei (ATO) all'interno del suo territorio comunale: S. Tommaso - S. Lorenzo - Ferri (7,09 km², 11.700 ab.) Sant'Agostino (dal nome della parrocchia, Sant'Agostino, 1,48 km², 4.250 ab.) Mandriola (1,82 km², 2.050 ab.) San Giacomo (3,41 km², 2.350 ab.) - Geograficamente situata a sud-est, è la frazione più giovane del Comune, diventando autonoma a livello di Parrocchia dalla frazione di Lion solo nel 1960. L'edificio più importante è la Chiesa di San Giacomo (1970), che sostituì quella originale risalente al Trecento in cui rimangono ancora alcune tracce dell'antica costruzione. Lion (2,21 km²,1.450 ab.) Carpanedo (2,28 km², 2.000 ab.) Zona produttiva (2,75 km², 350 ab.) Va aggiunto, inoltre, che l'ATO "S. Tommaso - S. Lorenzo - Ferri" è suddiviso nei tre quartieri di San Lorenzo, San Tommaso e Ferri (Santa Maria Annunziata), corrispondenti alle tre parrocchie qui esistenti. Attraversata in senso longitudinale nord-sud dalla Strada provinciale 92 "via Guizza", Albignasego è collegata con Padova mediante autoservizi svolti da APS Holding e Busitalia-Sita Nord. Fra il 1888 e il 1954 nella cittadina fu presente inoltre una stazione della tranvia Padova-Bagnoli di Sopra, gestita dalla Società delle Guidovie Centrali Venete (gruppo Società Veneta), parte di un gruppo di infrastrutture che contribuirono in tale periodo al rilancio economico della provincia di Padova. L'Amministrazione comunale di Albignasego, con quelle di Casalserugo e Maserà di Padova, fa parte dell'Unione Pratiarcati, una Unione dei comuni della provincia di Padova. Galanta, dal 2007 La principale squadra di calcio della città è l'Albignasego Calcio, nella stagione 2017-2018 milita in Promozione. Fondata nel 1959 nella sua storia conta due campionati di Serie D nelle stagioni 2008-2009 e 2009-2010. Nell'estate 2010 la società si fonde con il San Paolo Padova e scompare. Viene così costituita una nuova società grazie anche alla sezione calcio del CUS Padova. Nasce così sempre nel 2010 l'Universitaria Albignasego che successivamente cambierà nome in Albignasego Calcio. Attualmente milita nel campionato di Eccellenza. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Albignasego Sito ufficiale, su comune.albignasego.pd.it. Albignàsego, su sapere.it, De Agostini.

Rio (Ponte San Nicolò)
Rio (Ponte San Nicolò)

Rio oppure Rio di Ponte San Nicolò è una frazione del comune di Ponte San Nicolò, in provincia di Padova. Insieme a Roncaglia e Roncajette è una delle suddivisioni o frazioni di Ponte San Nicolò. Rio si è costituita all'inizio del Duecento con il nome di Rivus, cioè ruscello o canale, perché, appunto, attraversato da un corso d'acqua. Secondo uno statuto del comune di Padova del 1272, il nome era già divenuto Rio. Alla fine del Cinquecento, gli abitanti di Rio superavano di poco il centinaio; nel Novecento giunsero al migliaio. In questa frazione era presente, nel corso del Trecento, la famiglia Da Rio che riuscì ad incidere sulle vicende politiche della città di Padova. I "da Rio" furono professionisti, commercianti, banchieri e notai. Nella vicina frazione di Roncajette la Villa "da Rio", ne richiama ancora la memoria. La famiglia era di origine veneziana esistente fino al secondo dopoguerra quando poi si è estinta. A Padova, in Via Dante, è tuttora esistente Palazzo Da Rio. La chiesa originale di Rio dedicata a Sant'Antonio Abate viene citata in un testamento del 1267. Nel 1455 risulta unita a quella della vicina Voltabarozzo, secondo quanto indicato dalla descrizione di una visita pastorale. Fino al 1574 il responsabile di entrambe le chiese era titolare principalmente della chiesa di Rio, quando Voltabarozzo divenne parrocchia autonoma. Successivamente le sorti si invertirono e fu la chiesa di Rio a passare sotto quella di Voltabarozzo, ma con un curato proprio, scelto dal parroco di Voltabarozzo, al quale il vescovo di Padova Gregorio Barbarigo assicurò maggiore autonomia con un decreto del 1687. Nei primi anni del novecento la popolazione aumentò e così il vescovo Elia Dalla Costa decise così di restituirgli la sua antica autonomia erigendola nel 1930 a curazia autonoma. Il 7 ottobre 1945, il vescovo Carlo Agostini la elevò a parrocchia e nello stesso giorno benedisse la prima pietra della nuova chiesa inaugurata poi nel 1949 mentre quella antica fu definitivamente abbandonata. I fedeli, per riconoscenza ad Agostini, intitolarono la parrocchia anche a San Carlo Borromeo. Commissionato dall'amministrazione comunale di Ponte San Nicolò e inaugurato sabato 31 gennaio 2004, il progetto di ampliamento e risistemazione dell'area cimiteriale di Roncaglia - Rio è caratterizzato anche da un complesso statuario definito I Guardiani della Dormiente. Le statue e il progetto sono opera dell'artista Antonio Ievolella e dell'architetto Claudio Aldegheri. I sette Guardiani della Dormiente sono posizionati sulla piazza antistante al cimitero; sono raffigurati come dei totem con scudi e lance e con i loro otto e più metri di altezza, si elevano sopra la stessa cinta muraria, lunga 40 metri e alta oltre 6 metri in acciaio Corten. In una fascia orizzontale nella cinta muraria sono posizionate delle urne bianche decoramentali. Dall’anno 2015 è presente la linea 16 di Busitalia Veneto che collega Rio al centro di Padova. per raggiungere il centro città da Rio ci si può servire del 16 FERROVIA, che attraversa varie zone di Padova per poi concludere la corsa in Ferrovia passando per le Riviere. Ovviamente l’autobus che fa il giro inverso è il 16 RIO, che partendo dalla ferrovia tornerà al paesino di Rio. Fino a poco tempo fa il capolinea era situato davanti alla chiesa, ma ora è stato spostato di pochi metri più avanti. Nella frazione di Rio sono presenti diverse associazioni sportive: Polisportiva Rio, con relativo campo da calcio. Rio Volley, squadra di pallavolo locale che si suddivide in diverse categorie. A.S.D. Arcieri Rio è un'associazione sportiva di tiro con l'arco legata alla FITARCO. La palestra è situata presso l'impianto sportivo della Polisportiva Rio ed è un'arcostruttura messa a disposizione dalla Polisportiva per tutto il periodo invernale. Marco Galiazzo, tra i più rilevanti atleti del panorama del tiro con l'arco italiano ed internazionale, è stato uno degli allievi dell' A.S.D. Arcieri Rio. Le associazioni organizzano nel mese di luglio la Festa dello Sport, uno dei più importanti eventi legati allo sport del comune di Ponte San Nicolò. Ponte San Nicolò Provincia di Padova http://www.comune.pontesannicolo.pd.it/home.asp http://www.riovolley.net/ https://web.archive.org/web/20130917043212/http://www.arcieririo.it/ Sul sito del comune di Ponte San Nicolò è possibile consultare un albo foto su Rio e dintorni. http://www.comune.pontesannicolo.pd.it/galleria.asp?tipo=252

Ponte San Nicolò
Ponte San Nicolò

Ponte San Nicolò (abbrev. Ponte in veneto) è un comune italiano di 13 354 abitanti della provincia di Padova in Veneto. Il paese sorge sul confine sud-est del comune di Padova. Si sviluppa attorno alla Strada statale 516 Piovese ed è attraversato dal canale Roncajette, un tratto del fiume Bacchiglione. Negli ultimi decenni è stato oggetto di una sensibile crescita demografica, limitata però rispetto ai piani urbanistici degli anni '80, in quanto la popolazione è sempre rimasta al di sotto dei 15.000 abitanti. Le notizie storiche sul paese, probabilmente già abitato al tempo dei Romani, si datano attorno all'anno mille. Nel 918 è menzionato il borgo di Roncajette, chiamata all'epoca Roncaliutari, ovvero luogo di rovi da estirpare con la roncola. In quel periodo nella zona lungo la riva destra del fiume Retrone (antico nome del fiume Roncajette) sorgeva una vasta selva chiamata "Ponteglese", mentre nel 1130 si nomina l'esistenza della cappella di San Fidenzio di Roncajette. Qui, tra l'attuale frazione e il capoluogo, sorgevano mulini natanti e un porto fluviale dove attraccavano barche cariche di sale, lino e vasellame in terracotta. Nel 1130 fu edificata una prima cappella dedicata a San Nicolò, protettore dei naviganti, situata sull'altra sponda del fiume dove sorge oggi la chiesa omonima. L'insediamento abitativo era collegato da un ponte in legno di rovere, che venne riedificato in pietra a tre arcate (oggi ricordate nello stemma comunale) nel 1228. Il "comune et homines Pontis Sancti Nicolai", alle dipendenze dei canonici della cattedrale di Padova, è ricordato in scritti del 1277. Presso il ponte di pietra si accamparono le armate di Cangrande della Scala (1317-1318), impegnate nell'assedio di Padova. Il ponte fu percorso da migliaia di profughi in fuga dal capoluogo durante le incursioni della Serenissima (1372-1373); venne inoltre distrutto durante l'assedio dell'imperatore Massimiliano d'Asburgo (1509). Il paese fu colpito nel corso dei secoli da numerose inondazioni, dovute anche dalla presenza dei mulini; in particolare si ricordano quelle del 1882, del 1907, del 1966 e del 2010. Dopo la piena del 1907 il ponte in pietra fu abbattuto e, al suo posto, venne inaugurato nel 1913 l'attuale ponte in metallo. Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 14 marzo 1955. Il gonfalone in uso al comune è un drappo di rosso con la fascia di giallo, in conformità con la descrizione presente nel decreto di concessione anche se nel bozzetto che lo accompagna appare dipinto interamente di rosso. La chiesa di San Nicola, fu edificata nel 1898, in stile gotico-lombardo; il campanile fu costruito tra il 1946 e il 1950. L'antica chiesa parrocchiale di San Nicolò, intitolata alla Vergine e poi al Santissimo Crocifisso. Costruita come semplice cappella nel 1291 sulla riva destra del fiume (oggi, dopo la rettifica del canale, si trova sulla riva sinistra), venne affidata in giuspatronato alla nobile famiglia padovana dei Capodivacca e, dal 1579, ai conti di Collalto. Nel corso del XVII secolo, la chiesa venne ampliata con la costruzione di un transetto e di una nuova sagresita. Nel 1753, fece visita alla chiesa ed al paese il cardinale Carlo Rezzonico, all'ora vescovo di Padova, futuro papa Clemente XIII. Nel 1949, l'ampiamento seicentesco venne demolito e il materiale ricavato verrà utilizzato per la costruzione del campanile della nuova parrocchiale. Ad oggi la chiesa versa in pessime condizioni, con il soffitto pericolante. In paese è però nato l'interesse per il monumento che ha portato alla creazione del gruppo Amici della chiesetta. La chiesa parrocchiale di San Fidenzio di Roncajette. Situata nella frazione omonima, viene menzionata per la prima volta in un documento del 1130. Essa ha configurazione settecentesca. Vi si trova un interessante polittico del XIV sec. con Madonna e Santi in dieci comparti, distribuiti su due registri, di un pittore conosciuto come Maestro di Roncaiette. La chiesa parrocchiale di San Basilio di Roncaglia, menzionata in un documento del 1171. La chiesa di Sant'Antonio abate e San Carlo Borromeo, parrocchiale di Rio. La villa dei conti Da Rio, a Roncajette. Costruita dalla nobile famiglia, originaria della frazione omonima, è un'elegante villa seicentesca, probabilmente costruita su un preesistente edificio. Ad essa è annessa una piccola cappella tuttora consacrata. La storia della famiglia è molto legata a quella del comune tanto che è probabile che le due stelle a sei punte e il giglio presenti nello stemma comunale, siano un riferimento allo stemma nobiliare della famiglia. Casa Nardo, nel capoluogo, è risalente al cinquecento, rendendola l'edificio civile più antico del Comune. Recentemente restaurata, si trova vicino all'antica parrocchiale. Ex edificio del Magistrato delle acque, oggi sede della sezione comunale della Protezione civile. Sorge sulla riva sinistra del canale, a poca distanza dal ponte. Villa Crescente, a Roncaglia. Fu costruita da Cesare Crescente, sindaco di Ponte San Nicolò e, successivamente, di Padova. La struttura, molto particolare, la rende simile ad un castello con tanto di finta torretta. Dopo un periodo d'abbandono, nella villa sono cominciati i lavori di restauro che la porteranno ad essere la nuova sede della biblioteca comunale. L'ex laboratorio analisi delle sementi, oggi edificio privato, rappresenta l'unica testimonianza dell'epoca fascista nel comune assieme all'ex Casa del Fascio, oggi edificio abbandonato. Costruito negli anni trenta, si presenta come un imponente edificio sulla strada statale. All'esterno decorato con mattoni rossi a vista, la facciata è arricchita da una scalinata che porta a tre maestosi ingressi, separati da due alte colonne decorate con rilievi rappresentanti scene bucoliche. Esso sorge a poca distanza dalla sede della protezione civile e dal Municipio cittadino. L'ampliamento del Cimitero di Roncaglia-Rio, progettato dall'arch. Claudio Aldegheri - Studio Aldegheri Xquadra e realizzato nel 2003, è stato inserito nel Censimento delle architetture italiane contemporanee del Ministero della Cultura. Le sette statue in acciaio all'ingresso del cimitero, chiamate Guardiani della Dormiente, sono opera dello scultore Antonio Ievolella. Abitanti censiti Dati aggiornati mensilmente: http://www.comune.pontesannicolo.pd.it/quantisiamo.asp Il comune di Ponte San Nicolò si divide in quattro frazioni: il Capoluogo di Ponte San Nicolò, Rio, Roncaglia, Roncajette. Sono invece cinque le parrocchie: Ponte San Nicolò capoluogo, Roncaglia, Rio, Roncajette e San Leopoldo. Proprio San Leopoldo, quartiere nato negli anni ottanta, è considerata ormai, seppur in maniera informale, una frazione a tutti gli effetti. Ponte San Nicolò è collegato al capoluogo della provincia (Padova) tramite le linee urbane 14 e 16 di Busitalia Veneto. Dal 1890 al 1954 il paese fu attraversato dalla Tranvia Padova-Piove di Sacco, nei primi anni a vapore e poi elettrificata nel 1913. Ponte San Nicolò è stata governata per tutta la prima repubblica da sindaci appartenenti alla Democrazia Cristiana. Nel novembre 1991 Mariano Schiavon, sindaco dal 1980, dopo la fuoriuscita dell'ala destra del partito dalla maggioranza, ha fatto entrare nella sua compagine anche i rappresentanti del Partito Comunista Italiano e del Partito Socialista. La coalizione di centrosinistra, rinominata Ponte San Nicolò Democratico, ha governato il Comune per 23 anni. Nel 1995 l'elezione del sindaco Gaetano Calore, riconfermato nel 1999. Nel 2004 quella dell'ex-assessore Giovanni Gasparin e nel 2009 di Enrico Rinuncini. Nel 2014 il sindaco Enrico Rinuncini ha creato la lista civica "Ponte San Nicolò comunità viva", che si è imposta alle elezioni amministrative del 25 maggio 2014 con il 68% dei voti. Nel 2019 la lista "Ponte San Nicolò comunità viva" si impone nuovamente con il 45,99%, con l'elezione del sindaco Martino Schiavon. Crest Dobra Alcuni sportivi di Ponte San Nicolò hanno ottenuto importanti risultati in campo italiano e internazionale. Spiccano in particolare i successi olimpici del canottiere Rossano Galtarossa, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Sydney 2000, medaglia d'argento alle Olimpiadi di Pechino 2008, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Barcellona 1992 e alle Olimpiadi di Atene 2004 e quarto classificato alle Olimpiadi di Atlanta 1996, e dell'arciere Marco Galiazzo, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Atene 2004 e alle Olimpiadi di Londra 2012, medaglia d'argento alle Olimpiadi di Pechino 2008. Originari del paese sono anche il nazionale di rugby Carlo Salmaso, il pilota di rally Roberto Bauce e gli arbitri Mariano Schiavon, ex assistente di calcio in Serie A, e Paolo Scarso, arbitro di pugilato nazionale F.P.I. 1973, internazionale E.B.U. 1992 e primo arbitro del Triveneto a raggiungere il livello mondiale W.B.C 2002, Medaglia d'oro al valore sportivo C.O.N.I. nel 2003. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ponte San Nicolò Sito ufficiale, su comune.pontesannicolo.pd.it. Pónte San Nicolò, su sapere.it, De Agostini.

Guizza
Guizza

La Guizza (Quartiere 4 Sud Est) è uno dei quartieri collocati più a sud della città di Padova, estendendosi dalla zona del Bassanello sino al confine settentrionale del comune di Albignasego. Zona residenziale, con una forte densità abitativa, la Guizza è attraversata dal principale asse del Metrotram cittadino, il cui capolinea sud si trova in questo quartiere. Rappresenta il principale punto di accesso alla città per il traffico proveniente dalla parte meridionale della provincia. La Guizza è un quartiere della zona 4 (sud) di Padova. Il quartiere è delineato dal Lungargine Bassanello e dal fiume Bacchiglione. Il quartiere confina con il Crocifisso, con Salboro e con la Paltana. La via principale è Via Guizza Conselvana. Il quartiere ha una superficie di circa 4,26 km2 e vi risiedono 12 848 ab. Il nodo fluviale del Lungargine Bassanello aveva passi a barche, essendo assicurato ad una fune posta di traverso al canale Maestro e il ponte in muratura, risalente al 1281. Sono state fatte alcune proposte di rettifica da Angelo Artico per agevolare lo smaltimento delle piene. Sono stati proposti degli schemi idrografici per i principali progetti di sistemazione dei fiumi Brenta e Bacchiglione fino all'anno 1777. Anton Maria Logna ha proposto una regolazione delle acque a Padova, che prevede il collegamento diretto tra il Bacchiglione, il Bassanello e il canale Roncajette. L'idea è stata ripresa un secolo più tardi dall’idraulico toscano Vittorio Rossombrone. È stato costruito un canale scaricatore delle piene che ha origine nell'Ottocento ed è stato reso navigabile negli anni Trenta del Novecento. Il nome "Guizza" deriva dal termine longobardo Vìzha, che significa bosco. Il territorio a Sud di Padova, infatti, era paludoso e vi sorgevano estesi boschi naturali prima che la città si estendesse urbanisticamente. La storia della Guizza, da quando era una stazione di posta alla sua incorporazione nella città, è al centro di gran parte della narrativa dello scrittore padovano Piero Sanavìo. Il quartiere Guizza è conosciuto dal 1016, ma i primi insediamenti risalgono al periodo dell’Impero romano. Sono datate fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. alcune anfore ritrovate nel 2009 in via dei Salici durante i lavori di costruzione dell'impianto sportivo. I primi ad abitare questo quartiere furono i cosiddetti capofamiglia con le rispettive famiglie. In seguito i Romani abbandonarono il quartiere, che si riempì di foreste e di corsi d’acqua. A partire dal 1630 il Bassanello fece parte della Guizza. La Guizza nel Novecento era un sobborgo di Padova. Essa era caratterizzata da case coloniche sparse e da ville di ricchi proprietari, costruite in Via Wollemborg e in via Fogazzaro. Nel 1919 fu fondata in via Guizza 14 la fabbrica di giocattoli Ingap (Industria Nazionale Giocattoli Automatici Padova) che nel 1938 giunse a impiegare circa 600 lavoratori e divenne una delle fabbriche di giocattoli più importanti a livello internazionale in uno spazio di oltre 15.000 metri quadrati. Si producevano giocattoli in latta ma anche innovative automobili, trenini, aerei a movimento meccanico. All'apice del successo la fabbrica produceva fino a 400 modelli diversi. La concorrenza straniera e l'avvento della plastica portarono l'Ingap a un inesorabile declino che portò alla chiusura nel 1972. Nel 1922 fu costruito il tempietto dedicato alla Madonna di Lourdes, che era invocata per proteggere i raccolti agricoli. Nel 1981 il gruppo terroristico delle Brigate Rosse rapì il generale statunitense James Lee Dozier, che fu liberato dopo avere trascorso 42 giorni di prigionia in un appartamento di via Pindemonte. Tre sono le chiese presenti nel quartiere Guizza: la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, inaugurata il 23 ottobre 1892; la chiesa dei Santi Angeli Custodi, inaugurata il 31 agosto 1957 e Santa Teresa del Bambino Gesù, inaugurata il 1 ottobre 1973. Come in tutta la città la religione più diffusa è quella cattolica. Il IX Istituto Comprensivo "Ricci Curbastro" comprende: Scuola primaria "Ricci Curbastro" Scuola primaria "Oriani" Scuola secondaria di I grado "Marsilio da Padova" Scuola primaria "E. Cornaro" Scuola dell'Infanzia "L'Aquilone" Dal 25 novembre 2019 è attivo un punto di erogazione del CPIA (Centro Provinciale per l'Istruzione degli Adulti) di Padova presso la ex casa del custode della scuola "Ricci Curbastro": vengono erogati corsi di licenza media e di lingua italiana per adulti. Pier Giovanni Zanetti, Bassanello e Guizza, Padova, La Galiverna, 1987. Pier Giovanni Zanetti, Acque di Padova, Verona, Cierre, 2013. Pier Giovanni Zanetti, Bassanello tra acque e ponti, Padova, La Galiverna, 1986. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Guizza Guizza: quartiere 4 Sud-Est, su padovanet.it. 9° Istituto Comprensivo, su 9icpadova.edu.it. Guizza: Storia, Vita e Prospettive del Quartiere, su mediaspace.unipd.it.

Tempio nazionale dell'internato ignoto
Tempio nazionale dell'internato ignoto

Il Tempio nazionale dell'internato ignoto è un sacrario e una chiesa del quartiere Terranegra di Padova, realizzato a ricordo degli internati nei lager nazisti durante la seconda guerra mondiale. All'interno del complesso è ospitato anche il Museo dell'internamento dedicato a tutta la vicenda storica dell'internamento durante la guerra. Durante la seconda guerra mondiale, don Giovanni Fortin diede rifugio a militari inglesi e per questo venne internato agli inizi del 1944 nel campo di concentramento di Dachau in Germania. Sopravvissuto alla deportazione di Dachau, don Fortin si impegnò perché l'edificio di Terranegra, da lui ideato nel 1953 e già in costruzione nella sua parrocchia, diventasse un Tempio-Ossario con annesso Museo della Deportazione. I deportati italiani (militari e civili) nei campi nazisti furono, dall'8 settembre 1943 alla fine del conflitto, circa 650.000 e circa 70.000 non fecero ritorno. Gli ebrei sterminati nell'Olocausto (circa 6 milioni), tra i quali molti italiani, sono pure ricordati a Terranegra. Il 13 settembre 1999 il Presidente del Senato Nicola Mancino consegnò la medaglia d'oro al valor militare conferita dall'allora Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro alla memoria dell'Internato Ignoto. Il tempio è una chiesa cattolica che ospita anche la locale parrocchia di San Gaetano da Thiene. La sede della parrocchia fu trasferita dalla vecchia chiesa di Terranegra nel 1955. Nell'atrio della chiesa è presente un sarcofago con le spoglie di un internato ignoto. Aperto nel 1955 e ristrutturato nel 1999, il museo dell'internamento ospita documentazioni, foto, oggetti che descrivono l'esperienza dei deportati nei campi di concentramento. Nella sua presentazione il museo si descrive come parte inscindibile dal Tempio nazionale dell'internato ignoto. Dal 2007 il museo è gestito dall'Associazione nazionale ex internati (ANEI). Giardino dei Giusti del Mondo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Tempio nazionale dell'internato ignoto Sito ufficiale, su museodellinternamento.it. Museo nazionale dell'internamento, in Luoghi di Memoria e Resistenza. Internato Ignoto, in Donne e Uomini della Resistenza.

Giardino dei Giusti del Mondo
Giardino dei Giusti del Mondo

Il Giardino dei Giusti del Mondo è un parco di Padova, nella zona di Terranegra, creato per onorare i Giusti, persone che con la loro azione si sono opposti ai genocidi del XX secolo. A differenza di altri luoghi e monumenti simili dedicati singolarmente a eventi come la Shoah o il genocidio armeno, il Giardino di Padova intende onorare i Giusti di qualunque genocidio, come quello del Ruanda e quello bosniaco. Il giardino fu inaugurato il 5 ottobre 2008 dopo un percorso svolto dal comune di Padova all'interno del progetto Padova Casa dei Giusti (Padua Home of Righteous), nato nel 1999 da un'idea di Giuliano Pisani. Ispirandosi al titolo di Giusto tra le nazioni israeliano, al Giardino dei Giusti di Gerusalemme e agli omologhi giardini di Erevan e Sarajevo, fu deciso di realizzare un luogo dove onorare personalità che avevano protetto, a rischio della propria vita, i perseguitati dai genocidi. Nel 2000 fu organizzato il convegno internazionale Si può sempre dire un sì o un no: i giusti contro il genocidio degli Armeni e degli Ebrei in collaborazione con il Comitato per la Foresta Mondiale dei Giusti di Milano, analoga iniziativa sorta nel capoluogo lombardo nel 2003. La sede del giardino fu scelta nei pressi del Tempio nazionale dell'internato ignoto e dell'attiguo museo. La chiesa, nuova sede parrocchiale, fu fatta costruire dal parroco monsignor Giovanni Fortin negli anni cinquanta dopo la sua deportazione a Dachau, in memoria degli internati e delle vittime dei campi di concentramento. Il progetto artistico fu affidato allo scultore padovano Elio Armano che realizzò delle strutture scultoree richiamanti delle grandi sbarre di ferro invecchiato. L'opera fu in realtà realizzata in cemento armato con un particolare rivestimento per ottenere l'aspetto del ferro arrugginito voluto dall'artista. Nel giardino ogni Giusto viene onorato con una pianta e una stele recante il suo nome. Il progetto prevede di ampliare il giardino in una sorta di "via dei Giusti" lungo l'argine (ribattezzato per l'occasione Passeggiata Cammino dei Giusti del Mondo) del canale San Gregorio, una delle diramazioni del fiume Bacchiglione in città, in adiacenza al quale sorge il giardino. Una prima tappa è stata inaugurata il 2 ottobre 2011. Un anno dopo, il 14 ottobre 2012, in occasione della quinta cerimonia di assegnazione del titolo di Giusto, è stato inaugurato il Giardino dei Giusti del Mondo di Noventa Padovana: i primi sette chilometri del Cammino dei Giusti del Mondo sono tracciati. Nel 2013, lungo la passeggiata Cammino dei Giusti del Mondo, è stata inaugurata una seconda tappa, con nove alberi che ricordano nove grandi storie, mentre un altro ciliegio è andato ad arricchire il Giardino di Noventa Padovana. Sul grande muro che circonda le strutture scultoree è riportato il motto del Giardino, una frase attribuita a Hannah Arendt: «Si può sempre dire un sì o un no». Il 2 ottobre 2011 anche il celebre campione di ciclismo Gino Bartali è stato inserito tra i Giusti del giardino padovano per il suo impegno in favore degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Dieci alberelli furono piantati nel 2008 in occasione dell'inaugurazione e altri vengono aggiunti annualmente (dodici nel 2009, dieci nel 2010, undici nel 2011, tredici nel 2012 e dieci l'anno successivo). AA.VV., Si può sempre dire un sì o un no: i giusti contro i genocidi degli armeni e degli ebrei, Padova, Cleup, 2001, pp. 288, ISBN 978-88-7178-705-3. URL consultato il 3 ottobre 2011. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giardino dei Giusti del Mondo Il Giardino dei Giusti del Mondo, su PadovaNET, Comune di Padova. URL consultato il 16 settembre 2011.

Porta Santa Croce (Padova)
Porta Santa Croce (Padova)

Porta Santa Croce è una delle principali porte d'accesso delle mura cinquecentesche di Padova. La porta attuale prese il posto di quella fatta costruire dai Carraresi e fu iniziata subito dopo l'assedio di Padova (1509), avvenuto nell'ambito della guerra di Venezia contro la Lega di Cambrai. Il nome Porta Santa Croce e la sua collocazione, nell’area sud del tracciato delle mura di Padova, risalgono al periodo Carrarese, quando Francesco III, detto "Il Vecchio", fece erigere nel 1372 degli spalti di terra a protezione dei borghi a sud ed a est della città, in particolare per i borghi di Santa Croce e Ognissanti. Per la realizzazione di queste opere di difesa lavorarono tutti i cittadini. Tra il 1374 e il 1377 le fortificazioni vennero completate interamente in muratura. La realizzazione di porta Santa Croce prevista nell'ampliamento della cinta meridionale da parte di Francesco III, non corrisponde alla collocazione della porta attuale: poiché il tracciato della terza cerchia muraria seguiva l'andamento sinuoso del Bacchiglione (il fiume vecchio oggi non più visibile), la porta di allora risultava più arretrata rispetto a quella attuale. Inoltre dalla cartografia quattrocentesca sappiamo che era l'unica porta prevista nell'espansione meridionale. Essa era caratterizzata da una torre ottagonale e recintata da una cinta quadrangolare forse divisa in due parti. La torre rimase presente ed isolata, ma venne demolita in parte nel 1737-1740 per fornire materiale per la ricostruzione della chiesa, infine venne interamente abbattuta nel 1787. Secondo gli studiosi è possibile che essa testimoni la presenza di apparati difensivi antecedenti l'ampliamento di Francesco III e risalenti al tempo in cui si erigevano torri isolate per la difesa dei territori limitrofi. Scavi archeologici del 1982 potrebbero aver individuato le fondazioni dell'antica porta ma necessitano di approfondimenti. Dopo la resa di Francesco III Padova venne presa dai veneziani e nel 1509 la Repubblica di Venezia ebbe la necessità di difendersi dagli attacchi da parte della Lega dei Cambrai. In questa occasione la città si preparò all'assedio: le mura medioevali vennero abbassate e rinforzate all'interno da terrapieni, così da assorbire al meglio i colpi dell'artiglieria. Dove le mura era più esposte vennero eretti bastioni provvisori in terra e palizzate lignee per appostarvi le artiglierie e proteggere le mura, inoltre vennero scavati nuovi fossati sia all'interno che all'esterno della cinta e iniziò l'opera del guasto, che negli anni successivi giunse alla profondità di un miglio, per la quale vennero abbattuti tutti gli edifici e gli alberi ad alto fusto attorno alla città con lo scopo di avvistare meglio i nemici. Dopo i lavori a rafforzamento della cinta, seguirono altri assedi. A marzo del 1517 viene pubblicata la relazione di Andrea Gritti, che tracciava un programma complessivo di organizzazione militare di difesa dello Stato. Esso comprendeva una serie di interventi concentrati a Padova, proposti da Fra Giocondo, con il fine di rispondere nell'immediatezza alle urgenze belliche. Il nuovo sistema bastionato o Rinascimentale era composto da diverse elementi: ponti, mura, torrioni, bastioni e porte. E' proprio in questa occasione che venne realizzata l'attuale Porta Santa Croce. Il tema degli accessi urbani, ovvero delle porte era molto dibattuto: si era alla ricerca di un “tipo” capace di soddisfare le necessità difensive e al contempo quelle celebrative. Le porte dovevano essere aggiornate in materia iconografica e di difensiva bellica, per difendere al meglio il Paese e rappresentare la sua forza politica e militate attraverso il linguaggio della magnificenza architettonica: gli accessi dovevano rappresentare uno Stato che si ritenesse sicuro. Lo sviluppo sul tema della porta urbana ebbe diversi interpretazioni lungo il corso del Cinquecento: tra il 1500 e il 1521 venne adottato un “tipo” in grado di fondere la funzione militare a quella di rappresentazione della magnificenza della Repubblica di Venezia. Gli accessi dovevano svolgere più funzioni, erano luoghi di transito, di controllo, di chiusura e apertura tra interno ed esterno, esplicitavano simboli dal contenuto politico e sacrale. Erano la facciata della città, l’immagine dell’istituzione politica e facevano da sfondo a feste, cerimonie e manifestazioni. Gli ingegneri militari ritenevano le porte come una falla nel sistema difensivo, mentre gli architetti e gli umanisti le consideravano un completamento di quest’ultimo, in quanto veicolo di celebrazione della sicurezza statale, mediante la trasmissione di messaggi simbolici, attraverso i linguaggi dell’architettura. Durante il XVI secolo molti architetti si espressero sul tema delle porte, tra i quali, Sebastiano Serlio il quale ne considerava la mera funzione architettonica e Francesco Maria della Rovere, che invece considerava la loro duplice funzione. I cambiamenti tecnici in ambito militare, comportarono la modifica della forma architettonica delle porte. La prima tipologia prevedeva una porta di forma cubica, connessa alla cortina ma autonoma. Questa tipologia richiamava ancora la porta medioevale, ed è secondo queste forme che venne progettata porta Liviana, precedente a porta Santa Croce. Lo schema applicato per porta Santa Croce, da Sebastiano Mariani da Lugano deriva dal motivo trionfale. Le porte realizzate successivamente a Santa Croce, presentano via via un apparato architettonico più ricco ed elaborato, segno dell’evoluzione e dell’elaborazione del tema degli accessi urbani. Il baluardo adiacente, venne realizzato nel 1554. Dal 1797, con la caduta della Repubblica Veneta da parte dell'esercito di Bonaparte, iniziò il periodo di obsolescenza delle mura. Tra il 1813 e il 1866 con l'occupazione austriaca la muraglia, ormai utile alla sola difesa rimase inalterata. Con l'annessione di Padova al Regno d'Italia venne proposto un intervento della cortina a sud, la quale avrebbe accolto l'entrata del Re Vittorio Emmanuele II. Egli vi transitò il 1° agosto 1866, come riporta l'iscrizione nella facciata a sud della porta. Il programma del 1517 proposto da Andrea Gritti portò alla modifica e all'interruzione di numerosi assi viari, alcuni dei quali vennero riaperti a fine 1800; in particolare nel fronte sud di Porta Santa Croce vennero riaperte due brecce. Nel 1882 il Comune di Padova acquisterà dal demanio dello Stato la quasi totalità delle mura cittadine: all'atto di acquisto è allegata una planimetria catastale 1:100, lunga più di 13m. Nel 1900 le porte svolgevano la funzione di barriere daziali. La barriera a porta Santa Croce era attiva dalla prima guerra mondiale. Negli stessi anni la rete stradale esterna venne adeguata e parte dei fossati venne interrata per consentire la costruzione della rete ferroviaria. La porta sarà in seguito impiegata come cabina di trasformazione per la rete elettrica dell'illuminazione pubblica. Agli inizi del 1900, il bastione adiacente a Porta Santa Croce ospitò la Scuola all'Aperto Camillo Aita. Porta Santa Croce è collocata volontariamente fuori asse rispetto all’omonimo borgo e interrompe la cortina rettilinea compresa tra i torrioni dell’Alicorno e di Santa Giustina. Venne costruita poco dopo porta Liviana ma a differenza di quest’ultima ha un assetto meno monumentale anche se entrambe sono attribuite a Sebastiano Mariani da Lugano. Nel prospetto è visibile uno schema che riporta al motivo dell’arco trionfale romano realizzato in pietra d’Istria e tripartito da lesene di ordine corinzio composito. Lateralmente l'arco è delimitato da lesene ioniche in trachite, che fungono anche da rinforzi angolari dell'edificio, mentre in alto è definito da un cornicione. Sopra a quest'ultimo è visibile il parapetto della terrazza, che in un secondo tempo venne coperta dal tetto, dal quale si aprono due troniere strombate verso la campagna, e un'unica grande apertura centrale nella facciata rivolta verso la città. Il varco centrale presenta un archivolto continuo senza interruzioni tra stipiti e arco, mentre i due portali laterali entrambi murari sono sormontati da timpani, in particolare il portale a sinistra era la postierla pedonale, come si può dedurre dalla presenza di una gola per la catena del ponte levatoio. Nel fronte, al centro dell'architrave, sono incisi il nome del capitano Giuliano Gradenigo con data 1517 e nel fregio è presente l'intitolazione "Sancte Crucis". In sostituzione al leone abbattuto dai francesi, ora si trova un'iscrizione in memoria dell’ingresso a Padova di Vittorio Emanuele II nel 1866, al quale venne attribuita la porta durante il regno. Le due finestrelle cieche collocate ai lati dell’incisione dovevano ospitare delle sculture o le insegne dei rettori. L'impostazione dei due prospetti è molto simile tra di loro, infatti differiscono solo per la presenza di lapidi, incisioni, targhe e trofei in onore della Signoria, collocati nel prospetto verso la campagna con lo scopo di rappresentazione verso il mondo esterno. Nella facciata rivolta verso la città l’unica iscrizione presente è "Sancte Crucis" e in sostituzione alle finestrelle, sono presenti due nicchie con le statue di San Prosdocimo e San Girolamo. L'impianto di Porta Santa Croce è quadrangolare e presenta un ampio vano interno voltato a botte. Nelle pareti interne sono presenti degli affreschi che ritraggono i quattro santi protettori di Padova: Antonio, Giustina, Daniele e Prosdocimo. Al centro della parete ovest, opposta rispetto agli affreschi, è presente un’iscrizione che rimanda alla realizzazione della porta Santa Croce per decreto del Senato nel 1516 e inexpugnabilis redditta per opera del podestà Ercolano Donato, del capitano Girolamo Pisani e del provveditore Pietro Venier. Una porta nella nella parete più a est dà su una scala che conduce al piano superiore. Il ponte di Porta Santa Croce è il più lungo del fronte bastionato grazie alla vicinanza con il baluardo che permette una maggiore larghezza della fossa. Il ponte ora è per lo più interrato ma è comunque possibile distinguere tre grandi arcate con diversa curvatura e se ne può intravedere una quarta oltre a quella che ha rimpiazzato il ponte levatoio nell’Ottocento. Sotto alla prima arcata visibile passano le acque del canale Alicorno. I materiale utilizzati per la costruzione della cortina del 1500 sono materiali di ripiego e riutilizzo: Bartolomeo D'Aviano utilizzò per l'espansione della cortina che va da Pontecorvo fino a Santa Croce, le pietre della cinta medioevale più interna, che venne demolita assieme alla torre in Prato della Valle nel 1515. I mattoni utilizzati vennero realizzati dalle fornaci dei borghi vicini: da alcune fonti risulta che per soddisfare la richiesta vennero costruite fornaci anche in loco che però vennero fatte demolire dopo il comunicato del 1558 di Tommaso Contarini. Anche la calce proveniva dai borghi vicini, di questa si hanno numerosi fonti che riportano lamentele per la scarsa qualità. La trachite utilizzata per le fondazioni e per i punti più deboli del manufatto proviene dalle cave del monte Lipsi. Stemmi ed insegne come quella del leone di San Marco vennero invece realizzati in pietra d'Istria. Per le fondazioni che si trovavano in prossimità della presenza di acqua, venne utilizzato legname di rovere e di larice, provenienti dai punti di raccolta garantiti da Venezia e dal comune di Cervarese. Giuliana Mazzi, Adriano Verdi e Vittorio Dal Piaz, Le mura di Padova, Percorso storico-architettonico, Il Poligrafo, ISBN 88-7115-135-6. Ugo Fadini (a cura di), Mura di Padova: guida al sistema bastionato rinascimentale, collana Le guide, in Edibus, 2013, ISBN 978-88-97221-13-5. Stefano Zaggia, Parte II: Loredan e l'Architettura, Capitolo I, in Donatella Calabi, Giuseppe Gullino e Gherardo Ortalli, Come la marea, Successi e sconfitte durante il dogado di Leonardo Loredan (1501-1521), Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2023, pp. 45-66, ISBN 978-88-92990-16-6. Adriano Verdi, Le mura ritrovate: fortificazioni di Padova in età comunale e carrarese, Seconda edizione, Panda, 1989, p. 133. Ugo Fadini, Mura medievali di Padova: guida alla scoperta delle difese comunali e carraresi, In edibus, 2017, ISBN 9788897221494. Angelo Portenari, Della felicità di Padova, A. Forni, 1973. Elio Franzin, Angiolo Lenci e Lionello Puppi, Padova e le sue mura, collana Signum guide, Signum, 1982. Mura di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta Santa Croce Sito dell'associazione "Comitato Mura di Padova", su muradipadova.it.

Basilica di Santa Giustina
Basilica di Santa Giustina

La Basilica abbaziale di Santa Giustina è un importante luogo di culto cattolico di Padova, situato in Prato della Valle. È monumento nazionale italiano. Prima dell'anno 1000 l'annesso monastero fu luogo di culto da prima dipendenza episcopale e poi affidato ad una comunità di monaci benedettini che ne fecero un'importante abbazia. Nel XV secolo fu sede della grande riforma dell'abate Ludovico Barbo che portò alla fondazione della Congregazione cassinese. Sino alle soppressioni napoleoniche fu una della maggiori abbazie della cristianità e la basilica, ricostruita nel XVI secolo, è tuttora una delle basiliche più grandi del mondo. L'intero complesso è proprietà dello Stato italiano. Al suo interno, oltre alle celebri opere di Paolo Veronese, Sebastiano Ricci, Luca Giordano e della famiglia Corbarelli, si venerano le reliquie insigni dei santi Innocenti, san Luca evangelista, san Mattia apostolo, san Prosdocimo, santa Felicita, san Giuliano, sant'Urio, beato Arnaldo da Limena, san Massimo e della santa titolare, Giustina. Papa Pio X la elevò al rango di basilica minore. Nel VI secolo, il prefetto del pretorio d'Italia ostrogoto Venanzio Opilione costruì sul luogo della tomba di santa Giustina di Padova, martirizzata nel 304, una basilica di raffinate proporzioni affiancata da un oratorio dedicato a san Prosdocimo e da altri ambienti destinati al culto. La Basilica opilionea, che era stata successivamente affiancata da un importante monastero benedettino, crollò in gran parte con il terremoto del 1117. Ricostruita frettolosamente negli anni successivi, incorporando e riutilizzando ciò che restava della precedente costruzione, fu nei secoli seguenti un continuo cantiere, che tra il XIV e il XV secolo si concentrò sul coro, la sacrestia, e la cappella di San Luca. In questo periodo si ricostruì pure in grandiosa maniera il vicino cenobio, con ben quattro chiostri. Fondamentale fu la carismatica presenza dell'abate Ludovico Barbo, che a Santa Giustina fondò la Congregazione cassinese. A partire dal 1501 si principiò una nuova costruzione sul progetto che dom Girolamo da Brescia presentò al Capitolo generale nel 1489. Lo scavo e l'erezione delle fondazioni fu un'impresa grandiosa, perché il terreno era "paludoso pieno di fortumi e d'interne voragini". Abbandonato poi il progetto del da Brescia, su invito di Bartolomeo d'Alviano i monaci affidarono i lavori a Sebastiano da Lugano e poi ad Andrea Briosco. Dalla morte di quest'ultimo la fabbrica passò alla responsabilità prima di Andrea Moroni e poi di Andrea da Valle. L'enorme cantiere, tra angherie e vicissitudini, si protrasse per più di un secolo - a Padova ancora si dice "te si longo come Ɨa fabrica de Santa Giustina" ovvero "sei molto lento". La basilica fu solennemente consacrata il 14 marzo 1606. In seguito alle legislazioni ecclesiastiche napoleoniche l'abbazia fu sequestrata ed i monaci furono allontanati. Più di tre quarti dei beni artistici dei benedettini furono spediti in Francia, altri furono venduti o alienati. La pala di San Luca partì per Brera. La basilica rimase inofficiata per due anni, dal 1810 al 1812, sino a quando il vescovo Francesco Scipione Dondi dall'Orologio, per scongiurarne la demolizione, la elesse parrocchia gestita da sacerdoti secolari. Il vicino monastero divenne ospedale militare e poi caserma. All'inizio del Novecento si accesero movimenti di valorizzazione del complesso come importante centro spirituale: nel 1909 l'edificio fu elevato a basilica minore da papa Pio X e nello stesso anno fu incoronata solennemente l'icona della Madonna Costantinopolitana. Nel 1919 alcuni monaci dell'Abbazia di Praglia si prestarono a ricostituire l'Abbazia su approvazione di papa Benedetto XV. I monaci ottennero il permesso dal Governo italiano di officiare la basilica, ma solo nel 1923 riuscirono a rioccupare parte del vecchio monastero. Nel 1943 la nuova comunità benedettina elesse, dopo più di un secolo, il suo abate. Nel 1948 il demanio concesse l'uso di altri spazi ai monaci, che avviarono una grande campagna di ripristino e restauro. L'intero enorme complesso è di proprietà statale e su buona parte del monastero insiste ancora l'Esercito Italiano, situazione che grava sulla conservazione delle strutture, degrado che coinvolge anche le strutture della basilica, colpite dalle scosse del terremoto del 2012. L'edificio si innalza su una pianta a croce latina che si estende da levante a ponente. Con i suoi 118,5 m di lunghezza e 82 m di larghezza, nella crociera, la basilica di Santa Giustina è una delle più grandi della cristianità. Nona nel mondo, settima in Italia, per lunghezza dopo San Giovanni in Laterano, era la chiesa più grande dello Stato della Serenissima Repubblica. L'imponenza dell'edificio si misura con il grandioso invaso del Prato della Valle, su cui si affaccia. Sorte nell'ordine composito, le tre principali cappelle, che sono il presbiterio col coro, e le due dei santi Luca e Mattia che formano il transetto della basilica, concludono entrambe a semicircolo e sono affiancate da due cappelle ciascuna concluse sempre con abside semicircolare. Lungo le navate, si aprono dodici cappelle minori a pianta quadra, sei per parte. I 26 grandiosi pilastri sostengono la copertura a cupole prive di tamburo, volte a botte e la complessità della crociera illuminata da otto cupole coperte a piombo: quella centrale, con la lanterna, è alta quasi 70 m ed è sovrastata dalla statua di rame, rivolta alla città, raffigurante Santa Giustina, alta circa 5 m. Le quattro cupole circondanti la centrale presentano anch'esse sulla propria sommità statue metalliche di vari santi: Prosdocimo, Benedetto, Daniele e il beato Arnaldo. Gli otto semicatini della crociera e i tre catini sul soffitto della navata centrale, senza però provocare cupole all'esterno del tetto, che resta a capanna, furono eretti su suggerimento di Vincenzo Scamozzi verso il 1605 per rendere perfetta l'acustica dell'edificio. E queste ultime tre calotte interne presentano un'altezza diversa fra loro e digradante mano a mano che ci si allontana dall'altar maggiore in direzione della controfacciata. Il pavimento della basilica fu gettato tra il 1608 e il 1615 su disegno geometrico, con marmo giallo, blu e rosso in una resa di effetto straordinario e caleidoscopico. Vi sono pure molti brani di marmo greco, proveniente dalla basilica opilionea. La facciata, incompiuta, si innalza su un crepidoma che porta ai tre portali chiusi da moderni battenti bronzei. Sulle ruvide pareti si aprono un grande rosone ed alcune più piccole aperture, più quattro nicchie vuote su cui sono state collocate, in occasione del Giubileo del 2000, altorilievi raffiguranti gli Evangelisti, secondo l'antichissima iconografia del tetramorfo. Per la facciata in passato erano state proposte più soluzioni di compimento: le ultime furono quelle di Giuseppe Jappelli. Disposti a destra e sinistra in modo simmetrico a precedere la facciata, due grandi grifi stilofori di età romanica, già parte della vecchia facciata della basilica. L'imponente fiancata esterna, rivolta a nord, mostra la complessità dell'edificio: le navate, le finestre termali, i grandi rosoni l'intervallarsi del cotto alla pietra bianca. Il presbiterio, elevato dal livello di calpestio del resto dell'edificio, è accessibile da una scalinata monumentale. Sotto si apre una ampia cripta, ora adibita a cappella invernale. Le preziose balaustre sono opera di Francesco Contini (1630). Ai lati, in alto, entro nicchie, due busti che raffigurano idealmente i due patrizi romani Vitaliano (a destra) e Opilione (a sinistra) preziose opere di Giovanni Francesco de Surdis del 1561. L'altare maggiore, elevato solennemente su scalini, ha i vari prospetti decorati a "rimesso di paragone" o "alla fiorentina" ovvero sottili tarsie marmoree su cui si inseriscono ampi brani di madreperla, coralli, lapislazzuli, corniola, perle, ed altri preziosi. Il finissimo lavoro fu compiuto tra il 1637 ed il 1643 dal Pietro Paolo Corbarelli su disegno di Giovan Battista Nigetti, fratello del più famoso Matteo Nigetti. Il 7 ottobre 1627 con gran pompa, venne inserito sotto la mensa dell'altare il corpo di santa Giustina. Le guide settecentesche ricordano come nelle solennità sull'altare erano esposte due grandi statue d'argento raffiguranti i santi Prosdocimo e Giustina con basamenti su cui erano raffigurate le principali azioni delle vite loro in minutissimi rilievi. Queste opere furono probabilmente disperse e distrutte durante l'invasione napoleonica. Nel 1953 si pose accanto all'altare il portacero pasquale lavoro di Arrigo Minerbi e di Piero Brolis. Ai lati dell'altare, in alto a cornu epistulae e a cornu evangelii, due grandiose casse d'organo e cantorie in stile manierista composte da legno dorato e policromo, decorate da statue e sontuose grottesche e cariatidi (vi sono agli apici san Prosdocimo e san Massimo), opere concluse entro il 1653 su progetto di Ambrogio Dusi, pensate a bilanciamento della grandiosa macchina in stile corinzio che giganteggia sul fondo dell'abside, opera di Giovanni Manetti compiuta probabilmente su disegno di Michele Sanmicheli. In pietra e legno dorati, fu costruita nel 1576 per ospitare la pala di Paolo Veronese raffigurante il martirio di santa Giustina (1572): olio su tela, uno dei più complessi lavori dell'artista; ricca di figure che affollano il martirio della santa, su cui irrompe Cristo in gloria circondata da una gran turba angelica. L'opera è caratterizzata dal raffinato contrasto tra le figure dei carnefici adombrati e quella della martire, colpita dalla luce proveniente da Cristo. L'impostazione prospettica dell'opera, la disposizione dei personaggi e dell'imponente architettura che viene accennata sulla parte destra, lasciano spazio alla raffigurazione della basilica del Santo. Lungo le pareti all'interno di arcate cieche, sono incassate quattro mezzelune dipinte da Giovanni Francesco Cassana (Apparizione dei tre angeli ad Abramo, Il castigo di Nabab ed Abiud) e da Pietro Ricchi (La lotta di Giacobbe e La morte di Sisara). Tra le tele, entro nicchie statue marmoree raffiguranti Sansone e Davide. Il monumentale coro ligneo in noce è uno dei più proficui esempi dell'ebanisteria cinquecentesca: compiuto a partire dal 1555 in stile corinzio dall'artista francese Richard Taurigny di Rouen sotto la direzione dell'abate Eutichio Cordes è caratterizzato da ottantotto stalli intagliati ad alto e bassorilievo con i fatti dell'Antico Testamento e con le azioni di Cristo, mentre i due sedili liturgici a tre posti ciascuno posti sotto gli organi raffigurano scene delle vite dei santi Pietro e Paolo. Compiuto in una ventina d'anni, secondo il Rossetti, le raffigurazioni che accompagnano ogni scanno furono tratte da disegni di Domenico Campagnola. Il grande cassone dei libri corali posto al centro del coro è sempre opera di Richard Taurigny. Gli altorilievi che lo nobilitano raffigurano episodi della vita di santa Giustina, rappresentata a tutto tondo sulla cima del leggio rotante. L'architettura inferiore della cappella è ricoperta ed impreziosita cromaticamente da diversi marmi, mentre la volta è affrescata con la splendida raffigurazione de Angeli ed Apostoli adorano il Santissimo Sacramento, riuscito lavoro di Sebastiano Ricci compiuto verso il 1700 e caratterizzato dall'uso del trompe-l'œil. Il catino è occupato dalla raffigurazione del Padre Eterno, preceduto dagli Apostoli, raffigurati come se posti sulla sommità delle pareti della cappella, tendenti ed adoranti verso il Santissimo Sacramento portato in trionfo da una turba angelica. L'altare è opera compiuta a più riprese dagli anni '40 del Seicento su progetto di Lorenzo Bedogni poi decorato da Pietro Paolo Corbarelli, e dai figli Simone, Antonio e Francesco verso il 1656. Fu concluso nel 1674 ad opera di Giuseppe Sardi e di Giusto Le Court che plasmò i due straordinari angeli adoranti mentre le statue in bronzo sul tabernacolo sono fusione di Carlo Trabucco (1697). Le altre opere scultoree sono di Michele Fabris e Alessandro Tremignon. Prima di ospitare il Santissimo Sacramento, la cappella era occupata dall'altare contenente le reliquie dei Santi Innocenti. Il grande altare fu compiuto entro il 1681, quando Bernardo Falcone consegnò il gruppo di angeli e la statua posta sopra l'urna che accoglie le reliquie del beato Arnaldo da Limena. I santi Pietro e Paolo, sono lavori di Orazio Marinali e Michele Fabris. Il paliotto a rimesso fiorentino è lavoro dei Corbarelli. Il grande spazio, che soffre degli adattamenti liturgici attuati negli anni del Concilio Vaticano II, ruota attorno all'arca che ospita le reliquie di san Luca Evangelista, stupenda opera di scuola pisano-veneta del 1313, commissionata dall'abate Gualpertino Mussato e qui trasportata dalla vecchia cappella gotica nel 1562: l'arca è composta in marmo serpentino e marmo veronese ed è arricchita da otto riquadri in alabastro scolpiti ad altorilievo raffiguranti angeli e simbologie legate al santo, pure raffigurato intento alla scrittura. Il tutto poggia su due colonne di granito e due colonne tortili d'alabastro mentre al centro è posto un sostegno in marmo greco, raffigurante angeli che come cariatidi, supportano l'arca. L'altare, ora spostato, ma un tempo poggiante verso l'arca, è del XVI secolo. Tutto intorno percorre un moderno e discutibile coro ligneo. In alto è posta una copia cinquecentesca - attribuita ad Alessandro Bonvicino - della Madonna costantinopolitana o Salus Populi Patavini incorniciata e sostenuta da angeli in bronzo di Amleto Sartori, lavori del 1960-1961. L'icona originale bizantina, secondo la tradizione dipinta da san Luca e portata a Padova al salvo dalla furia iconoclasta di Costantinopoli, si trova oggi all'interno di una teca, nel monastero. Sull'ampia parete di destra è posto il grande telero di Antonio Balestra, opera del 1718 raffigurante il martirio dei Santi Cosma e Damiano mentre dirimpetto, sulla parete sinistra, grandiosa Strage degli Innocenti di Sebastiano Galvano, opera firmata e collocabile alla metà del Cinquecento, proveniente dalla chiesa di San Benedetto Novello. La cappella ospita il monumentale altare di Alessandro Termignon sovrastato dall'urna contenente le spoglie di santa Felicita monaca, rinvenute nel 1502 nel sacello di san Prosdocimo. L'opera scultorea è in parte di Orazio Marinali e gioca sulle cromie del marmo bianco e del marmo rosso di Francia. La statua raffigurante la Santa orante è posta sopra l'urna, mentre ai lati stanno due angeli ed i santi Marco e Simone. Il prospetto della mensa è raffinatissimo ed è decorato a rimesso dai Corbarelli: tra fontane, giardini e siepi spicca la raffigurazione della incompiuta facciata della basilica. L'altare progettato da Alessandro Termignon conserva il corpo di san Giuliano Martire. Giovanni Comin (1680) ha plasmato la statua del Santo, posta a capo dell'urna. Il resto delle decorazione scultorea, tra cui le belle statue dei santi Andrea e Matteo, appartiene a Bernardo Falcone. Sulla complessa ancona dell'altare, dall'architettura barocca giocata sulle cromie del marmo bianco e nero di Genova, sta la pala raffigurante San Mauro abate invocato dagli infermi (1673) di Valentin Lefebvre. Il prospetto della mensa è tutto decorato con marmo verde, marmi di Genova, marmo rosso di Francia. Analogo all'altare di san Mauro, l'ancona ospita la bella pala di Luca Giordano Il martirio di san Placido e dei suoi compagni, del 1676. L'architettura e la decorazione a commesso è di Pietro Paolo Corbarelli. L'architettura dell'altare di Alessandro Termignon è caratterizzata dall'uso del marmo rosso di Francia e del marmo di Carrara, colori della città di Padova di cui san Daniele è protettore; la pala (1677) di Antonio Zanchi ne raffigura il martirio. Il paliotto è lavoro dei Corbarelli. Lo splendido altare con architettura innalzata con marmo verde d'Africa e bianco di Carrara ospita la pala di Sebastiano Ricci San Gregorio Papa invoca la Vergine per la cessazione della peste a Roma: splendida tela compiuta all'inizio del Settecento è caratterizzata dal sontuoso cromatismo "trattata dall'autore con la sua solita freschezza, e con grande spirito". Il lavoro del Ricci sostituì una precedente tela di Carlo Cignani che "andò a male". L'altare composto da marmo greco mostra la pala di Carlo Caliari Il martirio di san Giacomo Minore. Il prospetto della mensa è decorato con marmi a paragone alla maniera dei Corbarelli. La cappella è il capolavoro di Filippo Parodi che la compì entro il 1689. L'artista genovese si occupò del progetto architettonico, decorativo e scultoreo, definendo così uno spazio carico di pathos, che ruota attorno allo straordinario gruppo scultoreo della Pietà. Tutta l'architettura della cappella è elegantemente ricoperta di marmi a contrasto con la volta, adornata da una turba angelica plasmata a stucco. Al centro sta l'altare, la cui severa mensa in marmo bianco di Carrara e bronzo - ad evocare i sepolcreti d'età classica - è attorniata da una bassa ancona su cui è posta la Pietà e distaccate, ma dialoganti, due statue raffiguranti san Giovanni e la Maddalena. La rigidità dell'architettura contrasta con il movimento del gruppo sull'altare pensato come un Golgota colpito da una folata di vento. La Vergine scopre il corpo del Cristo morto tra un virtuosismo dei panneggi reso in maniera magistrale dal Parodi. Un putto mostra gli strumenti della Passione. San Giovanni dialoga con lo spettatore mostrando con gesto maestoso la tragica scena, mentre la Maddalena contempla rapita la magnifica mano perforata di Gesù. Sopra, domina la croce avvolta dalle stoffe usate per la calata del corpo del Redentore. La carica emozionale del gruppo, di chiara derivazione berniniana, è accentuata dalla luce calda che penetra dal grande oculo aperto sempre su progetto di Filippo Parodi. Lo spettatore che percorre la navata ed il transetto sinistro non può che rimanere colpito dalla preziosità e dal calore cromatico sprigionato dalla cappella della Pietà. L'altare ospita l'arca contenente i resti del secondo vescovo di Padova, san Massimo. Il gruppo sopra l'arca è gli angioli che reggono le insegne vescovili con il san Giacomo sono lavoro di Michele Fabris (1681), mentre il solo san Bartolomeo è frutto dello scalpello di Bernardo Falcone (1682). Il paliotto è preziosissima opera dei Corbarelli, rifinito con preziosi e madreperla. L'architettura generale è di Alessandro Tremignon. Sul retro dell'altare sono visibili i lacerti della precedente arca (1562) che contenevano le ceneri del santo, opera di Marcantonio de Surdis. La porta monumentale della fine del XVI secolo posta sul lato sinistro dà accesso al cosiddetto Corridoio della Messe, collegamento tra il coro nuovo, il coro vecchio e la sacrestia sopra vi si apre un oculo. Sopra la modanatura è posta la raffigurazione allegorica del Pie pellicane. Il grande spazio è dominato da due imponenti teleri: a destra La missione degli Apostoli (1631) di Battista Bissoni e I Santi Cosma e Damiano salvati dall'angelo (1718) di Antonio Balestra, quest'ultimo proveniente dalla chiesa della Misericordia. Sotto, confessionali ed un pulpito databili tra il XVI ed il XVII secolo. Nell'imponente arca in marmo greco ed africano - con altare addossato - giace parte del corpo di san Mattia apostolo: ispirata alla più antica arca di san Luca che le è dirimpetto, fu compiuta nel 1562 da Giovanni Francesco de Surdis che scolpì i bassorilievi che l'adornano raffiguranti gli Apostoli. Dietro all'arca si apre la porta che conduce al Corridoio dei Martiri. L'arcata quattrocentesca è decorata a rilievi di gusto rinascimentali forse frutto di artisti della cerchia di Bartolomeo Bellano. Un piccolo tabernacolo d'alabastro con ricca grata in ferro battuto protegge una venerata rappresentazione mariana. L'arca posta in cima all'altare di Alessandro Tremignon (1682) contiene le spoglie di sant'Urio prete, custode della chiesa dei Santi Apostoli in Costantinopoli che salvò le reliquie di san Luca, san Mattia e l'icona raffigurante la Vergine dalla furia iconoclasta trasportando tutto sino a Patavium. La statua di sant'Urio, i magnifici angeli ed i santi Tommaso e Taddeo sono di Bernardo Falcone. Il prospetto della mensa è lavoro a rimesso dei Corbarelli. La cappella verso gli anni '40 del Seicento fu utilizzata per la custodia del Santissimo Sacramento, in seguito venne costruito l'altare (1675) su disegno di Alessandro Tremignon con la teca per le reliquie dei santi Innocenti - i resti di tre vittime di Erode -. La Santa Rachele affranta è di Giovanni Comin (1690) mentre i due santi Giacomo il minore e Giovanni sono forse opera di Michele Fabris. Lo splendido angelo di sinistra è pure del Fabris mentre quello di destra è di Orazio Marinali. Prezioso il paliotto dei Corbarelli. Dietro l'altare si custodisce la vecchia arca di Giovanni Francesco de Surdis, lavoro in marmo greco del 1562, decorata da finissimi bassorilievi raffiguranti le storie della Natività. La pala d'altare San Benedetto accoglie i San Placido e San Mauro è di Jacopo Palma il Giovane. L'architettura dell'ancona è mossa da marmo nero e bianco di Genova. La mensa è decorata finemente dai Corbarelli. Le pareti della cappella sono tutte decorate a stucco ed alcuni racemi inquadrano le due grandi tele del 1616: a destra San Benedetto riceve il re Totila a Montecassino di Giovanni Battista Maganza a sinistra San Benedetto consegna la regola agli ordini monastici e cavallereschi di Claudio Ridolfi. Le colonne che reggono l'ancona dell'altare sono di marmo di Salò. La pala Morte di santa Scolastica è di Luca Giordano (1674). Preziosa la decorazione marmorea della mensa. Architettura dell'altare di Alessandro Tremignon. Architettura dell'altare è di Alessandro Tremignon. La pala è opera (1674) di Johann Carl Loth e raffigura il martirio di san Gerardo Sagredo. L'altare è architettura di Alessandro Tremignon. La pala L'estasi di Santa Gertrude è lavoro di Pietro Liberi (1678-1679). Finissima la decorazione dei Corbarelli sui parapetti della mensa. L'altare è probabile opera di Giuseppe Sardi. La pala è forse lavoro di Paolo Veronese in collaborazione con gli allievi, la pala accolta dall'ancona raffigura la conversione di San Paolo. Sulla parete sinistra una tela lunettata raffigura lo stesso soggetto, opera questa di Gaspare Diziani e proveniente dalla scomparsa chiesa delle Terese. Vi si accede dal transetto destro: costruito nel 1564 sui resti della vecchia chiesa abbaziale di età medievale, fu pensato per permettere il passaggio sino al Sacello di San Prosdocimo. Il corridoio, affrescato tra il XVI ed il XVII secolo, è voltato a crociera e nel mezzo, in uno spazio a pianta ottagonale coperto a cupola - decorata a fresco da Giacomo Ceruti -, v'è il Pozzo dei Martiri: costruito su ordine dell'abate Angelo Sangrino nel 1565 ricollegandosi al precedente pozzo di età medievale (ancora visibile, nei sotterranei) che un tempo si trovava nel mezzo della navata centrale della basilica primitiva. Il pozzo, a pianta ottagonale, è finemente lavorato a niello e composto da preziosi marmi e da brani d'alabastro. Una grata permette di scorgere sul fondo le ossa dei martiri dell'età di Diocleziano ritrovate in quel punto nel 1269 dalla beata Giacoma che li inginocchiatasi, provocò l'accendere miracoloso di dodici candele intorno al pozzo, tra lo stupore degli stanti. Sulle quattro nicchie che circondano il pozzo, quattro statue di terracotta dell'ultimo quarto del XVI secolo. Sull'angolo verso ponente è stato portato alla luce un brano della decorazione musiva che adornava la pavimentazione della basilica opilionea del VI secolo. L'altare cinquecentesco sul fondo, posto a meridione, ospita la straordinaria tela di Pietro Damini Il ritrovamento del pozzo dei martiri e l'accensione miracolosa delle dodici candele da annoverare tra i migliori lavori dell'artista (attualmente il dipinto originale è sostituito da una copia fotografica). L'altare poggia su quella che era la fiancata della basilica medievale. Spicca una coppia di bifore romaniche, riaperte nel 1923. Il percorso prosegue nell'ambiente voltato e decorato a fresco con straordinario gusto manierista, lungo le pareti spiccano resti e memorie della vecchia basilica, tra cui una grande gabbia di età medievale al cui interno sono poste le casse che contennero per un periodo le spoglie di san Luca. Spiccano due statue raffiguranti i santi Pietro e Paolo, fine lavoro di Francesco Segala. Collegato al Corridoio dei Martiri vi è il Sacello di San Prosdocimo o Sacello di Santa Maria, edificio (in alzato) tra i più antichi del Veneto: databile al VI secolo, è unico resto conservatosi della basilica opilionea. In origine era cappella dedicata alla conservazione delle reliquie. Lo spazio, elevato in pianta a croce greca, è caratterizzato da un'elegantissima copertura composta da cupola centrale, volte a botte tutto dipinto a grottesche nel Cinquecento in sostituzione della decorazione musiva presente in origine. L'absidiola, rivolta a levante, è coperta da un piccolo catino. Fu luogo di sepoltura dei primi vescovi di Padova tra cui il primo, san Prosdocimo il cui corpo riposa all'interno dell'altare del 1564 ricavato da un sarcofago d'età romana e posto sulla destra (rispetto all'abside). Sopra l'altare è esposta l'immagine clipeata che raffigura san Prosdocimo nelle vesti di un aristocratico romano, databile al V secolo. Gioiello artistico presente nella cappella è la pergula, piccola iconostasi in marmo greco, straordinario pezzo del VI secolo conservatosi praticamente intonso nella primitiva posizione - posteriori solo i capitelli alle estremità -, con decorazione a niello originale che marca l'iscrizione "In nome di Dio: in questo luogo sono state collocate le reliquie dei santi apostoli e di moltissimi martiri, i quali di degnino di pregare per il fondatore e per tutto il popolo fedele". Lungo le pareti del piccolo atrio di accesso, resti di affreschi del XII secolo, decorazioni del Cinquecento, un pluteo doppio con pavoni, il timpano della porta d'accesso della basilica opilionea del VI secolo. Nella cappella si conservava la Madonna Costantinopolitana. Costruita grazie al lascito di Maria Lion Papafava a partire dal 1460 si inserì nella scia dei lavori di ampliamento promossi dai monaci dall'abbazia nel XV secolo. Edificio monumentale - per cui si è proposto il nome dell'architetto Lorenzo da Bologna ma anche quello di Pietro Antonio degli Abati - , di aspetto prettamente gotico, è stato completato nel Seicento e continuò - e continua oggi - a servire alla distante basilica cinquecentesca a cui si giunge dopo aver attraversato l'antisacrestia, il coro vecchio ed il corridoio delle messe per giungere poi alla basilica dalla cappella di San Massimo. L'antisacrestia, ampliata nel Cinquecento, è dominata dal grande lavabo dall'architettura manierista decorato dall'affresco di Ludovico Pozzoserrato San Placido salva San Mauro dalle acque sopra, una grande finestra termale illumina l'ambiente. Ai lati, due porte, sovrastate da due vedute: l'Abbazia di Santa Giustina sulla sinistra e l'Abbazia di Praglia sulla destra. Alle pareti sono collocati alcuni interessanti brani del portale romanico della vecchia chiesa abbaziale, lavoro scultoreo di maestranze gallicane del XII secolo. Il portale alla sacrestia è cinquecentesco, manierista come il grande interno della sacrestia dominato dal prezioso arredo in noce di Giambattista Rizzardi: gli inginocchiatoi, gli stalli, gli armadi, le credenze e le porte dell'armadio del tesoro, dove si conservano le insigni reliquie della basilica. Al centro del soffitto a volta è collocato un clipeo recante il monogramma di Cristo. Dal tirante centrale scende un lampadario settecentesco, in vetro di Murano. Alle pareti ritratti degli abati di santa Giustina. Sulla parete sopra l'ingresso, Natività seicentesca. Nella sacrestia si conserva una minima parte delle ricche suppellettili disperse in età napoleonica. Il vecchio coro gotico della chiesa abbaziale medievale, deve le attuali dimensioni agli ampliamenti attuati tra il 1472 ed il 1473 grazie ai lasciti di Giacomo Zocchi. Fu risparmiato dalla demolizione e divenne coro che serve per la notte, e per i giorni feriali dell'Inverno per comodità dei monaci che non dovevano così percorrere la notevole distanza dalle celle al coro nuovo. Divenne punto di collegamento tra la Sacrestia ed il coro nuovo. L'ambiente, composto da due ampie campate decorate da fregi gotici e rinascimentali era aperto, ove ora sta la parete a ponente, verso la navata centrale della chiesa abbaziale medievale. Spicca il coro ligneo gotico, capolavoro dall'ebanisteria quattrocentesca: alloggiato nella posizione originaria (non ha subito la "voltura" voluta dalla riforma liturgica del Concilio di Trento) è attento lavoro di Francesco da Parma e di Domenico da Piacenza concluso in una decina d'anni, dal 1467 al 1477. Tra le vedute prospettiche della Padova quattrocentesca, strumenti musicali, suppellettili liturgiche. L'armadio da libri e la "ruda" sono invece opere di Cristoforo Canozzi. Al centro dell'aula sta il monumento sepolcrale dell'abate Ludovico Barbo, con intenso gisant ad altorilievo circondato da decorazioni gotiche. Sembra ricollegarsi ai lavori della cerchia dei Delle Masegne. L'abside ha sulla sinistra un bel pulpito gotico e sotto, protetto da un'arcata sta il sepolcro di Giacomo Zocchi, con lo splendido gisant di Bartolomeo Bellano. Sta pure la piccola porta decorata ad intarsio, che dà accesso al pulpito. Dirimpetto, preziosa statua in pietra raffigurante santa Giustina di ignoto autore eclettico databile all'ultimo decennio del XIV secolo e il primo quarto del XV secolo. Il pavimento in marmo rosso di Verona che dà spazio al presbiterio è decorato da tarsie marmoree e bronzee. L'altare è composto dal parapetto cinquecentesco della cantoria (inserita lungo la parete di sinistra; reggeva l'organo di Gaetano Callido ora nella chiesa di San Daniele). Dietro all'altare stava, sostenuta dai pilastri ancora in situ, la straordinaria pala di Girolamo Romanino, sequestrata per ordine regio nel 1866 e ora collocata ai Musei civici agli Eremitani. Al suo posto è stato collocato uno splendido crocifisso gotico del XV secolo. Un tempo accessibile dalla navata destra della vecchia abbaziale, conteneva l'arca di San Luca (ora nel transetto destro) da cui trae il nome. Ora è accessibile tramite una porta cinquecentesca, che la rende agibile dal corridoio delle messe. La costruzione è trecentesca (1301) e fu oggetto nel Quattrocento di una lunga campagna decorativa, la copertura a fresco delle pareti ad opera di Giovanni Storlato - artista sul modo dei più famosi fratelli Zavattari - con storie di San Luca (1436) e la posa tra il 1453 ed il 1454, sopra l'arca del Santo, del celebre "polittico di San Luca" di Andrea Mantegna, opera commissionata dall'abate Sigismondo de' Folperti. La pala, sottratta alla città durante l'occupazione napoleonica, si trova a Brera in Milano. Con la costruzione della nuova basilica la cappella perse d'importanza, soprattutto dopo lo spostamento dell'arca. Venne ridotta nel 1589 a cappella mortuaria e quindi disseminata di depositi terragni. In uno di questi depositi venne inumata nel luglio del 1684, vestita con abiti monacali, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, prima donna laureata al mondo. L'imponente torre campanaria si innalza tra la cappella di san Luca e il coro vecchio, distaccata dalla basilica cinquecentesca: alta 82 metri è una delle costruzioni più alte della città. Costruita tra il XI secolo ed il XII secolo, era originariamente coperta da una copertura conica in cotto. Nel 1599 si sopraelevò il campanile portando la cella ad una posizione prominente rispetto alla massa volumetrica della basilica. Sul tronco medievale - che reca ancora tracce delle primitive decorazioni - poggia l'ampliamento cinquecentesco una canna mossa da paraste che regge la cella elevata sullo stile corinzio, aperta da due monofore per lato. Sopra, una balaustra circonda un tamburo ottagonale coperto da cupola plumbea. All'interno della cella è disposto, su una incastellatura di legno, un concerto costituito da 7 campane accordate in scala diatonica maggiore in Do 3 calante (le sei maggiori Do 3 - La 3) e da l'ottavino (Do 4), fuse in varie epoche dal 1733 al 1957. Il concerto è a slancio e, con la campana maggiore, opera dei fonditori De Maria, di circa 2340 kg ed il peso complessivo di circa 7100 kg. Dagli esperti è considerato tra i più sontuosi e suggestivi concerti del nord Italia ed il più prezioso concerto mistostorico del Veneto. La campana numero 5, presenta una crepa da molti anni ed è attualmente inutilizzata, nonostante sia ancora montata al suo ceppo. L'organo a canne della basilica è il frutto dell'unione, effettuata da Annibale Pugina tra il 1926 e il 1928, di due organi antichi preesistenti e di successivi ampliamenti effettuati nel 1931 dallo stesso organaro e nel 1973 da Francesco Michelotto Lo strumento attuale è a trasmissione elettrica e conta 81 registri; la consolle, mobile indipendente, è situata a pavimento nel presbiterio. Il materiale fonico è così distribuito nei tre corpi che compongono lo strumento: sulla cantoria di destra, entro la cassa barocca, si trovano le canne del Corale espressivo (parte del quarto manuale) e di parte del Pedale; sulla cantoria di sinistra, entro la cassa barocca, si trovano le canne del Recitativo espressivo (terzo manuale) e di parte del Pedale; nell'abside si trovano le canne del Positivo aperto (prima tastiera), con la relativa sezione del Pedale, del Grand'Organo e dell'Eco espressivo (parte del quarto manuale). Nel coro vecchio della basilica era presente un organo costruito dal Callido, Op. 53 del 1769, composto da un manuale e 12 registri. A seguito delle soppressioni napoleoniche (1810) l'allora parroco trasferì l'organo con la sua preziosa cassa di contenimento nella vicina Chiesa di San Daniele (Padova), fino a quel tempo una delle chiese alle dipendenze dell'Abbazia. Revisionato più volte negli anni successivi l'organo Callido fu sostituito nel 1894 da un nuovo strumento meccanico di 2 manuali e 26 registri opera di Annibale Pugina che nella realizzazione non utilizzò nessuna parte dell'antico strumento. La settecentesca cassa di contenimento, una delle più raffinate ed eleganti della città, è rimasta invece sostanzialmente intatta. Le sue sorprendenti dimensioni la pongono fra le chiese più grandi della cristianità. Era la chiesa più vasta della Serenissima. Descrizione della Chiesa di Santa Giustina di Padova, Padova, Penada, 1759. Alberto Sabatini, L'Arte degli organi a Padova, Padova, Armelin Musica, 2000. Laura Sabatino, Lapicidi e marangoni in un cantiere rinascimentale - La Sacrestia della Basilica di Santa Giustina in Padova, Padova, Il Prato, 2005 ISBN 88-89566-06-X Francesca Montuori, Padova, Milano, Electa, 2007. Lorenzo Bianchi, Roma e nuova Roma, impero ed ecumene cristiana. Il significato storico-politico e storico-religioso delle traslazioni di corpi santi all'Apostoleion di Costantinopoli negli anni 356-357, 2009. (books.google.de) Alberto Sabatini, Sulle vestigia degli antichi Organi nell'Abbazia benedettina di Santa Giustina a Padova, in Arte organaria italiana. Fonti, documenti e studi, VIII, maggio 2016, pp. 222–302. Alberto Sabatini, L'Organo del chiostro maggiore nell'abbazia di Santa Giustina, in Padova e il suo territorio, anno XXXV, n.203, febbraio 2020, pp. 10–13. Alberto Sabatini, L'Organo "dipinto" nel chiostro maggiore della Basilica di Santa Giustina a Padova, in Arte organaria italiana. Fonti, documenti e studi, XII, maggio 2020, pp. 265–277. Baldissin Molli, Giovanna, et al., Magnificenza monastica a gloria di Dio. L’abbazia di santa Giustina nel suo secolare cammino storico e artistico, Roma, Viella, novembre 2020. Chiese più grandi del mondo Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla basilica di Santa Giustina Sito ufficiale dell'abbazia, su abbaziasantagiustina.org. Sito ufficiale della Parrocchia, su parrocchiadisantagiustina.it. La basilica sul sito del comune, su padovanet.it. padovando.com Sito ufficiale della biblioteca statale annessa al monumento nazionale di Santa Giustina, su bibliotecasantagiustina.it. italiavirtualtour.it L'organo a canne, su sites.google.com. URL consultato il 22 marzo 2013 (archiviato dall'url originale il 25 marzo 2015).