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Ponte San Nicolò

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Ponte San Nicolò Gonfalone
Ponte San Nicolò Gonfalone

Ponte San Nicolò (abbrev. Ponte in veneto) è un comune italiano di 13 354 abitanti della provincia di Padova in Veneto. Il paese sorge sul confine sud-est del comune di Padova. Si sviluppa attorno alla Strada statale 516 Piovese ed è attraversato dal canale Roncajette, un tratto del fiume Bacchiglione. Negli ultimi decenni è stato oggetto di una sensibile crescita demografica, limitata però rispetto ai piani urbanistici degli anni '80, in quanto la popolazione è sempre rimasta al di sotto dei 15.000 abitanti. Le notizie storiche sul paese, probabilmente già abitato al tempo dei Romani, si datano attorno all'anno mille. Nel 918 è menzionato il borgo di Roncajette, chiamata all'epoca Roncaliutari, ovvero luogo di rovi da estirpare con la roncola. In quel periodo nella zona lungo la riva destra del fiume Retrone (antico nome del fiume Roncajette) sorgeva una vasta selva chiamata "Ponteglese", mentre nel 1130 si nomina l'esistenza della cappella di San Fidenzio di Roncajette. Qui, tra l'attuale frazione e il capoluogo, sorgevano mulini natanti e un porto fluviale dove attraccavano barche cariche di sale, lino e vasellame in terracotta. Nel 1130 fu edificata una prima cappella dedicata a San Nicolò, protettore dei naviganti, situata sull'altra sponda del fiume dove sorge oggi la chiesa omonima. L'insediamento abitativo era collegato da un ponte in legno di rovere, che venne riedificato in pietra a tre arcate (oggi ricordate nello stemma comunale) nel 1228. Il "comune et homines Pontis Sancti Nicolai", alle dipendenze dei canonici della cattedrale di Padova, è ricordato in scritti del 1277. Presso il ponte di pietra si accamparono le armate di Cangrande della Scala (1317-1318), impegnate nell'assedio di Padova. Il ponte fu percorso da migliaia di profughi in fuga dal capoluogo durante le incursioni della Serenissima (1372-1373); venne inoltre distrutto durante l'assedio dell'imperatore Massimiliano d'Asburgo (1509). Il paese fu colpito nel corso dei secoli da numerose inondazioni, dovute anche dalla presenza dei mulini; in particolare si ricordano quelle del 1882, del 1907, del 1966 e del 2010. Dopo la piena del 1907 il ponte in pietra fu abbattuto e, al suo posto, venne inaugurato nel 1913 l'attuale ponte in metallo. Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 14 marzo 1955. Il gonfalone in uso al comune è un drappo di rosso con la fascia di giallo, in conformità con la descrizione presente nel decreto di concessione anche se nel bozzetto che lo accompagna appare dipinto interamente di rosso. La chiesa di San Nicola, fu edificata nel 1898, in stile gotico-lombardo; il campanile fu costruito tra il 1946 e il 1950. L'antica chiesa parrocchiale di San Nicolò, intitolata alla Vergine e poi al Santissimo Crocifisso. Costruita come semplice cappella nel 1291 sulla riva destra del fiume (oggi, dopo la rettifica del canale, si trova sulla riva sinistra), venne affidata in giuspatronato alla nobile famiglia padovana dei Capodivacca e, dal 1579, ai conti di Collalto. Nel corso del XVII secolo, la chiesa venne ampliata con la costruzione di un transetto e di una nuova sagresita. Nel 1753, fece visita alla chiesa ed al paese il cardinale Carlo Rezzonico, all'ora vescovo di Padova, futuro papa Clemente XIII. Nel 1949, l'ampiamento seicentesco venne demolito e il materiale ricavato verrà utilizzato per la costruzione del campanile della nuova parrocchiale. Ad oggi la chiesa versa in pessime condizioni, con il soffitto pericolante. In paese è però nato l'interesse per il monumento che ha portato alla creazione del gruppo Amici della chiesetta. La chiesa parrocchiale di San Fidenzio di Roncajette. Situata nella frazione omonima, viene menzionata per la prima volta in un documento del 1130. Essa ha configurazione settecentesca. Vi si trova un interessante polittico del XIV sec. con Madonna e Santi in dieci comparti, distribuiti su due registri, di un pittore conosciuto come Maestro di Roncaiette. La chiesa parrocchiale di San Basilio di Roncaglia, menzionata in un documento del 1171. La chiesa di Sant'Antonio abate e San Carlo Borromeo, parrocchiale di Rio. La villa dei conti Da Rio, a Roncajette. Costruita dalla nobile famiglia, originaria della frazione omonima, è un'elegante villa seicentesca, probabilmente costruita su un preesistente edificio. Ad essa è annessa una piccola cappella tuttora consacrata. La storia della famiglia è molto legata a quella del comune tanto che è probabile che le due stelle a sei punte e il giglio presenti nello stemma comunale, siano un riferimento allo stemma nobiliare della famiglia. Casa Nardo, nel capoluogo, è risalente al cinquecento, rendendola l'edificio civile più antico del Comune. Recentemente restaurata, si trova vicino all'antica parrocchiale. Ex edificio del Magistrato delle acque, oggi sede della sezione comunale della Protezione civile. Sorge sulla riva sinistra del canale, a poca distanza dal ponte. Villa Crescente, a Roncaglia. Fu costruita da Cesare Crescente, sindaco di Ponte San Nicolò e, successivamente, di Padova. La struttura, molto particolare, la rende simile ad un castello con tanto di finta torretta. Dopo un periodo d'abbandono, nella villa sono cominciati i lavori di restauro che la porteranno ad essere la nuova sede della biblioteca comunale. L'ex laboratorio analisi delle sementi, oggi edificio privato, rappresenta l'unica testimonianza dell'epoca fascista nel comune assieme all'ex Casa del Fascio, oggi edificio abbandonato. Costruito negli anni trenta, si presenta come un imponente edificio sulla strada statale. All'esterno decorato con mattoni rossi a vista, la facciata è arricchita da una scalinata che porta a tre maestosi ingressi, separati da due alte colonne decorate con rilievi rappresentanti scene bucoliche. Esso sorge a poca distanza dalla sede della protezione civile e dal Municipio cittadino. L'ampliamento del Cimitero di Roncaglia-Rio, progettato dall'arch. Claudio Aldegheri - Studio Aldegheri Xquadra e realizzato nel 2003, è stato inserito nel Censimento delle architetture italiane contemporanee del Ministero della Cultura. Le sette statue in acciaio all'ingresso del cimitero, chiamate Guardiani della Dormiente, sono opera dello scultore Antonio Ievolella. Abitanti censiti Dati aggiornati mensilmente: http://www.comune.pontesannicolo.pd.it/quantisiamo.asp Il comune di Ponte San Nicolò si divide in quattro frazioni: il Capoluogo di Ponte San Nicolò, Rio, Roncaglia, Roncajette. Sono invece cinque le parrocchie: Ponte San Nicolò capoluogo, Roncaglia, Rio, Roncajette e San Leopoldo. Proprio San Leopoldo, quartiere nato negli anni ottanta, è considerata ormai, seppur in maniera informale, una frazione a tutti gli effetti. Ponte San Nicolò è collegato al capoluogo della provincia (Padova) tramite le linee urbane 14 e 16 di Busitalia Veneto. Dal 1890 al 1954 il paese fu attraversato dalla Tranvia Padova-Piove di Sacco, nei primi anni a vapore e poi elettrificata nel 1913. Ponte San Nicolò è stata governata per tutta la prima repubblica da sindaci appartenenti alla Democrazia Cristiana. Nel novembre 1991 Mariano Schiavon, sindaco dal 1980, dopo la fuoriuscita dell'ala destra del partito dalla maggioranza, ha fatto entrare nella sua compagine anche i rappresentanti del Partito Comunista Italiano e del Partito Socialista. La coalizione di centrosinistra, rinominata Ponte San Nicolò Democratico, ha governato il Comune per 23 anni. Nel 1995 l'elezione del sindaco Gaetano Calore, riconfermato nel 1999. Nel 2004 quella dell'ex-assessore Giovanni Gasparin e nel 2009 di Enrico Rinuncini. Nel 2014 il sindaco Enrico Rinuncini ha creato la lista civica "Ponte San Nicolò comunità viva", che si è imposta alle elezioni amministrative del 25 maggio 2014 con il 68% dei voti. Nel 2019 la lista "Ponte San Nicolò comunità viva" si impone nuovamente con il 45,99%, con l'elezione del sindaco Martino Schiavon. Crest Dobra Alcuni sportivi di Ponte San Nicolò hanno ottenuto importanti risultati in campo italiano e internazionale. Spiccano in particolare i successi olimpici del canottiere Rossano Galtarossa, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Sydney 2000, medaglia d'argento alle Olimpiadi di Pechino 2008, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Barcellona 1992 e alle Olimpiadi di Atene 2004 e quarto classificato alle Olimpiadi di Atlanta 1996, e dell'arciere Marco Galiazzo, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Atene 2004 e alle Olimpiadi di Londra 2012, medaglia d'argento alle Olimpiadi di Pechino 2008. Originari del paese sono anche il nazionale di rugby Carlo Salmaso, il pilota di rally Roberto Bauce e gli arbitri Mariano Schiavon, ex assistente di calcio in Serie A, e Paolo Scarso, arbitro di pugilato nazionale F.P.I. 1973, internazionale E.B.U. 1992 e primo arbitro del Triveneto a raggiungere il livello mondiale W.B.C 2002, Medaglia d'oro al valore sportivo C.O.N.I. nel 2003. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ponte San Nicolò Sito ufficiale, su comune.pontesannicolo.pd.it. Pónte San Nicolò, su sapere.it, De Agostini.

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Ponte San Nicolò Gonfalone
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Rio (Ponte San Nicolò)
Rio (Ponte San Nicolò)

Rio oppure Rio di Ponte San Nicolò è una frazione del comune di Ponte San Nicolò, in provincia di Padova. Insieme a Roncaglia e Roncajette è una delle suddivisioni o frazioni di Ponte San Nicolò. Rio si è costituita all'inizio del Duecento con il nome di Rivus, cioè ruscello o canale, perché, appunto, attraversato da un corso d'acqua. Secondo uno statuto del comune di Padova del 1272, il nome era già divenuto Rio. Alla fine del Cinquecento, gli abitanti di Rio superavano di poco il centinaio; nel Novecento giunsero al migliaio. In questa frazione era presente, nel corso del Trecento, la famiglia Da Rio che riuscì ad incidere sulle vicende politiche della città di Padova. I "da Rio" furono professionisti, commercianti, banchieri e notai. Nella vicina frazione di Roncajette la Villa "da Rio", ne richiama ancora la memoria. La famiglia era di origine veneziana esistente fino al secondo dopoguerra quando poi si è estinta. A Padova, in Via Dante, è tuttora esistente Palazzo Da Rio. La chiesa originale di Rio dedicata a Sant'Antonio Abate viene citata in un testamento del 1267. Nel 1455 risulta unita a quella della vicina Voltabarozzo, secondo quanto indicato dalla descrizione di una visita pastorale. Fino al 1574 il responsabile di entrambe le chiese era titolare principalmente della chiesa di Rio, quando Voltabarozzo divenne parrocchia autonoma. Successivamente le sorti si invertirono e fu la chiesa di Rio a passare sotto quella di Voltabarozzo, ma con un curato proprio, scelto dal parroco di Voltabarozzo, al quale il vescovo di Padova Gregorio Barbarigo assicurò maggiore autonomia con un decreto del 1687. Nei primi anni del novecento la popolazione aumentò e così il vescovo Elia Dalla Costa decise così di restituirgli la sua antica autonomia erigendola nel 1930 a curazia autonoma. Il 7 ottobre 1945, il vescovo Carlo Agostini la elevò a parrocchia e nello stesso giorno benedisse la prima pietra della nuova chiesa inaugurata poi nel 1949 mentre quella antica fu definitivamente abbandonata. I fedeli, per riconoscenza ad Agostini, intitolarono la parrocchia anche a San Carlo Borromeo. Commissionato dall'amministrazione comunale di Ponte San Nicolò e inaugurato sabato 31 gennaio 2004, il progetto di ampliamento e risistemazione dell'area cimiteriale di Roncaglia - Rio è caratterizzato anche da un complesso statuario definito I Guardiani della Dormiente. Le statue e il progetto sono opera dell'artista Antonio Ievolella e dell'architetto Claudio Aldegheri. I sette Guardiani della Dormiente sono posizionati sulla piazza antistante al cimitero; sono raffigurati come dei totem con scudi e lance e con i loro otto e più metri di altezza, si elevano sopra la stessa cinta muraria, lunga 40 metri e alta oltre 6 metri in acciaio Corten. In una fascia orizzontale nella cinta muraria sono posizionate delle urne bianche decoramentali. Dall’anno 2015 è presente la linea 16 di Busitalia Veneto che collega Rio al centro di Padova. per raggiungere il centro città da Rio ci si può servire del 16 FERROVIA, che attraversa varie zone di Padova per poi concludere la corsa in Ferrovia passando per le Riviere. Ovviamente l’autobus che fa il giro inverso è il 16 RIO, che partendo dalla ferrovia tornerà al paesino di Rio. Fino a poco tempo fa il capolinea era situato davanti alla chiesa, ma ora è stato spostato di pochi metri più avanti. Nella frazione di Rio sono presenti diverse associazioni sportive: Polisportiva Rio, con relativo campo da calcio. Rio Volley, squadra di pallavolo locale che si suddivide in diverse categorie. A.S.D. Arcieri Rio è un'associazione sportiva di tiro con l'arco legata alla FITARCO. La palestra è situata presso l'impianto sportivo della Polisportiva Rio ed è un'arcostruttura messa a disposizione dalla Polisportiva per tutto il periodo invernale. Marco Galiazzo, tra i più rilevanti atleti del panorama del tiro con l'arco italiano ed internazionale, è stato uno degli allievi dell' A.S.D. Arcieri Rio. Le associazioni organizzano nel mese di luglio la Festa dello Sport, uno dei più importanti eventi legati allo sport del comune di Ponte San Nicolò. Ponte San Nicolò Provincia di Padova http://www.comune.pontesannicolo.pd.it/home.asp http://www.riovolley.net/ https://web.archive.org/web/20130917043212/http://www.arcieririo.it/ Sul sito del comune di Ponte San Nicolò è possibile consultare un albo foto su Rio e dintorni. http://www.comune.pontesannicolo.pd.it/galleria.asp?tipo=252

Reversed Field eXperiment
Reversed Field eXperiment

Reversed Field eXperiment (RFX) è il più grande esperimento al mondo per lo studio del confinamento dei plasmi da fusione nucleare controllata in configurazione reversed field pinch (RFP). L'esperimento, situato a Padova nei laboratori del Consorzio RFX presso l'Area di Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ha raggiunto la corrente di plasma più alta in assoluto, 2 MA (due milioni di ampere) ed è dotato di uno dei più avanzati sistemi di controllo della stabilità del plasma mai realizzati per un esperimento di fusione termonucleare controllata a confinamento magnetico. Le ricerche sui gas ionizzati o plasmi iniziarono a Padova a cavallo tra gli anni 1958 e 1959, in seguito all'interesse suscitato dalla conferenza di Ginevra "Atomi per la pace", presso l'Istituto di Elettrotecnica della Facoltà di Ingegneria (allora diretto dal prof. Giovanni Someda), con il sostegno e la collaborazione dell'Istituto di Fisica (allora diretto dal professor Antonio Rostagni). Si formò così il "Gruppo di Padova per ricerche sulla fusione", di cui furono fondatori i professori Giorgio Rostagni (figlio di Antonio) e Gaetano Malesani. I primi esperimenti riguardavano scariche elettriche in tubi rettilinei, in gas a bassa pressione, prodotte fra due elettrodi posti alle estremità del tubo (una evoluzione dei tubi di Crookes). Su tali scariche si effettuarono le prime osservazioni e misure, come la misura del rapporto E / p {\displaystyle E/p} (campo elettrico diviso per la pressione) necessario per ionizzare un plasma di idrogeno. Tra i primi studi vi erano anche dei prototipi di sorgenti di ioni a filamento, sempre realizzati su dispositivi rettilinei con catodo caldo e anodo raffreddato ad acqua. Gli studi con macchine toroidali (cioè, a forma di ciambella) vennero invece avviati nei primi anni '70 nel quadro del primo contratto di associazione fra EURATOM e CNR, che si formalizzò nell'istituzione del Centro di Studi sui Gas Ionizzati (1971), diretto da Gaetano Malesani. Il Centro divenne in seguito Istituto Gas Ionizzati (IGI) nel 1983. Al gruppo di Padova venne così affidato il progetto ETA-BETA I, attivo dal 1974 al 1978, e dedicato a una configurazione alternativa al Tokamak, nota come reversed field pinch (RFP). Al progetto venne riconosciuto il livello prioritario nell'ambito del programma europeo sulla fusione, il che comportava un finanziamento al 45% da parte della Comunità europea. Ma fu l'esperimento ETA-BETA II (1979-1989, ora trasferito al Museo della Tecnica Elettrica di Pavia) a ottenere in modo stazionario la configurazione RFP, riproducendo la cosiddetta "fase quiescente" che venti anni prima era stata osservata nella macchina inglese ZETA. Questo risultato rese interessante la configurazione RFP nell'ambito della ricerca sulla fusione, dando l'impulso per la realizzazione di altre macchine simili e di dimensioni maggiori, fra cui il Madison Symmetric Torus (MST) a Madison (Wisconsin). Si consolidò quindi la convinzione che una significativa indagine sulle prospettive del RFP come reattore a fusione dovesse svolgersi con esperimenti in una macchina molto più grande e a livelli di corrente di plasma maggiori di quelli ottenuti su ETA-BETA I ed ETA-BETA II. Il progetto RFX venne quindi inizialmente proposto a Culham, nell'Oxfordshire (lo stesso sito del Joint European Torus - JET), e affidato al gruppo di Padova, ormai diventato Istituto Gas Ionizzati (IGI) del CNR, nel 1984, a seguito di un taglio di finanziamenti dell'allora governo di Margaret Thatcher. Dopo una fase costruttiva terminata nel 1991, il primo plasma in RFX è stato ottenuto il 21 novembre 1991. I primi plasmi di tipo RFP sono stati ottenuti nell'estate 1992. A seguito dell'aumento dell'impegno finanziario e organizzativo relativo alla gestione di RFX, nel 1996 fu costituito un ente di natura privata, noto come Consorzio RFX, in cui i primi soci furono l'ENEA, il CNR, l'Università di Padova e le Acciaierie venete S.p.A.. La realtà del Consorzio RFX dal 2006 non riguarda solo la gestione e lo sviluppo della macchina RFX, ma anche la realizzazione, in collaborazione con alcuni altri laboratori europei e giapponesi, di un iniettore di particelle neutre per il riscaldamento del plasma di ITER, il proto-reattore sperimentale in costruzione a Cadarache, nel sud della Francia. A seguito di questo nuovo progetto, nel Consorzio è confluito come socio anche l'Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN). RFX è stata costruita fra il 1985 e il 1991, e poi è stata modificata fra il 1999 e il 2004, e dal 2015 vive una fase di seconde modifiche, all'interno del progetto MIAIVO. RFX è la prima macchina di grandi dimensioni, di tipo RFP, che raggiunge correnti di plasma di 2 MA e le sostiene per circa mezzo secondo. La tabella che segue mette in evidenza le principali caratteristiche tecniche: La tabella mostra le principali componenti di RFX, che sono: il sistema di contenimento del plasma, cioè la cosiddetta "camera da vuoto", che contiene materialmente il gas che poi viene ionizzato: la camera da vuoto è costantemente pompata da un sistema di pompe da vuoto che garantiscono un livello di alto vuoto; la prima parete, cioè la superficie interna della camera da vuoto immediatamente a contatto con il plasma: essa è interamente ricoperta da un sistema di 2016 mattonelle in grafite, che resistono a temperature fino a 3000 °C; la scocca, che è una "guaina" in rame che avvolge quasi completamente la superficie esterna della camera da vuoto: la scocca, grazie alla buona conducibilità elettrica del rame, garantisce la stabilità magnetoidrodinamica del plasma per tempi dell'ordine di 50 ms; il sistema magnetico, cioè le bobine che servono rispettivamente per indurre la corrente di plasma e produrre il campo magnetico toroidale (con lo stesso principio del Tokamak). La principale caratteristica di RFX, che lo distingue nettamente dai Tokamak, è la possibilità di indurre nell'anello di plasma una corrente estremamente elevata, fino a 2 MA; questo, combinato con una tensione applicata sul giro toroidale di 20 Volt, determina una impressionante potenza dissipata di 2 × 20 = 40 {\displaystyle 2\times 20=40} megawatt: non c'è bisogno quindi di nessun altro sistema di riscaldamento, come invece è tipico del Tokamak. Nel periodo 2001-2004, RFX è stato modificato (RFX-mod) per introdurre il sistema di controllo attivo (feedback) sui tempi superiori ai 50 ms caratteristici della scocca. Questo sistema, installato finora solo su RFX e sul piccolo RFP svedese EXTRAP T2R, è di rilevanza per i Tokamak, e sarà fondamentale anche per ITER: infatti, ITER avrà bisogno di un sistema di controllo attivo per garantire la stabilità magnetoidrodinamica del plasma sui tempi lunghi (quasi un'ora!) previsti per le scariche di ITER. Come anticipato, un fondamentale passo in avanti nella comprensione e nello sviluppo della configurazione RFP è stata la realizzazione in RFX-mod di un sistema di controllo attivo delle principali instabilità magnetoidrodinamiche, come parte del programma per ottenere un plasma meno turbolento. A questo scopo, RFX-mod è stato dotato di un apparato di 192 bobine a sella, disposte su 4 file poloidali, per un totale di 48 posizioni toroidali: questa configurazione, che copre totalmente la superficie esterna del toro, è giustamente considerato il sistema più avanzato al mondo di controllo attivo in un esperimento da fusione. Ogni bobina è alimentata e controllata in modo indipendente. Queste bobine non sono da confondersi con le bobine usate nel sistema magnetico, cioè quelle usate per creare la corrente di plasma e il campo magnetico toroidale di equilibrio: le bobine a sella (mostrate in Figura 1) sono usate per creare un campo magnetico radiale B r {\displaystyle B_{r}} , ortogonale sia al campo poloidale B θ {\displaystyle B_{\theta }} , sia a quello toroidale B ϕ {\displaystyle B_{\phi }} . L'idea principale del controllo attivo è che le instabilità, che tipicamente hanno la forma di un'elica che si avvolge all'interno del toro, producono un piccolo campo magnetico radiale B r {\displaystyle B_{r}} , che può essere misurato. La grandezza tipica delle instabilità è di qualche mT, quindi dal 4 al 10% del campo magnetico principale (cioè, il campo magnetico di equilibrio). Se varie eliche si sommano, come quando si bloccano in fase, questo campo magnetico può essere anche cospicuo: è come se ci fosse un "buco" nella camera d'aria di una bicicletta, che determina la fuoriuscita di aria. Ma se è possibile misurare un campo magnetico, è anche possibile agire dall'esterno, in modo da cancellare localmente il campo magnetico radiale dovuto alle eliche, mettendo quindi una "toppa" magnetica alla ciambella di plasma. Questo è più o meno quello che fanno le bobine attive. Per potere funzionare, il sistema di controllo attivo deve essere molto veloce: la velocità è principalmente determinata dalla scala di tempo dell'evoluzione delle instabilità magnetoidrodinamiche (molte "eliche"), che è dell'ordine del millesimo di secondo. Quindi, anche l'azione delle bobine attive in RFX-mod deve avvenire su ordini di tempo di qualche millesimo di secondo. Nel corso del decennio 2005-2015 sono stati provati diversi scenari sperimentali, allo scopo di ridurre quanto possibile le instabilità magnetoidrodinamiche del plasma. Un esempio è riportato nella Figura 2, e mostra l'effetto macroscopico che si può ottenere a partire da un controllo locale del campo magnetico esterno: la presenza contemporanea di molte instabilità magnetoidrodinamiche è una sorgente naturale di turbolenza e, in quanto le eliche manifestano una forte tendenza a collassare, "raggrumandosi" (blocco delle fasi) in corrispondenza a una posizione fissa, decisa da qualche disomogeneità del sistema di contenimento (camera da vuoto e sistema magnetico). Poiché le particelle cariche tendono a seguire, nel loro moto di Larmor le linee di campo magnetico, il "grumo" è una posizione preferenziale di perdita di particelle calde verso la parete, nonché sorgente di caos in buona parte del volume del plasma (pannelli (a) e (b) nella Figura 2). Il risultato pratico finale è un flusso di calore localizzato verso la parete, che può danneggiare o addirittura rompere le mattonelle di grafite che coprono la superficie interna della camera da vuoto (in questi casi, senza controllo attivo, si sono registrate temperature delle mattonelle di quasi 2000 °C, vedi Figura 3(c)). I plasmi di RFX già spontaneamente oscillano fra condizioni più deformate e caotiche (Figura 2 (a) e (b)) e condizioni più ordinate e dotate di simmetria elicoidale (Figura 2 (c) e (d)). È interessante sottolineare che fenomeni di auto-organizzazione sono tutt'altro che rari in natura: esempi si trovano in astrofisica per quanto riguarda la struttura dei campi magnetici intorno ai corpi celesti. In RFX, il raggiungimento dello stato spontaneamente ordinato si raggiunge tramite la crescita di una sola elica-instabilità, e per questo lo stato ordinato viene anche chiamato singola elicità. I principali vantaggi della singola elicità si possono riassumere come segue: riduzione del "grumo" sulla superficie del plasma (vedi Figura 2 (a)); riduzione dell'interazione con la parete: in Figura 3 è evidente che in singola elicità, pannello (a), l'interazione con la parete è minore che nel caso caotico, mostrato nel pannello (c); riduzione o completa eliminazione del caos nell'interno del plasma (vedi Figura 2 (b)); possibilità di riscaldare la regione interna del plasma, che assume una forma a "fagiolo" (vedi Figura 2 (d)); possibilità (per ora teorica) di aumentare la corrente del plasma, senza applicare una tensione aggiuntiva. Uno dei maggiori risultati del controllo attivo è stato appunto quello di riuscire a indurre in modo quasi continuo, per tutta la durata della scarica, gli stati a singola elicità che prima dell'applicazione del feedback si potevano ottenere solo sporadicamente, e in modo intermittente. La contemporanea riduzione dell'interazione con la parete del tipo della Figura 3 ha permesso di raggiungere le specifiche tecniche della massima corrente di 2 MA. Attualmente l'esperimento è in fase di "shutdown" (chiusura) per permettere le modifiche di RFX-mod2. I principali risultati ottenuti su RFX-mod nel decennio 2005-2015 si possono sintetizzare come segue: Il principale contributo, per cui RFX-mod si può giustamente definire unico al mondo, è il controllo attivo tramite la copertura completa delle 192 bobine a sella. In questo campo, RFX-mod ha contribuito a dare un significativo avanzamento nella comprensione degli aspetti tecnologici e di fisica del controllo attivo, che è stato condotto in collaborazione con laboratori stranieri (per esempio, ASDEX Upgrade e DIII-D); Il controllo attivo delle instabilità ha permesso di scoprire e di sostenere lo stato elicoidale del RFP, che avvicina questa configurazione allo stellarator; Ha contribuito allo studio della fisica del plasma a correnti elevate, 1.5-2 MA, per esempio per quanto riguarda il limite di Greenwald, che impone un valore massimo al rapporto densità/corrente del plasma; Ha contribuito alla comprensione della configurazione Tokamak in un ambito di parametri di plasma diverso, con parametro di sicurezza al bordo q a ≤ 2 {\displaystyle q_{a}\leq 2} , aggiungendo quindi dati importanti per il database di ITER; Ha avanzato la conoscenza della turbolenza del plasma di bordo, con strumenti di misura sofisticati. Allo scopo di migliorare ulteriormente il controllo delle instabilità del plasma, è stata avviata nel 2018 la modifica RFX-mod2 la quale prevede l'avvicinamento del plasma ai sistemi di controllo, tramite la rimozione della camera da vuoto. In questo modo la scocca stabilizzatrice di rame sarà direttamente affacciata al plasma, riducendo al minimo il campo magnetico radiale B r {\displaystyle B_{r}} e quindi massimizzando il confinamento del RFP. Nel contempo, il ruolo di tenuta del vuoto sarà svolto dalla struttura meccanica di supporto. Questa modifica consentirà anche l'aumento del volume del plasma. La modifica richiede un investimento di oltre 4 milioni di € in ricerca e sviluppo ed è co-finanziata dalla Regione Veneto nell'ambito del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) con il nome di progetto MIAIVO. Il progetto MIAIVO è terminato nel 2021. Attualmente le modifiche di RFX-mod2 rientrano in un ulteriore progetto nell'ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR): il nome del progetto è NEFERTARI (New Equipment for Fusion Experimental Research and Technological Advancements with Rfx Infrastructure). Fusione nucleare ITER DEMO Reattore nucleare a fusione Centrale nucleare Magnetoidrodinamica Fisica del plasma Auto-organizzazione Retroazione Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Reversed Field eXperiment Storia del Centro ricerche sulla Fusione dell'Università di Padova, su crf.unipd.it. Sito ufficiale del Consorzio RFX, su igi.cnr.it. Canale ufficiale di YouTube del Consorzio RFX, su youtube.com. Video di YouTube sul progetto MIAIVO, su youtube.com. (EN) Sito di EUROfusion, l'organismo dell'Unione Europea per la ricerca sulla fusione, su euro-fusion.org.

Voltabarozzo
Voltabarozzo

Voltabarozzo (Quartiere 4 Sud-Est) è uno dei quartieri del comune di Padova. Voltabarozzo fa parte del quartiere 4 Sud-Est del comune di Padova. Si estende dal Lungargine Sebastiano Ziani e Lungargine Sabbionari fino alle porte settentrionali del comune di Ponte San Nicolò. Comprende le zone di Santa Croce, Sant'Osvaldo, Bassanello, Voltabarozzo. Il quartiere confina a Nord con il Bassanello, il Lungargine Sebastiano Ziani e Lungargine Sabbionari. A Est con Roncaglia e il Bacchiglione, a Sud con Rio e la frazione di Salboro e a Ovest con Via Pietro Bembo. La costruzione del canale era inserita nel progetto realizzato da Vittorio Fossombroni, che era un illustre ingegnere, e da Pietro Paleocapa. La costruzione risale al 1882 e servì a porre fine alle inondazioni causate dalle piene del fiume Bacchiglione. Tale corso d'acqua doveva avere la funzione di scaricare le acque del fiume - da cui il nome - fuori dal centro della città di Padova. il progetto contemplava la realizzazione di tre manufatti regolatori, che, in caso di piena del fiume, servivano a deviare l'acqua nello Scaricatore. L'alluvione del 1882 dimostrò che ciò non era sufficiente. Il progetto fu rielaborato dall'ingegnere Luigi Gasparini nel 1922. Fu lui a decidere il collegamento del canale al Piovego. fu così la Conca di Navigazione di voltabarozzo; la conca è ancora oggi in funzione. si tratta di una sorta di ascensore d'acqua, collocato proprio nel punto in cui lo scaricatore si separava dal San Gregorio. Furono costruiti tre sostegni: all'origine del canale San Gregorio, sull'immissione dello scaricatore nel Roncajette e a Voltabarozzo. quest'ultimo sostegno ha anche un'altra funzione, oltre quella di regolazione delle acque: all'interno si trova la centrale idroelettrica costruita nel 2000 con una potenza installata di 1 MW. Nei pressi di questi manufatti si trova il Centro modelli idraulici, creato nel 1969 dal Magistrato delle acque di Venezia per gli studi riguardanti la Laguna di Venezia. La prima carta che riprende il territorio de La Volta del Berozzo - cioè la "svolta" della strada costruita nel 1205 - 1212 dal podestà Barozzo del Borgo di Cremona - è di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni nella Gran Carta del Padovano risalente al 1776. Dall'etimologia della parola si deduce che derivi dal fatto che in questo antico borgo, la strada Vecchia, che portava dalla Porta Pontecorvo al Piovese, faceva una svolta. Nel XIII secolo l'insediamento era un piccolo villaggio sotto la giurisdizione della parrocchia di San Lorenzo, chiesa poi distrutta, che sorgeva nelle vicinanze del sotto passaggio San Lorenzo. L'antico territorio di Voltabarozzo ha subito un'importante trasformazione a partire dal XIII secolo, quando i conti da Rio erano proprietari di questa vasta area. Tra il 1835 e il 1836 Padova venne colpita da un'epidemia di colera con 1282 casi, nel 1849 con 890 e nel 1854-55 con 1096. Il 9 gennaio del 1910 prese il via dal ponte di Voltabarozzo il cross country podistico organizzato dal settimanale il Pedrocchino. Partirono 15 concorrenti, la gara, con arrivo in Prato della Valle, è vinta da Enrico Stefanini del Club Pedestre Ginnastico. Nell'estate del 1911 la Società ciclisti di Voltabarozzo organizza una gara sul percorso Padova-Piove di Sacco e ritorno. Vi partecipano 28 corridori e all'arrivo è primo Guglielmo Zorzi. I circoli rionali fascisti, poi Gruppi rionali, costituirono l'articolazione del partito fascista a contatto immediato con la popolazione, da cui iniziò la propaganda del regime. Offrivano assistenza e momenti di vita ricreativa, sportiva, culturale e di educazione politica. I Circoli e i Gruppi sono dedicati a eroi della Prima Guerra Mondiale o a personalità del fascismo. La chiesa di Voltabarozzo venne costruita il 23 maggio 1310, ma cominciò in realtà a essere officiata il 6 dicembre 1315. Nel maggio 1310 i conti Andrea e Giovanni da Rio si recarono nel palazzo vescovile per proporre di costruire una chiesa dedicata ai santi Pietro e Paolo offrendo in cambio un terreno dove costruire insieme a 14 campi per il mantenimento del sacerdote, e inoltre si offrirono di assicurare: un calice, delle croci, dei paramenti e dei libri sacri per le celebrazioni liturgiche. La richiesta venne accettata dal vicario vescovile ma non potrà avere un cimitero, non potrà seppellire alcun defunto, non potrà udire le confessioni, e ciò potrà avvenire solo in caso di necessità e con l'autorizzazione dei parroci di san Lorenzo. Il 2 giugno viene benedetta la prima pietra dal vescovo. Il 16 giugno il prete Simeone (uno dei due titolari della chiesa di San Lorenzo) pone finalmente in opera il cantiere. Il capo cantiere fu Ameto, il progettista Martino Granello di Piove di Sacco il quale progettò una chiesa piccola e modesta. I signori Da Rio, ritrovatisi nuovamente davanti al vicario vescovile sul finire del 1315, concordarono in un futuro autonomo sul territorio parrocchiale; inoltre, il prete e il cappellano che vi faranno residenza potranno dare sepoltura ai loro parrocchiani e dare i sacramenti. Si stabilirono i confini della nuova parrocchia, che comprendeva nove case attorno ad essa più altre case sparse dislocate oltre la torre di un altro ricco proprietario in direzione di Roncaglia, vicino a un fiumiciattolo chiamato Tergola. In segno di riverenza, i fedeli di Voltabarozzo e i sacerdoti daranno infatti ai preti della vecchia cappella cittadina da cui in passato dipendevano una libbra di incenso e un terzo delle offerte raccolte nella festività di San Lorenzo. Voltabarozzo col suo vasto territorio rimase fino al principio del Novecento la sola parrocchia fuori le mura in tutta la zona sud orientale di Padova. Nel 1795 la chiesa viene rifatta in stile classico e nel 1928 viene ampliata dall'architetto Vincenzo Bonato con l'aggiunta delle navate laterali. Gli affreschi presenti nella chiesa sono Apoteosi San Pietro e Spirito santo con angeli. Il primo affresco si trova al centro della navata centrale ed è un'opera tipicamente barocca. Adiacenti ai lati superiori e inferiori dell'affresco sono raffigurate con posizioni iconografiche i legni del martirio di San Pietro e i simboli papali ed ecclesiastici. In origine i dipinti dovrebbero essere stati quattro, infatti il tema iconografico è incompleto mancando L'Evangelista Giovanni. Mentre le prime due tele sono poste in chiesa rispettivamente sopra la porta della cappellina e sopra la porta della sagrestia. L'Immacolata, di autore ignoto, è un fine dipinto di piccole dimensioni, quindi si presume che per esso fosse stata prevista collocazione particolare, quasi privata; lo stile è settecentesco. Il parco dei Faggi ha origine nel 1862, anno in cui il conte Leopoldo Ferri - proprietario di Villa Giulietta situata nel fondo agricolo di Voltabarozzo - arricchisce l'ampio giardino all'inglese che circonda la residenza compiendo un gesto d'amore per la sua sposa Annetta, giovane donna della nobiltà ungherese dei baroni Wodianer von Kapriota di Budapest. Per il quartiere di Voltabarozzo e la città di Padova è una presenza rilevante dal punto di vista storico, monumentale e naturalistico. Il giardino ha una superficie di circa 23000 m² e al suo interno sono stati collocati elementi decorativi di pregio come il pozzo, una piccola fontana, vecchi muretti e ha una biodiversità molto elevata. Deve il suo nome alla presenza di alcuni esemplari di faggio, tra cui uno secolare, Fagus sylvatica asplenifolia (faggio a foglia di felce). Sono presenti inoltre numerose varietà di alberi e arbusti tra cui abeti, bossi, rosai, tassi, bamboo, semi sequoia e specie esotiche. Il faggio è un genere di pianta originaria dell'Europa, America, Giappone e Cina; Il tasso è un genere della famiglia delle Taxaceae (Conifere) che comprende specie di alberi e arbusti sempreverdi dai 5 ai 25 m, originarie dell'emisfero boreale; L'abete è un genere comprendente 48 specie di conifere sempreverdi della famiglia delle pinacee, è originario delle zone di clima boreale dell'Europa, dalle Alpi Marittime attraverso l'Europa centro-settentrionale fino agli Urali; Le Rosacee sono una famiglia di Angiosperme cosmopolita comprendente poco meno di 5000 specie in 91 generi di erbe, arbusti e alberi, tra cui moltissime di grande importanza per l'economia umana (es. alimentari, ornamentali, medicinali, foraggere e industriali) dell'Asia e dell'Europa; Il Bosso è un genere appartenente alla famiglia delle Buxaceae; è un arbusto cespuglioso sempreverde, ramoso compatto con fusto, rami e legno giallastri. Si trova spontaneo in luoghi rocciosi, aridi anche calcarei, in Europa, Asia e Africa. Il bamboo è una tribù di piante spermatofite monocotiledoni appartenente alla famiglia delle Poaceae (ex Graminaceae) e sottofamiglia Bambusoideae. Le palme sono una famiglia di piante monocotiledoni appartenenti all'ordine Arecales, diffuse per la maggior parte nei climi tropicale e subtropicale Villa Ferri Treves De' Bonfili-Rignano Sgaravatti, di notevole valore storico e artistico, è adibita a sede scolastica. Venne costruita come residenza di villeggiatura a cavallo di due secoli (XVIII – XIX) per volontà del suo proprietario Andrea Cittadella. Dalla grande carta del padovano di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni (1780) e della mappa del catasto napoleonico (1811) risulta l'esistenza di questa villa veneta. Andrea abitava in città e l'aveva costruita come casa di villeggiatura. Nel 1840 ne divenne proprietaria Luigia Verardi che nel 17 dicembre del 1855 sottoscrisse l'atto di compravendita dell'intera proprietà al conte Leopoldo Ferri. I Ferri abitavano vicino alla Basilica del Santo. Tale casa con il suo giardino annesso passò in seguito di proprietà in proprietà, fino ad essere acquisita nel 1970 dal Comune di Padova. Le scuole pubbliche del quartiere fanno parte dell'VIII Istituto Comprensivo di Padova: Scuola secondaria di primo grado "Luigi Stefanini" Scuola primaria "Ippolito Nievo" Altre scuole: Scuola materna non statale "Ferrante Aporti" Asilo nido "Lo scarabocchio". La sede scolastica, già Villa Ferri Treves De' Bonfili-Rignano Sgaravatti, di notevole interesse storico e artistico, è stata intitolata al filosofo e pedagogista Luigi Stefanini (Treviso, 1891 – Padova, 1956). Nel 1860 Leopoldo Ferri costruì una grande villa (l'attuale Scuola Stefanini) immersa in un grande parco (Parco dei Faggi) dedicata a Giulia Facchini, sua madre. Nel 1861 sposò Anna, una nobile ungherese. La villa è caratterizzata da uno stile romantico molto diffuso in quegli anni nell'Europa centrale. Vengono, infatti, utilizzati disegni con riferimenti neobizantini e neoromantici; la facciata principale non è rivolta verso sud, come nelle ville venete, ma verso nord, privilegiando così l'affaccio verso il parco-giardino, il quale nasce con la villa e costeggia via Piovese. Nell'angolo nord-ovest della facciata vi è il grande stemma in pietra con raffigurate le insegne delle tre famiglie che hanno segnato la vita del Conte Leopoldo: la famiglia Zabarella (fascia con tre stelle); la famiglia Waldner (immagine del pellicano); la famiglia Facchini (zampa d'aquila o di gallo). Tali stemmi sono richiamati anche nei soffitti delle sale del piano terra, decorati con dipinti fastosi con disegni floreali e geometrici assieme allo stemma della famiglia Ferri e della casa d'Austria. Nel 1902 la casa venne venduta alla baronessa Vittoria Treves dei Bonfili che ci abiterà, assieme al marito Alberto Rignano, per circa 25 anni. In questo periodo la villa venne ampliata verso sud, in stile Liberty in accordo con la moda del periodo. Nel 1927 la villa e il parco vennero acquistate dal commendatore Vittorio Sgaravatti, che oltre a dimorarvi ne fece anche la sede della ditta “Società Sgaravatti Sementi”. Subito dopo l'acquisto venne costruito un nuovo edificio, la semenzaia (l'attuale scuola primaria). A causa di cattivi investimenti nel 1969 la società fallì e nella procedura fallimentare si inserì il Comune di Padova che acquista gli immobili nel 1970. La villa ospita la scuola primaria "Ippolito Nievo" e la scuola secondaria di primo grado "Luigi Stefanini". I restauri dell'edificio scolastico iniziarono nel 2009 e finirono nell'aprile 2013; la villa si trovava in gravi condizioni: il tetto aveva molte infiltrazioni, alcuni controsoffitti cadevano; nel primo piano le parti lignee erano deteriorate e non le si è potute salvare; l'intonaco era fortemente danneggiato. Gli interventi strutturali hanno interessato il solaio del secondo piano e la struttura di copertura, per garantire sia la capacità portante sia il miglioramento sismico dell'edificio. Per la copertura si sono aumentate le capacità portanti delle travi. Invece le mensole sono state trattate con protesi lignee, inoltre sono state inserite in opera staffe metalliche. Gli stucchi di Villa Ferri sono in gesso e hanno consentito di svolgere il lavoro più velocemente, ma data la sua consistenza porosa non è adatto agli ambienti umidi e agli sbalzi termici, per questo la maggior parte degli stucchi di Villa Ferri sono ceduti e si è dovuto provvedere al loro restauro. L'arco Tudor è basso e ampio e rappresenta lo stile inglese,è a punta e schiacciato. A Villa Ferri è bicentrico con i 2 raccordi superiori retti;viene detto anche arco parabolico perché può sostenere un peso di 1500 kg per metro lineare.Le porte del piano terra sono rivestite con impalcature di radica di noce, nella parte interna, mentre quella esterna è rivestita in lastronatura di noce. Il restauro delle decorazioni delle pareti sono riferite alla seconda metà del XX secolo e realizzate con calce e tempera. Lo stemma era appartenente al nobile consiglio della città di Padova fino dal secolo XVI, fu decorata del titolo comitale nella persona di Pellegrino Ferri da Federico IV re di Danimarca nel 1709; titolo che fu riconosciuto dalla Repubblica Veneta nel 1710 e confermato da Francesco I imperatore d'Austria nel 1819. In questo stemma compare l'aquila bicipite nera con le ali aperte, tipica degli Asburgo che contiene un altro scudo, diviso in quattro parti. Sopra lo scudo c'è la scritta S.P.Q.R. [ simbolo di Roma e poi del Sacro Romano Impero, dal quale la corona d'Austria si riteneva erede]. Mario Bortolami (a cura di), 1310-2010 Voltabarozzo - Comunità da 700 anni, Tipografia Veneta, 2010, pp. 17,18,19,20,21,22. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Voltabarozzo La storia della parrocchia, su voltabarozzo.it. Voltabarozzo, su b4padova.it. URL consultato il 7 dicembre 2019 (archiviato dall'url originale il 28 novembre 2019).

Camin (Padova)
Camin (Padova)

Camin è una frazione di Padova, nel Veneto, situata nel quartiere 3 Est di Padova. Prima della Seconda guerra mondiale, Camin era solo un'enorme campagna, che però già all'epoca si distingueva per lo smistamento di traffico visto che si trova a 2 km da Noventa Padovana, 7 km dal centro di Padova, 6 km dalla provincia di Venezia con Vigonovo, 4 km da Ponte San Nicolò e da Saonara. Nel 1947, dopo il conflitto bellico, il comune di Padova decise di insediare nelle campagne caminesi la zona industriale, che si era in parte già instaurata nel quartiere Nord, verso Limena. Camin, per via di questa ubicazione, soffre di notevoli problematiche ambientali legate a fabbriche inquinanti della zona industriale. La zona di Camin ha origini molto antiche: già in età preromana, 1000 anni prima di Cristo, sorgevano nell'area nuclei abitativi del popolo dei Paleoveneti, come dimostrato dal ritrovamento di importanti reperti di quella cultura. Nella zona spesso i contadini, scavando, hanno ritrovato resti di tombe e suppellettili e, poiché i romani seppellivano i loro morti lungo le strade, è stato possibile risalire al tracciato delle antiche strade romane. Un importante ritrovamento casuale è la stele di Camin, monumento funebre dove è rappresentato il dono che la donna porge per accompagnare il consorte nel viaggio dell'oltretomba. La stele è oggi conservata presso il Museo degli Eremitani, a Padova. L'antico ponte dei Graissi o dei Greci, sembra derivare dal passaggio del greco Cleonimo, mentre non è altro che il veneto graisso 'graticcio' (nel 1275 era chiamato "pons gradiciorum"), fu sempre fino all'ultima guerra, strategicamente importante per i collegamenti tra Venezia e Padova. Camin era ricco di boschi e paludi dove si esercitava la pesca; col passar del tempo le acque si ritirarono lasciando un terreno adatto all'agricoltura che divenne feudo dei “da Camino”, famiglia di origini longobarda della marca trevigiana. Camin e le altre contrade vicine furono possedimenti canonici di Padova che qui nel 1105 avevano un porto fluviale. La chiesa di Camin, dedicata a Santissimo Salvatore, esiste da prima del 1200. Villa Berta, originariamente abitazione di una ricca famiglia, ora è sede di uffici e sale riunione del consiglio di Quartiere 3 Est e di altri servizi comunali e dell'Usl 16. Chiamata originariamente “casa Pajola”, dopo la guerra ospitò un ospedale geriatrico, ricovero a lunga degenza per anziani e ammalati; successivamente ospitò la scuola media dalla sua istituzione fin al 1973 quando fu inaugurato l'attuale edificio della scuola media e Villa Berta ha assunto la sua destinazione attuale. La parrocchia di Camin è suddivisa in due realtà: quella strettamente di Camin - che fa riferimento alla Chiesa del SS. Salvatore - e quella di Granze di Camin dedicata a S. Clemente, a 3 km in linea d'aria verso Sud e confinante con la realtà di Ponte San Nicolò. A partire dagli anni '70 l'area parrocchiale ha subito importanti modificazioni urbanistiche: il "centro" di Camin odierno era un enorme parco con alberi, viali e un laghetto, che a seguito di cessioni territoriali a privati cittadini sono rientrati in una serie di interventi edilizi che hanno stravolto il territorio con palazzine e condimini. Del parco rimane solo Villa Bellini, recentemente restaurata, e accessibile per feste, pranzi e cene e numerose altre attività soprattutto di natura parrocchiale. Il centro parrocchiale di Camin si completa con il Centro Parrocchiale di via S. Salvatore, di fronte alla chiesa. Inaugurato nel settembre del 2016 con la presenza del vescovo di Padova Claudio Cipolla, l'opera di ammodernamento dell'ex impianto sportivo della Caminese Calcio è stata fortemente voluta dal parroco Ezio Sinigaglia. A contribuire finanziariamente per la realizzazione dell'opera sono concorsi anche il Comune di Padova, presente all'inaugurazione con la consigliera Mariella Mazzetto, e la Curia patavina. Grande rilievo nel contesto locale ha la tradizionale sagra paesana, che ha culmine l'ultima domenica di agosto di ogni anno. Dedicata alla Madonna della Cintura, ha come protagonisti i ragazzi che nel corso dell'anno raggiungono la maggiore età. La sagra si tiene nel complesso parrocchiale del paese, nel campo sportivo parrocchiale, e richiama ogni anno circa 10.000 persone nell'arco di sei serate di festa. La sagra è organizzata e tenuta da quasi 300 volontari, la maggior parte parrocchiani. Negli ultimi anni sono state introdotte un Mercatino dell'Usato e mostre di quadri e opere d'arte di artisti locali. Lungo le due direttrici principali del paese, quella Nord-Sud da Noventa Padovana a Ponte San Nicolò, quella Est-Ovest tra Padova Centro e Saonara, nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad una radicale trasformazione delle attività commerciali e della demografia caminese. Via Vigonovese ha conosciuto un'intensificazione del transito veicolare, divenendo assai trafficata e problematica dal punto di vista ambientale e di vivibilità. Dagli anni Duemila, i nuovi inquilini lungo via Vigonovese sono soprattutto di origine asiatica ed africana, come si può appurare dalla tipologia di attività commerciali più recenti che hanno aperto nel corso degli ultimi anni. Nel 2016, durante l'amministrazione Bitonci, prende avvio l'iter per la costruzione di un'arcostruttura a Camin che ampli e potenzi lo sport in quartiere: sorge così nel giro di pochi anni, negli spazi adiacenti alla Caminese Calcio. Con il succedersi dei mesi e il cambiamento dell'amministrazione, però, soggiungono problematiche burocratiche che, malgrado l'inaugurazione ufficiale della struttura nel 2019, vedono i tempi di assegnazione della struttura alle società che ne richiedono l'utilizzo allungarsi. Nel novembre del 2018 ha avuto luogo un'iniziativa volta ai giovani di "Fraternità", organizzata in contesto parrocchiale, di convivenza di circa una quindicina di giovani delle scuole superiori, residenti in paese, che per qualche giorno ha convissuto in Villa Bellini e organizzato la propria routine quotidiana "alloggiando" però nei medesimi ambienti. Dopo circa 15 anni di chiusura, nell'agosto del 2019 riprende l'iniziativa della Biblioteca di Camin, grazie ad un gruppo di volontari.

Fenice Green Energy Park

Sorto nel 2005, il Fenice Green Energy Park (già Parco delle Energie Rinnovabili Fenice) è il primo parco in Italia dedicato alle energie verdi e alla sostenibilità ambientale. Sviluppato in 5 ettari di terreno, attraverso le sue attività mira a sensibilizzare sul tema, proponendosi come lo "smart park" ideale delle smart city. Costituisce il polmone verde della città di Padova. Organizza corsi di formazione specialistica per aziende e professionisti, laboratori didattici per il turismo scolastico, prenotazione dei suoi spazi per convegni, raduni e feste. Nel 2013 ha inaugurato l'Ostello della gioventù eco-sostenibile "Fenice". Nel 2000 inizia il recupero dell'area degradata dell'Isola di Terranegra a Padova attraverso il progetto "Recupero del verde del Parco Fenice" promosso dagli Scout di Padova. Nel 2005 nasce Fondazione Fenice onlus attraverso l'azione congiunta del Consorzio Zona Industriale di Padova e gli scout del Corpo Nazionale Giovani Esploratori ed Esploratrici Italiani (CNGEI). Il Parco Fenice inizia a operare a pieno regime nel 2008, con la presenza di oltre 200 scolaresche in visita didattica ai laboratori del parco (percorsi specializzati sulle energie rinnovabili). Nel 2013 il parco assume la denominazione ufficiale "Fenice Green Energy Park" e, in maggio, vengono inaugurate le strutture del Parco tra cui l'Ostello della Gioventù e il Centro di Formazione, costituito da due aule polivalenti (una da 20 e una da 40 posti) di classe energetica A e un salone/chalet da 80 posti. Ostello della Gioventù, struttura ricettiva extra-alberghiera, composta da 23 posti letto suddivise in: 2 camerate da 11 e 12 posti e 2 camere singole con bagno privato Aule polivalenti da 20 e 40 posti in fabbricato in classe energetica A Salone polivalente da 80 posti in chalet di classe energetica B con pannelli solari e strutture di recupero dell'acqua piovana per scarichi sanitari 5 ettari di area verde (prati, boschi e golena) per attività naturalistiche, di scautismo e per raduni di gruppi privati e associazioni Stazione di biciclette (elettriche e non) all'interno della pista ciclo-pedonale che collega il centro di Padova ai Colli Euganei e la Riviera del Brenta Sito ufficiale

Giardino dei Giusti del Mondo
Giardino dei Giusti del Mondo

Il Giardino dei Giusti del Mondo è un parco di Padova, nella zona di Terranegra, creato per onorare i Giusti, persone che con la loro azione si sono opposti ai genocidi del XX secolo. A differenza di altri luoghi e monumenti simili dedicati singolarmente a eventi come la Shoah o il genocidio armeno, il Giardino di Padova intende onorare i Giusti di qualunque genocidio, come quello del Ruanda e quello bosniaco. Il giardino fu inaugurato il 5 ottobre 2008 dopo un percorso svolto dal comune di Padova all'interno del progetto Padova Casa dei Giusti (Padua Home of Righteous), nato nel 1999 da un'idea di Giuliano Pisani. Ispirandosi al titolo di Giusto tra le nazioni israeliano, al Giardino dei Giusti di Gerusalemme e agli omologhi giardini di Erevan e Sarajevo, fu deciso di realizzare un luogo dove onorare personalità che avevano protetto, a rischio della propria vita, i perseguitati dai genocidi. Nel 2000 fu organizzato il convegno internazionale Si può sempre dire un sì o un no: i giusti contro il genocidio degli Armeni e degli Ebrei in collaborazione con il Comitato per la Foresta Mondiale dei Giusti di Milano, analoga iniziativa sorta nel capoluogo lombardo nel 2003. La sede del giardino fu scelta nei pressi del Tempio nazionale dell'internato ignoto e dell'attiguo museo. La chiesa, nuova sede parrocchiale, fu fatta costruire dal parroco monsignor Giovanni Fortin negli anni cinquanta dopo la sua deportazione a Dachau, in memoria degli internati e delle vittime dei campi di concentramento. Il progetto artistico fu affidato allo scultore padovano Elio Armano che realizzò delle strutture scultoree richiamanti delle grandi sbarre di ferro invecchiato. L'opera fu in realtà realizzata in cemento armato con un particolare rivestimento per ottenere l'aspetto del ferro arrugginito voluto dall'artista. Nel giardino ogni Giusto viene onorato con una pianta e una stele recante il suo nome. Il progetto prevede di ampliare il giardino in una sorta di "via dei Giusti" lungo l'argine (ribattezzato per l'occasione Passeggiata Cammino dei Giusti del Mondo) del canale San Gregorio, una delle diramazioni del fiume Bacchiglione in città, in adiacenza al quale sorge il giardino. Una prima tappa è stata inaugurata il 2 ottobre 2011. Un anno dopo, il 14 ottobre 2012, in occasione della quinta cerimonia di assegnazione del titolo di Giusto, è stato inaugurato il Giardino dei Giusti del Mondo di Noventa Padovana: i primi sette chilometri del Cammino dei Giusti del Mondo sono tracciati. Nel 2013, lungo la passeggiata Cammino dei Giusti del Mondo, è stata inaugurata una seconda tappa, con nove alberi che ricordano nove grandi storie, mentre un altro ciliegio è andato ad arricchire il Giardino di Noventa Padovana. Sul grande muro che circonda le strutture scultoree è riportato il motto del Giardino, una frase attribuita a Hannah Arendt: «Si può sempre dire un sì o un no». Il 2 ottobre 2011 anche il celebre campione di ciclismo Gino Bartali è stato inserito tra i Giusti del giardino padovano per il suo impegno in favore degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Dieci alberelli furono piantati nel 2008 in occasione dell'inaugurazione e altri vengono aggiunti annualmente (dodici nel 2009, dieci nel 2010, undici nel 2011, tredici nel 2012 e dieci l'anno successivo). AA.VV., Si può sempre dire un sì o un no: i giusti contro i genocidi degli armeni e degli ebrei, Padova, Cleup, 2001, pp. 288, ISBN 978-88-7178-705-3. URL consultato il 3 ottobre 2011. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giardino dei Giusti del Mondo Il Giardino dei Giusti del Mondo, su PadovaNET, Comune di Padova. URL consultato il 16 settembre 2011.

Chiesa di San Michele Arcangelo (Padova, Pozzoveggiani)
Chiesa di San Michele Arcangelo (Padova, Pozzoveggiani)

La chiesa di San Michele Arcangelo è una chiesa cattolica di origine medievale, situata a Pozzoveggiani, località compresa nella frazione Salboro di Padova (a circa 5 km dal centro storico, lungo il vecchio tracciato della via Annia). Una prima chiesa venne edificata tra il VI-VII secolo era una semplice cella sue dimensioni ridotte e di forma cubica ed aveva un anomalo orientamento con la facciata rivolta ad est e l'abside ad ovest. La chiesa fu ampliata nel XII secolo con impianto basilicale a tre navate e tre absidi semicircolari e facciata a forma di capanna. La chiesa è degna di nota per due cicli di affreschi, resti della cella primitiva e dell'abside antico: il primo gruppo è datato X-XI secolo e raffigura gli apostoli posti tra gli archi di un colonnato; le figure presentano i caratteri tipici del periodo carolingio-ottoniano. Il secondo gruppo si trova nell'abside, dove vi è un Cristo Pantocratore affiancato dai simboli degli Evangelisti (tetramorfo) e teoria di santi ed apostoli, un pellicano che nutre i suoi piccoli; questo gruppo risale al XII-XIII secolo. Dietro l'altare sono affrescati dei cavalieri armati, un pavone cacciato da una figura metà uomo e metà uccello, una civetta, simbolo raramente rappresentato all'interno delle chiese, in quanto rimanda al paganesimo e al culto della dea Atena, dea della saggezza (un esempio è presente nella chiesa di Notre Dame a Digione). Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Michele a Pozzoveggiani Chiesa di San Michele Arcangelo, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Sito di Legambiente Padova, su salvalarte.legambientepadova.it. URL consultato l'8 agosto 2014 (archiviato dall'url originale il 16 febbraio 2019).

Tempio nazionale dell'internato ignoto
Tempio nazionale dell'internato ignoto

Il Tempio nazionale dell'internato ignoto è un sacrario e una chiesa del quartiere Terranegra di Padova, realizzato a ricordo degli internati nei lager nazisti durante la seconda guerra mondiale. All'interno del complesso è ospitato anche il Museo dell'internamento dedicato a tutta la vicenda storica dell'internamento durante la guerra. Durante la seconda guerra mondiale, don Giovanni Fortin diede rifugio a militari inglesi e per questo venne internato agli inizi del 1944 nel campo di concentramento di Dachau in Germania. Sopravvissuto alla deportazione di Dachau, don Fortin si impegnò perché l'edificio di Terranegra, da lui ideato nel 1953 e già in costruzione nella sua parrocchia, diventasse un Tempio-Ossario con annesso Museo della Deportazione. I deportati italiani (militari e civili) nei campi nazisti furono, dall'8 settembre 1943 alla fine del conflitto, circa 650.000 e circa 70.000 non fecero ritorno. Gli ebrei sterminati nell'Olocausto (circa 6 milioni), tra i quali molti italiani, sono pure ricordati a Terranegra. Il 13 settembre 1999 il Presidente del Senato Nicola Mancino consegnò la medaglia d'oro al valor militare conferita dall'allora Presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro alla memoria dell'Internato Ignoto. Il tempio è una chiesa cattolica che ospita anche la locale parrocchia di San Gaetano da Thiene. La sede della parrocchia fu trasferita dalla vecchia chiesa di Terranegra nel 1955. Nell'atrio della chiesa è presente un sarcofago con le spoglie di un internato ignoto. Aperto nel 1955 e ristrutturato nel 1999, il museo dell'internamento ospita documentazioni, foto, oggetti che descrivono l'esperienza dei deportati nei campi di concentramento. Nella sua presentazione il museo si descrive come parte inscindibile dal Tempio nazionale dell'internato ignoto. Dal 2007 il museo è gestito dall'Associazione nazionale ex internati (ANEI). Giardino dei Giusti del Mondo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Tempio nazionale dell'internato ignoto Sito ufficiale, su museodellinternamento.it. Museo nazionale dell'internamento, in Luoghi di Memoria e Resistenza. Internato Ignoto, in Donne e Uomini della Resistenza.

Villatora
Villatora

Villatora (Viłatora in veneto) è una frazione del comune italiano di Saonara, in provincia di Padova. Sorge a nordovest di Saonara, oltre il tronco dell'idrovia Padova-Venezia. Negli ultimi anni ha subito un'importante crescita urbanistica, che l'ha resa contigua alla periferia est di Padova e a Tombelle. Villatora (prediale derivato dal personale romano Taurius) è citata per la prima volta in un documento del 1152. Allora era compresa nella corte di Sacco, a sua volta parte dei possedimenti del vescovo di Padova sin dall'897. Il paese fu in origine dipendenza della pieve di Sermazza (attuale Vigonovo), ma doveva essersi emancipato almeno dal 1171: in quell'anno è citata la chiesa dei Santi Simone e Giuda come bene dei canonici della cattedrale di Padova. Nelle varie visite pastorali l'edificio appare sempre in buono stato, benché nel 1756 il vescovo Carlo Rezzonico la reputasse insufficiente per il numero dei parrocchiani. Vent'anni dopo ne iniziò la riedificazione, conclusa nel 1780. Una nuova tornata di restauri si ebbe dagli anni 1871-72 e si concluse con la consacrazione del 6 dicembre 1919. All'interno, sulla parete destra della navata, è murato un bassorilievo raffigurante una Madonna col Bambino, di difficile datazione a causa della notevole consunzione (seconda metà del Seicento o prima metà del Settecento). Di fine Settecento sono i due angeli in marmo bianco ai lati dell'altare maggiore, scolpiti da Giuseppe Danieletti. Si colloca a fine Ottocento il dipinto raffigurante i santi titolari, firmato dal pittore Demetrio Alpago. Si trova lungo via Frassenedo, a sud del centro e della provinciale dei Vivai. Preceduta da un vasto giardino, si è evoluta da una casa colonica originaria della metà dell'Ottocento, rimaneggiata a più riprese nel secolo successivo. Sviluppata su due piani più sottotetto, gli interni sono organizzati secondo il tipico schema tripartito delle ville venete, con salone passante, quattro stanze ai lati e vano scala al centro del fianco destro. Le aperture sono molto semplici: architravate e prive di ornamenti, sono tuttavia risaltate dalle soglie aggettanti. Sopra la porta di ingresso si apre un terrazzino in ferro, a cui è rivolta una portafinestra per l'illuminazione del salone passante. I fori del sottotetto sono allineate a quelle dei piani inferiori, ma più piccole. Del complesso fa parte anche un annesso a solai ribassati. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villatora