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Voltabarozzo

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Scuola Stefanini di Voltabarozzo 02
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Voltabarozzo (Quartiere 4 Sud-Est) è uno dei quartieri del comune di Padova. Voltabarozzo fa parte del quartiere 4 Sud-Est del comune di Padova. Si estende dal Lungargine Sebastiano Ziani e Lungargine Sabbionari fino alle porte settentrionali del comune di Ponte San Nicolò. Comprende le zone di Santa Croce, Sant'Osvaldo, Bassanello, Voltabarozzo. Il quartiere confina a Nord con il Bassanello, il Lungargine Sebastiano Ziani e Lungargine Sabbionari. A Est con Roncaglia e il Bacchiglione, a Sud con Rio e la frazione di Salboro e a Ovest con Via Pietro Bembo. La costruzione del canale era inserita nel progetto realizzato da Vittorio Fossombroni, che era un illustre ingegnere, e da Pietro Paleocapa. La costruzione risale al 1882 e servì a porre fine alle inondazioni causate dalle piene del fiume Bacchiglione. Tale corso d'acqua doveva avere la funzione di scaricare le acque del fiume - da cui il nome - fuori dal centro della città di Padova. il progetto contemplava la realizzazione di tre manufatti regolatori, che, in caso di piena del fiume, servivano a deviare l'acqua nello Scaricatore. L'alluvione del 1882 dimostrò che ciò non era sufficiente. Il progetto fu rielaborato dall'ingegnere Luigi Gasparini nel 1922. Fu lui a decidere il collegamento del canale al Piovego. fu così la Conca di Navigazione di voltabarozzo; la conca è ancora oggi in funzione. si tratta di una sorta di ascensore d'acqua, collocato proprio nel punto in cui lo scaricatore si separava dal San Gregorio. Furono costruiti tre sostegni: all'origine del canale San Gregorio, sull'immissione dello scaricatore nel Roncajette e a Voltabarozzo. quest'ultimo sostegno ha anche un'altra funzione, oltre quella di regolazione delle acque: all'interno si trova la centrale idroelettrica costruita nel 2000 con una potenza installata di 1 MW. Nei pressi di questi manufatti si trova il Centro modelli idraulici, creato nel 1969 dal Magistrato delle acque di Venezia per gli studi riguardanti la Laguna di Venezia. La prima carta che riprende il territorio de La Volta del Berozzo - cioè la "svolta" della strada costruita nel 1205 - 1212 dal podestà Barozzo del Borgo di Cremona - è di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni nella Gran Carta del Padovano risalente al 1776. Dall'etimologia della parola si deduce che derivi dal fatto che in questo antico borgo, la strada Vecchia, che portava dalla Porta Pontecorvo al Piovese, faceva una svolta. Nel XIII secolo l'insediamento era un piccolo villaggio sotto la giurisdizione della parrocchia di San Lorenzo, chiesa poi distrutta, che sorgeva nelle vicinanze del sotto passaggio San Lorenzo. L'antico territorio di Voltabarozzo ha subito un'importante trasformazione a partire dal XIII secolo, quando i conti da Rio erano proprietari di questa vasta area. Tra il 1835 e il 1836 Padova venne colpita da un'epidemia di colera con 1282 casi, nel 1849 con 890 e nel 1854-55 con 1096. Il 9 gennaio del 1910 prese il via dal ponte di Voltabarozzo il cross country podistico organizzato dal settimanale il Pedrocchino. Partirono 15 concorrenti, la gara, con arrivo in Prato della Valle, è vinta da Enrico Stefanini del Club Pedestre Ginnastico. Nell'estate del 1911 la Società ciclisti di Voltabarozzo organizza una gara sul percorso Padova-Piove di Sacco e ritorno. Vi partecipano 28 corridori e all'arrivo è primo Guglielmo Zorzi. I circoli rionali fascisti, poi Gruppi rionali, costituirono l'articolazione del partito fascista a contatto immediato con la popolazione, da cui iniziò la propaganda del regime. Offrivano assistenza e momenti di vita ricreativa, sportiva, culturale e di educazione politica. I Circoli e i Gruppi sono dedicati a eroi della Prima Guerra Mondiale o a personalità del fascismo. La chiesa di Voltabarozzo venne costruita il 23 maggio 1310, ma cominciò in realtà a essere officiata il 6 dicembre 1315. Nel maggio 1310 i conti Andrea e Giovanni da Rio si recarono nel palazzo vescovile per proporre di costruire una chiesa dedicata ai santi Pietro e Paolo offrendo in cambio un terreno dove costruire insieme a 14 campi per il mantenimento del sacerdote, e inoltre si offrirono di assicurare: un calice, delle croci, dei paramenti e dei libri sacri per le celebrazioni liturgiche. La richiesta venne accettata dal vicario vescovile ma non potrà avere un cimitero, non potrà seppellire alcun defunto, non potrà udire le confessioni, e ciò potrà avvenire solo in caso di necessità e con l'autorizzazione dei parroci di san Lorenzo. Il 2 giugno viene benedetta la prima pietra dal vescovo. Il 16 giugno il prete Simeone (uno dei due titolari della chiesa di San Lorenzo) pone finalmente in opera il cantiere. Il capo cantiere fu Ameto, il progettista Martino Granello di Piove di Sacco il quale progettò una chiesa piccola e modesta. I signori Da Rio, ritrovatisi nuovamente davanti al vicario vescovile sul finire del 1315, concordarono in un futuro autonomo sul territorio parrocchiale; inoltre, il prete e il cappellano che vi faranno residenza potranno dare sepoltura ai loro parrocchiani e dare i sacramenti. Si stabilirono i confini della nuova parrocchia, che comprendeva nove case attorno ad essa più altre case sparse dislocate oltre la torre di un altro ricco proprietario in direzione di Roncaglia, vicino a un fiumiciattolo chiamato Tergola. In segno di riverenza, i fedeli di Voltabarozzo e i sacerdoti daranno infatti ai preti della vecchia cappella cittadina da cui in passato dipendevano una libbra di incenso e un terzo delle offerte raccolte nella festività di San Lorenzo. Voltabarozzo col suo vasto territorio rimase fino al principio del Novecento la sola parrocchia fuori le mura in tutta la zona sud orientale di Padova. Nel 1795 la chiesa viene rifatta in stile classico e nel 1928 viene ampliata dall'architetto Vincenzo Bonato con l'aggiunta delle navate laterali. Gli affreschi presenti nella chiesa sono Apoteosi San Pietro e Spirito santo con angeli. Il primo affresco si trova al centro della navata centrale ed è un'opera tipicamente barocca. Adiacenti ai lati superiori e inferiori dell'affresco sono raffigurate con posizioni iconografiche i legni del martirio di San Pietro e i simboli papali ed ecclesiastici. In origine i dipinti dovrebbero essere stati quattro, infatti il tema iconografico è incompleto mancando L'Evangelista Giovanni. Mentre le prime due tele sono poste in chiesa rispettivamente sopra la porta della cappellina e sopra la porta della sagrestia. L'Immacolata, di autore ignoto, è un fine dipinto di piccole dimensioni, quindi si presume che per esso fosse stata prevista collocazione particolare, quasi privata; lo stile è settecentesco. Il parco dei Faggi ha origine nel 1862, anno in cui il conte Leopoldo Ferri - proprietario di Villa Giulietta situata nel fondo agricolo di Voltabarozzo - arricchisce l'ampio giardino all'inglese che circonda la residenza compiendo un gesto d'amore per la sua sposa Annetta, giovane donna della nobiltà ungherese dei baroni Wodianer von Kapriota di Budapest. Per il quartiere di Voltabarozzo e la città di Padova è una presenza rilevante dal punto di vista storico, monumentale e naturalistico. Il giardino ha una superficie di circa 23000 m² e al suo interno sono stati collocati elementi decorativi di pregio come il pozzo, una piccola fontana, vecchi muretti e ha una biodiversità molto elevata. Deve il suo nome alla presenza di alcuni esemplari di faggio, tra cui uno secolare, Fagus sylvatica asplenifolia (faggio a foglia di felce). Sono presenti inoltre numerose varietà di alberi e arbusti tra cui abeti, bossi, rosai, tassi, bamboo, semi sequoia e specie esotiche. Il faggio è un genere di pianta originaria dell'Europa, America, Giappone e Cina; Il tasso è un genere della famiglia delle Taxaceae (Conifere) che comprende specie di alberi e arbusti sempreverdi dai 5 ai 25 m, originarie dell'emisfero boreale; L'abete è un genere comprendente 48 specie di conifere sempreverdi della famiglia delle pinacee, è originario delle zone di clima boreale dell'Europa, dalle Alpi Marittime attraverso l'Europa centro-settentrionale fino agli Urali; Le Rosacee sono una famiglia di Angiosperme cosmopolita comprendente poco meno di 5000 specie in 91 generi di erbe, arbusti e alberi, tra cui moltissime di grande importanza per l'economia umana (es. alimentari, ornamentali, medicinali, foraggere e industriali) dell'Asia e dell'Europa; Il Bosso è un genere appartenente alla famiglia delle Buxaceae; è un arbusto cespuglioso sempreverde, ramoso compatto con fusto, rami e legno giallastri. Si trova spontaneo in luoghi rocciosi, aridi anche calcarei, in Europa, Asia e Africa. Il bamboo è una tribù di piante spermatofite monocotiledoni appartenente alla famiglia delle Poaceae (ex Graminaceae) e sottofamiglia Bambusoideae. Le palme sono una famiglia di piante monocotiledoni appartenenti all'ordine Arecales, diffuse per la maggior parte nei climi tropicale e subtropicale Villa Ferri Treves De' Bonfili-Rignano Sgaravatti, di notevole valore storico e artistico, è adibita a sede scolastica. Venne costruita come residenza di villeggiatura a cavallo di due secoli (XVIII – XIX) per volontà del suo proprietario Andrea Cittadella. Dalla grande carta del padovano di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni (1780) e della mappa del catasto napoleonico (1811) risulta l'esistenza di questa villa veneta. Andrea abitava in città e l'aveva costruita come casa di villeggiatura. Nel 1840 ne divenne proprietaria Luigia Verardi che nel 17 dicembre del 1855 sottoscrisse l'atto di compravendita dell'intera proprietà al conte Leopoldo Ferri. I Ferri abitavano vicino alla Basilica del Santo. Tale casa con il suo giardino annesso passò in seguito di proprietà in proprietà, fino ad essere acquisita nel 1970 dal Comune di Padova. Le scuole pubbliche del quartiere fanno parte dell'VIII Istituto Comprensivo di Padova: Scuola secondaria di primo grado "Luigi Stefanini" Scuola primaria "Ippolito Nievo" Altre scuole: Scuola materna non statale "Ferrante Aporti" Asilo nido "Lo scarabocchio". La sede scolastica, già Villa Ferri Treves De' Bonfili-Rignano Sgaravatti, di notevole interesse storico e artistico, è stata intitolata al filosofo e pedagogista Luigi Stefanini (Treviso, 1891 – Padova, 1956). Nel 1860 Leopoldo Ferri costruì una grande villa (l'attuale Scuola Stefanini) immersa in un grande parco (Parco dei Faggi) dedicata a Giulia Facchini, sua madre. Nel 1861 sposò Anna, una nobile ungherese. La villa è caratterizzata da uno stile romantico molto diffuso in quegli anni nell'Europa centrale. Vengono, infatti, utilizzati disegni con riferimenti neobizantini e neoromantici; la facciata principale non è rivolta verso sud, come nelle ville venete, ma verso nord, privilegiando così l'affaccio verso il parco-giardino, il quale nasce con la villa e costeggia via Piovese. Nell'angolo nord-ovest della facciata vi è il grande stemma in pietra con raffigurate le insegne delle tre famiglie che hanno segnato la vita del Conte Leopoldo: la famiglia Zabarella (fascia con tre stelle); la famiglia Waldner (immagine del pellicano); la famiglia Facchini (zampa d'aquila o di gallo). Tali stemmi sono richiamati anche nei soffitti delle sale del piano terra, decorati con dipinti fastosi con disegni floreali e geometrici assieme allo stemma della famiglia Ferri e della casa d'Austria. Nel 1902 la casa venne venduta alla baronessa Vittoria Treves dei Bonfili che ci abiterà, assieme al marito Alberto Rignano, per circa 25 anni. In questo periodo la villa venne ampliata verso sud, in stile Liberty in accordo con la moda del periodo. Nel 1927 la villa e il parco vennero acquistate dal commendatore Vittorio Sgaravatti, che oltre a dimorarvi ne fece anche la sede della ditta “Società Sgaravatti Sementi”. Subito dopo l'acquisto venne costruito un nuovo edificio, la semenzaia (l'attuale scuola primaria). A causa di cattivi investimenti nel 1969 la società fallì e nella procedura fallimentare si inserì il Comune di Padova che acquista gli immobili nel 1970. La villa ospita la scuola primaria "Ippolito Nievo" e la scuola secondaria di primo grado "Luigi Stefanini". I restauri dell'edificio scolastico iniziarono nel 2009 e finirono nell'aprile 2013; la villa si trovava in gravi condizioni: il tetto aveva molte infiltrazioni, alcuni controsoffitti cadevano; nel primo piano le parti lignee erano deteriorate e non le si è potute salvare; l'intonaco era fortemente danneggiato. Gli interventi strutturali hanno interessato il solaio del secondo piano e la struttura di copertura, per garantire sia la capacità portante sia il miglioramento sismico dell'edificio. Per la copertura si sono aumentate le capacità portanti delle travi. Invece le mensole sono state trattate con protesi lignee, inoltre sono state inserite in opera staffe metalliche. Gli stucchi di Villa Ferri sono in gesso e hanno consentito di svolgere il lavoro più velocemente, ma data la sua consistenza porosa non è adatto agli ambienti umidi e agli sbalzi termici, per questo la maggior parte degli stucchi di Villa Ferri sono ceduti e si è dovuto provvedere al loro restauro. L'arco Tudor è basso e ampio e rappresenta lo stile inglese,è a punta e schiacciato. A Villa Ferri è bicentrico con i 2 raccordi superiori retti;viene detto anche arco parabolico perché può sostenere un peso di 1500 kg per metro lineare.Le porte del piano terra sono rivestite con impalcature di radica di noce, nella parte interna, mentre quella esterna è rivestita in lastronatura di noce. Il restauro delle decorazioni delle pareti sono riferite alla seconda metà del XX secolo e realizzate con calce e tempera. Lo stemma era appartenente al nobile consiglio della città di Padova fino dal secolo XVI, fu decorata del titolo comitale nella persona di Pellegrino Ferri da Federico IV re di Danimarca nel 1709; titolo che fu riconosciuto dalla Repubblica Veneta nel 1710 e confermato da Francesco I imperatore d'Austria nel 1819. In questo stemma compare l'aquila bicipite nera con le ali aperte, tipica degli Asburgo che contiene un altro scudo, diviso in quattro parti. Sopra lo scudo c'è la scritta S.P.Q.R. [ simbolo di Roma e poi del Sacro Romano Impero, dal quale la corona d'Austria si riteneva erede]. Mario Bortolami (a cura di), 1310-2010 Voltabarozzo - Comunità da 700 anni, Tipografia Veneta, 2010, pp. 17,18,19,20,21,22. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Voltabarozzo La storia della parrocchia, su voltabarozzo.it. Voltabarozzo, su b4padova.it. URL consultato il 7 dicembre 2019 (archiviato dall'url originale il 28 novembre 2019).

Estratto dall'articolo di Wikipedia Voltabarozzo (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

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Scuola Stefanini di Voltabarozzo 02
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Tempio nazionale dell'internato ignoto
Tempio nazionale dell'internato ignoto

Il Tempio nazionale dell'internato ignoto è un sacrario e una chiesa del quartiere Terranegra di Padova, realizzato a ricordo degli internati nei lager nazisti durante la seconda guerra mondiale. All'interno del complesso è ospitato anche il Museo dell'internamento dedicato a tutta la vicenda storica dell'internamento durante la guerra. Durante la seconda guerra mondiale, don Giovanni Fortin diede rifugio a militari inglesi e per questo venne internato agli inizi del 1944 nel campo di concentramento di Dachau in Germania. Sopravvissuto alla deportazione di Dachau, don Fortin si impegnò perché l'edificio di Terranegra, da lui ideato nel 1953 e già in costruzione nella sua parrocchia, diventasse un Tempio-Ossario con annesso Museo della Deportazione. I deportati italiani (militari e civili) nei campi nazisti furono, dall'8 settembre 1943 alla fine del conflitto, circa 650.000 e circa 70.000 non fecero ritorno. Gli ebrei sterminati nell'Olocausto (circa 6 milioni), tra i quali molti italiani, sono pure ricordati a Terranegra. Il 13 settembre 1999 il Presidente del Senato Nicola Mancino consegnò la medaglia d'oro al valor militare conferita dall'allora Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro alla memoria dell'Internato Ignoto. Il tempio è una chiesa cattolica che ospita anche la locale parrocchia di San Gaetano da Thiene. La sede della parrocchia fu trasferita dalla vecchia chiesa di Terranegra nel 1955. Nell'atrio della chiesa è presente un sarcofago con le spoglie di un internato ignoto. Aperto nel 1955 e ristrutturato nel 1999, il museo dell'internamento ospita documentazioni, foto, oggetti che descrivono l'esperienza dei deportati nei campi di concentramento. Nella sua presentazione il museo si descrive come parte inscindibile dal Tempio nazionale dell'internato ignoto. Dal 2007 il museo è gestito dall'Associazione nazionale ex internati (ANEI). Giardino dei Giusti del Mondo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Tempio nazionale dell'internato ignoto Sito ufficiale, su museodellinternamento.it. Museo nazionale dell'internamento, in Luoghi di Memoria e Resistenza. Internato Ignoto, in Donne e Uomini della Resistenza.

Giardino dei Giusti del Mondo
Giardino dei Giusti del Mondo

Il Giardino dei Giusti del Mondo è un parco di Padova, nella zona di Terranegra, creato per onorare i Giusti, persone che con la loro azione si sono opposti ai genocidi del XX secolo. A differenza di altri luoghi e monumenti simili dedicati singolarmente a eventi come la Shoah o il genocidio armeno, il Giardino di Padova intende onorare i Giusti di qualunque genocidio, come quello del Ruanda e quello bosniaco. Il giardino fu inaugurato il 5 ottobre 2008 dopo un percorso svolto dal comune di Padova all'interno del progetto Padova Casa dei Giusti (Padua Home of Righteous), nato nel 1999 da un'idea di Giuliano Pisani. Ispirandosi al titolo di Giusto tra le nazioni israeliano, al Giardino dei Giusti di Gerusalemme e agli omologhi giardini di Erevan e Sarajevo, fu deciso di realizzare un luogo dove onorare personalità che avevano protetto, a rischio della propria vita, i perseguitati dai genocidi. Nel 2000 fu organizzato il convegno internazionale Si può sempre dire un sì o un no: i giusti contro il genocidio degli Armeni e degli Ebrei in collaborazione con il Comitato per la Foresta Mondiale dei Giusti di Milano, analoga iniziativa sorta nel capoluogo lombardo nel 2003. La sede del giardino fu scelta nei pressi del Tempio nazionale dell'internato ignoto e dell'attiguo museo. La chiesa, nuova sede parrocchiale, fu fatta costruire dal parroco monsignor Giovanni Fortin negli anni cinquanta dopo la sua deportazione a Dachau, in memoria degli internati e delle vittime dei campi di concentramento. Il progetto artistico fu affidato allo scultore padovano Elio Armano che realizzò delle strutture scultoree richiamanti delle grandi sbarre di ferro invecchiato. L'opera fu in realtà realizzata in cemento armato con un particolare rivestimento per ottenere l'aspetto del ferro arrugginito voluto dall'artista. Nel giardino ogni Giusto viene onorato con una pianta e una stele recante il suo nome. Il progetto prevede di ampliare il giardino in una sorta di "via dei Giusti" lungo l'argine (ribattezzato per l'occasione Passeggiata Cammino dei Giusti del Mondo) del canale San Gregorio, una delle diramazioni del fiume Bacchiglione in città, in adiacenza al quale sorge il giardino. Una prima tappa è stata inaugurata il 2 ottobre 2011. Un anno dopo, il 14 ottobre 2012, in occasione della quinta cerimonia di assegnazione del titolo di Giusto, è stato inaugurato il Giardino dei Giusti del Mondo di Noventa Padovana: i primi sette chilometri del Cammino dei Giusti del Mondo sono tracciati. Nel 2013, lungo la passeggiata Cammino dei Giusti del Mondo, è stata inaugurata una seconda tappa, con nove alberi che ricordano nove grandi storie, mentre un altro ciliegio è andato ad arricchire il Giardino di Noventa Padovana. Sul grande muro che circonda le strutture scultoree è riportato il motto del Giardino, una frase attribuita a Hannah Arendt: «Si può sempre dire un sì o un no». Il 2 ottobre 2011 anche il celebre campione di ciclismo Gino Bartali è stato inserito tra i Giusti del giardino padovano per il suo impegno in favore degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Dieci alberelli furono piantati nel 2008 in occasione dell'inaugurazione e altri vengono aggiunti annualmente (dodici nel 2009, dieci nel 2010, undici nel 2011, tredici nel 2012 e dieci l'anno successivo). AA.VV., Si può sempre dire un sì o un no: i giusti contro i genocidi degli armeni e degli ebrei, Padova, Cleup, 2001, pp. 288, ISBN 978-88-7178-705-3. URL consultato il 3 ottobre 2011. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giardino dei Giusti del Mondo Il Giardino dei Giusti del Mondo, su PadovaNET, Comune di Padova. URL consultato il 16 settembre 2011.

Salboro
Salboro

Salboro è una frazione del comune italiano di Padova. Sorge a sud del centro storico di Padova dal quale dista circa 5 Km, lungo la strada provinciale 3 diretta da Padova ad Anguillara Veneta. Nei pressi si snodano i confini comunali con Ponte San Nicolò (frazione Rio) e Albignasego (frazione San Giacomo). Dei corsi d'acqua si cita lo scolo Baracchia, che si muove in direzione ovest-est lambendo Pozzoveggiani, località minore che si estende a sud del paese. per poi confluire sul fiume Bacchiglione nei pressi di Roncajette. Per la sua posizione periferica, la zona mantiene ancora i suoi caratteri rurali e vi sussistono tutt'oggi alcune aziende agricole e zootecniche. Di Salboro si hanno notizie dal X secolo d.C. ma ha probabilmente origini più antiche data la posizione lungo la romana via Annia. Del medesimo periodo sono i resti di una centuriazione, ancora riconoscibile nelle attuali vie Palla Strozzi e San Giacomo. In un diploma dell'imperatore Berengario del 918 è attestata Publiciano o Pobliciano, divenuta nel 1027 Puteus Vitaliani: è l'attuale località Pozzoveggiani, in cui sorge la chiesa di San Michele che è la più antica della zona. Il toponimo potrebbe legarsi alla presenza di un puteus "pozzo" e a un possidente di epoca romana, Vitellius; esiste una tradizione che lo rimanda a Vitalianus, padre della martire Giustina di Padova che sarebbe stato proprietario dei terreni circostanti. Nel 1045 compare il locus ubi dicitur Selburia, mentre nel 1055 si cita la villa que dicitur Spasano. Probabilmente Spasano, sede della chiesa di Santa Maria Assunta, era il centro principale, mentre Salboro rappresentava una località minore. In seguito i ruoli si ribaltarono, tanto che nel 1595, per la prima volta, la chiesa di Santa Maria è detta "di Salboro". Salboro sembra avvicinarsi al latino silvarium, ad indicare una località boscosa; Spasano è forse derivato da spatium e da patēre "essere aperto", nel senso di "ampia distesa pianeggiante". Le chiese di Spasano-Salboro e di Pozzoveggiani erano unite sin dai tempi più antichi, anche se la seconda ebbe per diverso tempo un proprio cimitero e una propria fabbriceria. Inoltre, il rettore di Spasano-Salboro doveva celebrare messa alternativamente nei due luoghi di culto. Citata per la prima volta, accanto alla chiesa di San Michele, in un diploma del vescovo Bellino di Padova del 1130, fu cappella dipendente dall'arcipretato di Padova. Nel 1686 fu visitata dal vescovo Gregorio Barbarigo che la reputò di dimensioni insufficienti, tuttavia venne ampliata solo a partire dal 1859; nell'occasione, coro e presbiterio furono spostati da est a ovest. Nonostante i rifacimenti, la vecchia chiesa di Salboro non era ancora sufficiente ad accogliere l'accresciuta popolazione: il 19 ottobre 1954 il vescovo Girolamo Bartolomeo Bortignon notò che la chiesa era povera e di dimensioni anguste, ma anche che gli abitanti erano restii a sostenere le ingenti spese per una nuova costruzione. Ciononostante, il 21 novembre 1970 iniziò l'erezione del nuovo luogo sacro accanto all'altro, su progetto degli architetti Pietro Bettella e Filippo Navarra. Fu inaugurato nel 1974 e consacrato nel 1977. A pianta curvilinea e alzato a stella, culmina con una volta sostenuta dalla trabeazione perimetrale, conferendole l'aspetto di una tenda. Il presbiterio è sovrastato da un Cristo in rame sbalzato di Giampaolo Menegazzo. Vi sono conservate anche alcune opere d'arte provenienti dalla vecchia chiesa: spicca una tela di Giovan Battista Bissoni del 1609, raffigurante l'Assunzione della Madonna con i dodici apostoli e il committente; più recente il fonte battesimale scolpito nel 1943 Luigi Strazzabosco, con quattro scene tratte dalle Sacre Scritture. Come già detto, è citata accanto all'attuale parrocchiale a partire dal 1130, ma è probabilmente la più antica chiesa della zona. Conserva un ciclo di affreschi del XII secolo, raffigurante Cristo in maestà, gli evangelisti e gli apostoli Taddeo, Matteo, Giacomo, Giovanni e Pietro. La chiesa di San Michele Arcangelo si trova a cinque chilometri da Padova sulla strada per Bovolenta nella frazione Pozzoveggiani, questo nome deriva anticamente da PUTEUS VITALIANI, dove "puteus" significa "pozzo" (sul lato sud è presente infatti un pozzo) e "Vitaliani" un ricco terriero era stato il padre di Santa Giustina e uno dei primi cristiani. Questa zona è stata occupata dai Longobardi nel VI secolo, qui vicino vi era la capitale Cividale, mentre Treviso, Vicenza e Verona erano sotto il dominio di Alboino. Venne edificata nel XII secolo sopra un edificio più antico, una cella memoriale del VI - VII secolo di forma cubica, con l’abside eccezionalmente rivolta ad ovest invece che ad est com'era consuetudine degli antichi edifici. Per questo motivo fu "ritrasformata" ribaltandone la facciata e la posizione dell'altare di modo che fosse rivolto ad est. Inoltre fu notevolmente ampliata in tre navate e tre absidi semicircolari. Successivamente tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo fu trasformato in oratorio utilizzando solo la navata centrale. La navata sud è stata demolita ed infatti dall’esterno si vedono ancora le colonne murate. Nonostante questi pesanti cambiamenti la chiesa conserva lo stile iniziale bizantino con forte influenza carolingia. Il muro ha una distribuzione di mattoni a spina di pesce, una metologia costruttiva già abbastanza avanzata per l'epoca. È una delle chiese più antiche della provincia di Padova, rimasta intatta fino a noi, forse anche perché in disparte da un centro abitato, quasi nascosta. Una chiesetta campestre ai margini del bosco proveniente dalle prime costruzioni cristiane, conservando le origini della religione come dentro uno scrigno. Sul fianco meridionale interno sono state innestate due formelle in terracotta riportanti figure geometriche e zoomorfe. All’interno sono presenti splendidi affreschi romanici del X-XIII secolo che ricoprono la cella memoriale (antico edificio) e l’abside. I più antichi sono le immagini degli Apostoli che si trovano nelle arcate. Poi nel catino absidale emerge un Cristo Pantocreatore nella mandorla con attorno i quattro evangelisti. Vi è anche il simbolo del Cristo, un pellicano che dà nutrimento col proprio sangue ai piccoli. Nella parte inferiore vi sono cavalieri in armatura. Nella fascia inferiore dell'abside, quella più in prossimità del suolo, sono rappresentati a "sinopia" cavalieri in duello, animali e figure zoomorfe e antropomorfe. Questo gruppo figurativo poco ha a che fare con e sacre immagini soprastanti, essendo rappresentazione "a sé" senza un riferimento sacro o narrativo. Simile e quasi identica ai cavalieri presenti nella chiesa di Summaga, sempre in Veneto, la fascia di San Michele Arcangelo si trova nella zona più sacra della chiesa, dietro l'altare. Perché raramente, ma comunque più volte e in una chiesa vicina, sono stati rappresentati a "sinopia" cavalieri in duello all'interno di un luogo sacro? Uomini a cavallo che nulla hanno a che fare con guerre sante, templari o santi guerrieri, personaggi sconosciuti con scudi e lance, attorniati da animali e figure antropomorfe. C'è chi ha spiegato l'immagine come "gioco di penna", come se l'artista si fosse allenato o avesse provato gli strumenti prima di coprire le immagini con figure sacre. Oppure semplicemente in questo luogo era sacra la figura stessa del cavaliere perché sapeva difendere la gente, proteggere gli indifesi, grazie al suo onore puro e volto a Dio. Dopotutto armi e armature erano estremamente care nel medioevo, in pochi se le potevano permettere, i contadini naturalmente si difendevano come potevano, quindi un uomo d'arme che prestava la sua protezione era visto come un "salvatore". Si trova nel centro abitato, all'incrocio tra via Lago Dolfin e via Pietro Bembo. Costruita nell'Ottocento, si caratterizza per il grande parco che si sviluppa a nord della casa padronale, progettato da Giuseppe Jappelli. Lo spazio a sud, che un tempo doveva costituire un giardino più raccolto, aperto verso la campagna, è ora occupato da un maneggio. Lo stesso palazzo ha subito delle modifiche interne poiché è stato adibito a ristorante. Questo edificio è un volume di forma allungata orientato in direzione est-ovest. È costituito da un corpo porticato alle cui estremità si innalzano due corpi a torre, anch'essi con arcate al piano terra. Questo schema "torre-loggia-torre" non è unico, ma si ripete anche in alcune ville venete della provincia di Vicenza: si citano il castello di Thiene, villa Pisani a Bagnolo di Lonigo, villa Rezzonico a Bassano del Grappa. Delle facciate del palazzo, quella nord, rivolta al parco, e quella ovest, lungo la strada principale, si distinguono per una maggiore attenzione decorativa: al piano terra è stato utilizzato il bugnato rustico, le finestre sono incorniciate e sopra gli architravi si trova una modanatura lavorata a listelli. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Salboro

Fenice Green Energy Park

Sorto nel 2005, il Fenice Green Energy Park (già Parco delle Energie Rinnovabili Fenice) è il primo parco in Italia dedicato alle energie verdi e alla sostenibilità ambientale. Sviluppato in 5 ettari di terreno, attraverso le sue attività mira a sensibilizzare sul tema, proponendosi come lo "smart park" ideale delle smart city. Costituisce il polmone verde della città di Padova. Organizza corsi di formazione specialistica per aziende e professionisti, laboratori didattici per il turismo scolastico, prenotazione dei suoi spazi per convegni, raduni e feste. Nel 2013 ha inaugurato l'Ostello della gioventù eco-sostenibile "Fenice". Nel 2000 inizia il recupero dell'area degradata dell'Isola di Terranegra a Padova attraverso il progetto "Recupero del verde del Parco Fenice" promosso dagli Scout di Padova. Nel 2005 nasce Fondazione Fenice onlus attraverso l'azione congiunta del Consorzio Zona Industriale di Padova e gli scout del Corpo Nazionale Giovani Esploratori ed Esploratrici Italiani (CNGEI). Il Parco Fenice inizia a operare a pieno regime nel 2008, con la presenza di oltre 200 scolaresche in visita didattica ai laboratori del parco (percorsi specializzati sulle energie rinnovabili). Nel 2013 il parco assume la denominazione ufficiale "Fenice Green Energy Park" e, in maggio, vengono inaugurate le strutture del Parco tra cui l'Ostello della Gioventù e il Centro di Formazione, costituito da due aule polivalenti (una da 20 e una da 40 posti) di classe energetica A e un salone/chalet da 80 posti. Ostello della Gioventù, struttura ricettiva extra-alberghiera, composta da 23 posti letto suddivise in: 2 camerate da 11 e 12 posti e 2 camere singole con bagno privato Aule polivalenti da 20 e 40 posti in fabbricato in classe energetica A Salone polivalente da 80 posti in chalet di classe energetica B con pannelli solari e strutture di recupero dell'acqua piovana per scarichi sanitari 5 ettari di area verde (prati, boschi e golena) per attività naturalistiche, di scautismo e per raduni di gruppi privati e associazioni Stazione di biciclette (elettriche e non) all'interno della pista ciclo-pedonale che collega il centro di Padova ai Colli Euganei e la Riviera del Brenta Sito ufficiale

Chiesa di Ognissanti (Padova)
Chiesa di Ognissanti (Padova)

La chiesa di Ognissanti è un edificio religioso di origine altomedievale che si erge in contrà Ognissanti, ora via Ognissanti, a Padova. La chiesa, nata nei pressi di uno xenodochio, sino alle soppressioni napoleoniche era parte di un complesso monastico benedettino. Ai restauri dell'edificio nel XVI secolo lavorò Vincenzo Scamozzi. Sorta secondo alcuni già nel IV secolo, la chiesa di Ognissanti nacque come dipendenza di uno xenodochio posto ad accoglienza delle genti che transitavano sulla strada che collegava Patavium ed Altinum, in un'area abitata in età paleoveneta, che età romana divenne luogo funerario. Il primo documento a citarla, un atto di donazione che Gualmanno de' Sorella muove alla chiesa Omnium Sanctorum, reca la data 9 marzo 1147. Nel maggio 1177 papa Alessandro III pose sotto sua diretta protezione chiesa e ospitium, lo xenodochio. Tra i benefattori della chiesa nel XII secolo figurava pure Speronella Dalesmanini. La chiesa era officiata dai monaci benedettini che nei pressi possedevano un cenobio. Nel XIII secolo la chiesa è parrocchiale. Il monastero benedettino per un periodo "doppio" (maschile e femminile) e poi priorato, crebbe d'importanza e le sue strutture inglobarono definitivamente la chiesa divenuta prepositurale, affidata definitivamente alla comunità conobitica dal vescovo Giovanni Battista Forzatè nel 1256. Nelle visite pastorali del cinquecento la chiesa e il cenobio furono trovati fatiscenti, e pure a rischio di crollo tant'è che i monaci abbandonarono il priorato. Nel 1589 il cardinale Federico Corner promosse dei lavori di restauro e il complesso accolse le monache benedettine di Polverara. Il cardinale affidò i lavori a Vincenzo Scamozzi che già lavorava in città per i teatini di San Gaetano. I lavori che procedettero a singhiozzo, e si concentrarono nella chiesa solo dal 1657 al 1666 secondo il volere della badessa Ludovica da Vico che affidò la direzione al proto Zuane Zenso. Nel 1671 il cardinale Gregorio Barbarigo la trovava completata con cinque altari; su uno erano ospitati i corpi di san Paolino martire e santa Valeria martire. Della chiesa antica a croce latina si conservò solo la parte terminale, verso il presbiterio ed il campanile. Il prevosto della chiesa di Ognissanti, Nicolò Macchiono, sempre nel XVII secolo, ricordava che la chiesa non necessitava di spazi cimiteriali esterni, perché dotata di depositi interni. Nel 1738 il proto Bernardo Squarcina ampliò l'edificio verso la facciata. Con le leggi ecclesiastiche napoleoniche la chiesa prepositurale assorbì le parrocchie di San Massimo, Santa Maria Iconia mentre il monastero fu abbandonato sino al 1818 quando Maria Serafina Rossi lo acquistò per aprirvi un collegio femminile. Divenne poi sede delle Dame del Sacro Cuore. Nel 1852 vi si installò l'istituto degli esposti (da San Giovanni di Verdara) che installò la ruota degli esposti, verso il sagrato. Nella chiesa furono portate le salme del beato Pellegrino e del beato Ongarello (dalla chiesa del Beato Pellegrino) ma questo non accese il fervore religioso dei nuovi parrocchiani, che non partecipavano alle funzioni per la posizione decentrata del tempio per cui, il prevosto don Antonio Troilo, favorì alla costruzione di una nuova chiesa sul luogo di Santa Maria Iconia, chiesa che venne inaugurata nel 1864. La chiesa di Ognissanti fu chiusa al culto e molte opere d'arte che vi si conservavano furono portate alla chiesa dell'Immacolata. La chiesa fu riaperta con il titolo di parrocchiale il 5 luglio 1941 grazie all'intervento di don Luigi Bonin. Oggi la chiesa di Ognissanti è attualmente parrocchia appartenente al Vicariato della Cattedrale ed officiata dal clero secolare della diocesi di Padova. Nella chiesa si riuniva la fraglia dei barcaroli del Portello, che possedevano un altare e veneravano la statua quattrocentesca della Vergine ora alla chiesa dell'Immacolata. Nella chiesa trovano sepoltura le monache, i prevosti, alcuni patrizi veneti e dottori dell'università. La chiesa è orientata ponente-levante (abside rivolto a levante) e si innalza a conclusione della via Ognissanti. La bretella che ora l'affianca è frutto di interventi otto e novecenteschi. Il lato a sud si accosta a quelle che erano le strutture monastiche. La parte più antica è quella absidale, di forma quadrangolare e affiancata all'alto campanile romanico. Eretta su pietra e cotto, mossa da archetti e aperture dei secoli X e XI, per alcuni è il risultato di adattamento di un fortilizio tardoantico. Il finestrone termale è frutto di un intervento cinquecentesco. Il resto della struttura, è il compimento di adattamenti e ingrandimenti della navata medievale, in gran parte demolita per allargare l'aula. La fiancata a settentrione è sostenuta da tre imponenti contrafforti e aperta da tre finestre alla palladiana. Un'altra finestra alla palladiana si apre sulla facciata incompiuta, aperta da tre portali di cui quello centrale, maggiore, è seicentesco e alleggerito da un frontone spezzato. Tutte le intonacature risalgono agli anni '40 del novecento. Accanto alla chiesa, posta all'interno di quello che in origine era un portale di accesso al monastero, è visibile il meccanismo della ruota degli esposti, utilizzata sino alle legislazioni fasciste. La luminosa aula, recentemente restaurata, converge al grande altare maggiore di gusto manierista-barocco seguito nel 1676 da Francesco Fasolato su cui era posta la pala decantatissima di Bonifacio de' Pitati Maria Vergine Assunta in cielo alle presenza degli appostoli poi sostituita da una Pentecoste in fresco strappato, forse cinquecentesco. Sulle nicchie statue lignee raffiguranti santa Scolastica e san Benedetto. Il paliotto d'altare è decorato da marmi bianchi e neri. Preziosi anche i lignei stalli del coro. Dopo le recenti fasi di recupero sono state portati alla luce i brani della muratura medievale e sul presbiterio, il resto di una scala voltata del X-XI secolo che un tempo si apriva sulla muratura, e pure una feritoia. Affiancano il presbiterio due altari laterali cinquecenteschi, rivolti a levante: su quello di destra è posta una splendida tela (1730) di Francesco Migliori raffigurante il Paradiso. sull'altare a sinistra Crocifissione di ignoto settecentesco. Sulle pareti laterali in prossimità degli altari, i resti del transetto medievale con l'interessante trifora romanica riaffiorata durante i restauri che hanno pure portato alla luce, in una nicchia, il volto di un Cristo Pantocratore del X-XI secolo. Sull'altare laterale cinquecentesco, a sinistra, è posto l'affresco miracoloso che come ricorda il Rossetti «era nell'angolo, o cantonata della fabbrica di questo Ospitale [la Ca' di Dio], sopra la strada pubblica, per la quale si va a Santa Caterina, di dove fu trasportata sul [...] altare [della Chiesa della Ca' di Dio] nell'anno 1595; essa è di Stefano dall'Arzere». Dopo la demolizione della Chiesa della Ca' di Dio fu trasportato a san Giovanni di Verdara nel 1784 e definitivamente posto ad Ongissanti nel 1868 e collocato sulla nicchia già occupata forse, dalla statua della Madonna dei Barcaroli. Dirimpetto, altare seicentesco su cui è posta la pala di Giovanni Carboncini (1681) Visitazione di Maria. Lungo le pareti, piccolo lapidario con resti di iscrizioni e cippi di età romana. Sul pavimento, alcuni numeri alla romana segnalano le sepolture seicentesche le cui lapidi furono levate nel restauro del 1837. Nella chiesa si conserva il prezioso organo proveniente (dopo il 1810) dalla demolita chiesa di Santa Giuliana. Sarebbe dunque l'opera n. 233 di Gaetano Callido, databile 1785, sebbene non si rinvengano segnature o firme, cosa inusuale per il Callido. Lo strumento, già pesantemente manomesso dalla ditta "La Fonica" negli anni '50 del novecento (estensione della tastiera, pedaliera diritta, inserimento di Viola, Voce Celeste e trasposizione del Flauto in XII a Flauto in Ottava, azionamento pneumatico dei registri con pedale del Crescendo, eliminazione di uno dei due mantici), è stato restaurato in maniera filologica da Alfredo Piccinelli nel 1996 e inaugurato il 6 maggio 1998 da Gustav Leonhardt. Lo strumento, posto sul grande barco monastico in controfacciata, luogo un tempo riservato alle monache - che vi accedevano da un'apposita porta direttamente dal monastero -, è collocato in cassa lignea barocca, probabilmente coeva, pur se non ci sono dati. La facciata é composta da 21 canne in stagno appartenenti al registro di Principale, bocche allineate e labbro superiore a mitria, canna maggiore: Do2. La consolle a finestra ospita il manuale (riportato all'originale durante l'ultimo restauro) di 45 tasti, con prima ottava scavezza, e la pedaliera a leggio, ricostruita, di 18 tasti (Do1-Sol#2 + tamburo). I registi, posti a destra della tastiera, sono azionati da tiranti "alla veneta" con Tiraripieno a manovella. La ventilazione, garantita da due mantici a cuneo posti all'interno della cassa, è azionabile sia manualmente (tramite corde) che con elettroventilatore, con valvole di non ritorno rilasciabili tramite apposite cordicelle, raggiungibili rimuovendo il pannello del leggio. Principale bassi e soprani Ottava Decimaquinta Decimanona Vigesimaseconda Voce Umana Flauto in XII Cornetta Bassi Divisione bassi/soprani: Do#3-Re3 Il registro Bassi (pedale) é composo da 12 canne in castagno, di 8 piedi, di fattura più antica Il Tamburo (La2 della pedaliera) è ottenuto con le note Fa#-Sol#-Sib (registro Bassi) Voce Umana e Cornetta: soprani Prime 8 canne del Flauto in XII tappate Il Principale ha le prime 2 canne in legno, poste ai lati del somiere, dietro le lesene Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova 1780 Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori Maria Cristina Forato, La chiesa di Ognissanti in Padova AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Vincenzo Scamozzi Gaetano Callido Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Ognissanti