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Fenice Green Energy Park

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Sorto nel 2005, il Fenice Green Energy Park (già Parco delle Energie Rinnovabili Fenice) è il primo parco in Italia dedicato alle energie verdi e alla sostenibilità ambientale. Sviluppato in 5 ettari di terreno, attraverso le sue attività mira a sensibilizzare sul tema, proponendosi come lo "smart park" ideale delle smart city. Costituisce il polmone verde della città di Padova. Organizza corsi di formazione specialistica per aziende e professionisti, laboratori didattici per il turismo scolastico, prenotazione dei suoi spazi per convegni, raduni e feste. Nel 2013 ha inaugurato l'Ostello della gioventù eco-sostenibile "Fenice". Nel 2000 inizia il recupero dell'area degradata dell'Isola di Terranegra a Padova attraverso il progetto "Recupero del verde del Parco Fenice" promosso dagli Scout di Padova. Nel 2005 nasce Fondazione Fenice onlus attraverso l'azione congiunta del Consorzio Zona Industriale di Padova e gli scout del Corpo Nazionale Giovani Esploratori ed Esploratrici Italiani (CNGEI). Il Parco Fenice inizia a operare a pieno regime nel 2008, con la presenza di oltre 200 scolaresche in visita didattica ai laboratori del parco (percorsi specializzati sulle energie rinnovabili). Nel 2013 il parco assume la denominazione ufficiale "Fenice Green Energy Park" e, in maggio, vengono inaugurate le strutture del Parco tra cui l'Ostello della Gioventù e il Centro di Formazione, costituito da due aule polivalenti (una da 20 e una da 40 posti) di classe energetica A e un salone/chalet da 80 posti. Ostello della Gioventù, struttura ricettiva extra-alberghiera, composta da 23 posti letto suddivise in: 2 camerate da 11 e 12 posti e 2 camere singole con bagno privato Aule polivalenti da 20 e 40 posti in fabbricato in classe energetica A Salone polivalente da 80 posti in chalet di classe energetica B con pannelli solari e strutture di recupero dell'acqua piovana per scarichi sanitari 5 ettari di area verde (prati, boschi e golena) per attività naturalistiche, di scautismo e per raduni di gruppi privati e associazioni Stazione di biciclette (elettriche e non) all'interno della pista ciclo-pedonale che collega il centro di Padova ai Colli Euganei e la Riviera del Brenta Sito ufficiale

Estratto dall'articolo di Wikipedia Fenice Green Energy Park (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

Fenice Green Energy Park
Lungargine Gerolamo Rovetta, Padova San Gregorio di Camin

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35127 Padova, San Gregorio di Camin
Veneto, Italia
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Luoghi vicini

Giardino dei Giusti del Mondo
Giardino dei Giusti del Mondo

Il Giardino dei Giusti del Mondo è un parco di Padova, nella zona di Terranegra, creato per onorare i Giusti, persone che con la loro azione si sono opposti ai genocidi del XX secolo. A differenza di altri luoghi e monumenti simili dedicati singolarmente a eventi come la Shoah o il genocidio armeno, il Giardino di Padova intende onorare i Giusti di qualunque genocidio, come quello del Ruanda e quello bosniaco. Il giardino fu inaugurato il 5 ottobre 2008 dopo un percorso svolto dal comune di Padova all'interno del progetto Padova Casa dei Giusti (Padua Home of Righteous), nato nel 1999 da un'idea di Giuliano Pisani. Ispirandosi al titolo di Giusto tra le nazioni israeliano, al Giardino dei Giusti di Gerusalemme e agli omologhi giardini di Erevan e Sarajevo, fu deciso di realizzare un luogo dove onorare personalità che avevano protetto, a rischio della propria vita, i perseguitati dai genocidi. Nel 2000 fu organizzato il convegno internazionale Si può sempre dire un sì o un no: i giusti contro il genocidio degli Armeni e degli Ebrei in collaborazione con il Comitato per la Foresta Mondiale dei Giusti di Milano, analoga iniziativa sorta nel capoluogo lombardo nel 2003. La sede del giardino fu scelta nei pressi del Tempio nazionale dell'internato ignoto e dell'attiguo museo. La chiesa, nuova sede parrocchiale, fu fatta costruire dal parroco monsignor Giovanni Fortin negli anni cinquanta dopo la sua deportazione a Dachau, in memoria degli internati e delle vittime dei campi di concentramento. Il progetto artistico fu affidato allo scultore padovano Elio Armano che realizzò delle strutture scultoree richiamanti delle grandi sbarre di ferro invecchiato. L'opera fu in realtà realizzata in cemento armato con un particolare rivestimento per ottenere l'aspetto del ferro arrugginito voluto dall'artista. Nel giardino ogni Giusto viene onorato con una pianta e una stele recante il suo nome. Il progetto prevede di ampliare il giardino in una sorta di "via dei Giusti" lungo l'argine (ribattezzato per l'occasione Passeggiata Cammino dei Giusti del Mondo) del canale San Gregorio, una delle diramazioni del fiume Bacchiglione in città, in adiacenza al quale sorge il giardino. Una prima tappa è stata inaugurata il 2 ottobre 2011. Un anno dopo, il 14 ottobre 2012, in occasione della quinta cerimonia di assegnazione del titolo di Giusto, è stato inaugurato il Giardino dei Giusti del Mondo di Noventa Padovana: i primi sette chilometri del Cammino dei Giusti del Mondo sono tracciati. Nel 2013, lungo la passeggiata Cammino dei Giusti del Mondo, è stata inaugurata una seconda tappa, con nove alberi che ricordano nove grandi storie, mentre un altro ciliegio è andato ad arricchire il Giardino di Noventa Padovana. Sul grande muro che circonda le strutture scultoree è riportato il motto del Giardino, una frase attribuita a Hannah Arendt: «Si può sempre dire un sì o un no». Il 2 ottobre 2011 anche il celebre campione di ciclismo Gino Bartali è stato inserito tra i Giusti del giardino padovano per il suo impegno in favore degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Dieci alberelli furono piantati nel 2008 in occasione dell'inaugurazione e altri vengono aggiunti annualmente (dodici nel 2009, dieci nel 2010, undici nel 2011, tredici nel 2012 e dieci l'anno successivo). AA.VV., Si può sempre dire un sì o un no: i giusti contro i genocidi degli armeni e degli ebrei, Padova, Cleup, 2001, pp. 288, ISBN 978-88-7178-705-3. URL consultato il 3 ottobre 2011. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giardino dei Giusti del Mondo Il Giardino dei Giusti del Mondo, su PadovaNET, Comune di Padova. URL consultato il 16 settembre 2011.

Tempio nazionale dell'internato ignoto
Tempio nazionale dell'internato ignoto

Il Tempio nazionale dell'internato ignoto è un sacrario e una chiesa del quartiere Terranegra di Padova, realizzato a ricordo degli internati nei lager nazisti durante la seconda guerra mondiale. All'interno del complesso è ospitato anche il Museo dell'internamento dedicato a tutta la vicenda storica dell'internamento durante la guerra. Durante la seconda guerra mondiale, don Giovanni Fortin diede rifugio a militari inglesi e per questo venne internato agli inizi del 1944 nel campo di concentramento di Dachau in Germania. Sopravvissuto alla deportazione di Dachau, don Fortin si impegnò perché l'edificio di Terranegra, da lui ideato nel 1953 e già in costruzione nella sua parrocchia, diventasse un Tempio-Ossario con annesso Museo della Deportazione. I deportati italiani (militari e civili) nei campi nazisti furono, dall'8 settembre 1943 alla fine del conflitto, circa 650.000 e circa 70.000 non fecero ritorno. Gli ebrei sterminati nell'Olocausto (circa 6 milioni), tra i quali molti italiani, sono pure ricordati a Terranegra. Il 13 settembre 1999 il Presidente del Senato Nicola Mancino consegnò la medaglia d'oro al valor militare conferita dall'allora Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro alla memoria dell'Internato Ignoto. Il tempio è una chiesa cattolica che ospita anche la locale parrocchia di San Gaetano da Thiene. La sede della parrocchia fu trasferita dalla vecchia chiesa di Terranegra nel 1955. Nell'atrio della chiesa è presente un sarcofago con le spoglie di un internato ignoto. Aperto nel 1955 e ristrutturato nel 1999, il museo dell'internamento ospita documentazioni, foto, oggetti che descrivono l'esperienza dei deportati nei campi di concentramento. Nella sua presentazione il museo si descrive come parte inscindibile dal Tempio nazionale dell'internato ignoto. Dal 2007 il museo è gestito dall'Associazione nazionale ex internati (ANEI). Giardino dei Giusti del Mondo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Tempio nazionale dell'internato ignoto Sito ufficiale, su museodellinternamento.it. Museo nazionale dell'internamento, in Luoghi di Memoria e Resistenza. Internato Ignoto, in Donne e Uomini della Resistenza.

Reversed Field eXperiment
Reversed Field eXperiment

Reversed Field eXperiment (RFX) è il più grande esperimento al mondo per lo studio del confinamento dei plasmi da fusione nucleare controllata in configurazione reversed field pinch (RFP). L'esperimento, situato a Padova nei laboratori del Consorzio RFX presso l'Area di Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ha raggiunto la corrente di plasma più alta in assoluto, 2 MA (due milioni di ampere) ed è dotato di uno dei più avanzati sistemi di controllo della stabilità del plasma mai realizzati per un esperimento di fusione termonucleare controllata a confinamento magnetico. Le ricerche sui gas ionizzati o plasmi iniziarono a Padova a cavallo tra gli anni 1958 e 1959, in seguito all'interesse suscitato dalla conferenza di Ginevra "Atomi per la pace", presso l'Istituto di Elettrotecnica della Facoltà di Ingegneria (allora diretto dal prof. Giovanni Someda), con il sostegno e la collaborazione dell'Istituto di Fisica (allora diretto dal professor Antonio Rostagni). Si formò così il "Gruppo di Padova per ricerche sulla fusione", di cui furono fondatori i professori Giorgio Rostagni (figlio di Antonio) e Gaetano Malesani. I primi esperimenti riguardavano scariche elettriche in tubi rettilinei, in gas a bassa pressione, prodotte fra due elettrodi posti alle estremità del tubo (una evoluzione dei tubi di Crookes). Su tali scariche si effettuarono le prime osservazioni e misure, come la misura del rapporto E / p {\displaystyle E/p} (campo elettrico diviso per la pressione) necessario per ionizzare un plasma di idrogeno. Tra i primi studi vi erano anche dei prototipi di sorgenti di ioni a filamento, sempre realizzati su dispositivi rettilinei con catodo caldo e anodo raffreddato ad acqua. Gli studi con macchine toroidali (cioè, a forma di ciambella) vennero invece avviati nei primi anni '70 nel quadro del primo contratto di associazione fra EURATOM e CNR, che si formalizzò nell'istituzione del Centro di Studi sui Gas Ionizzati (1971), diretto da Gaetano Malesani. Il Centro divenne in seguito Istituto Gas Ionizzati (IGI) nel 1983. Al gruppo di Padova venne così affidato il progetto ETA-BETA I, attivo dal 1974 al 1978, e dedicato a una configurazione alternativa al Tokamak, nota come reversed field pinch (RFP). Al progetto venne riconosciuto il livello prioritario nell'ambito del programma europeo sulla fusione, il che comportava un finanziamento al 45% da parte della Comunità europea. Ma fu l'esperimento ETA-BETA II (1979-1989, ora trasferito al Museo della Tecnica Elettrica di Pavia) a ottenere in modo stazionario la configurazione RFP, riproducendo la cosiddetta "fase quiescente" che venti anni prima era stata osservata nella macchina inglese ZETA. Questo risultato rese interessante la configurazione RFP nell'ambito della ricerca sulla fusione, dando l'impulso per la realizzazione di altre macchine simili e di dimensioni maggiori, fra cui il Madison Symmetric Torus (MST) a Madison (Wisconsin). Si consolidò quindi la convinzione che una significativa indagine sulle prospettive del RFP come reattore a fusione dovesse svolgersi con esperimenti in una macchina molto più grande e a livelli di corrente di plasma maggiori di quelli ottenuti su ETA-BETA I ed ETA-BETA II. Il progetto RFX venne quindi inizialmente proposto a Culham, nell'Oxfordshire (lo stesso sito del Joint European Torus - JET), e affidato al gruppo di Padova, ormai diventato Istituto Gas Ionizzati (IGI) del CNR, nel 1984, a seguito di un taglio di finanziamenti dell'allora governo di Margaret Thatcher. Dopo una fase costruttiva terminata nel 1991, il primo plasma in RFX è stato ottenuto il 21 novembre 1991. I primi plasmi di tipo RFP sono stati ottenuti nell'estate 1992. A seguito dell'aumento dell'impegno finanziario e organizzativo relativo alla gestione di RFX, nel 1996 fu costituito un ente di natura privata, noto come Consorzio RFX, in cui i primi soci furono l'ENEA, il CNR, l'Università di Padova e le Acciaierie venete S.p.A.. La realtà del Consorzio RFX dal 2006 non riguarda solo la gestione e lo sviluppo della macchina RFX, ma anche la realizzazione, in collaborazione con alcuni altri laboratori europei e giapponesi, di un iniettore di particelle neutre per il riscaldamento del plasma di ITER, il proto-reattore sperimentale in costruzione a Cadarache, nel sud della Francia. A seguito di questo nuovo progetto, nel Consorzio è confluito come socio anche l'Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN). RFX è stata costruita fra il 1985 e il 1991, e poi è stata modificata fra il 1999 e il 2004, e dal 2015 vive una fase di seconde modifiche, all'interno del progetto MIAIVO. RFX è la prima macchina di grandi dimensioni, di tipo RFP, che raggiunge correnti di plasma di 2 MA e le sostiene per circa mezzo secondo. La tabella che segue mette in evidenza le principali caratteristiche tecniche: La tabella mostra le principali componenti di RFX, che sono: il sistema di contenimento del plasma, cioè la cosiddetta "camera da vuoto", che contiene materialmente il gas che poi viene ionizzato: la camera da vuoto è costantemente pompata da un sistema di pompe da vuoto che garantiscono un livello di alto vuoto; la prima parete, cioè la superficie interna della camera da vuoto immediatamente a contatto con il plasma: essa è interamente ricoperta da un sistema di 2016 mattonelle in grafite, che resistono a temperature fino a 3000 °C; la scocca, che è una "guaina" in rame che avvolge quasi completamente la superficie esterna della camera da vuoto: la scocca, grazie alla buona conducibilità elettrica del rame, garantisce la stabilità magnetoidrodinamica del plasma per tempi dell'ordine di 50 ms; il sistema magnetico, cioè le bobine che servono rispettivamente per indurre la corrente di plasma e produrre il campo magnetico toroidale (con lo stesso principio del Tokamak). La principale caratteristica di RFX, che lo distingue nettamente dai Tokamak, è la possibilità di indurre nell'anello di plasma una corrente estremamente elevata, fino a 2 MA; questo, combinato con una tensione applicata sul giro toroidale di 20 Volt, determina una impressionante potenza dissipata di 2 × 20 = 40 {\displaystyle 2\times 20=40} megawatt: non c'è bisogno quindi di nessun altro sistema di riscaldamento, come invece è tipico del Tokamak. Nel periodo 2001-2004, RFX è stato modificato (RFX-mod) per introdurre il sistema di controllo attivo (feedback) sui tempi superiori ai 50 ms caratteristici della scocca. Questo sistema, installato finora solo su RFX e sul piccolo RFP svedese EXTRAP T2R, è di rilevanza per i Tokamak, e sarà fondamentale anche per ITER: infatti, ITER avrà bisogno di un sistema di controllo attivo per garantire la stabilità magnetoidrodinamica del plasma sui tempi lunghi (quasi un'ora!) previsti per le scariche di ITER. Come anticipato, un fondamentale passo in avanti nella comprensione e nello sviluppo della configurazione RFP è stata la realizzazione in RFX-mod di un sistema di controllo attivo delle principali instabilità magnetoidrodinamiche, come parte del programma per ottenere un plasma meno turbolento. A questo scopo, RFX-mod è stato dotato di un apparato di 192 bobine a sella, disposte su 4 file poloidali, per un totale di 48 posizioni toroidali: questa configurazione, che copre totalmente la superficie esterna del toro, è giustamente considerato il sistema più avanzato al mondo di controllo attivo in un esperimento da fusione. Ogni bobina è alimentata e controllata in modo indipendente. Queste bobine non sono da confondersi con le bobine usate nel sistema magnetico, cioè quelle usate per creare la corrente di plasma e il campo magnetico toroidale di equilibrio: le bobine a sella (mostrate in Figura 1) sono usate per creare un campo magnetico radiale B r {\displaystyle B_{r}} , ortogonale sia al campo poloidale B θ {\displaystyle B_{\theta }} , sia a quello toroidale B ϕ {\displaystyle B_{\phi }} . L'idea principale del controllo attivo è che le instabilità, che tipicamente hanno la forma di un'elica che si avvolge all'interno del toro, producono un piccolo campo magnetico radiale B r {\displaystyle B_{r}} , che può essere misurato. La grandezza tipica delle instabilità è di qualche mT, quindi dal 4 al 10% del campo magnetico principale (cioè, il campo magnetico di equilibrio). Se varie eliche si sommano, come quando si bloccano in fase, questo campo magnetico può essere anche cospicuo: è come se ci fosse un "buco" nella camera d'aria di una bicicletta, che determina la fuoriuscita di aria. Ma se è possibile misurare un campo magnetico, è anche possibile agire dall'esterno, in modo da cancellare localmente il campo magnetico radiale dovuto alle eliche, mettendo quindi una "toppa" magnetica alla ciambella di plasma. Questo è più o meno quello che fanno le bobine attive. Per potere funzionare, il sistema di controllo attivo deve essere molto veloce: la velocità è principalmente determinata dalla scala di tempo dell'evoluzione delle instabilità magnetoidrodinamiche (molte "eliche"), che è dell'ordine del millesimo di secondo. Quindi, anche l'azione delle bobine attive in RFX-mod deve avvenire su ordini di tempo di qualche millesimo di secondo. Nel corso del decennio 2005-2015 sono stati provati diversi scenari sperimentali, allo scopo di ridurre quanto possibile le instabilità magnetoidrodinamiche del plasma. Un esempio è riportato nella Figura 2, e mostra l'effetto macroscopico che si può ottenere a partire da un controllo locale del campo magnetico esterno: la presenza contemporanea di molte instabilità magnetoidrodinamiche è una sorgente naturale di turbolenza e, in quanto le eliche manifestano una forte tendenza a collassare, "raggrumandosi" (blocco delle fasi) in corrispondenza a una posizione fissa, decisa da qualche disomogeneità del sistema di contenimento (camera da vuoto e sistema magnetico). Poiché le particelle cariche tendono a seguire, nel loro moto di Larmor le linee di campo magnetico, il "grumo" è una posizione preferenziale di perdita di particelle calde verso la parete, nonché sorgente di caos in buona parte del volume del plasma (pannelli (a) e (b) nella Figura 2). Il risultato pratico finale è un flusso di calore localizzato verso la parete, che può danneggiare o addirittura rompere le mattonelle di grafite che coprono la superficie interna della camera da vuoto (in questi casi, senza controllo attivo, si sono registrate temperature delle mattonelle di quasi 2000 °C, vedi Figura 3(c)). I plasmi di RFX già spontaneamente oscillano fra condizioni più deformate e caotiche (Figura 2 (a) e (b)) e condizioni più ordinate e dotate di simmetria elicoidale (Figura 2 (c) e (d)). È interessante sottolineare che fenomeni di auto-organizzazione sono tutt'altro che rari in natura: esempi si trovano in astrofisica per quanto riguarda la struttura dei campi magnetici intorno ai corpi celesti. In RFX, il raggiungimento dello stato spontaneamente ordinato si raggiunge tramite la crescita di una sola elica-instabilità, e per questo lo stato ordinato viene anche chiamato singola elicità. I principali vantaggi della singola elicità si possono riassumere come segue: riduzione del "grumo" sulla superficie del plasma (vedi Figura 2 (a)); riduzione dell'interazione con la parete: in Figura 3 è evidente che in singola elicità, pannello (a), l'interazione con la parete è minore che nel caso caotico, mostrato nel pannello (c); riduzione o completa eliminazione del caos nell'interno del plasma (vedi Figura 2 (b)); possibilità di riscaldare la regione interna del plasma, che assume una forma a "fagiolo" (vedi Figura 2 (d)); possibilità (per ora teorica) di aumentare la corrente del plasma, senza applicare una tensione aggiuntiva. Uno dei maggiori risultati del controllo attivo è stato appunto quello di riuscire a indurre in modo quasi continuo, per tutta la durata della scarica, gli stati a singola elicità che prima dell'applicazione del feedback si potevano ottenere solo sporadicamente, e in modo intermittente. La contemporanea riduzione dell'interazione con la parete del tipo della Figura 3 ha permesso di raggiungere le specifiche tecniche della massima corrente di 2 MA. Attualmente l'esperimento è in fase di "shutdown" (chiusura) per permettere le modifiche di RFX-mod2. I principali risultati ottenuti su RFX-mod nel decennio 2005-2015 si possono sintetizzare come segue: Il principale contributo, per cui RFX-mod si può giustamente definire unico al mondo, è il controllo attivo tramite la copertura completa delle 192 bobine a sella. In questo campo, RFX-mod ha contribuito a dare un significativo avanzamento nella comprensione degli aspetti tecnologici e di fisica del controllo attivo, che è stato condotto in collaborazione con laboratori stranieri (per esempio, ASDEX Upgrade e DIII-D); Il controllo attivo delle instabilità ha permesso di scoprire e di sostenere lo stato elicoidale del RFP, che avvicina questa configurazione allo stellarator; Ha contribuito allo studio della fisica del plasma a correnti elevate, 1.5-2 MA, per esempio per quanto riguarda il limite di Greenwald, che impone un valore massimo al rapporto densità/corrente del plasma; Ha contribuito alla comprensione della configurazione Tokamak in un ambito di parametri di plasma diverso, con parametro di sicurezza al bordo q a ≤ 2 {\displaystyle q_{a}\leq 2} , aggiungendo quindi dati importanti per il database di ITER; Ha avanzato la conoscenza della turbolenza del plasma di bordo, con strumenti di misura sofisticati. Allo scopo di migliorare ulteriormente il controllo delle instabilità del plasma, è stata avviata nel 2018 la modifica RFX-mod2 la quale prevede l'avvicinamento del plasma ai sistemi di controllo, tramite la rimozione della camera da vuoto. In questo modo la scocca stabilizzatrice di rame sarà direttamente affacciata al plasma, riducendo al minimo il campo magnetico radiale B r {\displaystyle B_{r}} e quindi massimizzando il confinamento del RFP. Nel contempo, il ruolo di tenuta del vuoto sarà svolto dalla struttura meccanica di supporto. Questa modifica consentirà anche l'aumento del volume del plasma. La modifica richiede un investimento di oltre 4 milioni di € in ricerca e sviluppo ed è co-finanziata dalla Regione Veneto nell'ambito del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) con il nome di progetto MIAIVO. Il progetto MIAIVO è terminato nel 2021. Attualmente le modifiche di RFX-mod2 rientrano in un ulteriore progetto nell'ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR): il nome del progetto è NEFERTARI (New Equipment for Fusion Experimental Research and Technological Advancements with Rfx Infrastructure). Fusione nucleare ITER DEMO Reattore nucleare a fusione Centrale nucleare Magnetoidrodinamica Fisica del plasma Auto-organizzazione Retroazione Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Reversed Field eXperiment Storia del Centro ricerche sulla Fusione dell'Università di Padova, su crf.unipd.it. Sito ufficiale del Consorzio RFX, su igi.cnr.it. Canale ufficiale di YouTube del Consorzio RFX, su youtube.com. Video di YouTube sul progetto MIAIVO, su youtube.com. (EN) Sito di EUROfusion, l'organismo dell'Unione Europea per la ricerca sulla fusione, su euro-fusion.org.

Palasport San Lazzaro
Palasport San Lazzaro

Il palasport San Lazzaro, conosciuto anche con il nome sponsorizzato di Kioene Arena (ex PalaBernhardsson, PalaNet e PalaFabris) è il più importante palazzetto dello sport della città di Padova e uno dei più importanti del Veneto. Oltre ad ospitare le partite casalinghe delle squadre padovane di pallavolo, pallacanestro e pallamano, ospita altre manifestazioni sportive come campionati di boxe, gare di scherma, kick boxing, tennis e altre discipline. La struttura ospita molto frequentemente anche importanti concerti musicali e convegni. La struttura fu costruita dal Comune di Padova e inaugurata il 24 febbraio 1980 con la partita tra Simod Petrarca e Fiat Torino valida per il Campionato di Serie B 1979-1980. Sostituì il piccolo palazzetto dello sport Arcella. L'inaugurazione era prevista per l'estate del 1977, ma vari problemi ne hanno rallentato la costruzione. All'inizio, aveva una capienza di 6000 posti a sedere. Il PalaFabris inizialmente fu chiamato semplicemente San Lazzaro, nome del rione in cui sorge situato nella periferia orientale della città, ed in seguito prese il nome Palanet. La Pallavolo Padova, ex Petrarca, ha disputato nell'impianto tutti i campionati a partire dal 1987; dal 1987 al 2009 ha militato in Serie A e negli anni successivi ha alternato stagioni nella massima serie ad altre in Serie A2. Il Petrarca Basket ha disputato all'odierno PalaFabris quattro stagioni in serie A2 negli anni novanta, per poi scendere nelle serie minori ed abbandonare in seguito l'impianto. Vi sarebbe tornato per la stagione 2004-2005 con il marchio Acqua & Sapone per disputare il campionato di B1, ma gli scarsi risultati ottenuti lo spinsero poi a lasciare nuovamente il PalaFabris, ed attualmente gioca in un impianto minore cittadino. Nel maggio 2009 sono iniziati i lavori di ristrutturazione che hanno modernizzato l'impianto e ne hanno ridotto la capienza agli attuali 3.845 posti a sedere, contro i 5.000 degli anni precedenti. Il 22 gennaio 2010 è avvenuta la cerimonia di inaugurazione del rinnovato palasport, a cui è seguito il concerto di Francesco Guccini.. Il 10 febbraio 2010 è stato annunciato il cambio del nome del palasport in PalaFabris, l'attuale denominazione intitolata ad un'azienda locale che da alcuni anni è entrata nella struttura societaria della Pallavolo Padova. Per il Campionato mondiale di pallavolo maschile 2010, l'impianto è stato scelto come sede per la preparazione della nazionale del Giappone. Nella stagione 2010-11, al PalaFabris ha giocato anche il Gattamelata Padova, che militava nella Serie B Dilettanti (quarto livello del campionato italiano di pallacanestro maschile).. Nella stagione successiva, la neonata Basket Padova 1931 ha preso il posto del Gattamelata Albignasego e ha giocato in questo impianto, finendo il campionato con la retrocessione. Nel 2012 il Padova 1931 non si è iscritto al campionato, ed il basket è scomparso nuovamente dal PalaFabris. Il 15 dicembre 2014, dopo più di due anni, torna ad ospitare una partita di pallacanestro. In tale occasione, la struttura è stata la sede del derby tra Virtus Padova e Petrarca. Il derby che non si disputava in un campionato nazionale da vent'anni è stato vinto dal Petrarca. Il 30 agosto 2015 è stato annunciato il nuovo nome sponsorizzato del palasport: Kioene Arena. Il 5 settembre il comune di Padova e la Pallavolo Padova, annunciano l'accordo, che permetterà alla Virtus Basket Padova di disputare le partite casalinghe in questo impianto. Il rinnovo portato a termine nel 2010 ha riqualificato l'impianto, che dispone ora di una tecnologia all'avanguardia. È dotato di servizi, magazzini, una palestrina e spogliatoi. Il terreno di gioco è completo delle linee che demarcano i campi di pallavolo, pallacanestro, calcio a 5 e pallamano. È inoltre predisposto per ospitare attività di ginnastica artistica. La capienza massima è di 3.845 posti a sedere. Sorge nel rione San Lazzaro del Quartiere 3 Est di Padova, a poche centinaia di metri dall'uscita di Padova Est dell'autostrada A4 e dall'uscita Padova San Lazzaro della tangenziale est, ed è quindi facilmente raggiungibile con gli automezzi. È collegato al centro cittadino dagli autobus dell'azienda comunale APS. Finale di Coppa Korać: 1 1981-1982 World League di pallavolo maschile - Prima fase: 1 2011 Elite round di Coppa UEFA: 2 2007-08, 2011-12 Final Eight di Coppa Italia: 3 2009-10, 2010-11, 2011-12 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su PalaFabris Palasport San Lazzaro, pallavolopadova.com Palasport San Lazzaro, padovanet.it

Camin (Padova)
Camin (Padova)

Camin è una frazione di Padova, nel Veneto, situata nel quartiere 3 Est di Padova. Prima della Seconda guerra mondiale, Camin era solo un'enorme campagna, che però già all'epoca si distingueva per lo smistamento di traffico visto che si trova a 2 km da Noventa Padovana, 7 km dal centro di Padova, 6 km dalla provincia di Venezia con Vigonovo, 4 km da Ponte San Nicolò e da Saonara. Nel 1947, dopo il conflitto bellico, il comune di Padova decise di insediare nelle campagne caminesi la zona industriale, che si era in parte già instaurata nel quartiere Nord, verso Limena. Camin, per via di questa ubicazione, soffre di notevoli problematiche ambientali legate a fabbriche inquinanti della zona industriale. La zona di Camin ha origini molto antiche: già in età preromana, 1000 anni prima di Cristo, sorgevano nell'area nuclei abitativi del popolo dei Paleoveneti, come dimostrato dal ritrovamento di importanti reperti di quella cultura. Nella zona spesso i contadini, scavando, hanno ritrovato resti di tombe e suppellettili e, poiché i romani seppellivano i loro morti lungo le strade, è stato possibile risalire al tracciato delle antiche strade romane. Un importante ritrovamento casuale è la stele di Camin, monumento funebre dove è rappresentato il dono che la donna porge per accompagnare il consorte nel viaggio dell'oltretomba. La stele è oggi conservata presso il Museo degli Eremitani, a Padova. L'antico ponte dei Graissi o dei Greci, sembra derivare dal passaggio del greco Cleonimo, mentre non è altro che il veneto graisso 'graticcio' (nel 1275 era chiamato "pons gradiciorum"), fu sempre fino all'ultima guerra, strategicamente importante per i collegamenti tra Venezia e Padova. Camin era ricco di boschi e paludi dove si esercitava la pesca; col passar del tempo le acque si ritirarono lasciando un terreno adatto all'agricoltura che divenne feudo dei “da Camino”, famiglia di origini longobarda della marca trevigiana. Camin e le altre contrade vicine furono possedimenti canonici di Padova che qui nel 1105 avevano un porto fluviale. La chiesa di Camin, dedicata a Santissimo Salvatore, esiste da prima del 1200. Villa Berta, originariamente abitazione di una ricca famiglia, ora è sede di uffici e sale riunione del consiglio di Quartiere 3 Est e di altri servizi comunali e dell'Usl 16. Chiamata originariamente “casa Pajola”, dopo la guerra ospitò un ospedale geriatrico, ricovero a lunga degenza per anziani e ammalati; successivamente ospitò la scuola media dalla sua istituzione fin al 1973 quando fu inaugurato l'attuale edificio della scuola media e Villa Berta ha assunto la sua destinazione attuale. La parrocchia di Camin è suddivisa in due realtà: quella strettamente di Camin - che fa riferimento alla Chiesa del SS. Salvatore - e quella di Granze di Camin dedicata a S. Clemente, a 3 km in linea d'aria verso Sud e confinante con la realtà di Ponte San Nicolò. A partire dagli anni '70 l'area parrocchiale ha subito importanti modificazioni urbanistiche: il "centro" di Camin odierno era un enorme parco con alberi, viali e un laghetto, che a seguito di cessioni territoriali a privati cittadini sono rientrati in una serie di interventi edilizi che hanno stravolto il territorio con palazzine e condimini. Del parco rimane solo Villa Bellini, recentemente restaurata, e accessibile per feste, pranzi e cene e numerose altre attività soprattutto di natura parrocchiale. Il centro parrocchiale di Camin si completa con il Centro Parrocchiale di via S. Salvatore, di fronte alla chiesa. Inaugurato nel settembre del 2016 con la presenza del vescovo di Padova Claudio Cipolla, l'opera di ammodernamento dell'ex impianto sportivo della Caminese Calcio è stata fortemente voluta dal parroco Ezio Sinigaglia. A contribuire finanziariamente per la realizzazione dell'opera sono concorsi anche il Comune di Padova, presente all'inaugurazione con la consigliera Mariella Mazzetto, e la Curia patavina. Grande rilievo nel contesto locale ha la tradizionale sagra paesana, che ha culmine l'ultima domenica di agosto di ogni anno. Dedicata alla Madonna della Cintura, ha come protagonisti i ragazzi che nel corso dell'anno raggiungono la maggiore età. La sagra si tiene nel complesso parrocchiale del paese, nel campo sportivo parrocchiale, e richiama ogni anno circa 10.000 persone nell'arco di sei serate di festa. La sagra è organizzata e tenuta da quasi 300 volontari, la maggior parte parrocchiani. Negli ultimi anni sono state introdotte un Mercatino dell'Usato e mostre di quadri e opere d'arte di artisti locali. Lungo le due direttrici principali del paese, quella Nord-Sud da Noventa Padovana a Ponte San Nicolò, quella Est-Ovest tra Padova Centro e Saonara, nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad una radicale trasformazione delle attività commerciali e della demografia caminese. Via Vigonovese ha conosciuto un'intensificazione del transito veicolare, divenendo assai trafficata e problematica dal punto di vista ambientale e di vivibilità. Dagli anni Duemila, i nuovi inquilini lungo via Vigonovese sono soprattutto di origine asiatica ed africana, come si può appurare dalla tipologia di attività commerciali più recenti che hanno aperto nel corso degli ultimi anni. Nel 2016, durante l'amministrazione Bitonci, prende avvio l'iter per la costruzione di un'arcostruttura a Camin che ampli e potenzi lo sport in quartiere: sorge così nel giro di pochi anni, negli spazi adiacenti alla Caminese Calcio. Con il succedersi dei mesi e il cambiamento dell'amministrazione, però, soggiungono problematiche burocratiche che, malgrado l'inaugurazione ufficiale della struttura nel 2019, vedono i tempi di assegnazione della struttura alle società che ne richiedono l'utilizzo allungarsi. Nel novembre del 2018 ha avuto luogo un'iniziativa volta ai giovani di "Fraternità", organizzata in contesto parrocchiale, di convivenza di circa una quindicina di giovani delle scuole superiori, residenti in paese, che per qualche giorno ha convissuto in Villa Bellini e organizzato la propria routine quotidiana "alloggiando" però nei medesimi ambienti. Dopo circa 15 anni di chiusura, nell'agosto del 2019 riprende l'iniziativa della Biblioteca di Camin, grazie ad un gruppo di volontari.

Chiesa di Ognissanti (Padova)
Chiesa di Ognissanti (Padova)

La chiesa di Ognissanti è un edificio religioso di origine altomedievale che si erge in contrà Ognissanti, ora via Ognissanti, a Padova. La chiesa, nata nei pressi di uno xenodochio, sino alle soppressioni napoleoniche era parte di un complesso monastico benedettino. Ai restauri dell'edificio nel XVI secolo lavorò Vincenzo Scamozzi. Sorta secondo alcuni già nel IV secolo, la chiesa di Ognissanti nacque come dipendenza di uno xenodochio posto ad accoglienza delle genti che transitavano sulla strada che collegava Patavium ed Altinum, in un'area abitata in età paleoveneta, che età romana divenne luogo funerario. Il primo documento a citarla, un atto di donazione che Gualmanno de' Sorella muove alla chiesa Omnium Sanctorum, reca la data 9 marzo 1147. Nel maggio 1177 papa Alessandro III pose sotto sua diretta protezione chiesa e ospitium, lo xenodochio. Tra i benefattori della chiesa nel XII secolo figurava pure Speronella Dalesmanini. La chiesa era officiata dai monaci benedettini che nei pressi possedevano un cenobio. Nel XIII secolo la chiesa è parrocchiale. Il monastero benedettino per un periodo "doppio" (maschile e femminile) e poi priorato, crebbe d'importanza e le sue strutture inglobarono definitivamente la chiesa divenuta prepositurale, affidata definitivamente alla comunità conobitica dal vescovo Giovanni Battista Forzatè nel 1256. Nelle visite pastorali del cinquecento la chiesa e il cenobio furono trovati fatiscenti, e pure a rischio di crollo tant'è che i monaci abbandonarono il priorato. Nel 1589 il cardinale Federico Corner promosse dei lavori di restauro e il complesso accolse le monache benedettine di Polverara. Il cardinale affidò i lavori a Vincenzo Scamozzi che già lavorava in città per i teatini di San Gaetano. I lavori che procedettero a singhiozzo, e si concentrarono nella chiesa solo dal 1657 al 1666 secondo il volere della badessa Ludovica da Vico che affidò la direzione al proto Zuane Zenso. Nel 1671 il cardinale Gregorio Barbarigo la trovava completata con cinque altari; su uno erano ospitati i corpi di san Paolino martire e santa Valeria martire. Della chiesa antica a croce latina si conservò solo la parte terminale, verso il presbiterio ed il campanile. Il prevosto della chiesa di Ognissanti, Nicolò Macchiono, sempre nel XVII secolo, ricordava che la chiesa non necessitava di spazi cimiteriali esterni, perché dotata di depositi interni. Nel 1738 il proto Bernardo Squarcina ampliò l'edificio verso la facciata. Con le leggi ecclesiastiche napoleoniche la chiesa prepositurale assorbì le parrocchie di San Massimo, Santa Maria Iconia mentre il monastero fu abbandonato sino al 1818 quando Maria Serafina Rossi lo acquistò per aprirvi un collegio femminile. Divenne poi sede delle Dame del Sacro Cuore. Nel 1852 vi si installò l'istituto degli esposti (da San Giovanni di Verdara) che installò la ruota degli esposti, verso il sagrato. Nella chiesa furono portate le salme del beato Pellegrino e del beato Ongarello (dalla chiesa del Beato Pellegrino) ma questo non accese il fervore religioso dei nuovi parrocchiani, che non partecipavano alle funzioni per la posizione decentrata del tempio per cui, il prevosto don Antonio Troilo, favorì alla costruzione di una nuova chiesa sul luogo di Santa Maria Iconia, chiesa che venne inaugurata nel 1864. La chiesa di Ognissanti fu chiusa al culto e molte opere d'arte che vi si conservavano furono portate alla chiesa dell'Immacolata. La chiesa fu riaperta con il titolo di parrocchiale il 5 luglio 1941 grazie all'intervento di don Luigi Bonin. Oggi la chiesa di Ognissanti è attualmente parrocchia appartenente al Vicariato della Cattedrale ed officiata dal clero secolare della diocesi di Padova. Nella chiesa si riuniva la fraglia dei barcaroli del Portello, che possedevano un altare e veneravano la statua quattrocentesca della Vergine ora alla chiesa dell'Immacolata. Nella chiesa trovano sepoltura le monache, i prevosti, alcuni patrizi veneti e dottori dell'università. La chiesa è orientata ponente-levante (abside rivolto a levante) e si innalza a conclusione della via Ognissanti. La bretella che ora l'affianca è frutto di interventi otto e novecenteschi. Il lato a sud si accosta a quelle che erano le strutture monastiche. La parte più antica è quella absidale, di forma quadrangolare e affiancata all'alto campanile romanico. Eretta su pietra e cotto, mossa da archetti e aperture dei secoli X e XI, per alcuni è il risultato di adattamento di un fortilizio tardoantico. Il finestrone termale è frutto di un intervento cinquecentesco. Il resto della struttura, è il compimento di adattamenti e ingrandimenti della navata medievale, in gran parte demolita per allargare l'aula. La fiancata a settentrione è sostenuta da tre imponenti contrafforti e aperta da tre finestre alla palladiana. Un'altra finestra alla palladiana si apre sulla facciata incompiuta, aperta da tre portali di cui quello centrale, maggiore, è seicentesco e alleggerito da un frontone spezzato. Tutte le intonacature risalgono agli anni '40 del novecento. Accanto alla chiesa, posta all'interno di quello che in origine era un portale di accesso al monastero, è visibile il meccanismo della ruota degli esposti, utilizzata sino alle legislazioni fasciste. La luminosa aula, recentemente restaurata, converge al grande altare maggiore di gusto manierista-barocco seguito nel 1676 da Francesco Fasolato su cui era posta la pala decantatissima di Bonifacio de' Pitati Maria Vergine Assunta in cielo alle presenza degli appostoli poi sostituita da una Pentecoste in fresco strappato, forse cinquecentesco. Sulle nicchie statue lignee raffiguranti santa Scolastica e san Benedetto. Il paliotto d'altare è decorato da marmi bianchi e neri. Preziosi anche i lignei stalli del coro. Dopo le recenti fasi di recupero sono state portati alla luce i brani della muratura medievale e sul presbiterio, il resto di una scala voltata del X-XI secolo che un tempo si apriva sulla muratura, e pure una feritoia. Affiancano il presbiterio due altari laterali cinquecenteschi, rivolti a levante: su quello di destra è posta una splendida tela (1730) di Francesco Migliori raffigurante il Paradiso. sull'altare a sinistra Crocifissione di ignoto settecentesco. Sulle pareti laterali in prossimità degli altari, i resti del transetto medievale con l'interessante trifora romanica riaffiorata durante i restauri che hanno pure portato alla luce, in una nicchia, il volto di un Cristo Pantocratore del X-XI secolo. Sull'altare laterale cinquecentesco, a sinistra, è posto l'affresco miracoloso che come ricorda il Rossetti «era nell'angolo, o cantonata della fabbrica di questo Ospitale [la Ca' di Dio], sopra la strada pubblica, per la quale si va a Santa Caterina, di dove fu trasportata sul [...] altare [della Chiesa della Ca' di Dio] nell'anno 1595; essa è di Stefano dall'Arzere». Dopo la demolizione della Chiesa della Ca' di Dio fu trasportato a san Giovanni di Verdara nel 1784 e definitivamente posto ad Ongissanti nel 1868 e collocato sulla nicchia già occupata forse, dalla statua della Madonna dei Barcaroli. Dirimpetto, altare seicentesco su cui è posta la pala di Giovanni Carboncini (1681) Visitazione di Maria. Lungo le pareti, piccolo lapidario con resti di iscrizioni e cippi di età romana. Sul pavimento, alcuni numeri alla romana segnalano le sepolture seicentesche le cui lapidi furono levate nel restauro del 1837. Nella chiesa si conserva il prezioso organo proveniente (dopo il 1810) dalla demolita chiesa di Santa Giuliana. Sarebbe dunque l'opera n. 233 di Gaetano Callido, databile 1785, sebbene non si rinvengano segnature o firme, cosa inusuale per il Callido. Lo strumento, già pesantemente manomesso dalla ditta "La Fonica" negli anni '50 del novecento (estensione della tastiera, pedaliera diritta, inserimento di Viola, Voce Celeste e trasposizione del Flauto in XII a Flauto in Ottava, azionamento pneumatico dei registri con pedale del Crescendo, eliminazione di uno dei due mantici), è stato restaurato in maniera filologica da Alfredo Piccinelli nel 1996 e inaugurato il 6 maggio 1998 da Gustav Leonhardt. Lo strumento, posto sul grande barco monastico in controfacciata, luogo un tempo riservato alle monache - che vi accedevano da un'apposita porta direttamente dal monastero -, è collocato in cassa lignea barocca, probabilmente coeva, pur se non ci sono dati. La facciata é composta da 21 canne in stagno appartenenti al registro di Principale, bocche allineate e labbro superiore a mitria, canna maggiore: Do2. La consolle a finestra ospita il manuale (riportato all'originale durante l'ultimo restauro) di 45 tasti, con prima ottava scavezza, e la pedaliera a leggio, ricostruita, di 18 tasti (Do1-Sol#2 + tamburo). I registi, posti a destra della tastiera, sono azionati da tiranti "alla veneta" con Tiraripieno a manovella. La ventilazione, garantita da due mantici a cuneo posti all'interno della cassa, è azionabile sia manualmente (tramite corde) che con elettroventilatore, con valvole di non ritorno rilasciabili tramite apposite cordicelle, raggiungibili rimuovendo il pannello del leggio. Principale bassi e soprani Ottava Decimaquinta Decimanona Vigesimaseconda Voce Umana Flauto in XII Cornetta Bassi Divisione bassi/soprani: Do#3-Re3 Il registro Bassi (pedale) é composo da 12 canne in castagno, di 8 piedi, di fattura più antica Il Tamburo (La2 della pedaliera) è ottenuto con le note Fa#-Sol#-Sib (registro Bassi) Voce Umana e Cornetta: soprani Prime 8 canne del Flauto in XII tappate Il Principale ha le prime 2 canne in legno, poste ai lati del somiere, dietro le lesene Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova 1780 Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori Maria Cristina Forato, La chiesa di Ognissanti in Padova AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Vincenzo Scamozzi Gaetano Callido Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Ognissanti