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Porta Ticinese

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Veduta della Porta Ticinese, Milano, vista dal corso San Gottardo verso il centro
Veduta della Porta Ticinese, Milano, vista dal corso San Gottardo verso il centro

Porta Ticinese (Porta Cicca in dialetto milanese, dallo spagnolo chica, piccola), denominata Porta Marengo in epoca napoleonica, è una delle sei porte principali di Milano, ricavata lungo i bastioni spagnoli, oggi demoliti. Posta a sud della città, si apriva lungo la strada per Pavia. Caratterizzata oggi dalla presenza della porta neoclassica del Cagnola (1802-1814) e degli annessi caselli daziari, sorge al centro di piazza XXIV Maggio, allo sbocco di corso di Porta Ticinese. In passato porta Ticinese identificava inoltre uno dei sei sestieri storici in cui era divisa la città, il Sestiere di Porta Ticinese.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Porta Ticinese (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Porta Ticinese
Piazza Ventiquattro Maggio, Milano Municipio 5

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Porta Ticinese

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Veduta della Porta Ticinese, Milano, vista dal corso San Gottardo verso il centro
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Luoghi vicini

Piazza XXIV Maggio (Milano)
Piazza XXIV Maggio (Milano)

Piazza XXIV Maggio è una piazza di Milano al centro della quale si trova la Porta Ticinese. Anticamente era denominata piazza del mercato ticinese. Il nome recente di Piazza XXIV Maggio ricorda il giorno dell'entrata in guerra dell'Italia nel primo conflitto mondiale, nel 1915. La quercia piantata dopo il conflitto vuole onorare la memoria di un giovane caduto durante la guerra e dei compagni caduti con lui. L'area ha ospitato storicamente la sede della dogana sulla darsena e dal 1601 è stato un sito utilizzato per il mercato delle bestie da macello e dei cavalli trovandosi sulla strada di chi arriva da sud oppure vi giugeva dai navigli. Alla fine del XVIII secolo la piazza è stata riorganizzata delimitando in modo più netto il territorio urbano rispetto alle aree rurali attorno. Dal 2004 sono iniziati opere di riqualificazione e molte parti della piazza sono divenute aree pedonali o zone verdi. Porta Ticinese. Quercia rossa. Palazzo monumentale in piazza XXIV maggio 12. Vittore Buzzi, Claudio Buzzi, Le vie di Milano: dizionario della toponomastica milanese, Milano, U. Hoepli, 2006, ISBN 9788820334956, OCLC 836098020. Bruno Pellegrino, Così era Milano. 2, Porta Ticinese. Genova, Milano, Meravigli Edizioni, 2019, OCLC 1154462021. Porta Ticinese Porta Ticinese (medievale) Colonne di San Lorenzo Parco Papa Giovanni Paolo II (Milano) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Piazza XXIV Maggio Milano festeggia il compleanno della Quercia di Piazza XXIV Maggio, su comune.milano.it. URL consultato il 17 giugno 2024.

Museo della Basilica di Sant'Eustorgio
Museo della Basilica di Sant'Eustorgio

Il Museo della Basilica di Sant'Eustorgio è un museo italiano situato a Milano, collocato all'interno del chiostro e in alcuni ambienti annessi alla Basilica di Sant'Eustorgio, uno degli edifici più antichi di Milano. E' particolarmente noto per la Cappella Portinari. Il museo, che sorge sulle rovine di una necropoli paleocristiana, è stato istituito per conservare, valorizzare e promuovere la conoscenza del patrimonio storico-artistico proveniente dalla Basilica stessa. L'itinerario museale si sviluppa in sei sezioni espositive oltre al cimitero paleocristiano, che comprendono anche la visita delle Cappelle Solariane e la nota Cappella Portinari. La prima sezione è collocata nel portico del chiostro e ospita i resti archeologici della necropoli cristiana trovata negli scavi degli anni cinquanta e sessanta del Novecento, insieme a pietre tombali e lastre di marmo. Sulle pareti è presente uno stemma vescovile antico e vari reliquiari. Nella successiva area archeologica sono presenti i resti della necropoli scoperta negli scavi dei primi anni sessanta. Si prosegue nella vecchia sala capitolare, dove si trovano diverse statue, la più importante delle quali è quella di sant'Eugenio, e nella vecchia sagrestia, dove si conservano reliquiari, ex voto e oggetti liturgici dal XIV al XVII secolo. Seguono due cappelle laterali, in stile gotico e collegate da un corridoio. La prima, dedicata a san Francesco, fu commissionata dalla famiglia Arlun e contiene un affresco anonimo di Gesù che appare a san Domenico di Guzmán; la seconda, dedicata a san Paolo, è stata commissionata dalla famiglia Sach e contiene una Madonna di lacca della scuola di Borromini e una effigie di san Paolo condotto in Paradiso di Daniele Crespi. Infine la Cappella Portinari, commissionata dal nobile toscano Pigello Portinari, che è stato sepolto nella cappella insieme a san Pietro Martire, sepolto sotto l'altare nel 1737. Oltre alla sua arca, ci sono diversi affreschi di santi e dei quattro grandi Dottori della Chiesa (sant'Ireneo, sant'Ambrogio, sant'Agostino e san Gregorio Magno), insieme alle statue che rappresentano sia i Dottori che i miracoli del santo. Gian Alberto Dell'Acqua (a cura di), La basilica di Sant'Eustorgio in Milano, Milano, 1984. Erminia Giacomini Miari e Paola Mariani, Musei religiosi in Italia, Milano, Touring Club Italiano, 2005, pp. 141 - 142, ISBN 9788836536535. Milano, collana Guide Rosse, Milano, Touring Club Italiano, 2007, pp. 370 - 372, ISBN 9788836543243. Basilica di Sant'Eustorgio Cappella Portinari Grande Museo del Duomo di Milano Museo dei Cappuccini (Milano) Museo della Basilica di Sant'Ambrogio Museo diocesano (Milano) Museo delle culture (Milano) Pietro da Verona Pinacoteca Ambrosiana Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo della Basilica di Sant'Eustorgio Sito ufficiale, su chiostrisanteustorgio.it.

Cappella dei Visconti
Cappella dei Visconti

La cappella dei Visconti o di San Tommaso si trova tra le cappelle del fianco destro della chiesa milanese di Sant'Eustorgio, la quarta entrando sul fianco destro. Questa cappella venne aperta nel 1297, per Matteo Visconti, vicario imperiale e capitano del Popolo a Milano, il cui ritratto in bassorilievo si trova sulla fronte esterna della cappella, sul fianco meridionale di Sant'Eustorgio. La cappella era realizzata secondo un impianto a piccola aula, sul quale si modellano le successive cappelle di questo lato (ad essa precedente è quella verso il presbiterio, le altre sono ad essa successive). Era originariamente affrescata, e di queste pitture restano solo in parte quelle della volta e delle parti superiori delle pareti. Le pitture più antiche sono quelle della volta. Risalgono queste agli anni tra il secondo decennio del Trecento e il 1330; l'autore, per l'espressività delle loro figure, sembra provenire dall'ambito emiliano, fattore evidenziato anche dal modo di definire la ricca varietà delle pieghe dei panneggi. Nelle quattro vele definite dai costoloni della crociera stanno le figure dei quattro Evangelisti, inseriti in architetture prospetticamente viste. Si tratta di una prospettiva ancora ai suoi esordi, che se da una parte si richiama a Giotto, presente a Milano in quegli anni alla corte di Azzo Visconti, presenta al confronto ancora numerosi errori o incertezze nella rappresentazione spaziale. Forse la difficoltà maggiore l'artista la incontrò nell'inserire la figura umana nell'ambiente architettonico, dato che qui essa appare o troppo compressa o quasi galleggiante nello spazio prospettico, senza che i suoi piedi riescano a poggiare saldamente sul terreno come avviene per la figura di Giotto. Il monumento risale al 1359 e fu realizzato da maestri campionesi della cerchia di Bonino da Campione: il monumento si presenta allo stato attuale privo di alcune parti sottratte nei secoli al complesso. L'opera può essere idealmente suddivisa in tre parti: le colonne tortili che reggono il complesso, il sarcofago e l'edicola. Il sarcofago è ornato con i bassorilievi della Madonna col Bambino in trono tra santi e Stefano e Valentina Visconti, ed è sormontato da una statua della Vergine. L'edicola è retta da colonne tortili identiche a quelle che reggono tutto il complesso e termina in una cuspide con ai lati due sculture di Angeli e al centro un Cristo benedicente. Il complesso si presenta come un tipico lavoro del gotico già maturo del secondo Trecento dei maestri campionesi. Gli affreschi delle pareti della cappella sono successivi a quelli con gli evangelisti sulla volta. Erano stati scialbati, e vennero riscoperti e riportati alla luce scrostando un successivo intonaco nel restauro del 1868. Appartengono alla seconda metà del Trecento, successivi di poco alla collocazione del monumento sepolcrale di Stefano Visconti e Valentina Doria. La prima pittura eseguita è quella, accanto al timpano del monumento funebre e al centro della parete, del Biscione visconteo, semplice simbolo araldico e coeovo alla tomba. Sopra di esso, nella lunetta sotto la crociera, è un San Giorgio. Il santo guerriero appena fuori dalle mura della città è col suo cavallo sopra il drago che sta trafiggendo con la sottile lancia. A destra sta la principessa e a sinistra dalle mura della città i nobili osservano con curiosità la scena. Tale affresco viene attribuito al Maestro di Lentate, artista individuato in una serie di affreschi dell'oratorio visconteo di Lentate sul Seveso. Questa pittura non mostra caratteri specifici e si risolve nella figura araldica del santo, patrono tra l'altro di Genova, da dove veniva Valentina Doria (nell'impostazione la composizione si rapporta infatti ai San Giorgio eseguiti in Genova, per Palazzo San Giorgio ad esempio). Sulla parete opposta è l'affresco più complesso, soprattutto dal punto di vista contenutistico. Raffigura il trionfo di San Tommaso, ed è relativo alla conduzione domenicana di Sant'Eustorgio (chiesa dal 1227 definitivamente assegnata ai Domenicani). A San Tommaso era dedicata questa cappella Visconti, e in questo quadro si sottolineava il supporto teologico alla scelta dei Duchi di Milano. L'autore si identifica con Anovelo da Imbonate, o con un maestro vicino a Giusto de' Menabuoi. Questa raffigurazione rappresenta il livello più elevato del ciclo pittorico della cappella, pittoricamente per i suoi riferimenti giotteschi, filtrati dai discepoli del grande pittore, soprattutto Giottino, o dai contatti con Giusto de Menabuoi o Giovanni da Milano, e teologicamente per i riferimenti non tutto ancora chiari. San Tommaso sta seduto al centro della composizione, sul trono visto prospetticamente, con la veste bianca e nera dell'Ordine, la mano benedicente, il libro aperto simbolo della Dottrina (analoghi riferimenti al libro aperto sono nei santi in bassorilievo sul fronte del sottostante sarcofago di Stefano e Valentina). Si propone una esemplificazone della Summa Teologica di Tommaso; in alto nel Cielo volteggiano gli Angeli, al centro sta il Cristo Benedicente, tutt'intorno i simboli degli Evangelisti e i Profeti ancora con il Libro aperto in mano a mostrare i loro riferimenti al Sacro Testo. Il trono di San Tommaso è affiancato dai Dottori della Chiesa, seduti nei seggi che lo attorniano (San Girolamo col cappello rosso da cardinale, rappresentante della scienza religiosa e teologica, Sant'Agostino, ecc. Sotto a queste figure sono i Santi che simboleggiano l'apprendimento, e in positivo e in negativo: un monaco discepolo di Tommaso sulla destra, e dalla parte opposta alcuni eretici, come quello visto di spalle con abiti orientali e il cappello a larghe tese. Altri busti di profeti sono dipinti a monocromo sulla cornice che racchiude questo quadro principale, che mostrano i loro cartigli srotolati. L'elemento preso a riferimento nel campo ereticale era Averroè, il che spostava il clima nella disputa intellettuale. Va inoltre notato come il personaggio vestito all'orientale che lo rappresenta stia tra coloro che apprendono quali studenti la scienza - nel caso l'Aristotelismo - da Tommaso. L'averroismo contendeva alla tomistica la supremazia sull'interpretazione di Aristotele, e la sua corrente di pensiero era in Italia condotta da pensatori quali Taddeo di Parma ed Angelo da Arezzo, che sulle orme del pensiero portato all'Università di Parigi da Giovanni di Jandun, avevano portato questo insegnamento nell'Università di Bologna, e nello stesso periodo si era affermata anche una corrente averroistica all'Università di Padova. Si trattava pertanto di una disputa essenzialmente teologica, pertanto la scena poteva essere più pacata rispetto al caso in cui si fossero considerati degli elementi albigesi, o la stessa lotta agli eretici Catari, dove Tommaso sarebbe apparso invece in posizioni di violenta repressione sull'eresia (ad esempio nell'atto di schiacciare un eretico). Il clima va inoltre probabilmente ricondotto ad un'operazione di riconciliazione, operata dai Domenicani di Sant'Eustorgio, la cui autorevolezza era assicurata dall'aver contato tra i loro membri San Pietro Martire, tra la chiesa ufficiale e i Visconti, massimi esponenti del ghibellinismo italiano, dei quali nel 1320 il pontefice Giovanni XXII aveva scomunicato per eresia nel 1320 l'arcivescovo Giovanni con i fratelli, tra cui appunto Stefano Visconti, sepolto in questa cappella. Sotto il quadro principale sta una rassegna di Santi, inseriti in una serie di arcatelle dipinte, il cui disegno rimanda a quello dell'arco del monumento funebre dirimpettaio per l'ornamento lobato dal ricamo di semicerchi. Tra questi santi sono San Giovanni Battista, Santa Caterina, San Lazzaro, Sant'Enrico, un Santo Cavaliere, un Santo Abate, un Santo Vescovo. Per lo stile sarebbero cronologicamente riconducibili agli anni '70 del Trecento. La cappella ospitava un'altra opera del tardo XIII secolo, precedente alla sua costruzione e quindi originariamente posta in altra collocazione, opera che riveste una notevole importanza nella storia della chiesa di Sant'Eustorgio. Si tratta del crocifisso oggi spostato sopra all'altare maggiore, dipinto su legno del tipo del Cristo Patiens, opera di un ignoto maestro operante tra Padova e Venezia tra il 1270 e il 1315. Esso fu portato in Sant'Eustorgio nel 1288 da Fra Gabio da Cremona e collocato inizialmente al centro della chiesa dove appunto è stato ricollocato in tempi recenti. L'autore è stato individuato nello stesso pittore che aveva affrescato a Padova la cappella Dotto nella chiesa degli Eremitani, al suo tempo noto come una delle maggiori personalità attive nell'area veneta tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo, nell'epoca che precede la rivoluzione giottesca. Appartenente alla generazione cronologicamente prossima o subito successiva a quella di Cimabue, questo artista sa collegare la tradizione bizantina del Cristo Patiens alle nuove esigenze plastico-spaziali delle innovazioni cimabuesche, facendo sua la meniera di rendere il modellato mediante le ombreggiature sfumate. Nei particolari inoltre si stacca decisamente dall'elegante ma tendenzialmente astratta linearità bizantina, ad esempio nel panneggio, e si concentra nella restituzione naturalistica di una serie di particolari naturalistici, ad esempio il sangue che lentamente sta impregnando il perizoma, colando in due strisce verticali. Il riferimento tipologico era quello del Cristo Patiens, la cui diffusione era stata avviata dagli ordini Mendicanti, soprattutto quello Francescano. In questo caso abbiamo uno dei pochi esempi rimasti dell'adozione della medesima tipologia da parte dell'Ordine Domenicano, del quale illustre predecessore era stato il crocifisso di Giunta Pisano in San Domenico a Bologna, del 1250-1254. Sull'onda dell'emozione che l'arrivo di questa croce aveva portato in Sant'Eustorgio e in genere in Milano, fu eseguita, sempre in Sant'Eustorgio, la riproduzione della sua tipologia, quella del Cristo Patiens nell'affresco, di cui resta un frammento, dipinto all'interno della chiesa, sul settimo pilastro a destra della navata centrale. Di questo dipinto non ne rimane che un frammento, nel quale però si legge bene il volto del Cristo Patiens. Dietro al suo capo emerge l'asse della Croce con il cartello, simmetricamente disposti sul retro due angeli lo sorreggono. Il volto, benché sintetizzato, riproduce quello della croce lignea della cappella Visconti; rispetto a questa viene meno il naturalismo spinto, troviamo per esempio la chioma senza le definizioni particolareggiate delle ciocche schiacciate dalla corona di spine e appiccicate al corpo per un misto di sudore e sangue, e anzi genericamente descritta dalle linee ondulate alla maniera grafica corrente; tuttavia l'esempio precedente comporta l'accentuazione del carattere patetico dell'espressione, che procede oltre i limiti delle inibizioni formali bizantineggianti. La datazione per questo frammento è collocata attorno al 1290; e l'autore sarebbe stato identificato con il cosiddetto maestro di San Giovanni in Conca. Roberto Cassanelli (a cura di), Lombardia gotica, Milano, Jaca Book, 2002, ISBN 88-16-60275-9. Visconti Bernabò Visconti Galeazzo II Visconti Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Cappella dei Visconti

Basilica di Sant'Eustorgio
Basilica di Sant'Eustorgio

La basilica di Sant'Eustorgio (nome originario paleocristiano basilica trium magorum) è una basilica cattolica, situata nell'omonima piazza a Milano, nei pressi di Porta Ticinese. Successivamente dedicata a Eustorgio di Milano, venne edificata in epoca romana tardoimperiale nel periodo in cui la città romana di Mediolanum (la moderna Milano) era capitale dell'Impero romano d'Occidente (ruolo che ricoprì dal 286 al 402). È una delle basiliche paleocristiane di Milano. La basilica fu fondata probabilmente intorno all'anno 344. Secondo la tradizione, Sant'Eustorgio ricevette direttamente dall'imperatore Costante I, come dono, un enorme sarcofago di pietra contenente le reliquie dei Magi, da cui il nome originario paleocristiano della basilica, proveniente dalla Basilica di Santa Sofia di Costantinopoli (dove erano stati inumati diversi decenni prima dall'imperatrice Sant'Elena, che li aveva ritrovati durante il suo pellegrinaggio in Terra santa). L'attuale facciata della basilica, il cui progetto originale era risalente al secolo XII, è frutto di un restauro in stile neoromanico, compiuto dall'ingegnere Giovanni Brocca tra il maggio 1864 e l'agosto 1865. Nel transetto destro della basilica è collocato un antico sarcofago romano che conteneva, secondo la tradizione, le spoglie dei tre Magi che Eustorgio trasportò da Costantinopoli alla basilica di Santa Tecla. Le reliquie, che furono trafugate durante il saccheggio delle truppe di Federico Barbarossa nel 1162, furono in parte restituite nel 1904 venendo custodite nella teca posta sopra l'altare della cappella dei Magi. Degne di nota sono anche la cappella dei Visconti e la cappella Portinari, mentre le opere d'arte presenti nella basilica di Sant'Eustorgio che hanno particolare valenza artistica sono l'ancona della Passione, l'arca di Gaspare Visconti, l'arca di san Pietro martire, il monumento funebre a Giacomo Brivio, il monumento funebre a Pietro Torelli e monumento funebre di Stefano e Valentina Visconti. Con sant'Ambrogio iniziò un programma di costruzione di basiliche dedicate alle varie categorie di santi: una basilica per i profeti (la basilica prophetarum, in seguito ridenominata basilica di San Dionigi), una per gli apostoli (la basilica apostolorum, che poi prese il nome di basilica di San Nazaro in Brolo), una per i martiri (la basilica martyrum, che divenne in seguito la basilica di Sant'Ambrogio), una per le vergini (la basilica virginum, ridenominata poi basilica di San Simpliciano). Erano infatti dedicate ciascuna ad una diversa famiglia di santi, dato che non esisteva ancora l'usanza di intitolare le chiese a un solo santo. Il nome originario paleocristiano basilica trium magorum della basilica di Sant'Eustorgio deriva invece dai tre magi, dedicazione poi cambiata in "Sant'Eustorgio". La basilica fu fondata probabilmente intorno all'anno 344 in epoca romana tardoimperiale nel periodo in cui la città romana di Mediolanum (la moderna Milano) era capitale dell'Impero romano d'Occidente (ruolo che ricoprì dal 286 al 402). Secondo la tradizione, Sant'Eustorgio ricevette direttamente dall'imperatore Costante I, come dono, un enorme sarcofago di pietra contenente le reliquie dei Magi, proveniente dalla Basilica di Santa Sofia di Costantinopoli (dove erano stati inumati diversi decenni prima dall'imperatrice Sant'Elena, che li aveva ritrovati durante il suo pellegrinaggio in Terra santa). Trasportato su un carro, questi si fermò nei pressi dei Corpi Santi di Milano, alle porte della città, poiché i buoi che trainavano l'enorme peso, ad un certo punto, crollarono affaticati. Il vescovo Eustorgio, però, interpretò il tutto come volontà delle reliquie stesse al fine di rimanere in quel punto, abbandonando l'idea di essere inumate nella Basilica di Santa Tecla, come era inizialmente previsto. Di conseguenza, venne fatto edificare un nuovo luogo di culto fuori dalle mura cittadine, ovvero una nuova basilica che in seguito venne intitolata proprio a Sant'Eustorgio, il quale chiese di esservi sepolto a sua volta proprio accanto ai Magi stessi. Nel 1162, durante il saccheggio di Milano perpetrato dalle truppe dell'imperatore Federico Barbarossa, comandate da Rainaldo di Dassel, cancelliere imperiale del Barbarossa, si impossessò dei corpi dei Magi due anni dopo, facendoli trasferire nel Duomo di Colonia, dove tuttora si trovano custodite in un prezioso reliquiario realizzato dall'orafo Nicola di Verdun. Nella Basilica di Sant'Eustorgio rimase invece il grande sarcofago, sul cui coperchio vennero scolpite una stella ed una scritta settecentesca Sepulcrum trium Magorum; inoltre, sempre secondo la tradizione, alla città di Milano rimase soltanto una medaglia realizzata con una parte dell'oro donato dai Magi a Gesù, la quale viene esposta ad ogni Epifania vicino al grande sarcofago. Nei secoli successivi, i milanesi tentarono invano di ottenere la restituzione delle reliquie a loro sottratte; fu soltanto nel 1903 che, grazie all'intervento del cardinal Andrea Carlo Ferrari, una piccola parte di esse ritornarono nella Basilica dall'anno successivo (due peroni, una tibia ed una vertebra) ed esse ancora oggi sono conservate in una teca vicino al sarcofago dei Magi. Dal XIII secolo la basilica divenne la sede principale dell'Ordine domenicano a Milano. Nel 1219 Domenico di Guzman vi aveva inviato i primi due confratelli, Giacomo de Ariboldis da Monza e Robaldo di Albenga e l'anno successivo i frati si trasferirono nell'ospedale dei pellegrini presso la basilica, che gli fu definitivamente assegnata dal Papa l'11 aprile 1227. Davanti alla chiesa, tra il 2 e il 9 settembre 1300, furono bruciati vivi, come eretici condannati al rogo, i capi della setta dei guglielmiti: Maifreda da Pirovano, Andrea Saramita, suora Giacoma dei Bassani, e le spoglie di Guglielma la Boema, prelevate dal cimitero dell'Abbazia di Chiaravalle. Tra i secoli XV e XVI fu priore della basilica Teodoro da Sovico, noto per il suo confessionario. L'attuale facciata della basilica, il cui progetto originale era risalente al secolo XII, è frutto di un restauro in stile neoromanico, compiuto dall'ingegnere Giovanni Brocca tra il maggio 1864 e l'agosto 1865. La facciata presenta la tipica forma a capanna, con archetti sporgenti al di sotto del cornicione superiore, tre portali sormontati ciascuno da una lunetta musiva e una bifora con quella del portone centrale affiancata da due monofore. All'angolo sinistro, adiacente alla facciata del convento domenicano, vi è il pulpito dal quale predicava l'inquisitore Pietro Martire. Sul fianco meridionale della basilica prospettano le absidi delle cappelle gentilizie edificate fra Trecento e Quattrocento (v. sotto), restaurate tra il 1864 e il 1872 dall'architetto Enrico Terzaghi, che le liberò dalle sovrastrutture accumulatesi tra il XVII e XVIII secolo. Preziosa fonte di notizie di prima mano sui restauri della basilica è costituita dalla cronaca redatta dal sacerdote Paolo Rotta, che seguì tutte le fasi dell'intervento insieme all'ingegner Andrea Pirovano Visconti: entrambi saranno protagonisti, qualche anno dopo, del salvataggio della chiesa di San Vincenzo in Prato. Il campanile, posto sul retro della chiesa, venne eretto fra il 1297 e il 1309 secondo il tipico stile lombardo a mattoni e conci di pietra. Alto 75 metri, ospita un concerto di 6 campane. Sulla sommità, in luogo della consueta croce, è posta una stella a 8 punte, simbolo della stella che guidò i Magi a Betlemme. Il campanile ospitò il primo orologio pubblico d'Italia. L'interno della basilica, dalla porta maggiore all'abside, misura in lunghezza 70 metri ed è suddiviso in tre navate senza tramezza sormontate da volte a crociera con cordonature cilindriche. La larghezza, escluse le cappelle, è di 24 metri. Sono presenti sette coppie di pilastri a fascio, cinque dei quali composti in modo eterogeneo con coppie alternate di semi colonne e paraste. Di seguito vengono indicati i siti e le opere d'interesse storico artistico facenti parte del complesso della basilica. A decorazione dell'altare maggiore è posta l'Ancona della Passione, commissionata alla fine del Trecento da Gian Galeazzo Visconti, realizzata da più scultori tra i quali Jacopino da Tradate: il polittico in marmo è composto da nove formelle scolpite in rilievo. L'ancona è coronata da statue di santi e cuspidi. Gli scavi archeologici condotti negli anni cinquanta e sessanta del secolo XX hanno portato alla luce frammenti di sepolture, lapidi e vasi che testimoniano l'antichità delle pratiche di culto nell'area cimiteriale della basilica. Vi è conservata la statua in pietra, risalente alla fine del secolo XIII, di Sant'Eugenio Vescovo, vissuto nel secolo IX e grande sostenitore del rito ambrosiano. Vi sono conservate numerose reliquie, preziosi reliquiari e oggetti votivi in argento e metalli dorati dal secolo XIV al XVII. A ridosso della conca dell'abside, si trova l'organo a canne, costruito nel 1962 dalla ditta organaria milanese Balbiani Vegezzi-Bossi. Lo strumento, a trasmissione elettrica con consolle mobile indipendente in navata, alla sinistra del presbiterio, ha due tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32. La mostra dell'organo è composta da canne di principale disposte a palizzata con cassa limitata al basamento. Dietro l'altare maggiore, in corrispondenza della zona absidale sotto il livello del pavimento, sono visibili i resti di una primitiva aula basicale paleocristiana. Nel sottocoro si apre una piccola cappella, interamente decorata con stucchi e affreschi recanti episodi della Bibbia e dei Vangeli, realizzati da Carlo Urbino nel 1575. Sulla pareti della cripta, la Leggenda dei Sette dormienti, anch'essa di Carlo Urbino. Voluta da Gian Galeazzo Visconti per ornare l'altare maggiore, è un capolavoro della scultura milanese del 1347, attribuita a Jacopino da Tradate. Il trittico è costituito da tre formelle cuspidate, contenenti episodi della vita dei Tre Magi. In particolare, al centro è rappresentata l'Adorazione dei Magi, con un concerto angelico sullo sfondo. A sinistra, Annuncio dell'angelo ai magi e la loro partenza, mentre a destra I magi sono ricevuti da Erode. Funge da paliotto d'altare un bassorilievo, anch'esso trecentesco, ritenuto un frammento della tomba di Uberto III Visconti, un tempo conservata nella chiesa. Sotto la mensa, recentemente spostata secondo le norme post conciliari, un sarcofago duecentesco accoglie le spoglie dei Santi Eustorgio, Magno e Onorato. Sul fianco destro della basilica, nonché tra la Sacrestia Monumentale (v. sopra) e la Cappella Portinari (v. sotto), si possono ammirare le seguenti cappelle gentilizie. Cappella gentilizia di forme rinascimentali fatta edificare nel 1484 dalla famiglia Brivio, cui appartenevano importanti feudatari e magistrati della corte di Ludovico il Moro. Accoglie un polittico del secolo XV, capolavoro di Ambrogio da Fossano, che rappresenta una Madonna con bambino fra San Giacomo apostolo e Sant'Enrico vescovo. Sulla parete sinistra si trova il monumento sepolcrale di Giacomo Stefano Brivio. Il monumento fu commissionato dal figlio Giovanni Francesco Brivio allo scultore Francesco Cazzaniga e completato dopo la morte di quest'ultimo (1486) dal fratello Tommaso Cazzaniga e da Benedetto Briosco, attivi negli stessi anni alla Certosa di Pavia. Il sarcofago rettangolare in marmo bianco si eleva su colonne a candelabra decorate con motivi floreali. Al di sopra del sepolcro si trovano le figure del Padre Eterno benedicente fra Angeli inginocchiati e una Madonna col bambino. L'arca è ornata da cinque bassorilievi: l'Annunciazione, la Natività, l'Adorazione dei Magi, la Circoncisione e la Fuga in Egitto. Costruita dalla famiglia Torelli tra il 1422 e il 1439 in stile gotico. Di particolare valore il monumento funebre a Pietro Torelli attribuito a Jacopino da Tradate. Il sarcofago poggia su sei eleganti colonne tortili, cui fanno da basamento tre leoni accucciati con espressioni fortemente caratterizzate e diverse fra loro. Una raffinata decorazione tardo-gotica copre la cassa, entro cui si aprono cinque nicchie con quattro santi ai lati e al centro la Madonna col Bambino. Il gruppo centrale è composto da Madonna in trono col Bambino, che pone la mano sul capo del defunto inginocchiato in contemplazione. La morbidezza delle vesti e l'inconsueto gesto protettivo della Madonna conferiscono grande dolcezza alla rappresentazione. Sopra il sarcofago si trova il defunto giacente e un baldacchino coronato da una fastosa edicola con Dio Padre benedicente. La decorazione ad affresco della volta e delle pareti si deve a Giovan Mauro della Rovere, detto il Fiammenghino, eseguita nel 1636 mentre l'altare marmoreo di San Domenico è del XVIII secolo. L'originaria struttura quattrocentesca fu trasformata in forme tardo barocche da Francesco Croce (1732). Vi si trova la venerata statua della Madonna del Rosario. Sulla parete sinistra, grande tela di Ambrogio da Figino raffigurante Sant'Ambrogio sconfigge gli ariani e, sotto di essa, il sarcofago funerario trecentesco di Protasio Caimi, attribuito a Bonino da Campione. La cappella, realizzata su commissione di Matteo Visconti nel secolo XIII, accoglie il crocifisso, del medesimo periodo, dipinto del maestro che decorò la cappella Dotto nella chiesa degli Eremitani a Padova. Sulla volta, affreschi trecenteschi con i Quattro Evangelisti, sulla parete sinistra affresco del Trionfo di San Tommaso ed il monumento funebre di Stefano e Valentina Visconti, opera di maestri campionesi. È stata decorata alla fine del Cinquecento da Carlo Urbino e Andrea Pellegrini. Pala d'altare del Fiammenghino raffigurante la Madonna col Bambino, San Francesco e Santa Lucia. Vi sono collocati l'Arca di Gaspare Visconti, dei signori di Angera e Fontaneto e di Agnese Besozzi, tutti risalenti alla prima metà del Quattrocento. All'altare, pala con San Tommaso davanti al crocifisso della scuola di Camillo Procaccini. Gli affreschi della volta, opera di Michelino da Besozzo e databili intorno al 1440, rappresentano i simboli dei quattro evangelisti. Sulla parete sinistra La strage degli Innocenti di Giovan Cristoforo Storer. Nel transetto destro della basilica è collocato un antico sarcofago romano che conteneva, secondo la tradizione, le spoglie dei tre Magi che Eustorgio trasportò da Costantinopoli alla basilica di Santa Tecla. Come già detto, le reliquie furono trafugate durante il saccheggio delle truppe di Federico Barbarossa nel 1162. In parte restituite nel 1904, sono attualmente custodite nella teca posta sopra l'altare della cappella. A fianco del sarcofago, l'affresco trecentesco con Sant'Eustorgio benedicente. Sull'arcone d'ingresso, in alto, un dipinto di fine Quattrocento raffigura l'Adorazione dei Magi. Detta anche dell'Annunciata o Secchi, si trova sul lato sinistro della basilica, tra la Sacrestia Monumentale (v. sopra) e la Cappella Portinari (v. sotto). Nel 1620 Daniele Crespi ne decorò la volta con San Paolo rapito in cielo e la scena della Visitazione sulla parete sinistra. Nella campata antistante la cappella è collocato l'affresco strappato della Madonna del latte attribuita al maestro dei giochi Borromeo. Detta anche degli Arluno (dall'omonima famiglia nobiliare), si trova sul lato opposto alla Cappella di San Paolo (v. sopra). Sulla parete destra affresco trecentesco con Cristo che appare a San Domenico. In fondo alla basilica è presente la maestosa cappella edificata tra il 1462 e il 1468 per volere del fiorentino Pigello Portinari, agente del Banco Mediceo a Milano, in onore di San Pietro Martire, predicatore domenicano ucciso da un eretico nel 1252. Lo stesso Pigello fu qui sepolto nel 1468. La cappella, a pianta centrale e composta da due vani a pianta quadrata sormontati da cupole, costituisce la più evidente testimonianza dell'applicazione dell'architettura di stampo fiorentino nella Milano del secolo XV. Il progetto e le decorazioni scultoree rimangono a tutt'oggi di difficile attribuzione, mentre il ciclo di affreschi, con episodi della vita del Santo e della Vergine, è un capolavoro di Vincenzo Foppa. Il ciclo comprende Annunciazione (parete frontale), Assunzione della Vergine (parete d'ingresso), il Miracolo del Piede risanato e il Martirio di San Pietro Martire (parete sinistra), il Miracolo della nube e il Miracolo della falsa Madonna (parete destra). Nei pennacchi, all'interno di quattro oculi sono raffigurati i quattro padri della chiesa: San Gregorio Magno, San Gerolamo, Sant'Ambrogio e Sant'Agostino. Sull'altare è visibile il ritratto del committente Pigello Portinari, inginocchiato davanti a San Pietro Martire. All'ingresso della cappella si conservano, nella loro collocazione originaria, i due grandi candelieri in bronzo fuso realizzati nel 1653 dal Garavaglia. Al centro della cappella Portinari si trova la celebre Arca di san Pietro Martire, capolavoro di Giovanni di Balduccio, della scuola di Giovanni Pisano, commissionata dai domenicani perché vi fossero deposti i resti del Santo. La paternità dell'opera è confermata dall'iscrizione posta sul sarcofago: "MAGISTER IOANNES BALDUCII DE PISIS SCULPSIT HANC ARCAM ANNO DOMINI MCCCXXXVIIII" ("Il maestro Giovanni di Balduccio da Pisa scolpì quest'arca nell'anno del Signore 1339"). Il sarcofago in marmo di Carrara è composto da una cassa rettangolare con coperchio a tronco di piramide sul quale è collocato un tabernacolo a cuspide che sovrasta le statue a tutto tondo di Maria assisa, san Domenico e san Pietro Martire. È sorretto da otto pilastri in marmo rosso di Verona, ai quali sono addossate otto statue raffiguranti le virtù cardinali (frontali da sinistra: la Giustizia, la Temperanza, la Fortezza, la Prudenza) e teologali (posteriori da sinistra: l'Obbedienza, la Speranza, la Fede, la Carità). Sopra queste, le formelle che circondano il sarcofago rappresentano, da sinistra: i Funerali del Santo, la Canonizzazione del Santo, il Miracolo della Nave, la Traslazione del corpo del Santo, il Miracolo del muto, il Miracolo della nube, la Guarigione dell'infermo e dell'epilettico, l'Uccisione del Santo. Michele Caffi, Della Chiesa di Sant'Eustorgio in Milano illustrazione storico-monumentale-epigrafica, G. Boniardi-Pogliani, 1841 Fabbri, Bucci, Milano Arte e Storia, Bonechi 2004 ISBN 88-476-1400-7 Maria Teresa Fiorio, Le chiese di Milano, Electa, Milano, 2006. Mina Gregori (a cura di), Pittura a Milano, Rinascimento e Manierismo, Cariplo, Milano 1999. Guido Lòpez, I Signori di Milano, Newton & Compton, 2002 ISBN 88-8289-951-9 S. Paoli (a cura di), Lo sguardo della fotografia sulla città ottocentesca. Milano 1839-1899, Umberto Allemandi & C., Torino 2010 ISBN 978-88-422-1895-1 M.C. Passoni, J. Stoppa, Il tardogotico e il rinascimento, in "Itinerari di Milano e provincia", Provincia di Milano, Milano, 2000. Milano Touring Club Italiano 2003 ISBN 88-365-2766-3 Paolino Spreafico, La Basilica di S. Eustorgio ritornata antica e vera, Milano, 1970. Ancona della Passione Arca di Gaspare Visconti Arca di san Pietro martire Basiliche paleocristiane di Milano Cappella dei Visconti Cappella Portinari Vincenzo Foppa Mediolanum Eustorgio di Milano Monumento funebre a Giacomo Brivio Monumento funebre a Pietro Torelli Monumento funebre di Stefano e Valentina Visconti Museo della Basilica di Sant'Eustorgio Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla basilica di Sant'Eustorgio Sito ufficiale, su santeustorgio.it. (EN) Basilica di Sant'Eustorgio, su Structurae. Basilica di Sant'Eustorgio, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Basilica di Sant'Eustorgio, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.

Cappella Portinari
Cappella Portinari

La cappella Portinari si trova all'interno della basilica di Sant'Eustorgio a Milano e costruita tra il 1462 e il 1468. Si tratta di uno degli esempi più completi e meglio conservati di Rinascimento lombardo dell'epoca di Francesco Sforza. Conserva anche l'arca di san Pietro martire. La cappella venne commissionata da Pigello Portinari, direttore della filiale milanese del Banco Mediceo, come sepoltura privata e reliquario per la testa di san Pietro Martire. Lo stesso Portinari vi fu sepolto all'interno, ma la lapide che lo ricordava scomparve nel corso di successivi restauri. Egli fu committente anche di uno dei maggiori palazzi della Milano dell'epoca, il palazzo del Banco Mediceo di via dei Bossi, che mostrava notevoli affinità stilistiche con la cappella. Lo stemma dei Portinari è ancora visibile nella lanterna al centro della cupola. Non si conosce il nome dell'architetto che la progettò: la tradizionale attribuzione a Michelozzo è oggi sostituita da una dubitativa a Filarete, ma con ogni probabilità è assegnabile a Guiniforte Solari da Carona, architetto delle absidi alla Certosa di Pavia e di San Pietro in Gessate a Milano. Dal XVIII secolo è collocato nella cappella il sepolcro marmoreo di san Pietro Martire, opera del 1336 circa di Giovanni di Balduccio, allievo di Giovanni Pisano. Nascosta sotto ben sette strati di intonaco dai tempi della pestilenza del 1630 in poi, ridipinta, infelicemente restaurata, la cappella ha ora riassunto in parte il suo volto originario di soave cromia luminosa. Dopo i restauri del 1952, la decorazione pittorica venne miracolosamente recuperata, nonostante le fortunose vicende a cui venne sottoposta nel corso dei secoli. È stata riaperta l'11 febbraio 2000 dopo nuovi restauri cominciati nel 1989. La struttura si ispira alla brunelleschiana Sagrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze, con un vano quadrato dotato di scarsella e coperto da cupola a sedici spicchi costolonati. Alcuni particolari nella decorazione si ispirano pure al modello fiorentino, come il fregio dei cherubini o i tondi nei pennacchi della cupola, ma altri, preponderanti, se ne allontanano rifacendosi piuttosto alla tradizione lombarda. È il caso del tiburio che protegge la cupola, della decorazione in cotto, della presenza di bifore a sesto acuto o dell'esuberanza decorativa generale. L'interno in particolare si allontana dal modello fiorentino per la ricchezza vibrante di decorazioni, quali la ricca embricatura della cupola a tinte digradanti, il fregio con gli angeli sul tamburo e i numerosi affreschi di Vincenzo Foppa nella parte alta delle pareti. Vincenzo Foppa fu il responsabile dell'ideazione e della regia della decorazione pittorica, che ebbe luogo tra il 1464 e il 1468. Si tratta della prima importante commissione pubblica del pittore bresciano, considerato il padre del rinascimento lombardo in pittura. L'interno della cupola è interamente affrescato a fasce policrome, a tinte digradanti dalla base verso la sommità, mentre la raggera dei costoloni è evidenziata da tinte più scure. Dei sedici oculi alla base, otto sono aperti alla luce solare, alternati ad altri otto che contengono Busti di santi, privi di attributi specifici. Al di sotto di questi il tamburo è percorso da una teoria di angeli policromi a rilievo, inseriti in un finto colonnato ad archetti. Nei pennacchi alla base, quattro tondi ospitano i Dottori della Chiesa, dipinti con un virtuosistico scorcio prospettico. Il tutto è stato interpretato come una rappresentazione allegorica del Paradiso. La decorazione ad affresco sottostante comprende: Quattro Storie di san Pietro Martire nelle pareti laterali: Miracolo della nuvola, rappresenta l'apparizione miracolosa di una nuvola a dar ombra ai fedeli in una giornata torrida, durante una predica del santo. Miracolo della falsa Madonna, ove san Pietro espone l'ostia consacrata e smaschera il diavolo che era apparso sotto le spoglie della Madonna, anche se il Foppa probabilmente voleva testimoniare il malvolere che avevano i fedeli rispetto a questa immagine. Miracolo di Narni o del piede risanato, in cui un giovane, che aveva colpito con un calcio la madre e pentitosene se lo era amputato, viene guarito dal santo che gli riattacca l'arto. Martirio di san Pietro da Verona rappresenta l'assassinio dell'inquisitore Pietro, avvenuto nei boschi del comasco ad opera di uno degli eretici condannati dal santo. Questi è rappresentato mentre, colpito a morte, scrive sulla terra con il sangue "Credo". Annunciazione entro una complessa architettura con cori angelici nella parte superiore dell'arco trionfale, sopra la scarsella Assunzione della Vergine nell'arco della controfacciata Il pittore curò particolarmente il rapporto con l'architettura, cercando un'integrazione illusiva tra spazio reale e spazio dipinto. Le quattro scene di storie del santo sono armonizzate da un punto di fuga comune, posto al di fuori delle scene (al centro della parete, sulla colonnina della bifora centrale) su un orizzonte che cade all'altezza degli occhi dei personaggi (secondo le indicazioni di Leon Battista Alberti). Notevole è la moltiplicazione scenografica degli spazi dipinti, sia nelle storie sulle pareti, che nei tondi e nei pennacchi della cupola, oltre che nei finti loggiati del tamburo. Foppa si distaccò però dalla classica prospettiva geometrica "alla toscana" per l'originale sensibilità atmosferica, che smorza i contorni e la rigidità geometrica: è infatti la luce a rendere umanamente reale la scena. Questa particolare sensibilità viene anche detta "prospettiva lombarda". In generale prevale un gusto per il racconto semplice ma efficace e comprensibile, ambientato in luoghi realistici con personaggi che ricordano tipi quotidiani, in linea con le preferenze per la narrazione didascalica dei Domenicani. I toni pacati della descrizione, così come le tinte chiare e luminose prevalenti nella decorazione, sono stati accostati dai critici alle opere fiorentine dell'Angelico e di Masolino da Panicale. Gli scorci prospettici mostrano invece forti rimandi al Mantegna degli Eremitani. Il primo restauro, documentato, delle superfici della cappella risale al 1583. Forse in occasione del trasferimento dell'arca di s. Pietro Martire nella cappella Portinari (1736), o in date immediatamente precedenti, avvenne la scialbatura che dovette interessare tutte le superfici e non solo gli affreschi del Foppa. Nel 1868, in occasione dei lavori che coinvolsero l'intera basilica, si effettuarono alcuni saggi in situ e apparvero tracce del Miracolo della Nube . Nel 1871 i dipinti vennero discialbati da Agostino Caironi; le operazioni si svolsero in modo frettoloso e incauto, danneggiando la pellicola pittorica sottostante. L'anno successivo, le pitture furono restaurate e, in molti punti, integrate con estrema libertà interpretativa. Anche gli angeli in cotto e parte delle cornici architettoniche furono interamente ridipinte, secondo il gusto del tempo. Nel 1874-75 si pose mano al restauro architettonico della cappella; all'interno furono aperte le due porte ai lati della scarsella. Nel 1930 la Soprintendenza ai Monumenti commissionò un nuovo intervento a Paolo Vanoli che eliminò parte della decorazione ottocentesca ed eseguì una lieve pulitura. Nel 1950 ebbe inizio una consistente campagna di restauro, con la direzione dell'architetto Claudio Ballerio e dell'ispettore della Soprintendenza Franco Mazzini; i lavori furono eseguiti da Giuseppe Arrigoni sotto la guida di Mauro Pelliccioli. I restauratori si limitarono ad una pulitura superficiale, intervenendo con ridipinture nelle parti maggiormente compromesse. Tra il 1952 e il 1955 venne compiuto il restauro architettonico con eliminazione delle rimanenti decorazioni di Caironi; il pavimento venne rifatto. L'altare ottocentesco fu rimosso e sostituito da uno in marmo, opera dello scultore Fulvio Nardis. L'ultima campagna di restauro si è svolta tra 1989 e il 1998. Per la prima volta, l'intervento ha cercato di rimuovere le cause che avevano determinato il progressivo degrado della cappella nel suo complesso. Si è resa necessaria una revisione delle coperture e del sistema dei displuvi della cappella per allontanare la maggiore sorgente di degrado, ovvero l'umidità meteorica, mentre per quella di risalita, non del tutto eliminabile, si è predisposta una stabilizzazione del clima all'interno della cappella per contenerla. L'intervento sulla decorazione pittorica è stato affidato a Giovanni Rossi. I fenomeni di degrado di maggior estensione sono risultati essere la presenza di efflorazioni saline e l'imbiacamento delle superfici. Le limitate reintegrazioni sono state effettuate ad acquerello, con interventi a rigatino, reversibili, per permettere una compatta visione d'insieme. Il restauro conservativo sulle terrecotte ha permesso, oltre alla pulitura, anche il recupero nelle cornici della stesura originaria a cocciopesto e la soprastante pittura a “finto granito”, mentre nel Tripudio angelico sono stati rilevati molteplici interventi di pitturazione, ma non è stato possibile identificare con certezza quelli originali.. Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999. ISBN 88-451-7212-0 Stefano Zuffi, Il Quattrocento, Electa, Milano 2004. ISBN 8837023154 Laura Mattioli, Vincenzo Foppa. La cappella Portinari, Federico Motta, Milano 1999. ISBN 8871791657 Mina Gregori (a cura di), Pittura a Milano, Rinascimento e Manierismo, Cariplo, Milano 1999. Paolo Biscottini (a cura di), La Basilica di Sant'Eustorgio, Skira, Milano, 1999. Rinascimento lombardo Basilica di Sant'Eustorgio Arca di san Pietro martire Vincenzo Foppa Giovanni di Balduccio Guiniforte Solari Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su cappella Portinari Pagina dedicata alla Cappella Portinari nel sito della chiesa di Sant'Eustorgio, su santeustorgio.it. Video sul dipinto "Madonna con le corna", presente nella cappella Portinari nella basilica di Sant'Eustorgio

Darsena (Milano)
Darsena (Milano)

La Darsena è un bacino acqueo artificiale situato a Milano nei pressi di Porta Ticinese che è stato utilizzato per l'ormeggio, il rimessaggio delle imbarcazioni che navigavano i Navigli milanesi. Per tale motivo era lo snodo più importante per il traffico fluviale commerciale della città lombarda. La Darsena di Milano ha come immissario il Naviglio Grande, come emissario il Naviglio Pavese e come scolmatore il Cavo Ticinello. La Darsena misura, da un'estremità all'altra, 750 metri di lunghezza e 25 metri di larghezza; ha una superficie di 17.500 metri quadrati e una profondità di un metro e mezzo. Originariamente la Darsena di Porta Ticinese serviva come zona di carico e scarico per le merci trasportate dalle imbarcazioni che transitavano per i Navigli milanesi: nel 1953 era al tredicesimo posto nella classifica dei porti nazionali italiani per ricevimento merci e al terzo per tonnellaggio, poi la sua funzione è cambiata, con la trasformazione da scalo merci a sito di interesse turistico. L'ultimo barcone che trasportava merci entrò in Darsena il 30 marzo 1979, ponendo fine alla secolare storia del trasporto commerciale lungo le vie d'acqua milanesi e all'ambiente portuale che vi gravitava intorno. La Darsena fu voluta e realizzata nel 1603, come trasformazione in un vero e proprio porto del preesistente laghetto di Sant'Eustorgio, dal governatore spagnolo Pedro Enríquez de Acevedo conte di Fuentes. La Darsena fu costruita a ridosso delle mura spagnole di Milano, edificate dal 1548 al 1562 e poi demolite all'inizio del XX secolo, assecondandone il perimetro del vertice sudoccidentale, da cui la caratteristica forma allungata e ricurva del bacino acqueo. Un tempo Milano aveva altre due "darsene", il laghetto di San Marco, che è stato interrato tra il 1929 e il 1930 contestualmente agli analoghi lavori di chiusura della Cerchia dei Navigli, e il laghetto di Santo Stefano, che venne interrato nel 1857 per motivi di igiene pubblica. Davanti alle mura romane di Milano tra le moderne via del Bottonuto e via San Clemente si estendeva una banchina portuale affacciata ad un laghetto che consentiva l'attracco di piccole imbarcazioni in corrispondenza della moderna via Larga, lungo la quale scorreva il fiume Seveso. Il laghetto, conosciuto come "porto fluviale romano di Milano", aveva banchine larghe 2,5 metri ed era in grado di far attraccare piccole imbarcazioni. Venne in seguito prosciugato e al suo posto fu realizzata una fossa di scolo delle acque di scarico e dei rifiuti, chiamata butinucum, che diede poi il nome al quartiere Bottonuto. La Darsena è situata nella zona dove prima esisteva il laghetto di Sant'Eustorgio, bacino acqueo artificiale realizzato in epoca medievale (sicuramente prima del 1211) che si trovava all'incirca tra l'omonima basilica e i caselli daziari di piazza XXIV Maggio (che vennero realizzati in seguito), nei pressi di Porta Ticinese (anch'essa realizzata in seguito, nel 1801). La Darsena nacque quindi come ampliamento del laghetto di Sant'Eustorgio: i due specchi d'acqua erano infatti situati all'incirca nello stesso luogo. Come la Darsena, il laghetto di Sant'Eustorgio era collegato al fossato delle mura spagnole di Milano, riceveva le acque del Naviglio Grande e come emissario aveva il Cavo Ticinello, che ancora oggi è lo scolmatore della Darsena. Durante i lavori di riqualificazione della Darsena, che sono stati effettuati in vista dell'Expo 2015, tenutosi a Milano dal 1º maggio al 31 ottobre 2015, sono venuti alla luce i resti del ponte medievale in corrispondenza del quale il Cavo Ticinello usciva dal laghetto di Sant'Eustorgio: questi ritrovamenti archeologici, essendo al livello del moderno piano stradale, sono visibili al pubblico da piazza XXIV Maggio. Un tempo Milano aveva altre due "darsene", il laghetto di San Marco e il laghetto di Santo Stefano. Il primo è stato realizzato nel 1469 per consentire al traffico fluviale proveniente dal Naviglio della Martesana di scaricare le merci evitando di immettersi nella Cerchia dei Navigli, percorso aggiuntivo che era necessario a quelle imbarcazioni provenienti da nord che volevano giungere al laghetto di Sant'Eustorgio. Il laghetto di San Marco fu interrato tra il 1929 e il 1930 contestualmente agli analoghi lavori di chiusura della Cerchia dei Navigli. Il laghetto di Santo Stefano era un piccolo bacino d'approdo, entrato in funzione nel 1391 a servizio dei barconi che trasportavano il marmo di Candoglia per il cantiere del Duomo di Milano. Queste imbarcazioni, che provenivano dal Lago Maggiore, dove si trovavano le cave di questo materiale da costruzione, imboccavano poi il fiume Ticino, il Naviglio Grande, il laghetto di Sant'Eustorgio, il Naviglio Vallone, la Cerchia dei Navigli e infine attraccavano al laghetto di Santo Stefano, che si trovava nei pressi del cantiere del Duomo. Il laghetto venne interrato nel 1857 per motivi di igiene pubblica. Le sue acque stagnanti portavano infatti cattivi odori e zanzare intorno all'Ospedale Maggiore di Milano, che sorgeva proprio al suo fianco. Le imbarcazioni destinate al cantiere del Duomo, a differenza di tutte le altre che percorrevano i Navigli milanesi, riportavano la scritta Auf (lat. Ad usum fabricae, ovvero "ad uso della fabbrica", cioè destinato alla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano), scritta che permetteva l'esenzione dai dazi. Da "AUF" è derivato il modo di dire "a ufo", che significa "gratis", "senza pagare". A una delle estremità della Conca di Viarenna è stata ricollocata un'edicola, originariamente situata su uno dei suoi lati, che riporta il decreto ducale del 1497 inciso su una lapide di marmo di Candoglia che esentava dal pedaggio e dal dazio, con la formula Auf, i barconi destinati al trasporto dei materiali per la costruzione del Duomo. Il laghetto di Sant'Eustorgio, che era più antico di quello di Santo Stefano, venne costruito prima del 1211, anno dopo il quale iniziò ad accogliere le acque del Naviglio Grande, che proprio nel 1211 fu completato con il suo prolungamento fino a Milano. Per tale motivo il laghetto di Sant'Eustorgio era anche chiamato laghetto vecchio, mentre laghetto di Santo Stefano era denominato anche laghetto nuovo. In origine il laghetto di Sant'Eustorgio riceveva le acque della Vettabbia, poi quest'ultima diventò la destinazione finale del Cavo Ticinello, ovvero dello scolmatore del laghetto di Sant'Eustorgio e, in seguito, della Darsena. La Darsena fu voluta e realizzata nel 1603, come trasformazione in un vero e proprio porto del laghetto di Sant'Eustorgio, dal governatore spagnolo Pedro Enríquez de Acevedo conte di Fuentes. Era addossata alle mura spagnole di Milano, costruite dal 1548 al 1562 per sostituire le mura medievali di Milano, ormai diventate obsolete per l'invenzione della polvere da sparo, e poi demolite all'inizio del XX secolo. La Darsena ne assecondava il perimetro del vertice sudoccidentale, da cui la caratteristica forma allungata e ricurva del bacino acqueo. Le fondamenta delle mura spagnole sono state rinvenute nel 2015 durante i lavori di ristrutturazione della Darsena, e incorporate nei nuovi argini Al di sotto delle mura spagnole esisteva un varco che consentiva al Naviglio Vallone, canale che ha rappresentato per secoli un altro immissario della Darsena, di sottopassare i muraglioni difensivi. Il Naviglio Vallone proveniva dalla Cerchia dei Navigli: entrambi vennero interrati tra il 1929 e il 1930. Oltre a essere il porto della città, la Darsena era un tempo uno snodo idrico di grande importanza: oltre a captare le acque del Naviglio Grande, riceveva anche quelle dell'Olona e la portata idrica che si immetteva dalla Cerchia dei Navigli tramite il già citato Naviglio Vallone, mentre cedeva le acque alla Vettabbia (grazie al Cavo Ticinello, che correva oltre Porta Ticinese lungo le mura spagnole prima di piegare a sud) e al Naviglio Pavese. L'Olona si immetteva nella Darsena fin dalla sua costruzione, nel 1603, con l'obiettivo di mantenervi costante il livello dell'acqua. Prima di sfociare in Darsena l'Olona scaricava le sue acque nel fossato delle mura medievali di Milano con lo scopo di rifornirlo d'acqua. Prima ancora, il epoca romana, il fiume terminava il suo percorso nel fossato delle mura romane di Milano con il medesimo obiettivo. In origine il fiume, giunto a Lucernate, frazione di Rho, correva lungo il suo alveo naturale verso sud attraversando la moderna Settimo Milanese e passando a diversi chilometri da Milano per poi percorrere l'alveo del moderno Olona inferiore o meridionale e sfociare nel Po a San Zenone. Oltre che per aumentare la portata della Vettabbia, l'Olona fu deviato dagli antichi Romani verso Milano anche per un altro motivo: avere un corso d'acqua che costeggiasse interamente la via Severiana Augusta, antica strada romana che congiungeva Mediolanum (nome latino di Milano) con il Verbannus Lacus (il Lago Verbano, ovvero il Lago Maggiore). Gli antichi Romani reputarono fondamentale avere una via d'acqua che costeggiasse la via Severiana Augusta per dare un cospicuo incremento ai commerci lungo questa strada, soprattutto considerando il maggiore carico trasportabile sui barconi fluviali rispetto al semplice trasporto terrestre. L'opera di deviazione dell'Olona verso Mediolanum venne realizzata in concomitanza alla costruzione della via Severiana Augusta, ovvero nei primi anni dell'Era volgare, cioè tra la fine dell'era repubblicana e i primi decenni dell'età imperiale romana. Parte del tracciato della via Severiana Augusta, che venne utilizzato anche nel Medioevo e nei secoli seguenti, fu poi ripreso da Napoleone Bonaparte per realizzare la strada statale del Sempione. Fino al 1704 l'Olona presentava un solo braccio terminale verso la Darsena, mentre su una mappa del 1722 è riportato che l'Olona si biforcava in due rami pressoché paralleli che si riunivano prima di entrare in Darsena: l'Olona Nuova, cioè quello settentrionale che più tardi si chiamerà roggia Molinara, e l'Olona Vecchia, ovvero quello meridionale. La roggia Molinara fu poi interrata alla fine del XIX secolo prima della canalizzazione del fiume. La presa del Cavo Ticinello esiste ancora oggi nel punto più orientale della Darsena, mentre l'Olona da decenni non vi immette più le sue acque sia per rischio idrogeologico (il suo vecchio alveo coperto da tempo non era più sicuro) sia per scongiurare il pericolo di inquinamento. Come ultimo canale legato alla Darsena fu realizzato il Naviglio Pavese, che venne completato nel 1819 e che da allora è il suo emissario principale. Il Naviglio Pavese fu inaugurato dagli austriaci. Il suo primo tratto venne costruito dal governo spagnolo a partire dall'anno 1600 al 1646, con i lavori che si interruppero più volte, e poi dal governo napoleonico dal 1802 al 1814, che prolungarono l'opera senza però giungere alla conclusione dei lavori. L'ultimo tratto del Naviglio verso Pavia, destinazione finale del canale, fu completato dagli austriaci, che inaugurarono la via d'acqua nel 1819. Gli spagnoli, convinti di riuscire a completare il Naviglio in breve tempo, nel 1601 realizzarono un trofeo, ovvero un monumento commemorativo dell'opera, sul ponte da cui iniziava l'erigendo Naviglio Pavese. Gli spagnoli non riuscirono a terminare il Naviglio Pavese ma il trofeo, che prese il nome di Trofeo Fuentes, rimase in quel luogo fino al 1872 dando la denominazione al ponte su cui sorgeva, che è conosciuto ancora oggi con il nome di ponte del Trofeo. Il Trofeo Fuentes prende a sua volta il nome dal conte di Fuentes, il realizzatore della Darsena, che volle questo monumento perché convinto di poter portare a termine anche l'altro suo progetto, quello della costruzione del Naviglio Pavese. Il ponte che si trova invece sul punto di ingresso in Darsena del Naviglio Grande è denominato ponte dello Scodellino perché un tempo, nelle sue vicinanze, era presente un'osteria dove i barcaioli dei comballi solevano ristorarsi con una scodella di minestra. La Darsena misura, da un'estremità all'altra, dopo le modifiche apportate nei secoli, 750 metri di lunghezza e 25 metri di larghezza; ha una superficie di 17.500 metri quadrati e una profondità di un metro e mezzo. Con la trasformazione del laghetto di Sant'Eustorgio in Darsena, quindi in un porto vero e proprio, l'importanza della zona circostante crebbe consistentemente diventando uno dei punti di riferimento dei milanesi. Molti di essi alla Darsena trovarono un impiego nell'ambiente portuale che si era creato, negli esercizi commerciali che progressivamente nacquero nell'area e nell'attività di pesca, che era fiorente grazie al costante apporto di pesci provenienti dai Navigli milanesi. In questo contesto si insediò, nella futura piazza XXIV Maggio, uno dei mercati più importanti di Milano, tant'è che quest'ultima, un tempo, si chiamava "piazza del Mercato". Il mercato delle bestie da macello e dei cavalli, questo il suo nome, continuò a essere uno dei punti nevralgici del commercio milanese fino al XX secolo. I traffici provenienti da fuori città, compresi quelli destinati al mercato, dovevano pagare un dazio, che era versato ai caselli adiacenti a Porta Ticinese. Di conseguenza si creò anche del malaffare, con gente comune e commercianti che tentavano di introdurre a Milano la merce senza pagare il dazio. Ciò causava la presenza di un cospicuo quantitativo di merce di contrabbando. Le persone che tentavano di frodare le autorità erano conosciute, in dialetto milanese, come sfrosador, da cui "sfroso", termine della lingua italiana che significa "contrabbando". Tutte queste attività illecite avevano base negli edifici situati nei pressi della Darsena, in particolar modo in quelli che sorgevano alla confluenza del Naviglio Grande e all'incile del Naviglio Pavese, che erano fuori dalle mura spagnole, quindi più lontani dal dazio e dai controlli. La strada dove era più comune trovare le attività di contrabbando era via San Gottardo, ovvero la strada esterna alle mura spagnole che era situata in dirimpetto a Porta Ticinese: da essa fluiva infatti tutto il traffico, di persone e merci, che transitava da questa porta di Milano. Nelle zone adiacenti alla Darsena erano comuni i magazzini di stoccaggio delle merci (sia lecite che illecite), le botteghe degli artigiani e le casere, ovvero i locali dove si produceva il formaggio. Tutte queste attività erano sparse nelle corti lombarde a ringhiera della zona, soprattutto fuori dalle mura spagnole. Per secoli cronache, pitture, incisioni, e più tardi la fotografia, hanno raccontato il via vai dei barconi in Darsena, complice il progressivo aumento del traffico fluviale dal XVIII e XIX secolo che rese sempre più importante, sia per Milano che per i porti che con essa commerciavano, la Darsena di Porta Ticinese. Per i tempi più antichi non abbiamo però statistiche precise sui movimenti dei natanti, sulla qualità e quantità delle merci in entrata e in uscita dalla Darsena. Solo nel XIX secolo si cominciarono a pubblicare dati precisi sui movimenti portuali: si sa che attorno alla metà del XIX secolo i natanti che entravano e uscivano dalla Darsena erano più di ottomila all'anno, di cui circa duemila provenienti dal Naviglio Pavese (1.903 imbarcazioni nel 1842 e 2.163 nel 1843). La Darsena convogliava merci da tutto il bacino del Po e, via Venezia, dall'oltremare. Nel complesso il traffico annuo medio che è passato dalla Darsena nel XIX secolo è stato pari a circa 350.000 tonnellate di merci scambiate. Degna di nota, alla fine del XIX secolo, fu la fondazione di due società sportive dedite al canottaggio che esistono ancora oggi: la Canottieri Milano e la Canottieri Olona. Entrambe avevano originariamente sede nei pressi della Darsena: la Canottieri Olona nell'adiacente piazza XXIV Maggio, mentre la Canottieri Milano in corrispondenza della foce dell'Olona in Darsena. Le fortune della Darsena continuarono anche nel XX secolo: le sponde dei Navigli si industrializzarono, e gli stabilimenti sorti nei loro pressi si approvvigionavano di materie prime e spedivano i loro manufatti attraverso le vie d'acqua lombarde, di cui la Darsena rappresentava il più rilevante porto di attracco. Tra le più importanti aziende che sfruttavano i Navigli per i loro commerci ci furono la Richard-Ginori, le Cartiere Burgo di Corsico, la Molini Certosa e le Cartiere Binda sul Naviglio Pavese. Le Cartiere Burgo spedivano, dallo stabilimento di Corsico, le grandi bobine di carta per la stampa del Corriere della Sera al laghetto di San Marco: ciò fu possibile fino al suo interramento che avvenne, come già accennato, tra il 1929 e il 1930 (proprio un barcone che trasportava carta per il Corriere della Sera fu l'ultimo ad approdare a San Marco). Come conseguenza all'industrializzazione, il traffico fluviale lungo i Navigli milanesi aumentò considerevolmente. La Darsena, in particolare, accrebbe la sua importanza fino a diventare, all'inizio del XX secolo, il terzo porto italiano per merci transitate. Le merci che passavano dalla Darsena erano pietre per edilizia, sabbia, ghiaia, legname ecc., nonché prodotti agricoli e industriali. Anche l'ambiente che si era creato da secoli intorno alla Darsena, piuttosto chiassoso per il via vai di merci e persone, e odoroso per il cibo venduto per strada e per il fetore che a volte l'acqua del bacino artificiale emanava a causa degli scarichi, non ha aveva nulla di diverso rispetto a quello degli altri porti italiani. Molti milanesi e numerosi forestieri lavoravano in Darsena. I sostrari (ovvero i proprietari dei magazzini che si trovavano nei pressi della Darsena), i barcaioli, i facchini e i carrettieri che avevano trovato un impiego in Darsena, oppure in una delle attività che gravitava attorno ad essa, dimoravano perlopiù nelle case situate nei quartiere adiacenti al porto, spesso in piccoli locali che si trovavano nelle case di ringhiera della zona. Era in particolare la categoria dei facchini quella storicamente più radicata. Tradizionalmente erano originari della Valle di Blenio, nel Canton Ticino, e la loro presenza è attestata a Milano sin dal XVI secolo, quando in luogo della Darsena era presente il laghetto di Sant'Eustorgio. Originariamente le loro abitazioni erano concentrate in via Manzoni, poi si accentrarono in via della Palla. Nel 1919, nell'ambito della complessa revisione idrofognaria di Milano, si iniziarono a costruire i canali dell'attuale percorso dell'Olona, che prevedeva la deviazione di parte delle sue acque nel Lambro Meridionale passando per la circonvallazione esterna. Fu però mantenuta la diramazione che sfociava nella Darsena. La deviazione verso quest'ultima avveniva in piazza Tripoli: qui c'era una chiusa che deviava il fiume per via Roncaglia, dando inizio a quello che fu chiamato il ramo Darsena. Nei due periodi di asciutta annuale dei Navigli, la chiusa era manovrata in modo tale da chiudere completamente il ramo Darsena facendo sfociare l'intera portata delle acque dell'Olona nel Lambro Meridionale. Il nuovo percorso canalizzato dell'Olona, che pure era previsto dal Piano Beruto del 1884, non entrò in funzione se non agli inizi degli anni trenta del XX secolo. Con il passare degli anni, e con l'aumentare dell'inquinamento del fiume, la chiusa di piazza Tripoli non venne manovrata soltanto per deviare il flusso delle acque durante le asciutte dei Navigli: dapprima ridusse notevolmente la portata del ramo Darsena e, alla fine degli anni ottanta del XX secolo, l'azzerò per "rischio idrogeologico e pericolo di inquinamento" della Darsena e delle acque che ne uscivano a scopo irriguo o di navigazione. Con la demolizione delle mura spagnole di Milano, che avvenne negli anni trenta del XX secolo, la Darsena fu ampliata verso nord. La Darsena fu fondamentale per la cospicua crescita economica che conobbe Milano negli anni precedenti alla prima guerra mondiale e nei decenni successivi alla fine dell'ostilità. Nel 1936, a dispetto del già avvenuto interramento della Cerchia dei Navigli, che limitò il traffico fluviale all'interno dei Navigli milanesi, il numero di barconi che transitavano nella Darsena era pari a circa 70 al giorno. Questi numeri facevano superare alla Darsena scali come il porto di Bari, il porto di Brindisi e il porto di Messina. A differenza delle imbarcazioni che solcavano i mari degli altri porti italiani, i barconi che transitavano nella Darsena avevano dimensioni minori, data la più bassa profondità dei Navigli milanesi, che limitava il pescaggio dei natanti. Quando, nei primi decenni XX secolo, si cominciò a parlare di interrare la Cerchia dei Navigli, ovvero la cosiddetta fossa interna, anche i più convinti sostenitori della navigazione sui canali interni si trovarono in difficoltà: infatti, i mancati ammodernamenti dell'ultimo secolo avevano reso il sistema navigabile ormai obsoleto, con canali stretti e inadatti alla navigazione a motore; vi erano difficoltà nel movimentare le merci e il collegamento con il Po era reso complicato e macchinoso dalle dodici conche da superare lungo il Naviglio Pavese. Il Genio Civile presentò, nel 1907, un progetto che prevedeva la realizzazione di un nuovo porto che sostituisse la Darsena a Rogoredo, a sud di Porta Romana, punto naturale di convergenza delle acque che colano dalla città, che sarebbe stato collegato a un nuovo canale che avrebbe attraversato la Lombardia, il canale Milano-Cremona-Po; il progetto fu approvato nel 1917, l'anno dopo si costituì l'azienda portuale e in quello successivo cominciarono i lavori con lo scavo del bacino portuale, che fu chiamato Porto di Mare, e dei canali verso Cremona per 20 chilometri circa. Nel 1922 i lavori a Rogoredo furono sospesi, e mai più ripresi, perché l'acqua di falda aveva riempito naturalmente lo scavo e i pescatori se ne erano appropriati. A Rogoredo, in luogo dell'area portuale, è sorto poi un quartiere di Milano, "Porto di Mare". Il progetto del canale Milano-Cremona-Po non è stato abbandonato dalla regione Lombardia, tant'è che periodicamente ci sono proposte per riprendere i lavori e completare l'opera, che è stata in parte realizzata per 16 chilometri su un totale di 65, durante gli anni settanta del XX secolo, dal Po a Pizzighettone. Negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale, e durante il conflitto, i Navigli, soprattutto quello Grande, registrarono un ulteriore incremento dei traffici. Fino al 1941 furono l'autarchia e la penuria di carburanti a spostare parte del traffico stradale sui Navigli, poi fu l'aviazione degli Alleati della seconda guerra mondiale a spingere ulteriormente il trasporto delle merci verso i fiumi e i canali per via dei bombardamenti strategici operati sulle vie di comunicazione terrestri. Ciò portò la Darsena, durante la seconda guerra mondiale, ad arrivare a un traffico annuo di 500.000 tonnellate di merci scambiate. Anche gli anni che seguirono la fine del conflitto videro i Navigli funzionare con grande vitalità: nel 1953 la Darsena di Porta Ticinese fu al tredicesimo posto nella classifica dei porti nazionali per ricevimento merci e al terzo per tonnellaggio. È un dato che va comunque interpretato: furono gli anni della frenetica ricostruzione postbellica e i barconi trasportavano soprattutto sabbia, fondamentale nell'edilizia, che aveva un cospicuo peso sul tonnellaggio sbarcato in Darsena. Fu costruita una lunga sequela di silo per la sabbia, che era scaricata da gru a benna direttamente sulla sponda della Darsena su dune che si alzavano fino ai secondi piani delle case che le fronteggiavano sull'altro lato della strada: erano i "sabbioni", che diventarono un luogo e un aspetto caratteristico della città. All'estremità nordorientale della Darsena era presente una grande spianata dove si incolonnano gli autocarri in attesa, e non era raro scorgervi in sosta automobili con targa "MM" (Marina Militare). Nel vecchio casello di Porta Genova, che oggi ospita un ristorante, aveva sede un ufficio della Marina Militare con funzioni di sorveglianza e capitaneria di porto. Con il passare dei decenni il traffico fluviale nei Navigli milanesi diminuì costantemente. La causa principale fu la progressiva costruzione della rete stradale italiana, da cui conseguì la convenienza, sia economica che relativa ai tempi di consegna delle merci, del trasporto su gomma e su ferrovia rispetto a quello fluviale. Questa tendenza portò all'arresto definitivo del trasporto fluviale lungo i Navigli milanesi: l'ultimo barcone, che nell'occasione trasportava 120 tonnellate di sabbia (equivalente a 20 autocarri), entrò in Darsena venerdì 30 marzo 1979 alle ore 14, ponendo termine alla secolare storia del trasporto merci lungo le vie d'acqua milanesi. Questo barcone aveva lo scafo metallico, era lungo 38 metri e largo cinque, portava la matricola 6L-6043 ed era partito alle 6 del mattino da Castelletto di Cuggiono per poi percorrere il Naviglio Grande fino alla Darsena. Con la fine del traffico fluviale lungo i Navigli lombardi, scomparve anche l'ambiente portuale che caratterizzò per secoli questa zona di Milano. La Darsena si è poi trasformata in luogo di interesse turistico. Nel settembre 2004 il comune di Milano ha concesso l'area della Darsena (l'intera porzione a ovest del Naviglio Grande) a un'impresa che avrebbe dovuto realizzare nei suoi pressi un garage-parcheggio sotterraneo. All'inizio degli scavi sono emersi reperti che hanno richiesto l'intervento della soprintendenza e l'arresto dei lavori: si tratta delle fondazioni delle mura spagnole di Milano e di una piattaforma lignea che è stata attribuita alla pavimentazione dell'originale Conca di Viarenna, quella realizzata nel 1438, successivamente demolita durante i lavori di costruzione delle mura spagnole e infine ricostruita tra il 1551 e il 1558. In mancanza di idonee tecniche di recupero e di notizie più precise, i reperti sono stati reinterrati nelle condizioni di ritrovamento a scopo conservativo e il comune di Milano ha annullato la delibera relativa alla costruzione del parcheggio: dopo una complessa causa è rientrato in possesso dell'area nell'aprile 2010. Questi rinvenimenti all'interno del perimetro della Darsena hanno messo parzialmente in discussione le modalità con cui il conte di Fuentes fece realizzare il bacino acqueo. A maggio 2011, a cantieri chiusi, è stata sistemata la parte nordoccidentale con il vecchio sbocco dell'Olona e la zona della direzione portuale, poi è stato innalzato un terrapieno che isolava questo bacino dal resto della Darsena tagliandola da sponda a sponda; una tubazione riversava le acque dell'eventuale troppo pieno. Il terrapieno era percorso da una strada pedonale che proseguiva sulla sponda meridionale fino all'ingresso del Naviglio Grande. Cieca per il resto, era collegata con il piano stradale da una vecchia scala di servizio. Tutta la sponda opposta, quella settentrionale lungo viale Gabriele D'Annunzio, era rimasta cintata e inaccessibile: qui sono state portate alla luce le fondazioni delle mura spagnole (gli ex Bastioni) con il varco grazie al quale il Naviglio Vallone le sottopassava (varco chiamato, in dialetto milanese, Tombon de Viarenna) consentendo ai natanti di raggiungere la Cerchia dei Navigli, mentre furono reinterrati, come già accennato, i reperti lignei. Il tutto era coperto dalle banchine dove, dai barconi, veniva scaricata la sabbia. Il 26 aprile 2015 la Darsena è stata riaperta al pubblico dopo importanti lavori di ristrutturazione che sono durati diciotto mesi. I lavori hanno coinvolto il bacino d'acqua e le sue sponde, con il ripristino dei dispositivi di attracco e di ormeggio. Questa ristrutturazione è stata realizzata in vista dell'Expo 2015, che si è tenuto a Milano dal 1º maggio al 31 ottobre 2015. Contestualmente, sono state fatte modifiche alla viabilità intorno alla Darsena: la strada che scorre lungo la sua sponda meridionale è stata limitata a tram e pedoni. Anche la vicina piazza XXIV Maggio è stata coinvolta in questo progetto di rifacimento dell'arredo urbano, visto che è stato esteso lo spazio pedonale verso il nuovo mercato comunale coperto: quest'ultimo, in particolare, è situato nei pressi del luogo dove un tempo era presente il già citato mercato delle bestie da macello e dei cavalli. La Darsena moderna ha come immissario il Naviglio Grande, come emissario il Naviglio Pavese e come scolmatore il Cavo Ticinello. Quest'ultimo percorre il suo alveo sotto il manto stradale di piazza XXIV Maggio per poi confluire più a est nella Vettabbia. Autori vari, Di città in città – Insediamenti, strade e vie d'acqua da Milano alla Svizzera lungo la Mediolanum-Verbannus, Soprintendenza Archeologia della Lombardia, 2014. URL consultato il 16 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 16 febbraio 2017). Carlo Cattaneo, Notizie naturali e civili su la Lombardia, coi tipi di Giuseppe Bernardoni di Giovanni, Milano, 1844, ISBN non esistente. Giorgio D'Ilario, Egidio Gianazza, Augusto Marinoni, Marco Turri, Profilo storico della città di Legnano, Edizioni Landoni, 1984, SBN IT\ICCU\RAV\0221175. Gabriella Ferrarini, Marco Stadiotti, Legnano. Una città, la sua storia, la sua anima, Telesio editore, 2001, SBN IT\ICCU\RMR\0096536. Navigli (Milano) Laghetto di San Marco Laghetto di Santo Stefano Porto di Mare Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Darsena di Milano La Darsena, su vecchiamilano.wordpress.com. Darsena, su turismo.milano.it. Darsena, viaggio nel tempo alla riscoperta del porto di Milano, su navigli24.it. URL consultato il 13 ottobre 2017 (archiviato dall'url originale il 13 ottobre 2017). La Darsena, su milanoneltempo.it. La Darsena di Milano: com'era la vita intorno ai Navigli, su milanoalquadrato.com. URL consultato il 20 dicembre 2017 (archiviato dall'url originale il 22 dicembre 2017). Davide Casaroli, I Nuovi Navigli. Cammino tra storia, presente, ed un ipotetico futuro di Milano città d'acqua (PDF), su politesi.polimi.it, Politecnico di Milano.