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Bonaria (Cagliari)

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Bonaria
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Bonaria è un quartiere di Cagliari di 8 347 abitanti. L'area dell'attuale quartiere di Bonaria era abitato già da prima dei Punici; i Cartaginesi nel colle omonimo costruirono una necropoli, utilizzata anche dai romani e più tardi usata come cava. Nel medioevo alla base del colle sorse la chiesa di San Bardilio, in stile romanico pisano. Sulla cima del colle, nel 1324, gli aragonesi costruirono una cittadella fortificata, dove si installarono per assediare Castel di Castro. La cappella del castello aragonese divenne successivamente santuario mariano, dove è tuttora custodita la statua della Madonna di Bonaria. La cittadella fortificata fu per due anni dal 19 giugno 1324 al 10 giugno 1326 la prima capitale del Regno di Sardegna. Oggi il quartiere è densamente popolato e, oltre ad alcune pregevoli villette, si trovano numerosi alberghi e palazzi. Il nome "Bonaria" è il termine italianizzato derivante dal catalano bon aire (aria buona), con cui gli aragonesi ribattezzarono il colle dove fondarono la loro colonia nel XIV secolo. Questo nome successivamente si legò alla statua della Vergine, rinvenuta nel 1370 e custodita nell'antica cappella del castello, dal 1335 sede del convento dei frati Mercedari. Nel 1536, il conquistador Pedro de Mendoza chiamò la città da lui fondata in America del sud "Ciudad del Espíritu Santo y Puerto Santa María del Buen Ayre", per sciogliere un voto fatto alla Madonna di Bonaria, considerata dagli spagnoli patrona dei naviganti (si tratta di quella che oggi è la città di Buenos Aires, capitale della Repubblica Argentina). Santuario e basilica di Bonaria, complesso religioso edificato tra il 1324 e il XX secolo. Convento dei Mercedari e museo di Bonaria. Cimitero monumentale di Bonaria, camposanto ottocentesco con pregevoli esempi di arte funeraria. Parco del colle di Bonaria, area verde dove si trovano alcune grotte dell'antica necropoli punico - romana e da cui si gode di vedute panoramiche sulla città. Abitanti censiti Quartieri di Cagliari Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul quartiere di Bonaria

Estratto dall'articolo di Wikipedia Bonaria (Cagliari) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Bonaria (Cagliari)
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Santuario di Nostra Signora di Bonaria
Santuario di Nostra Signora di Bonaria

Il santuario di Nostra Signora di Bonaria è un complesso religioso della città di Cagliari situato in cima al colle omonimo. È uno degli edifici mariani più importanti della Sardegna ed è costituito: dal santuario in stile gotico-catalano risalente alla prima metà del XIV secolo; qui è custodito il simulacro di "Nostra Signora di Bonaria" (o "Madonna di Bonaria"), titolo dato alla Madonna, come patrona massima della Sardegna e di Cagliari, protettrice dei naviganti. dalla basilica risalente al XVIII secolo, in stile neoclassico, elevata a basilica minore da Pio XI nel 1926. dal cimitero-parco monumentale omonimo. dal convento omonimo gestito dall'Ordine dei padri mercedari, che altresì officiano, come sede parrocchiale, le funzioni religiose. Nel chiostro, è presente anche il Museo di Bonaria. Il santuario è la parte più antica del complesso e fu il primo esempio di architettura gotico-catalana in Sardegna. Nel 1324, durante l'assedio di Castel di Castro, l'infante Alfonso fece costruire su questo colle, detto in catalano di Bon Aire ovvero "buona aria", una cittadella fortificata. Nel 1326 Pisa abbandonò per sempre la Sardegna e, nel 1335, il re donò l'area di Bonaria ai frati dell'Ordine di Santa Maria della Mercede, all'epoca nel suo massimo splendore, i quali vi fecero costruire un convento con annessa la chiesetta, di stile catalano-aragonese. La costruzione della basilica, che affianca il santuario, risale al 1704, quando i frati mercedari decisero di edificare una chiesa più grande in onore della Vergine di Bonaria. La chiesa, costruita su progetto dell'architetto piemontese Antonio Felice De Vincenti, era stata progettata in origine in stile barocco; i lavori subirono però delle interruzioni, e verso la fine del XVIII secolo vennero affidati all'architetto Giuseppe Viana, che rielaborò il progetto in stile neoclassico. Nel corso dell'Ottocento i lavori subirono ancora diversi rallentamenti. Il 24 aprile 1885 l'arcivescovo di Cagliari Paolo Maria Serci Serra riconsacrò il santuario dopo che erano stati effettuati dei lavori; una grande lapide, fu posta a ricordo del duplice avvenimento. L'edificio venne però terminato solo nel 1926, anno in cui il papa Pio XI gli conferì il titolo di basilica minore. Durante la seconda guerra mondiale l'edificio subì gravi danni dovuti ai bombardamenti; venne ristrutturato tra il 1947 e il 1960 e poi di nuovo nel 1998. Il santuario di Bonaria è stato visitato il 24 aprile 1970 da papa Paolo VI, da papa Giovanni Paolo II il 20 ottobre 1985, da papa Benedetto XVI il 7 settembre 2008 durante la sua visita a Cagliari e da papa Francesco il 22 settembre 2013, per sottolineare il legame tra le città di Cagliari e Buenos Aires, dato che proprio da questo santuario la capitale dell'Argentina prende il nome. Il santuario trecentesco venne ampiamente rimaneggiato negli anni cinquanta del XX secolo, allo scopo di riportarlo alla forma originaria. La facciata, allineata a quella della basilica, è molto semplice, a capanna. Per accedere alla chiesa si entra dal portale, in stile gotico, che fu recuperato dalla medievale chiesa di San Francesco in Stampace, che fu demolita nel XIX secolo. L'interno, sempre in stile gotico-catalano, è a navata unica con volta ogivale. Sul lato sinistro si aprono tre cappelle, anch'esse in stile gotico, voltate a crociera, mentre sul lato destro si trova l'arco che unisce il santuario alla basilica (le quattro cappelle che si aprivano su questo lato furono demolite in seguito ai lavori di costruzione della basilica). In fondo all'aula, sopraelevato rispetto al pavimento, si trova il presbiterio che termina con l'abside poligonale dov'è l'altare maggiore; questo è il cuore del santuario, perché sull'altare è intronizzata l'imponente statua lignea trecentesca della Madonna col Bambino, detta Nostra Signora di Bonaria, meta della devozione dei fedeli che, per venerarla, salgono le scalette ai due lati dell'altare, trovandosi così all'altezza dei piedi della statua. Alla base della balaustra, ai lati della scala d'accesso al presbiterio, vi sono le tombe di Domenico Alberto Azuni (sinistra) e quella del servo di Dio fra' Antonino Pisano (destra), frate mercedario di Cagliari, morto nel 1927. In tribuna è ubicato un organo (1886), costruito da Carlo Aletti di Monza. Nel corso dei secoli, al santuario di Bonaria sono stati donati numerosi oggetti ex voto che anticamente venivano appesi nelle pareti laterali. Tra questi una piccola statua raffigurante una navicella di avorio, lunga circa 30 cm che si trova nell'architrave immediatamente prima dell'abside dove è collocata la statua della Vergine. Tale oggetto è uno dei più antichi che il santuario possa vantare. Secondo la leggenda, la navicella fu donata nel XV secolo da una tra i tanti pellegrini che si recavano al santuario per venerare la statua. La pellegrina, del quale non si conosce l'identità, inizialmente, aveva pensato di destinare l'ex voto alla Terra santa ma, rimasta colpita dalla storia del santuario, decise di donare la navicella alla Madonna di Bonaria. Questa fu appesa con una cordicella, sospesa sopra l'abside, e fin da subito fu meta di pellegrinaggio dei pescatori della zona, ed ivi è rimasta: si dice infatti che quest'oggetto indichi la direzione delle correnti che spirano nel Golfo di Cagliari. Per questo motivo i pescatori cagliaritani, prima di avventurarsi nel mare aperto, si recavano al santuario per chiedere informazioni e la navicella si spostava e con la prua indicava la direzione del vento. La facciata della basilica si presenta in un semplice stile neoclassico, risalente al periodo 1704-1730, e costruita sempre grazie al contributo dell'Ordine Mercedario. È composta da pietre bianche in calcare con un ampio porticato, sopra il quale, in corrispondenza della navata centrale, vi è un timpano che racchiude lo stemma dell'Ordine della Mercede e, più in basso, sovrastata da un altro timpano e inquadrata da colonnine classicheggianti, si apre la loggia delle benedizioni. La facciata fu ristrutturata intorno al 1958, ad opera dell'architetto perugino Gina Baldracchini. Nell'atrio d'ingresso, sulla sinistra, si trova una scultura del milanese Enrico Manfrini raffigurante il papa Paolo VI, che visitò il santuario di Bonaria nel 1970. I portali laterali in bronzo, risalenti al periodo di ristrutturazione del 1985-1990, raffigurano figure alate che sorreggono lo stemma di Cagliari e vennero realizzate dallo scultore Ernesto Lamagna. Il portone principale invece, è stato restaurato con nuove 24 formelle di Stefania Ariu nel 2016, in occasione del centenario dell'Ordine mercedario (2018). Sul sagrato, sono altresì presenti due sculture di Franco D'Aspro. Per giungere fino in cima al complesso, negli anni 30 del XX secolo il Comune di Cagliari intese costruire una gradinata in cemento, granito e calcare a partire dal sottostante viale Armando Diaz. Tuttavia i lavori furono rimandati a causa della seconda guerra mondiale, per cui la scalinata fu costruita tra il 1962 e il 1967, ad opera degli architetti Adriano e Lucio Cambellotti (figli di Duilio Cambellotti). Il vasto e luminoso interno ha pianta a croce latina, diviso in tre navate, con ampio transetto sovrastato da un'alta cupola (50 metri) ottagonale. Le navate sono separate da quattro arcate, poggianti su colonne binate in calcare bianco. La navata centrale, lunga 54 metri, ha una copertura a volta a botte, mentre quelle laterali sono coperte rispettivamente da quattro cupolette. L'altare maggiore è sormontato da un baldacchino sorretto da quattro colonne di marmo verde decorato da figure di angeli in rame dorato, così come i capitelli e le arcate. Di fronte al presbiterio, all'altezza dell'ultima coppia di colonne a destra si trova una riproduzione della statua della Madonna di Bonaria. Nelle navate laterali si aprono le cappelle, quattro a destra e tre sulla sinistra, in cui si trovano grandi tele raffiguranti la Madonna, risalenti agli anni cinquanta del XX secolo. Le tele raffiguranti Maria Ausiliatrice (prima cappella a destra), l'Assunta (seconda cappella a destra), la Madonna di Fátima (quarta cappella a destra), la Madonna del Rosario (prima cappella a sinistra), la Vergine Immacolata (terza cappella a sinistra) sono opera di Antonio Mura. Nella terza cappella della navata destra, si trova il dipinto della Sacra Famiglia di Giuseppe Aprea, mentre la seconda cappella della navata sinistra racchiude la tela raffigurante la Madonna della Mercede, opera di Gina Baldracchini risalente al 1961. Il transetto custodisce la statua della Madonna del Combattente, opera di Francesco Ciusa, realizzata tra il 1936 e il 1938. Sempre nel transetto si aprono due cappelle nei rispettivi bracci, in quello destro la cappella della Madonna della Vittoria o dei Caduti, edificata nel 1930 per desiderio delle madri dei caduti in guerra, ornata da un altare marmoreo in stile barocco con un bassorilievo raffigurante La Pietà, nel braccio sinistro la cappella del Santissimo Sacramento, in cui si trova un'altra tela di Antonio Mura, raffigurante la Cena in Emmaus. Nel transetto della chiesa, su due cantorie, si trova l'organo a canne Tamburini opus 438, costruito nel 1961. Lo strumento, a trasmissione elettrica, ha tre tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32. Nel chiostro del convento si trova il Museo del santuario, che conserva testimonianze archeologiche, modellini navali, arredi sacri ed ex voto. Dopo i restauri degli anni cinquanta, l'edificio del santuario fu riportato alle sue linee architettoniche originali, cioè al più puro stile gotico-catalano; fu quindi necessario rimuovere tutte le sovrapposizioni precedenti. Anche gli ex-voto che vi si conservavano furono tutti rimossi e sistemati alla meglio in alcuni locali, in attesa di una sistemazione definitiva. Nel 1968, il rettore padre Pasquale Pasquariello creò un piccolo museo, destinato a conservare e preservare dalla distruzione gli ex-voto; tale museo fu inaugurato nel luglio 1968, in occasione della sagra estiva di Bonaria. Secondo la leggenda, il 25 marzo 1370 una nave partita dalla Catalogna fu sorpresa da una tempesta. I marinai decisero allora di gettare in mare tutto il carico, tra cui una pesante cassa. Appena la cassa venne gettata in mare, la tempesta si placò. La cassa approdò quindi a Cagliari, proprio sotto il colle di Bonaria; i frati del convento, apertala, vi trovarono una statua in legno di carrubo della Vergine Maria che tiene con una mano in braccio il Bambino Gesù e nell'altra ha una candela accesa Santa Maria della Candelora. La devozione alla statua miracolosa si diffuse immediatamente in tutta la Sardegna, specie tra i marinai che la invocano come protettrice. Narra infatti sempre la leggenda che la navicella d'avorio, offerta in ringraziamento alla Vergine da una devota, che era stata appesa davanti alla statua con una corda di canapa, avesse iniziato a muoversi segnando i venti che spiravano fuori dal golfo di Cagliari e che i marinai, prima di prendere il mare, si recassero sempre nel santuario. I conquistadores spagnoli diedero per devozione il suo nome alla capitale dell'Argentina, Buenos Aires. Il 13 settembre 1907 papa Pio X proclamò la Madonna di Bonaria patrona massima della Sardegna. Cento anni dopo, nel 2007, si è celebrato il centenario di tale proclamazione, conclusosi il 7 settembre 2008 con la solenne celebrazione presieduta da papa Benedetto XVI, giunto in visita pastorale a Cagliari (l'annuncio ufficiale dell'evento è stato dato alla Sardegna intera dall'arcivescovo di Cagliari Giuseppe Mani nella messa della Natività nel duomo, il 25 dicembre 2007). La visita a Cagliari è stato il terzo e ultimo viaggio apostolico in Italia per il 2008, dopo la Liguria e la Puglia. Il 22 settembre 2013 papa Francesco ha visitato il santuario della Madonna di Bonaria per la sua prima visita pastorale. La festa di Nostra Signora di Bonaria viene celebrata il 24 aprile. Chiese di Cagliari Buenos Aires Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne del santuario di Nostra Signora di Bonaria Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul santuario di Nostra Signora di Bonaria Il sito del santuario, su nsdibonaria.it. URL consultato il 24 settembre 2006 (archiviato dall'url originale il 1º febbraio 2009). Sito dedicato a Nostra Signora di Bonaria, su spazioinwind.libero.it. Storia della statua della Madonna di Bonaria, su capoterraweb.it. URL consultato il 24 settembre 2006 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2006). L'organo a canne (PDF), su organaccademy.altervista.org. URL consultato il 26 agosto 2012 (archiviato dall'url originale il 5 marzo 2016).

Teatro Alfieri (Cagliari)

Il teatro Alfieri è stato un teatro di Cagliari situato in via della Pineta. Aperto negli anni sessanta come cine-teatro, fu l'unica sala teatrale per la città negli anni ottanta, dopo la chiusura del teatro Massimo (nel 1982, poi riaperto nel 2009) e prima dell'apertura del teatro Lirico (1993). Nel 2010 ha chiuso i battenti ed è rimasto sfitto in attesa di una riconversione mai avvenuta, per essere poi demolito a giugno 2020. Durante la seconda guerra mondiale vennero distrutti i due teatri più importanti di Cagliari: il Politeama Regina Margherita, per un incendio nel 1942, e il teatro Civico di Castello, dai bombardamenti del febbraio 1943. Nel 1947 venne inaugurato il teatro Massimo, ma con l'espansione di Cagliari una sola sala teatrale non bastava, ed anche quelle cinematografiche non servivano tutti i nuovi quartieri. Nel 1961, per iniziativa dell'imprenditore Umberto Cossu, venne così inaugurato il cine-teatro Alfieri, in una zona in piena espansione, in prossimità dello stadio Amsicora e al Quartiere Fieristico. Nei primi anni di attività funzionante anche come teatro, svolse prevalentemente la funzione di cinema dal 1965 fino al 1982, anno di chiusura del Massimo. Con la chiusura del Massimo per l'Alfieri cominciò una grande stagione teatrale, che è continuata sino al febbraio 2009, con la riapertura del teatro Massimo. Nel frattempo, con l'apertura dei multisala, l'Alfieri decise di non proiettare più film, se non in particolari circostanze. Nel 2010 chiuse a causa della crescente egemonia dei multisala in periferia rispetto alle sale singole e dei teatri nel centro storico della città. In progetto ci fu la conversione dell'edificio in locali residenziali e commerciali ma rimase chiuso e nella sua originale conformazione fino a giugno 2020 quando la struttura fu demolita. La decorazione del Foyer, affidata a Dino Fantini, si caratterizzava per dei bassorilievi nel soffitto e da un grande pannello ad olio dedicato al carnevale italiano. AA.VV. Almanacco di Cagliari 2010, Cagliari, 2010 Cagliari

Museo dell'arciconfraternita dei Genovesi

Il museo dell'arciconfraternita dei Genovesi si trova a Cagliari, in via Gemelli, presso la sede dell'arciconfraternita dei Santi Martiri Giorgio e Caterina dei Genovesi, adiacente all'omonima chiesa, nel quartiere Monte Urpinu. Il museo è costituito da una raccolta di testimonianze storico - artistiche legate all'arciconfraternita dei Genovesi, fondata a Cagliari alla fine del XVI secolo e tuttora esistente. Le sale al piano terra del museo ospitano dipinti, sculture, suppellettili e paramenti liturgici, custoditi in passato presso l'antica sede dell'arciconfraternita, la chiesa dei Santi Giorgio e Caterina, costruita in via Manno, nel quartiere Marina, e distrutta dai bombardamenti il 13 maggio 1943. Tra i dipinti, di particolare rilievo sono: La Madonna della città, opera seicentesca di scuola genovese, raffigurante la Madonna col Bambino, tra angeli, mentre offrono a san Bernardino le chiavi della città di Genova, rappresentata ai loro piedi con le mura e la caratteristica Lanterna. Cristo e Maria offrono il rosario a santi domenicani, opera di Giovanni Bernardino Azzolino, databile tra il 1620 e il 1630. Madonna con il Bambino e i santi Giorgio e Caterina, opera seicentesca del genovese Giovanni Andrea De Ferrari, collocata sull'altare maggiore dell'antica chiesa. Tra le sculture, si conserva un'opera dell'artista ligure Giuseppe Anfosso, allievo del genovese Pasquale Navone; l'opera, giunta da Genova nel 1792, è un gruppo scultoreo in legno policromo che raffigura il Martirio di santa Caterina. Diversi sono gli oggetti d'argento custoditi nel museo, tra cui una croce astile del XVII secolo, un ostensorio del XVIII secolo, il turibolo e la navicella per l'incenso del XIX secolo. Queste ultime sono opera dell'argentiere Luigi Montaldo (1782 - 1867), nato a Genova ma trasferitosi a Cagliari nei primi anni dell'800, membro dell'arciconfraternita dei Genovesi dal 1832. Interessante anche l'esposizione delle antiche vesti liturgiche, come la pianeta del XVII secolo, con ricamate le effigi dei santi Giorgio e Caterina e lo stemma di Genova. Al primo piano sono invece custoditi alcuni importanti documenti della storia dell'arciconfraternita, tra cui il volume in pergamena del 1596, redatto in lingua italiana, contenente lo statuto dell'associazione. Cagliari Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina Sito ufficiale, su web.tiscali.it. Cagliari, Museo dell'Arciconfraternita dei Genovesi, su sardegnacultura.it. URL consultato il 30 agosto 2023. Museo dell'Arciconfraternita dei Genovesi, su Touring Club Italiano. URL consultato il 30 agosto 2023. Museo dell'Arciconfraternita dei Genovesi, su Ministero della cultura. URL consultato il 30 agosto 2023.

Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina
Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina

La chiesa dei Santi Martiri Giorgio e Caterina dei Genovesi, sede della omonima confraternita, è una chiesa parrocchiale di Cagliari. L'edificio è situato in via Gemelli, alla base del colle, adibito a parco urbano, di Monte Urpinu, nell'omonimo quartiere. Una prima chiesa dedicata ai santi Giorgio e Caterina sorse a Cagliari alla fine del XVI secolo, come sede dell'"arciconfraternita dei santi martiri Giorgio e Caterina dei Genovesi". La confraternita, legata alla storia della fiorente comunità genovese di Cagliari, venne costituita nel 1587 dall'arcivescovo Francesco del Val ed eretta in arciconfraternita nel 1591 da papa Gregorio XIV. Inizialmente l'associazione aveva la sua sede presso una cappella della chiesa del convento di Santa Maria di Gesù (che occupava l'area dove oggi sorge l'ex Manifattura Tabacchi, in viale Regina Margherita). Per statuto i membri della confraternita dovevano avere origini liguri. La costruzione della nuova sede iniziò nel 1599, con la posa della prima pietra da parte dell'arcivescovo Alonso Lasso Çedeño. La chiesa, completata nel corso del XVII secolo, sorgeva in Sa Costa (attuale via Manno), nel quartiere Marina, con linee architettoniche richiamanti elementi del manierismo e del barocco, mentre gli interni custodivano diverse opere d'arte. La facciata era caratterizzata da un portale, incorniciato da due colonne tortili e da un fastigio curvilineo, contenente lo stemma di Genova. L'interno era ad unica navata con cappelle laterali. La volta a botte dell'aula si presentava decorata a cassettoni. La chiesa venne distrutta dai bombardamenti il 13 maggio del 1943, durante la seconda guerra mondiale. Finita la guerra, si pensò alla ricostruzione della chiesa dell'arciconfraternita dei Genovesi. Un primo progetto, risalente al 1947, prevedeva la ricostruzione dell'edificio nell'area della chiesa distrutta, in via Manno (questo terreno venne invece successivamente venduto al gruppo La Rinascente). Il progetto definitivo, da realizzarsi nella zona di Monte Urpinu, in un quartiere periferico in rapida espansione, venne ideato da Marco Piloni e Francesco Giachetti nel 1957. La chiesa divenne sede della parrocchia eretta il 23 novembre 1964 dall'arcivescovo Paolo Botto e da lui stesso venne consacrata il 23 novembre 1967. Nel 2001 venne realizzata la scalinata, prevista nel progetto del '57, che collega la chiesa alla sottostante via Scano. L'attuale chiesa, a pianta centrale, presenta esternamente otto facce, costituite da alte arcate paraboloidali, all'interno delle quali si alternano pareti in muratura e vetrate. Ciascuno degli otto "spicchi" che costituiscono l'edificio è raccordato a una lanterna, situata al centro e nella parte alta della chiesa. Il portale è sormontato dallo stemma di Genova, recante il motto LIBERTAS, recuperato dalle macerie dell'antica chiesa. L'interno è caratterizzato dalla luminosità che filtra dalle grandi vetrate colorate, in cui sono i disegni di Rolando Monti che rappresentano gli strumenti della passione di Cristo. Alle quattro vetrate, come già accennato, si alternano quattro pareti in muratura, in cui le pitture monocromatiche di Dino Fantini raffigurano vicende della vita dei santi Giorgio e Caterina, la Madonna (sopra l'arco del presbiterio) e infine i membri dell'arciconfraternita dei Genovesi mentre visionano il progetto della nuova chiesa (parete sopra l'ingresso). L'interno del tempio è ornato da opere d'arte e memorie provenienti dalla chiesa distrutta. Il presbiterio, recentemente restaurato, risulta alterato rispetto alla sistemazione originaria; non è più presente la balaustra, mentre l'altare maggiore con l'antico tabernacolo seicentesco è stato sostituito dalla sede del celebrante, sormontata dal Crocifisso ligneo del 1740 (precedentemente collocato nella seconda cappella a destra). L'opera, attribuita a un allievo di Anton Maria Maragliano, si staglia sullo sfondo delle canne dell'organo. Al centro dell'area presbiteriale si trova la mensa marmorea, consacrata dall'arcivescovo Giuseppe Mani il 26 aprile 2008. Le sei cappelle laterali ospitano alcune opere d'arte, come la piccola statua in corallo della Vergine di Adamo (terza cappella a sinistra), che la tradizione vuole rinvenuta in mare, all'interno di una conchiglia nel XVII secolo da un capitano genovese di nome Adamo. La piccola statua, molto venerata in passato, è collocata al centro di una raggiera dorata, ornata con pietre preziose, opera di Federico Melis. Nella stessa cappella, sotto la mensa dell'altare, si trova un pezzo di terra portato da Nikolajewka sul Don, dono degli Alpini in memoria dei caduti sardi nell'ultima battaglia della ritirata e di tutti i caduti. Tra una cappella e l'altra sono collocate antiche lampade lignee processionali. Altre opere sono custodite nel museo dell'arciconfraternita, nei locali adiacenti alla chiesa. Antioco Piseddu, Le chiese di Cagliari, illustrazioni di Gianflorest Pani, Sestu, Zonza Editori, marzo 2000, ISBN 978-88-8470-030-8. Franco Masala, Architettura dall'Unità d'Italia alla fine del '900, Nuoro, Ilisso Edizioni, 2001, ISBN 88-87825-35-1. Chiese di Cagliari Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa dei Santi Giorgio e Caterina Sito ufficiale, su santigiorgioecaterina.it. Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Cagliari, Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina, su sardegnacultura.it. URL consultato il 9 novembre 2023 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina, su Monumenti aperti. URL consultato il 9 novembre 2023.

Parco di Monte Urpinu
Parco di Monte Urpinu

Il parco di Monte Urpinu è un parco cittadino di Cagliari, situato nell'omonimo quartiere. È la prima area verde della città per estensione, nonché la più antica. Nel XIV secolo a.C. sul punto più elevato dell'omonimo monte fu eretto il nuraghe Bianco, attualmente rimangono soltanto poche parti della cinta muraria poiché i massi calcarei utilizzati per la sua costruzione furono riutilizzati e sono comunque poco resistenti alle intemperie. Si presentava simile al complesso di Su Nuraxi ed era uno dei nuraghi più importanti dell'isola, presentando un muro di oltre 20 m. L'archeologo Giovanni Spano riporta che il toponimo derivi dal latino mons vulpinus, il monte sul quale trova sede il parco era infatti un tempo popolato da volpi, conigli, pernici e cinghiali. Nel tempo il bosco presente si ridimensionò fino a sparire, venendo sfruttato per il suo legname. Nel 1536 il Regno di Sardegna emise infatti un'ordinanza per contrastare il fenomeno del diboscamento illegale. GIà nel 1819 Alberto La Marmora proponeva di impiantare il Pinus pinaster, nel 1870 fu effettuato un rimboschimento con esemplari della specie Pinus halepensis sull'omonimo colle, curato dall'agronomo Rafaele Pischedda e ordinato da Edmondo Sanjust di Teulada. Nel 1930 l'Aeronautica militare costruì nel parco e nello stagno di Molentargius un deposito sotterraneo di carburanti, successivamente ampliato negli anni 1980. I ventidue serbatoi di carburante erano collegati, tramite condotte, al porto (zona "Su siccu") e agli aeroporti di Decimomannu ed Elmas. Nell'agosto del 2007 il deposito viene dismesso, ed è stato possibile visitarlo nel 2017. Il 12 febbraio 1939 il Comune di Cagliari acquistò il terreno per 1 000 000 L.. Nel 1954 effettuò un secondo rimboschimento, mentre negli anni 1980 creò cinque laghi artificiali, un campo da tennis ed una strada panoramica attorno al parco, viale Europa. Nel corso del 2022 la morte di alcuni esemplari di pavone ha rivelato la presenza di un focolaio di influenza aviaria, per questo motivo sono stati abbattuti 228 esemplari di uccelli come misura precauzionale, scatenando la protesta della città. È stato riaperto dopo circa un mese ed è in corso il ripopolamento. Oggi il parco si estende per 350000 m² ed è dotato di 14 km di viali, con suggestivi punti di vista su Cagliari e il Campidano, lo stagno di Molentargius e la spiaggia del Poetto (Su Poettu), trovandosi a 98 m s.l.m.. Il viale Europa lo percorre sulla cresta in tutta la sua lunghezza. Le specie botaniche più diffuse, non tutte spontanee ma adatte al clima mediterraneo caldo e semiarido e al suolo roccioso calcareo, sono il pino d'Aleppo, l'olivastro, il carrubo, il leccio, il lentisco, l'euforbia arborea, l'alimo, l'alaterno, la fillirea, il bagolaro, il pino delle Canarie. Tra gli animali che dimorano nel parco vi sono cigni, gallinelle d'acqua, germani reali, oche, raganelle, tartarughe e pavoni. Il parco è abitato, inoltre, da una colonia di gatti recentemente dotata di cucce. Le stesse possono ospitare fino a quattro esemplari e proteggono gli animali in caso di precipitazioni. Antonio Romagnino e Ludovica Romagnino, Cagliari, collana Le guide, 3ª ed., Edizioni Della Torre, 4 giugno 2018, ISBN 978-8873434825. Monte Urpinu Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul parco di Monte Urpinu Sito ufficiale, su comune.cagliari.it. Monte Urpinu, su SardegnaTurismo. URL consultato il 24 agosto 2023. Parco urbano di Monte Urpinu, su Touring Club Italiano. URL consultato il 24 agosto 2023. Parco di Monte Urpinu, su Associazione Parchi e Giardini d'Italia. URL consultato il 24 agosto 2023.