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Deposito ATM Ticinese

Depositi tranviariPagine che utilizzano collegamenti magici ISBNPagine con mappeRete tranviaria di Milano
Deposito ATM Ticinese facciata
Deposito ATM Ticinese facciata

Il deposito ATM Ticinese è un deposito tranviario dell'Azienda Trasporti Milanesi. Il deposito di via Custodi, fuori Porta Ticinese, fu costruito nel 1885 dalla Società Anonima degli Omnibus, esercente della rete tranviaria di Milano, allora a trazione equina. Inizialmente il deposito si estendeva su una superficie di 5.850 m². In seguito ai lavori di elettrificazione della rete tranviaria, ora gestita dalla Edison, anche il deposito di via Custodi venne elettrificato, nel 1899; nel 1904 la superficie venne ampliata fino a 9.800 m², per una capacità di 330 vetture. Nell'ottobre 1905 venne aggiunto un secondo ingresso, con un binario di collegamento verso via Gentilino e corso San Gottardo. Il deposito passò in seguito all'ATM, ed è tuttora in attività. Costituisce pertanto il più antico deposito esistente della rete milanese. Paolo Zanin, Primi tram a Milano, Editrice Trasporti su Rotaie, 2007. ISBN 978-88-85068-07-0. Rete tranviaria di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su deposito ATM Ticinese

Estratto dall'articolo di Wikipedia Deposito ATM Ticinese (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Deposito ATM Ticinese
Via Pietro Custodi, Milano Municipio 5

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20136 Milano, Municipio 5
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Deposito ATM Ticinese facciata
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Luoghi vicini

Cimitero del Gentilino

Il cimitero del Gentilino, spesso citato anche come cimitero di Porta Ticinese, o anche cimitero fuori di Porta San Celso era un cimitero di Milano, situato fuori Porta Ticinese. Era uno dei cinque cimiteri cittadini collocati fuori dalle porte e soppressi negli anni successivi alle aperture del Monumentale e del Maggiore. La sua area, oltre a coprire parte dell'odierno Parco della Resistenza, copriva parte delle attuali vie Antonio Tantardini, Odoardo Tabacchi, Giambologna e Carlo Baravalle. Di forma rettangolare e con una piccola chiesa annessa (abbellita solo nel 1830), questo cimitero venne aperto nel 1787, al fine di riqualificare l'allora antico Cimitero di San Rocco al Vigentino, che eccedeva di sepolture. I tempi di realizzazione e di apertura del cimitero furono relativamente rapidi, per via del pochissimo dispendio di denaro ed ultimati i lavori, il nuovo cimitero appariva privo di elementi artistici e decorativi. La scarsa qualità del materiale edile costrinse il comune milanese ad intervenire più volte con lavori di straordinaria manutenzione. Fu solo nel 1820 che iniziarono ad essere elevate alcune cappelle per le sepolture di famiglie ed ordini religiosi (di questi ultimi ne furono contati appena sedici alla chiusura del cimitero); soltanto dieci anni dopo fu possibile tracciare alcuni vialetti interni al cimitero. Dopo il 1867, gli abitanti che risiedevano nelle vicinanze dei rispettivi cimiteri, lamentarono più volte scarsa sicurezza e cattiva manutenzione dei cimiteri stessi. In seguito a casi di colera e di vaiolo, il cimitero del Gentilino venne soppresso il 22 ottobre 1895 (stesso giorno della chiusura del Cimitero della Mojazza). Le fosse vennero subito svuotate ed i defunti vennero spostati al Cimitero Maggiore e al Monumentale. Oggi l'area dell'ex cimitero ospita l'odierno Parco della Resistenza (ex Parco Baravalle). Ermenegildo Pini (1739-1825), sacerdote e naturalista Giuseppe Giannini (1774-1818), medico e saggista Giuseppe Bossi (1777-1815), pittore e letterato Antonio Boggia (1799-1862), pluriomicida Giovanni Antonio Labus (1806-1857), scultore Pietro Teulié (1869-1907), generale e politico Tedeschi, Carlo, Origini e vicende dei cimiteri di Milano e del servizio mortuario, Milano, Giacomo Agnelli, 1899, ISBN non esistente. Ospitato su braidense.it. D. Bertolotti, Milano nel 1818 : il cimitero fuori di Porta S. Celso, in Milano e la Lombardia nel 1818 di Davide Bertolotti, Milano, A. F. Stella e comp, 1818, ISBN non esistente. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su cimitero del Gentilino

Parco della Resistenza (Milano)
Parco della Resistenza (Milano)

Il parco della Resistenza, fino al 2013 denominato parco Baravalle, è un parco della città di Milano. È stato realizzato su un'area che dal 1919 sino agli anni sessanta era occupata da un quartiere popolare di villette unifamiliari, il Quartiere Villaggio giardino Baravalle, abbattuto per far posto all'area verde, la cui struttura è ricalcata dai viali del parco. Sul lato orientale esterno (viale Tibaldi) sono ospitati il centro civico, con biblioteca e uffici decentrati del comune, e una scuola materna. Era dedicato alla memoria di Carlo Baravalle, che fu un noto educatore e scrittore. Al Baravalle erano già dedicati una via e il predetto quartiere, nell'area divenuta poi il parco. L'area su cui sorge il parco ha registrato, negli ultimi centovent'anni, radicali e talvolta repentine mutazioni d'uso. Fra il 1787 ed il 1895, sull'area dell'odierno parco, sorgeva il cimitero del Gentilino e all'inizio del secolo era destinata a edilizia popolare con la tipologia di villaggi. L'ultimo, sull'attuale superficie del parco, fu costruito su progetto dell'architetto Franco Marescotti nel primo dopoguerra per essere demolito nel 1964,tra le proteste degli abitanti. L'offerta abitativa della zona era elevata, ma modestissimo lo standard dei servizi e occorreva dare spazio a un'area verde e, soprattutto, a un attrezzato centro civico. L'ailanto è presente qui come in altri parchi cittadini; è un albero imponente, dalla fioritura estiva abbondante, molto ombroso e decorativo, anche se emana un odore sgradevole. Tra le altre specie, ricordiamo: l'ippocastano, l'acero, l'olmo, il platano, il noce nero, alcune varietà di quercia, il tiglio e il ciliegio da fiore. Il parco è attrezzato con un'ampia area giochi, affiancata da una giostrina per bambini e due campi da basket. Inoltre sono presenti un'ampia area cani, una Casa dell'acqua e una fontanella. AA. VV., Enciclopedia di Milano, Milano, Franco Maria Ricci Editore, 1997. Liliana Casieri, Lina Lepera; Anna Sanchioni, Itinerari nel verde a Milano, supervisione botanica: Pia Meda; supervisione farmacognostica: Massimo Rossi; Illustrazioni e impaginazione: Linke Bossi, Consonni, Montobbio, Comune di Milano, settore ecologia, GAV. Comune di Milano - Arredo, Decoro Urbano e Verde - Settore Tecnico Arredo Urbano e Verde, 50+ parchi giardini, Comune di Milano / Paysage. ed. 2010/2011 Parchi di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su parco della Resistenza Parco della Resistenza (ex Parco Baravalle), su comune.milano.it, Comune di Milano. URL consultato il 12 novembre 2011.

Piazza XXIV Maggio (Milano)
Piazza XXIV Maggio (Milano)

Piazza XXIV Maggio è una piazza di Milano al centro della quale si trova la Porta Ticinese. Anticamente era denominata piazza del mercato ticinese. Il nome recente di Piazza XXIV Maggio ricorda il giorno dell'entrata in guerra dell'Italia nel primo conflitto mondiale, nel 1915. La quercia piantata dopo il conflitto vuole onorare la memoria di un giovane caduto durante la guerra e dei compagni caduti con lui. L'area ha ospitato storicamente la sede della dogana sulla darsena e dal 1601 è stato un sito utilizzato per il mercato delle bestie da macello e dei cavalli trovandosi sulla strada di chi arriva da sud oppure vi giugeva dai navigli. Alla fine del XVIII secolo la piazza è stata riorganizzata delimitando in modo più netto il territorio urbano rispetto alle aree rurali attorno. Dal 2004 sono iniziati opere di riqualificazione e molte parti della piazza sono divenute aree pedonali o zone verdi. Porta Ticinese. Quercia rossa. Palazzo monumentale in piazza XXIV maggio 12. Vittore Buzzi, Claudio Buzzi, Le vie di Milano: dizionario della toponomastica milanese, Milano, U. Hoepli, 2006, ISBN 9788820334956, OCLC 836098020. Bruno Pellegrino, Così era Milano. 2, Porta Ticinese. Genova, Milano, Meravigli Edizioni, 2019, OCLC 1154462021. Porta Ticinese Porta Ticinese (medievale) Colonne di San Lorenzo Parco Papa Giovanni Paolo II (Milano) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Piazza XXIV Maggio Milano festeggia il compleanno della Quercia di Piazza XXIV Maggio, su comune.milano.it. URL consultato il 17 giugno 2024.

Museo della Basilica di Sant'Eustorgio
Museo della Basilica di Sant'Eustorgio

Il Museo della Basilica di Sant'Eustorgio è un museo italiano situato a Milano, collocato all'interno del chiostro e in alcuni ambienti annessi alla Basilica di Sant'Eustorgio, uno degli edifici più antichi di Milano. E' particolarmente noto per la Cappella Portinari. Il museo, che sorge sulle rovine di una necropoli paleocristiana, è stato istituito per conservare, valorizzare e promuovere la conoscenza del patrimonio storico-artistico proveniente dalla Basilica stessa. L'itinerario museale si sviluppa in sei sezioni espositive oltre al cimitero paleocristiano, che comprendono anche la visita delle Cappelle Solariane e la nota Cappella Portinari. La prima sezione è collocata nel portico del chiostro e ospita i resti archeologici della necropoli cristiana trovata negli scavi degli anni cinquanta e sessanta del Novecento, insieme a pietre tombali e lastre di marmo. Sulle pareti è presente uno stemma vescovile antico e vari reliquiari. Nella successiva area archeologica sono presenti i resti della necropoli scoperta negli scavi dei primi anni sessanta. Si prosegue nella vecchia sala capitolare, dove si trovano diverse statue, la più importante delle quali è quella di sant'Eugenio, e nella vecchia sagrestia, dove si conservano reliquiari, ex voto e oggetti liturgici dal XIV al XVII secolo. Seguono due cappelle laterali, in stile gotico e collegate da un corridoio. La prima, dedicata a san Francesco, fu commissionata dalla famiglia Arlun e contiene un affresco anonimo di Gesù che appare a san Domenico di Guzmán; la seconda, dedicata a san Paolo, è stata commissionata dalla famiglia Sach e contiene una Madonna di lacca della scuola di Borromini e una effigie di san Paolo condotto in Paradiso di Daniele Crespi. Infine la Cappella Portinari, commissionata dal nobile toscano Pigello Portinari, che è stato sepolto nella cappella insieme a san Pietro Martire, sepolto sotto l'altare nel 1737. Oltre alla sua arca, ci sono diversi affreschi di santi e dei quattro grandi Dottori della Chiesa (sant'Ireneo, sant'Ambrogio, sant'Agostino e san Gregorio Magno), insieme alle statue che rappresentano sia i Dottori che i miracoli del santo. Gian Alberto Dell'Acqua (a cura di), La basilica di Sant'Eustorgio in Milano, Milano, 1984. Erminia Giacomini Miari e Paola Mariani, Musei religiosi in Italia, Milano, Touring Club Italiano, 2005, pp. 141 - 142, ISBN 9788836536535. Milano, collana Guide Rosse, Milano, Touring Club Italiano, 2007, pp. 370 - 372, ISBN 9788836543243. Basilica di Sant'Eustorgio Cappella Portinari Grande Museo del Duomo di Milano Museo dei Cappuccini (Milano) Museo della Basilica di Sant'Ambrogio Museo diocesano (Milano) Museo delle culture (Milano) Pietro da Verona Pinacoteca Ambrosiana Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo della Basilica di Sant'Eustorgio Sito ufficiale, su chiostrisanteustorgio.it.

Cappella Portinari
Cappella Portinari

La cappella Portinari si trova all'interno della basilica di Sant'Eustorgio a Milano e costruita tra il 1462 e il 1468. Si tratta di uno degli esempi più completi e meglio conservati di Rinascimento lombardo dell'epoca di Francesco Sforza. Conserva anche l'arca di san Pietro martire. La cappella venne commissionata da Pigello Portinari, direttore della filiale milanese del Banco Mediceo, come sepoltura privata e reliquario per la testa di san Pietro Martire. Lo stesso Portinari vi fu sepolto all'interno, ma la lapide che lo ricordava scomparve nel corso di successivi restauri. Egli fu committente anche di uno dei maggiori palazzi della Milano dell'epoca, il palazzo del Banco Mediceo di via dei Bossi, che mostrava notevoli affinità stilistiche con la cappella. Lo stemma dei Portinari è ancora visibile nella lanterna al centro della cupola. Non si conosce il nome dell'architetto che la progettò: la tradizionale attribuzione a Michelozzo è oggi sostituita da una dubitativa a Filarete, ma con ogni probabilità è assegnabile a Guiniforte Solari da Carona, architetto delle absidi alla Certosa di Pavia e di San Pietro in Gessate a Milano. Dal XVIII secolo è collocato nella cappella il sepolcro marmoreo di san Pietro Martire, opera del 1336 circa di Giovanni di Balduccio, allievo di Giovanni Pisano. Nascosta sotto ben sette strati di intonaco dai tempi della pestilenza del 1630 in poi, ridipinta, infelicemente restaurata, la cappella ha ora riassunto in parte il suo volto originario di soave cromia luminosa. Dopo i restauri del 1952, la decorazione pittorica venne miracolosamente recuperata, nonostante le fortunose vicende a cui venne sottoposta nel corso dei secoli. È stata riaperta l'11 febbraio 2000 dopo nuovi restauri cominciati nel 1989. La struttura si ispira alla brunelleschiana Sagrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze, con un vano quadrato dotato di scarsella e coperto da cupola a sedici spicchi costolonati. Alcuni particolari nella decorazione si ispirano pure al modello fiorentino, come il fregio dei cherubini o i tondi nei pennacchi della cupola, ma altri, preponderanti, se ne allontanano rifacendosi piuttosto alla tradizione lombarda. È il caso del tiburio che protegge la cupola, della decorazione in cotto, della presenza di bifore a sesto acuto o dell'esuberanza decorativa generale. L'interno in particolare si allontana dal modello fiorentino per la ricchezza vibrante di decorazioni, quali la ricca embricatura della cupola a tinte digradanti, il fregio con gli angeli sul tamburo e i numerosi affreschi di Vincenzo Foppa nella parte alta delle pareti. Vincenzo Foppa fu il responsabile dell'ideazione e della regia della decorazione pittorica, che ebbe luogo tra il 1464 e il 1468. Si tratta della prima importante commissione pubblica del pittore bresciano, considerato il padre del rinascimento lombardo in pittura. L'interno della cupola è interamente affrescato a fasce policrome, a tinte digradanti dalla base verso la sommità, mentre la raggera dei costoloni è evidenziata da tinte più scure. Dei sedici oculi alla base, otto sono aperti alla luce solare, alternati ad altri otto che contengono Busti di santi, privi di attributi specifici. Al di sotto di questi il tamburo è percorso da una teoria di angeli policromi a rilievo, inseriti in un finto colonnato ad archetti. Nei pennacchi alla base, quattro tondi ospitano i Dottori della Chiesa, dipinti con un virtuosistico scorcio prospettico. Il tutto è stato interpretato come una rappresentazione allegorica del Paradiso. La decorazione ad affresco sottostante comprende: Quattro Storie di san Pietro Martire nelle pareti laterali: Miracolo della nuvola, rappresenta l'apparizione miracolosa di una nuvola a dar ombra ai fedeli in una giornata torrida, durante una predica del santo. Miracolo della falsa Madonna, ove san Pietro espone l'ostia consacrata e smaschera il diavolo che era apparso sotto le spoglie della Madonna, anche se il Foppa probabilmente voleva testimoniare il malvolere che avevano i fedeli rispetto a questa immagine. Miracolo di Narni o del piede risanato, in cui un giovane, che aveva colpito con un calcio la madre e pentitosene se lo era amputato, viene guarito dal santo che gli riattacca l'arto. Martirio di san Pietro da Verona rappresenta l'assassinio dell'inquisitore Pietro, avvenuto nei boschi del comasco ad opera di uno degli eretici condannati dal santo. Questi è rappresentato mentre, colpito a morte, scrive sulla terra con il sangue "Credo". Annunciazione entro una complessa architettura con cori angelici nella parte superiore dell'arco trionfale, sopra la scarsella Assunzione della Vergine nell'arco della controfacciata Il pittore curò particolarmente il rapporto con l'architettura, cercando un'integrazione illusiva tra spazio reale e spazio dipinto. Le quattro scene di storie del santo sono armonizzate da un punto di fuga comune, posto al di fuori delle scene (al centro della parete, sulla colonnina della bifora centrale) su un orizzonte che cade all'altezza degli occhi dei personaggi (secondo le indicazioni di Leon Battista Alberti). Notevole è la moltiplicazione scenografica degli spazi dipinti, sia nelle storie sulle pareti, che nei tondi e nei pennacchi della cupola, oltre che nei finti loggiati del tamburo. Foppa si distaccò però dalla classica prospettiva geometrica "alla toscana" per l'originale sensibilità atmosferica, che smorza i contorni e la rigidità geometrica: è infatti la luce a rendere umanamente reale la scena. Questa particolare sensibilità viene anche detta "prospettiva lombarda". In generale prevale un gusto per il racconto semplice ma efficace e comprensibile, ambientato in luoghi realistici con personaggi che ricordano tipi quotidiani, in linea con le preferenze per la narrazione didascalica dei Domenicani. I toni pacati della descrizione, così come le tinte chiare e luminose prevalenti nella decorazione, sono stati accostati dai critici alle opere fiorentine dell'Angelico e di Masolino da Panicale. Gli scorci prospettici mostrano invece forti rimandi al Mantegna degli Eremitani. Il primo restauro, documentato, delle superfici della cappella risale al 1583. Forse in occasione del trasferimento dell'arca di s. Pietro Martire nella cappella Portinari (1736), o in date immediatamente precedenti, avvenne la scialbatura che dovette interessare tutte le superfici e non solo gli affreschi del Foppa. Nel 1868, in occasione dei lavori che coinvolsero l'intera basilica, si effettuarono alcuni saggi in situ e apparvero tracce del Miracolo della Nube . Nel 1871 i dipinti vennero discialbati da Agostino Caironi; le operazioni si svolsero in modo frettoloso e incauto, danneggiando la pellicola pittorica sottostante. L'anno successivo, le pitture furono restaurate e, in molti punti, integrate con estrema libertà interpretativa. Anche gli angeli in cotto e parte delle cornici architettoniche furono interamente ridipinte, secondo il gusto del tempo. Nel 1874-75 si pose mano al restauro architettonico della cappella; all'interno furono aperte le due porte ai lati della scarsella. Nel 1930 la Soprintendenza ai Monumenti commissionò un nuovo intervento a Paolo Vanoli che eliminò parte della decorazione ottocentesca ed eseguì una lieve pulitura. Nel 1950 ebbe inizio una consistente campagna di restauro, con la direzione dell'architetto Claudio Ballerio e dell'ispettore della Soprintendenza Franco Mazzini; i lavori furono eseguiti da Giuseppe Arrigoni sotto la guida di Mauro Pelliccioli. I restauratori si limitarono ad una pulitura superficiale, intervenendo con ridipinture nelle parti maggiormente compromesse. Tra il 1952 e il 1955 venne compiuto il restauro architettonico con eliminazione delle rimanenti decorazioni di Caironi; il pavimento venne rifatto. L'altare ottocentesco fu rimosso e sostituito da uno in marmo, opera dello scultore Fulvio Nardis. L'ultima campagna di restauro si è svolta tra 1989 e il 1998. Per la prima volta, l'intervento ha cercato di rimuovere le cause che avevano determinato il progressivo degrado della cappella nel suo complesso. Si è resa necessaria una revisione delle coperture e del sistema dei displuvi della cappella per allontanare la maggiore sorgente di degrado, ovvero l'umidità meteorica, mentre per quella di risalita, non del tutto eliminabile, si è predisposta una stabilizzazione del clima all'interno della cappella per contenerla. L'intervento sulla decorazione pittorica è stato affidato a Giovanni Rossi. I fenomeni di degrado di maggior estensione sono risultati essere la presenza di efflorazioni saline e l'imbiacamento delle superfici. Le limitate reintegrazioni sono state effettuate ad acquerello, con interventi a rigatino, reversibili, per permettere una compatta visione d'insieme. Il restauro conservativo sulle terrecotte ha permesso, oltre alla pulitura, anche il recupero nelle cornici della stesura originaria a cocciopesto e la soprastante pittura a “finto granito”, mentre nel Tripudio angelico sono stati rilevati molteplici interventi di pitturazione, ma non è stato possibile identificare con certezza quelli originali.. Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999. ISBN 88-451-7212-0 Stefano Zuffi, Il Quattrocento, Electa, Milano 2004. ISBN 8837023154 Laura Mattioli, Vincenzo Foppa. La cappella Portinari, Federico Motta, Milano 1999. ISBN 8871791657 Mina Gregori (a cura di), Pittura a Milano, Rinascimento e Manierismo, Cariplo, Milano 1999. Paolo Biscottini (a cura di), La Basilica di Sant'Eustorgio, Skira, Milano, 1999. Rinascimento lombardo Basilica di Sant'Eustorgio Arca di san Pietro martire Vincenzo Foppa Giovanni di Balduccio Guiniforte Solari Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su cappella Portinari Pagina dedicata alla Cappella Portinari nel sito della chiesa di Sant'Eustorgio, su santeustorgio.it. Video sul dipinto "Madonna con le corna", presente nella cappella Portinari nella basilica di Sant'Eustorgio

Cappella dei Visconti
Cappella dei Visconti

La cappella dei Visconti o di San Tommaso si trova tra le cappelle del fianco destro della chiesa milanese di Sant'Eustorgio, la quarta entrando sul fianco destro. Questa cappella venne aperta nel 1297, per Matteo Visconti, vicario imperiale e capitano del Popolo a Milano, il cui ritratto in bassorilievo si trova sulla fronte esterna della cappella, sul fianco meridionale di Sant'Eustorgio. La cappella era realizzata secondo un impianto a piccola aula, sul quale si modellano le successive cappelle di questo lato (ad essa precedente è quella verso il presbiterio, le altre sono ad essa successive). Era originariamente affrescata, e di queste pitture restano solo in parte quelle della volta e delle parti superiori delle pareti. Le pitture più antiche sono quelle della volta. Risalgono queste agli anni tra il secondo decennio del Trecento e il 1330; l'autore, per l'espressività delle loro figure, sembra provenire dall'ambito emiliano, fattore evidenziato anche dal modo di definire la ricca varietà delle pieghe dei panneggi. Nelle quattro vele definite dai costoloni della crociera stanno le figure dei quattro Evangelisti, inseriti in architetture prospetticamente viste. Si tratta di una prospettiva ancora ai suoi esordi, che se da una parte si richiama a Giotto, presente a Milano in quegli anni alla corte di Azzo Visconti, presenta al confronto ancora numerosi errori o incertezze nella rappresentazione spaziale. Forse la difficoltà maggiore l'artista la incontrò nell'inserire la figura umana nell'ambiente architettonico, dato che qui essa appare o troppo compressa o quasi galleggiante nello spazio prospettico, senza che i suoi piedi riescano a poggiare saldamente sul terreno come avviene per la figura di Giotto. Il monumento risale al 1359 e fu realizzato da maestri campionesi della cerchia di Bonino da Campione: il monumento si presenta allo stato attuale privo di alcune parti sottratte nei secoli al complesso. L'opera può essere idealmente suddivisa in tre parti: le colonne tortili che reggono il complesso, il sarcofago e l'edicola. Il sarcofago è ornato con i bassorilievi della Madonna col Bambino in trono tra santi e Stefano e Valentina Visconti, ed è sormontato da una statua della Vergine. L'edicola è retta da colonne tortili identiche a quelle che reggono tutto il complesso e termina in una cuspide con ai lati due sculture di Angeli e al centro un Cristo benedicente. Il complesso si presenta come un tipico lavoro del gotico già maturo del secondo Trecento dei maestri campionesi. Gli affreschi delle pareti della cappella sono successivi a quelli con gli evangelisti sulla volta. Erano stati scialbati, e vennero riscoperti e riportati alla luce scrostando un successivo intonaco nel restauro del 1868. Appartengono alla seconda metà del Trecento, successivi di poco alla collocazione del monumento sepolcrale di Stefano Visconti e Valentina Doria. La prima pittura eseguita è quella, accanto al timpano del monumento funebre e al centro della parete, del Biscione visconteo, semplice simbolo araldico e coeovo alla tomba. Sopra di esso, nella lunetta sotto la crociera, è un San Giorgio. Il santo guerriero appena fuori dalle mura della città è col suo cavallo sopra il drago che sta trafiggendo con la sottile lancia. A destra sta la principessa e a sinistra dalle mura della città i nobili osservano con curiosità la scena. Tale affresco viene attribuito al Maestro di Lentate, artista individuato in una serie di affreschi dell'oratorio visconteo di Lentate sul Seveso. Questa pittura non mostra caratteri specifici e si risolve nella figura araldica del santo, patrono tra l'altro di Genova, da dove veniva Valentina Doria (nell'impostazione la composizione si rapporta infatti ai San Giorgio eseguiti in Genova, per Palazzo San Giorgio ad esempio). Sulla parete opposta è l'affresco più complesso, soprattutto dal punto di vista contenutistico. Raffigura il trionfo di San Tommaso, ed è relativo alla conduzione domenicana di Sant'Eustorgio (chiesa dal 1227 definitivamente assegnata ai Domenicani). A San Tommaso era dedicata questa cappella Visconti, e in questo quadro si sottolineava il supporto teologico alla scelta dei Duchi di Milano. L'autore si identifica con Anovelo da Imbonate, o con un maestro vicino a Giusto de' Menabuoi. Questa raffigurazione rappresenta il livello più elevato del ciclo pittorico della cappella, pittoricamente per i suoi riferimenti giotteschi, filtrati dai discepoli del grande pittore, soprattutto Giottino, o dai contatti con Giusto de Menabuoi o Giovanni da Milano, e teologicamente per i riferimenti non tutto ancora chiari. San Tommaso sta seduto al centro della composizione, sul trono visto prospetticamente, con la veste bianca e nera dell'Ordine, la mano benedicente, il libro aperto simbolo della Dottrina (analoghi riferimenti al libro aperto sono nei santi in bassorilievo sul fronte del sottostante sarcofago di Stefano e Valentina). Si propone una esemplificazone della Summa Teologica di Tommaso; in alto nel Cielo volteggiano gli Angeli, al centro sta il Cristo Benedicente, tutt'intorno i simboli degli Evangelisti e i Profeti ancora con il Libro aperto in mano a mostrare i loro riferimenti al Sacro Testo. Il trono di San Tommaso è affiancato dai Dottori della Chiesa, seduti nei seggi che lo attorniano (San Girolamo col cappello rosso da cardinale, rappresentante della scienza religiosa e teologica, Sant'Agostino, ecc. Sotto a queste figure sono i Santi che simboleggiano l'apprendimento, e in positivo e in negativo: un monaco discepolo di Tommaso sulla destra, e dalla parte opposta alcuni eretici, come quello visto di spalle con abiti orientali e il cappello a larghe tese. Altri busti di profeti sono dipinti a monocromo sulla cornice che racchiude questo quadro principale, che mostrano i loro cartigli srotolati. L'elemento preso a riferimento nel campo ereticale era Averroè, il che spostava il clima nella disputa intellettuale. Va inoltre notato come il personaggio vestito all'orientale che lo rappresenta stia tra coloro che apprendono quali studenti la scienza - nel caso l'Aristotelismo - da Tommaso. L'averroismo contendeva alla tomistica la supremazia sull'interpretazione di Aristotele, e la sua corrente di pensiero era in Italia condotta da pensatori quali Taddeo di Parma ed Angelo da Arezzo, che sulle orme del pensiero portato all'Università di Parigi da Giovanni di Jandun, avevano portato questo insegnamento nell'Università di Bologna, e nello stesso periodo si era affermata anche una corrente averroistica all'Università di Padova. Si trattava pertanto di una disputa essenzialmente teologica, pertanto la scena poteva essere più pacata rispetto al caso in cui si fossero considerati degli elementi albigesi, o la stessa lotta agli eretici Catari, dove Tommaso sarebbe apparso invece in posizioni di violenta repressione sull'eresia (ad esempio nell'atto di schiacciare un eretico). Il clima va inoltre probabilmente ricondotto ad un'operazione di riconciliazione, operata dai Domenicani di Sant'Eustorgio, la cui autorevolezza era assicurata dall'aver contato tra i loro membri San Pietro Martire, tra la chiesa ufficiale e i Visconti, massimi esponenti del ghibellinismo italiano, dei quali nel 1320 il pontefice Giovanni XXII aveva scomunicato per eresia nel 1320 l'arcivescovo Giovanni con i fratelli, tra cui appunto Stefano Visconti, sepolto in questa cappella. Sotto il quadro principale sta una rassegna di Santi, inseriti in una serie di arcatelle dipinte, il cui disegno rimanda a quello dell'arco del monumento funebre dirimpettaio per l'ornamento lobato dal ricamo di semicerchi. Tra questi santi sono San Giovanni Battista, Santa Caterina, San Lazzaro, Sant'Enrico, un Santo Cavaliere, un Santo Abate, un Santo Vescovo. Per lo stile sarebbero cronologicamente riconducibili agli anni '70 del Trecento. La cappella ospitava un'altra opera del tardo XIII secolo, precedente alla sua costruzione e quindi originariamente posta in altra collocazione, opera che riveste una notevole importanza nella storia della chiesa di Sant'Eustorgio. Si tratta del crocifisso oggi spostato sopra all'altare maggiore, dipinto su legno del tipo del Cristo Patiens, opera di un ignoto maestro operante tra Padova e Venezia tra il 1270 e il 1315. Esso fu portato in Sant'Eustorgio nel 1288 da Fra Gabio da Cremona e collocato inizialmente al centro della chiesa dove appunto è stato ricollocato in tempi recenti. L'autore è stato individuato nello stesso pittore che aveva affrescato a Padova la cappella Dotto nella chiesa degli Eremitani, al suo tempo noto come una delle maggiori personalità attive nell'area veneta tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo, nell'epoca che precede la rivoluzione giottesca. Appartenente alla generazione cronologicamente prossima o subito successiva a quella di Cimabue, questo artista sa collegare la tradizione bizantina del Cristo Patiens alle nuove esigenze plastico-spaziali delle innovazioni cimabuesche, facendo sua la meniera di rendere il modellato mediante le ombreggiature sfumate. Nei particolari inoltre si stacca decisamente dall'elegante ma tendenzialmente astratta linearità bizantina, ad esempio nel panneggio, e si concentra nella restituzione naturalistica di una serie di particolari naturalistici, ad esempio il sangue che lentamente sta impregnando il perizoma, colando in due strisce verticali. Il riferimento tipologico era quello del Cristo Patiens, la cui diffusione era stata avviata dagli ordini Mendicanti, soprattutto quello Francescano. In questo caso abbiamo uno dei pochi esempi rimasti dell'adozione della medesima tipologia da parte dell'Ordine Domenicano, del quale illustre predecessore era stato il crocifisso di Giunta Pisano in San Domenico a Bologna, del 1250-1254. Sull'onda dell'emozione che l'arrivo di questa croce aveva portato in Sant'Eustorgio e in genere in Milano, fu eseguita, sempre in Sant'Eustorgio, la riproduzione della sua tipologia, quella del Cristo Patiens nell'affresco, di cui resta un frammento, dipinto all'interno della chiesa, sul settimo pilastro a destra della navata centrale. Di questo dipinto non ne rimane che un frammento, nel quale però si legge bene il volto del Cristo Patiens. Dietro al suo capo emerge l'asse della Croce con il cartello, simmetricamente disposti sul retro due angeli lo sorreggono. Il volto, benché sintetizzato, riproduce quello della croce lignea della cappella Visconti; rispetto a questa viene meno il naturalismo spinto, troviamo per esempio la chioma senza le definizioni particolareggiate delle ciocche schiacciate dalla corona di spine e appiccicate al corpo per un misto di sudore e sangue, e anzi genericamente descritta dalle linee ondulate alla maniera grafica corrente; tuttavia l'esempio precedente comporta l'accentuazione del carattere patetico dell'espressione, che procede oltre i limiti delle inibizioni formali bizantineggianti. La datazione per questo frammento è collocata attorno al 1290; e l'autore sarebbe stato identificato con il cosiddetto maestro di San Giovanni in Conca. Roberto Cassanelli (a cura di), Lombardia gotica, Milano, Jaca Book, 2002, ISBN 88-16-60275-9. Visconti Bernabò Visconti Galeazzo II Visconti Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Cappella dei Visconti

Basilica di Sant'Eustorgio
Basilica di Sant'Eustorgio

La basilica di Sant'Eustorgio (nome originario paleocristiano basilica trium magorum) è una basilica cattolica, situata nell'omonima piazza a Milano, nei pressi di Porta Ticinese. Successivamente dedicata a Eustorgio di Milano, venne edificata in epoca romana tardoimperiale nel periodo in cui la città romana di Mediolanum (la moderna Milano) era capitale dell'Impero romano d'Occidente (ruolo che ricoprì dal 286 al 402). È una delle basiliche paleocristiane di Milano. La basilica fu fondata probabilmente intorno all'anno 344. Secondo la tradizione, Sant'Eustorgio ricevette direttamente dall'imperatore Costante I, come dono, un enorme sarcofago di pietra contenente le reliquie dei Magi, da cui il nome originario paleocristiano della basilica, proveniente dalla Basilica di Santa Sofia di Costantinopoli (dove erano stati inumati diversi decenni prima dall'imperatrice Sant'Elena, che li aveva ritrovati durante il suo pellegrinaggio in Terra santa). L'attuale facciata della basilica, il cui progetto originale era risalente al secolo XII, è frutto di un restauro in stile neoromanico, compiuto dall'ingegnere Giovanni Brocca tra il maggio 1864 e l'agosto 1865. Nel transetto destro della basilica è collocato un antico sarcofago romano che conteneva, secondo la tradizione, le spoglie dei tre Magi che Eustorgio trasportò da Costantinopoli alla basilica di Santa Tecla. Le reliquie, che furono trafugate durante il saccheggio delle truppe di Federico Barbarossa nel 1162, furono in parte restituite nel 1904 venendo custodite nella teca posta sopra l'altare della cappella dei Magi. Degne di nota sono anche la cappella dei Visconti e la cappella Portinari, mentre le opere d'arte presenti nella basilica di Sant'Eustorgio che hanno particolare valenza artistica sono l'ancona della Passione, l'arca di Gaspare Visconti, l'arca di san Pietro martire, il monumento funebre a Giacomo Brivio, il monumento funebre a Pietro Torelli e monumento funebre di Stefano e Valentina Visconti. Con sant'Ambrogio iniziò un programma di costruzione di basiliche dedicate alle varie categorie di santi: una basilica per i profeti (la basilica prophetarum, in seguito ridenominata basilica di San Dionigi), una per gli apostoli (la basilica apostolorum, che poi prese il nome di basilica di San Nazaro in Brolo), una per i martiri (la basilica martyrum, che divenne in seguito la basilica di Sant'Ambrogio), una per le vergini (la basilica virginum, ridenominata poi basilica di San Simpliciano). Erano infatti dedicate ciascuna ad una diversa famiglia di santi, dato che non esisteva ancora l'usanza di intitolare le chiese a un solo santo. Il nome originario paleocristiano basilica trium magorum della basilica di Sant'Eustorgio deriva invece dai tre magi, dedicazione poi cambiata in "Sant'Eustorgio". La basilica fu fondata probabilmente intorno all'anno 344 in epoca romana tardoimperiale nel periodo in cui la città romana di Mediolanum (la moderna Milano) era capitale dell'Impero romano d'Occidente (ruolo che ricoprì dal 286 al 402). Secondo la tradizione, Sant'Eustorgio ricevette direttamente dall'imperatore Costante I, come dono, un enorme sarcofago di pietra contenente le reliquie dei Magi, proveniente dalla Basilica di Santa Sofia di Costantinopoli (dove erano stati inumati diversi decenni prima dall'imperatrice Sant'Elena, che li aveva ritrovati durante il suo pellegrinaggio in Terra santa). Trasportato su un carro, questi si fermò nei pressi dei Corpi Santi di Milano, alle porte della città, poiché i buoi che trainavano l'enorme peso, ad un certo punto, crollarono affaticati. Il vescovo Eustorgio, però, interpretò il tutto come volontà delle reliquie stesse al fine di rimanere in quel punto, abbandonando l'idea di essere inumate nella Basilica di Santa Tecla, come era inizialmente previsto. Di conseguenza, venne fatto edificare un nuovo luogo di culto fuori dalle mura cittadine, ovvero una nuova basilica che in seguito venne intitolata proprio a Sant'Eustorgio, il quale chiese di esservi sepolto a sua volta proprio accanto ai Magi stessi. Nel 1162, durante il saccheggio di Milano perpetrato dalle truppe dell'imperatore Federico Barbarossa, comandate da Rainaldo di Dassel, cancelliere imperiale del Barbarossa, si impossessò dei corpi dei Magi due anni dopo, facendoli trasferire nel Duomo di Colonia, dove tuttora si trovano custodite in un prezioso reliquiario realizzato dall'orafo Nicola di Verdun. Nella Basilica di Sant'Eustorgio rimase invece il grande sarcofago, sul cui coperchio vennero scolpite una stella ed una scritta settecentesca Sepulcrum trium Magorum; inoltre, sempre secondo la tradizione, alla città di Milano rimase soltanto una medaglia realizzata con una parte dell'oro donato dai Magi a Gesù, la quale viene esposta ad ogni Epifania vicino al grande sarcofago. Nei secoli successivi, i milanesi tentarono invano di ottenere la restituzione delle reliquie a loro sottratte; fu soltanto nel 1903 che, grazie all'intervento del cardinal Andrea Carlo Ferrari, una piccola parte di esse ritornarono nella Basilica dall'anno successivo (due peroni, una tibia ed una vertebra) ed esse ancora oggi sono conservate in una teca vicino al sarcofago dei Magi. Dal XIII secolo la basilica divenne la sede principale dell'Ordine domenicano a Milano. Nel 1219 Domenico di Guzman vi aveva inviato i primi due confratelli, Giacomo de Ariboldis da Monza e Robaldo di Albenga e l'anno successivo i frati si trasferirono nell'ospedale dei pellegrini presso la basilica, che gli fu definitivamente assegnata dal Papa l'11 aprile 1227. Davanti alla chiesa, tra il 2 e il 9 settembre 1300, furono bruciati vivi, come eretici condannati al rogo, i capi della setta dei guglielmiti: Maifreda da Pirovano, Andrea Saramita, suora Giacoma dei Bassani, e le spoglie di Guglielma la Boema, prelevate dal cimitero dell'Abbazia di Chiaravalle. Tra i secoli XV e XVI fu priore della basilica Teodoro da Sovico, noto per il suo confessionario. L'attuale facciata della basilica, il cui progetto originale era risalente al secolo XII, è frutto di un restauro in stile neoromanico, compiuto dall'ingegnere Giovanni Brocca tra il maggio 1864 e l'agosto 1865. La facciata presenta la tipica forma a capanna, con archetti sporgenti al di sotto del cornicione superiore, tre portali sormontati ciascuno da una lunetta musiva e una bifora con quella del portone centrale affiancata da due monofore. All'angolo sinistro, adiacente alla facciata del convento domenicano, vi è il pulpito dal quale predicava l'inquisitore Pietro Martire. Sul fianco meridionale della basilica prospettano le absidi delle cappelle gentilizie edificate fra Trecento e Quattrocento (v. sotto), restaurate tra il 1864 e il 1872 dall'architetto Enrico Terzaghi, che le liberò dalle sovrastrutture accumulatesi tra il XVII e XVIII secolo. Preziosa fonte di notizie di prima mano sui restauri della basilica è costituita dalla cronaca redatta dal sacerdote Paolo Rotta, che seguì tutte le fasi dell'intervento insieme all'ingegner Andrea Pirovano Visconti: entrambi saranno protagonisti, qualche anno dopo, del salvataggio della chiesa di San Vincenzo in Prato. Il campanile, posto sul retro della chiesa, venne eretto fra il 1297 e il 1309 secondo il tipico stile lombardo a mattoni e conci di pietra. Alto 75 metri, ospita un concerto di 6 campane. Sulla sommità, in luogo della consueta croce, è posta una stella a 8 punte, simbolo della stella che guidò i Magi a Betlemme. Il campanile ospitò il primo orologio pubblico d'Italia. L'interno della basilica, dalla porta maggiore all'abside, misura in lunghezza 70 metri ed è suddiviso in tre navate senza tramezza sormontate da volte a crociera con cordonature cilindriche. La larghezza, escluse le cappelle, è di 24 metri. Sono presenti sette coppie di pilastri a fascio, cinque dei quali composti in modo eterogeneo con coppie alternate di semi colonne e paraste. Di seguito vengono indicati i siti e le opere d'interesse storico artistico facenti parte del complesso della basilica. A decorazione dell'altare maggiore è posta l'Ancona della Passione, commissionata alla fine del Trecento da Gian Galeazzo Visconti, realizzata da più scultori tra i quali Jacopino da Tradate: il polittico in marmo è composto da nove formelle scolpite in rilievo. L'ancona è coronata da statue di santi e cuspidi. Gli scavi archeologici condotti negli anni cinquanta e sessanta del secolo XX hanno portato alla luce frammenti di sepolture, lapidi e vasi che testimoniano l'antichità delle pratiche di culto nell'area cimiteriale della basilica. Vi è conservata la statua in pietra, risalente alla fine del secolo XIII, di Sant'Eugenio Vescovo, vissuto nel secolo IX e grande sostenitore del rito ambrosiano. Vi sono conservate numerose reliquie, preziosi reliquiari e oggetti votivi in argento e metalli dorati dal secolo XIV al XVII. A ridosso della conca dell'abside, si trova l'organo a canne, costruito nel 1962 dalla ditta organaria milanese Balbiani Vegezzi-Bossi. Lo strumento, a trasmissione elettrica con consolle mobile indipendente in navata, alla sinistra del presbiterio, ha due tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32. La mostra dell'organo è composta da canne di principale disposte a palizzata con cassa limitata al basamento. Dietro l'altare maggiore, in corrispondenza della zona absidale sotto il livello del pavimento, sono visibili i resti di una primitiva aula basicale paleocristiana. Nel sottocoro si apre una piccola cappella, interamente decorata con stucchi e affreschi recanti episodi della Bibbia e dei Vangeli, realizzati da Carlo Urbino nel 1575. Sulla pareti della cripta, la Leggenda dei Sette dormienti, anch'essa di Carlo Urbino. Voluta da Gian Galeazzo Visconti per ornare l'altare maggiore, è un capolavoro della scultura milanese del 1347, attribuita a Jacopino da Tradate. Il trittico è costituito da tre formelle cuspidate, contenenti episodi della vita dei Tre Magi. In particolare, al centro è rappresentata l'Adorazione dei Magi, con un concerto angelico sullo sfondo. A sinistra, Annuncio dell'angelo ai magi e la loro partenza, mentre a destra I magi sono ricevuti da Erode. Funge da paliotto d'altare un bassorilievo, anch'esso trecentesco, ritenuto un frammento della tomba di Uberto III Visconti, un tempo conservata nella chiesa. Sotto la mensa, recentemente spostata secondo le norme post conciliari, un sarcofago duecentesco accoglie le spoglie dei Santi Eustorgio, Magno e Onorato. Sul fianco destro della basilica, nonché tra la Sacrestia Monumentale (v. sopra) e la Cappella Portinari (v. sotto), si possono ammirare le seguenti cappelle gentilizie. Cappella gentilizia di forme rinascimentali fatta edificare nel 1484 dalla famiglia Brivio, cui appartenevano importanti feudatari e magistrati della corte di Ludovico il Moro. Accoglie un polittico del secolo XV, capolavoro di Ambrogio da Fossano, che rappresenta una Madonna con bambino fra San Giacomo apostolo e Sant'Enrico vescovo. Sulla parete sinistra si trova il monumento sepolcrale di Giacomo Stefano Brivio. Il monumento fu commissionato dal figlio Giovanni Francesco Brivio allo scultore Francesco Cazzaniga e completato dopo la morte di quest'ultimo (1486) dal fratello Tommaso Cazzaniga e da Benedetto Briosco, attivi negli stessi anni alla Certosa di Pavia. Il sarcofago rettangolare in marmo bianco si eleva su colonne a candelabra decorate con motivi floreali. Al di sopra del sepolcro si trovano le figure del Padre Eterno benedicente fra Angeli inginocchiati e una Madonna col bambino. L'arca è ornata da cinque bassorilievi: l'Annunciazione, la Natività, l'Adorazione dei Magi, la Circoncisione e la Fuga in Egitto. Costruita dalla famiglia Torelli tra il 1422 e il 1439 in stile gotico. Di particolare valore il monumento funebre a Pietro Torelli attribuito a Jacopino da Tradate. Il sarcofago poggia su sei eleganti colonne tortili, cui fanno da basamento tre leoni accucciati con espressioni fortemente caratterizzate e diverse fra loro. Una raffinata decorazione tardo-gotica copre la cassa, entro cui si aprono cinque nicchie con quattro santi ai lati e al centro la Madonna col Bambino. Il gruppo centrale è composto da Madonna in trono col Bambino, che pone la mano sul capo del defunto inginocchiato in contemplazione. La morbidezza delle vesti e l'inconsueto gesto protettivo della Madonna conferiscono grande dolcezza alla rappresentazione. Sopra il sarcofago si trova il defunto giacente e un baldacchino coronato da una fastosa edicola con Dio Padre benedicente. La decorazione ad affresco della volta e delle pareti si deve a Giovan Mauro della Rovere, detto il Fiammenghino, eseguita nel 1636 mentre l'altare marmoreo di San Domenico è del XVIII secolo. L'originaria struttura quattrocentesca fu trasformata in forme tardo barocche da Francesco Croce (1732). Vi si trova la venerata statua della Madonna del Rosario. Sulla parete sinistra, grande tela di Ambrogio da Figino raffigurante Sant'Ambrogio sconfigge gli ariani e, sotto di essa, il sarcofago funerario trecentesco di Protasio Caimi, attribuito a Bonino da Campione. La cappella, realizzata su commissione di Matteo Visconti nel secolo XIII, accoglie il crocifisso, del medesimo periodo, dipinto del maestro che decorò la cappella Dotto nella chiesa degli Eremitani a Padova. Sulla volta, affreschi trecenteschi con i Quattro Evangelisti, sulla parete sinistra affresco del Trionfo di San Tommaso ed il monumento funebre di Stefano e Valentina Visconti, opera di maestri campionesi. È stata decorata alla fine del Cinquecento da Carlo Urbino e Andrea Pellegrini. Pala d'altare del Fiammenghino raffigurante la Madonna col Bambino, San Francesco e Santa Lucia. Vi sono collocati l'Arca di Gaspare Visconti, dei signori di Angera e Fontaneto e di Agnese Besozzi, tutti risalenti alla prima metà del Quattrocento. All'altare, pala con San Tommaso davanti al crocifisso della scuola di Camillo Procaccini. Gli affreschi della volta, opera di Michelino da Besozzo e databili intorno al 1440, rappresentano i simboli dei quattro evangelisti. Sulla parete sinistra La strage degli Innocenti di Giovan Cristoforo Storer. Nel transetto destro della basilica è collocato un antico sarcofago romano che conteneva, secondo la tradizione, le spoglie dei tre Magi che Eustorgio trasportò da Costantinopoli alla basilica di Santa Tecla. Come già detto, le reliquie furono trafugate durante il saccheggio delle truppe di Federico Barbarossa nel 1162. In parte restituite nel 1904, sono attualmente custodite nella teca posta sopra l'altare della cappella. A fianco del sarcofago, l'affresco trecentesco con Sant'Eustorgio benedicente. Sull'arcone d'ingresso, in alto, un dipinto di fine Quattrocento raffigura l'Adorazione dei Magi. Detta anche dell'Annunciata o Secchi, si trova sul lato sinistro della basilica, tra la Sacrestia Monumentale (v. sopra) e la Cappella Portinari (v. sotto). Nel 1620 Daniele Crespi ne decorò la volta con San Paolo rapito in cielo e la scena della Visitazione sulla parete sinistra. Nella campata antistante la cappella è collocato l'affresco strappato della Madonna del latte attribuita al maestro dei giochi Borromeo. Detta anche degli Arluno (dall'omonima famiglia nobiliare), si trova sul lato opposto alla Cappella di San Paolo (v. sopra). Sulla parete destra affresco trecentesco con Cristo che appare a San Domenico. In fondo alla basilica è presente la maestosa cappella edificata tra il 1462 e il 1468 per volere del fiorentino Pigello Portinari, agente del Banco Mediceo a Milano, in onore di San Pietro Martire, predicatore domenicano ucciso da un eretico nel 1252. Lo stesso Pigello fu qui sepolto nel 1468. La cappella, a pianta centrale e composta da due vani a pianta quadrata sormontati da cupole, costituisce la più evidente testimonianza dell'applicazione dell'architettura di stampo fiorentino nella Milano del secolo XV. Il progetto e le decorazioni scultoree rimangono a tutt'oggi di difficile attribuzione, mentre il ciclo di affreschi, con episodi della vita del Santo e della Vergine, è un capolavoro di Vincenzo Foppa. Il ciclo comprende Annunciazione (parete frontale), Assunzione della Vergine (parete d'ingresso), il Miracolo del Piede risanato e il Martirio di San Pietro Martire (parete sinistra), il Miracolo della nube e il Miracolo della falsa Madonna (parete destra). Nei pennacchi, all'interno di quattro oculi sono raffigurati i quattro padri della chiesa: San Gregorio Magno, San Gerolamo, Sant'Ambrogio e Sant'Agostino. Sull'altare è visibile il ritratto del committente Pigello Portinari, inginocchiato davanti a San Pietro Martire. All'ingresso della cappella si conservano, nella loro collocazione originaria, i due grandi candelieri in bronzo fuso realizzati nel 1653 dal Garavaglia. Al centro della cappella Portinari si trova la celebre Arca di san Pietro Martire, capolavoro di Giovanni di Balduccio, della scuola di Giovanni Pisano, commissionata dai domenicani perché vi fossero deposti i resti del Santo. La paternità dell'opera è confermata dall'iscrizione posta sul sarcofago: "MAGISTER IOANNES BALDUCII DE PISIS SCULPSIT HANC ARCAM ANNO DOMINI MCCCXXXVIIII" ("Il maestro Giovanni di Balduccio da Pisa scolpì quest'arca nell'anno del Signore 1339"). Il sarcofago in marmo di Carrara è composto da una cassa rettangolare con coperchio a tronco di piramide sul quale è collocato un tabernacolo a cuspide che sovrasta le statue a tutto tondo di Maria assisa, san Domenico e san Pietro Martire. È sorretto da otto pilastri in marmo rosso di Verona, ai quali sono addossate otto statue raffiguranti le virtù cardinali (frontali da sinistra: la Giustizia, la Temperanza, la Fortezza, la Prudenza) e teologali (posteriori da sinistra: l'Obbedienza, la Speranza, la Fede, la Carità). Sopra queste, le formelle che circondano il sarcofago rappresentano, da sinistra: i Funerali del Santo, la Canonizzazione del Santo, il Miracolo della Nave, la Traslazione del corpo del Santo, il Miracolo del muto, il Miracolo della nube, la Guarigione dell'infermo e dell'epilettico, l'Uccisione del Santo. Michele Caffi, Della Chiesa di Sant'Eustorgio in Milano illustrazione storico-monumentale-epigrafica, G. Boniardi-Pogliani, 1841 Fabbri, Bucci, Milano Arte e Storia, Bonechi 2004 ISBN 88-476-1400-7 Maria Teresa Fiorio, Le chiese di Milano, Electa, Milano, 2006. Mina Gregori (a cura di), Pittura a Milano, Rinascimento e Manierismo, Cariplo, Milano 1999. Guido Lòpez, I Signori di Milano, Newton & Compton, 2002 ISBN 88-8289-951-9 S. Paoli (a cura di), Lo sguardo della fotografia sulla città ottocentesca. Milano 1839-1899, Umberto Allemandi & C., Torino 2010 ISBN 978-88-422-1895-1 M.C. Passoni, J. Stoppa, Il tardogotico e il rinascimento, in "Itinerari di Milano e provincia", Provincia di Milano, Milano, 2000. Milano Touring Club Italiano 2003 ISBN 88-365-2766-3 Paolino Spreafico, La Basilica di S. Eustorgio ritornata antica e vera, Milano, 1970. Ancona della Passione Arca di Gaspare Visconti Arca di san Pietro martire Basiliche paleocristiane di Milano Cappella dei Visconti Cappella Portinari Vincenzo Foppa Mediolanum Eustorgio di Milano Monumento funebre a Giacomo Brivio Monumento funebre a Pietro Torelli Monumento funebre di Stefano e Valentina Visconti Museo della Basilica di Sant'Eustorgio Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla basilica di Sant'Eustorgio Sito ufficiale, su santeustorgio.it. (EN) Basilica di Sant'Eustorgio, su Structurae. Basilica di Sant'Eustorgio, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Basilica di Sant'Eustorgio, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.