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Forte Azzano

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ForteAzzano
ForteAzzano

Forte Azzano, chiamato originariamente Werk Neu Wratislaw, è una fortificazione posta a sud di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del secondo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1859 e 1866. La struttura fortificata fu realizzata tra 1860 e 1861 e i lavori furono diretti dall’Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona. Il forte era intitolato al conte Johann Wratislaw von Mittrowitz, capo di Stato Maggiore d'Armata sotto Radetzky tra 1848 e 1849. Il forte, a tracciato poligonale (un sistema poligonale misto tipico della scuola fortificatoria neotedesca) con ridotto centrale, è situato in aperta campagna ed equidistante dai forti Dossobuono e Tomba, con i quali faceva sistema incrociando i tiri. Sebbene fosse dotato di minore armamento rispetto agli altri forti di prima linea, presidiava la campagna tra Dossobuono e Ca' di David. Le sue artiglierie da fortezza, oltre a battere di fronte e di fianco la ferrovia proveniente da Mantova, esercitavano una potente azione di combattimento sulla pianura, contro tentativi nemici condotti da meridione, dopo il forzamento del medio Mincio. Il forte Azzano è simile, per impianto architettonico e caratteristiche tecnico-logistiche, ai forti Lugagnano e Dossobuono, se ne distingue tuttavia per le dimensioni d'insieme leggermente inferiori (il fronte di gola misura 183 metri, rispetto ai 200/204 metri dei due forti precedenti), di conseguenza è minore l'estensione del ridotto e il paradorso sul fronte di gola è disposto diversamente. L'ingresso al forte fu risolto dal progettista con una disposizione complessa, coordinata al doppio recinto di sicurezza interno. Nel terrapieno del fronte di gola rettilineo è inserita un'opera casamattata, alla quale è innestata la caponiera di gola, per artiglieria e fucileria, che difendeva l'accesso. La strada di accesso si sdoppia quindi davanti alla caponiera arrotondata, in direzione dei due portali laterali, simmetrici, preceduti dal ponte levatoio. Dai due portali ad arco si accede al piazzale interno, sotto il tiro dei fucilieri. Al centro del forte si eleva, su due piani e con copertura casamattata, il ridotto a corpo lineare, piegato sul tracciato a lunetta, con raccordi d'angolo arrotondati. Lungo il cortile interno del ridotto, al centro della facciata, sporge un corpo su pianta trapezoidale che contiene la scala e i servizi igienici. Sui due piani, nei locali a volta, sono disposti i ricoveri per la numerosa guarnigione e le varie funzioni logistiche, che rendevano l'opera autosufficiente. Il fronte principale del ridotto è ordinato per la difesa, su ogni piano, con galleria perimetrale a feritoie per fucilieri. Sul fronte secondario, concavo, il cortile è chiuso da un muro rettilineo di sicurezza. Nel mezzo, ai lati del passaggio per l'accesso al cortile, altri due muri paralleli si collegano alle casematte del fronte di gola, delimitando un ulteriore compartimento di sicurezza. Il tutto forma un doppio recinto a feritoie che, assieme alle gallerie per fucilieri del fronte principale, assicurava la difesa progressiva dell'opera. Inoltre tre pozzi per le riserve d'acqua sono collocati agli angoli del piazzale interno, in nicchie casamattate. Attorno al ridotto, il grande terrapieno si eleva sull'impianto a lunetta pentagonale, e copre in aderenza anche l'intero fronte di gola. Le postazioni di combattimento per l'artiglieria da fortezza, a cielo aperto, sono protette da numerose traverse, in parte casamattate. All'esterno, completavano l'opera la scarpa a pendenza naturale, rivestita dal muro aderente solo in corrispondenza delle tre caponiere. Dall'esterno, verso il fronte principale, si percepisce l'architettura di terra, con masse dai profili ben modellati dalla geometria del defilamento, mentre le opere murarie sono completamente sottratte alla vista. Nel fronte di gola, secondo un modello classico, spiccano i portali monumentali, inseriti nelle severe membrature murarie. Nel nucleo del forte il ridotto assume duplice fisionomia: fortificatoria, nel prospetto esterno, convesso, con la serrata sequenza di feritoie su due ordini; quasi civile, nel prospetto concavo interno, che affaccia sulla corte, con la successione di bifore a sesto ribassato. Una rarità costruttiva la si incontra nelle poterne principali, coperte da volte di laterizio a gradoni discendenti e con il tratto terminale a volta gotica. Ciottoli e listati di laterizio (come nella tradizione costruttiva del medioevo veronese) rivestono i muri di controscarpa, mentre il tufo di Verona riveste gli altri edifici del forte, conferendogli un aspetto di straordinaria saldezza. L'armamento della fortificazione consisteva in: 5 cannoni ad anima rigata da 9 cm a retrocarica 3 cannoni ad anima rigata da 9,5 cm ad avancarica 22 cannoni di diverso calibro ad anima liscia Riserve di munizioni: 52 500 kg di polveri. Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 300 fanti 68 artiglieri Era inoltre possibile disporre un presidio di emergenza di 400 uomini. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona

Estratto dall'articolo di Wikipedia Forte Azzano (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Forte Azzano
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Luoghi vicini

Golosine
Golosine

Golosine è uno dei quartieri a sud di Verona che fa parte della circoscrizione 4. Il quartiere è abitato da 14.828 persone. Dista all'incirca 2,5-3 km dal centro, raggiungibile tramite alcune linee di autobus pubblici. Per effetto dell'incremento demografico si sta sviluppando velocemente con servizi ed attrezzature adeguate. È previsto il riassetto della zona confinante con il Quartiere Fieristico a sud di Verona così come indicato nel nuovo PAT (Piano Assetto Territoriale) lungo l'asse Viale Piave-Viale del Lavoro con la costruzione di nuovi insediamenti commerciali, sistemazione degli ex magazzini generali, con l'aumento delle zone verdi e la realizzazione di nuovi parcheggi per l'Ente Fieristico. Raggiungibile con gli autobus del servizio urbano ATV 23,24,73 e 62 e con gli autobus serali 91 e 98. Nel Medioevo la zona era ricoperta di boschi molto vasti, luogo di caccia, ma anche rifugio di briganti. Al limite del bosco c'era un'osteria con annessa casa chiusa al piano superiore, gestita da due sorelle, dette "le golosine" per le loro abilità amatorie e culinarie, da cui il nome dell'attuale quartiere. L'osteria si trovava alla fine dell'attuale via Golosine, all'attuale civico 153 Vedi l'edificio che ha dato il nome al quartiere Il confine Nord del quartiere è segnato dall'antica linea ferroviaria Verona Bologna, che divide le Golosine dal quartiere Santa Lucia. In questo quartiere è cresciuto il celebre attore, cantante e membro-fondatore dei Gatti di Vicolo Miracoli Umberto Smaila. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Golosine

Chiesa di Santa Lucia Extra
Chiesa di Santa Lucia Extra

La chiesa di Santa Lucia Extra è un luogo di culto cattolico che sorge nel quartiere di Santa Lucia a Verona; si tratta di una chiesa parrocchiale facente parte del vicariato di Verona Sud nell'omonima diocesi. La storia della chiesa di Santa Lucia è stata piuttosto agitata, tanto che venne più volte distrutta e ricostruita. Il primo documento che ne fa menzione è datato 973, un atto di vendita che attesta la cessione all'oratorio di un terreno con delle case, mentre una successiva testimonianza del 1178 parla già di un convento di frati con annessa chiesa. Nel 1252 il vescovo Iacopo di Breganze autorizzò l'edificazione di una nuova chiesa in sostituzione della precedente, tuttavia nel 1260 la nuova chiesa e il convento furono rasi al suolo, probabilmente durante le scorrerie dell'esercito guidato da Ezzelino III da Romano, così la chiesa venne essere ricostruita tra il 1309 e il 1319 insieme al monastero, che questa volta venne occupato dalle monache benedettine. Altro anno importante fu il 1517, quando la Repubblica di Venezia decise, per ragioni di ordine militare, di abbattere ogni manufatto posto entro un miglio dalle mura di Verona, tra cui la chiesa e il monastero di Santa Lucia. Una nuova chiesa venne così ricostruita nel 1518 a maggiore distanza dalla città, proprio nel punto in cui sorge l'attuale edificio chiesastico. Questo venne finalmente eretto a parrocchia autonoma il 21 ottobre 1649, grazie a un decreto del vescovo Marco Giustiniani. Intorno all'inizio del XVIII secolo venne edificato il campanile, ancora oggi presente, mentre sul finire del secolo successivo iniziarono i lavori di ampliamento della chiesa; tuttavia in fase di cantiere, il 23 ottobre 1898, la chiesa subì un grave crollo, perciò l'edificio venne sostanzialmente ricostruito nella sua forma definitiva, che ancora oggi lo contraddistingue: l'edificazione del nuovo tempio fu spedita, così che il 12 aprile 1900 fu già benedetto. La consacrazione della chiesa, e di un nuovo altare, avvenne finalmente il 26 giugno 2005 ad opera del vescovo Flavio Roberto Carraro. La facciata a capanna, intonacata, è caratterizzata da due coppie di paraste ioniche che si appoggiano su una zoccolatura e reggono la trabeazione; al centro si trova invece il portale d'ingresso timpanato e più in alto un'iscrizione e una finestra semicircolare. Ai lati del portale d'ingresso si trovano due nicchie ove sono state collocate le statue di Santa Lucia e di Sant'Antonio da Padova. I muri laterali sono invece con paramento murario a vista e sono ritmati da imponenti contrafforti che si rastremano verso l'alto: essi inquadrano in basso i volumi emergenti delle cappelle e in alto le finestre semicircolari che illuminano l'aula interna. Il campanile si contraddistingue per un fusto slanciato dotato di orologio e di una cella campanaria a edicola, con quattro ampie monofore dotate di balaustra, e terminante in alto con una copertura a cipolla e quattro pinnacoli. La chiesa ha una pianta ad aula rettangolare a unica navata, con presbiterio rialzato di quattro gradini e terminante con un'abside semicircolare. I prospetti laterali sono scanditi da lesene ioniche che inquadrano delle arcate cieche alternate ad arcate contenenti, invece, le quattro cappelle laterali. Ai due lati del presbiterio si trovano una cappella feriale (a sinistra) e un'aula più piccola (a destra). Tra le varie opere d'arte all'interno si trovano alcune statue inserite entro nicchie e le pitture di Agostino Pegrassi, situate nel catino absidale e nell'arco trionfale. Verona Monumenti di Verona Chiese di Verona Diocesi di Verona Parrocchie della diocesi di Verona Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Lucia Chiesa di Santa Lucia Extra, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Santa Lucia (Verona)

Santa Lucia, anticamente paesino adiacente a Verona (la sua parrocchia è tuttora chiamata Santa Lucia extra per distinguerla dal convento di Santa Lucia intra, che ha generato il nome, dopo il testamento di Pace drappiere, ricco mercante di epoca scaligera, risanatosi dopo malattia agli occhi,e divenuto devoto della Santa. Dunque nacque un secondo convento extra perché posizionato fuori dalle antiche mura comunali, sopra il ciglione creato dall'antico deposito glaciale), è oggi un quartiere inglobato nella città stessa, posto a sud ovest dal suo centro. Il quartiere è abitato da 11.941 persone. Fa parte della Circoscrizione 4 del Comune di Verona. È molto citato in quanto teatro di una dura battaglia avvenuta il 6 maggio 1848 nell'ambito della prima guerra di indipendenza fra truppe piemontesi ed austriache, arroccate all'interno del cimitero parrocchiale e dove un monumento in localita Fenilon ne rievoca le gesta. Dopo la distruzione del quartiere a causa dei bombardamenti alleati nella seconda guerra mondiale i cittadini riuscirono a riportare in auge il quartiere, grazie al loro spirito e alla loro forza (molto probabilmente trassero ispirazione dal popolo di Roma che dopo una rovinosa sconfitta a Canne nel 216 a.C. inflittagli da Annibale Barca e il suo esercito trova la futura salvezza proprio grazie alla forza d'animo dei suoi soldati). Negli anni cinquanta è stata oggetto insieme al quartiere delle Golosine di un veloce processo di urbanizzazione, che l'ha unita al nucleo cittadino grazie alla costruzione di numerose case popolari-residenziali, le cui propaggini si estendono fino alla zona industriale, doganale ed agroalimentare. Al giorno d'oggi si nota come un grande incremento della popolazione nei precedenti anni abbia portato a diversi scontri politico-economici all'interno del quartiere. Il pittoresco campanile, con la cupola a cipolla che si slancia verso il cielo, ospita sei grosse campane in scala musicale di Re3 calante, la maggiore delle quali (di kg 1170) venne fusa dal veronese Larducci nel 1777. Essa presenta un partito decorativo minuzioso e dettagliato ed un suono caldo ed avvolgente. Esiste una squadra che manovra queste campane secondo la tecnica dei concerti di Campane alla Veronese. Una colonna nella zona campanaria risulta offesa da una cannonata piemontese avvenuta appunto nel Maggio 1848 Non va dimenticato l'attuale Forte ristrutturato Austriaco intitolato a Gisella (figlia di Francesco Giuseppe d'Austria costruito 1860 poi forte Dossobuono alla riunificazione Italiana) posto sulla direttrice Verona Mantova, oggetto di attività ludico culturali gestite da un Comitato sotto l'egida del Comune di Verona. Infine fra i tanti monumenti storici di Santa Lucia ci sono sicuramente Piazza dei Caduti, la piazza centrale del quartiere dove sono ricordati i defunti della Prima e Seconda Guerra Mondiale, la Madonnina dell'incrocio fra Via VI Maggio e Via Mantovana (già antica strada romana Postumia che collegava Genova ad Aquileia) ora sempre più invasa dal traffico motoristico, quindi rumore e smog e la storica chiesa parrocchiale di via Santa Elisabetta vicino alle scuole elementari e medie Gli edifici condominiali sono risalenti agli anni 50 e anni 60. Nella zona Brigate sono presenti villini e case singole come in altre settori limitrofi alla circoscrizione. Il quartiere essendo a 10 minuti dal centro, è ben inglobato nella città e ben collegato con gli altri quartieri. Le linee che si possono prendere sono 23, 24, 62 e 73 nei giorni feriali e prefestivi mentre 91 e 98 nei giorni festivi. Ci sono corse speciali per le scuole e corriere che portano fuori città e nel Villafranchese. Santa Lucia dispone di diversi negozi di tutti i tipi per i propri abitanti. Ci sono supermercati, mercerie, tabaccherie, cartolerie e bar/pasticcerie e pizzerie al taglio e , dal punto di vista culinario, si può gustare oltre ai tradizionali menu veneti anche pietanze afro/asiatiche. L'attività fisica non è sicuramente un ambito trascurato nel quartiere. Ci sono due piste ciclabili, una che la collega al centro passando per Viale Piave e l'altra che attraversa il pittoresco e suggestivo centro del paese. Poi la parrocchia offre campi da calcio basket e pattinaggio e Grest estivo per i bambini/e. Confina con San Massimo Golosine e Z.A.I. che è comoda per l'accesso all'autostrada BS-PD e TN/Brennero a Nord. Vista la posizione strategica del quartiere è divenuto il luogo di passaggio per le persone che vengono dalla provincia per andare in città e viceversa, creando abitualmente rumore,confusione e smog. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Santa Lucia

Fiera di Verona
Fiera di Verona

La fiera di Verona è un complesso di padiglioni ed edifici a destinazione fieristica e congressuale che sorge nel quartiere di Borgo Roma a Verona. Il complesso ha una superficie totale di 309000 m² di cui 152000 m² di superficie espositiva coperta divisi tra 13 padiglioni. Le fiere a Verona sono testimoniate fin dal IX secolo. Degna di nota quella a cadenza annuale istituita nel 1632 dal podestà Andrea Cornaro per rilanciare l'economia cittadina dopo la terribile peste del 1630, che veniva organizzata presso la centrale piazza Bra. Le strutture tuttavia erano in legno e furono più volte distrutte da incendi, in particolare quello del 28 ottobre 1712 convinse le autorità cittadine a costruire una fiera in muratura, che sarebbe stata la prima in Italia. Fu così che nel 1722 iniziò la costruzione della fiera di Muro presso il Campo Marzio nel quartiere di Veronetta, conclusa nel dicembre 1723 e dotata di ben 124 botteghe. Le strutture edilizie della fiera furono tuttavia abbandonate gradualmente a partire dall'età napoleonica e quindi completamente demolite nel corso del XIX secolo. La storia contemporanea della fiera di Verona ha origine nell'ottobre del 1897, quando l'amministrazione comunale organizzò una prima edizione sperimentale di quella che sarebbe diventata la Fieracavalli. L'evento, che si tenne in piazza Cittadella, fu un successo e l'amministrazione comunale decise di renderlo semestrale. Per ospitare la fiera l'anno successivo fu pertanto necessario individuare un luogo idoneo dove poter installare un sufficiente numero di scuderie: inizialmente si pensò di utilizzare gli orti del barone Weil-Wess, situati sul retro del suo palazzo prospiciente l'attuale corso Porta Nuova, ma alla fine si optò per gli orti di Biadego, da alcuni anni entrata nelle proprietà comunali, posta subito al di fuori delle mura comunali di Verona, tra il fiume Adige e l'attuale via del Pontiere. Il 28 dicembre 1897 il Consiglio Comunale approvò il piano per la costruzione del nuovo campo fiera, che prevedeva: la demolizione di parte dei fabbricati di un convento per creare un nuovo accesso e la costruzione di 27 scuderie e di tutti i servizi necessari. Visto il sempre maggior successo della fiera nel corso degli anni successivi furono realizzate ulteriori grandi scuderie tanto che nel 1902 la capacità delle stesse era salita a 730 cavalli. Con la continua crescita della fiera divenne urgente la costruzione di un nuovo ingresso lungo l'attuale via del Pontiere, ancora esistente. L'Amministrazione guidata da Eugenio Gallizioli incaricò nel 1914 l'ingegnere Alfonso Modonesi, direttore dell'ufficio tecnico comunale, di redigere un progetto, approvato immediatamente dal Consiglio Comunale ma che, tuttavia, rimase momentaneamente sulla carta. Nel 1926 l'Amministrazione ripropose il progetto di Modonesi, che venne approvato e subito appaltato, tanto che i lavori del primo lotto si conclusero nel novembre 1927, anno in cui la Fiera Cavalli fu riconosciuta tramite regio decreto come Fiera Nazionale dell'Agricoltura. Con la fine dei lavori del primo lotto venne immediatamente appaltato il corpo di destra dell'ingresso, che venne completato nell'agosto 1928. Nel 1930 la Fiera, che era cresciuta tanto da estendersi in tutta l'area, comprese via Pallone, piazza Bra e piazza Cittadella, era ormai gestita con difficoltà dal Comune, così venne posta sotto la gestione di un Ente Autonomo dedicato. Durante la seconda guerra mondiale i bombardamenti alleati causarono molti danni alle strutture della fiera, così nel 1948 fu definitivamente trasferita nella nuova Zona Agricolo-Industriale (ZAI) a sud della città, guadagnando nuovi spazi e infrastrutture che avrebbero consentito un più razionale sviluppo della sede fieristica. L'istituzione della ZAI era infatti stata pianificata in quegli anni ed al suo interno era immediatamente disponibile un'ampia area di circa 200000 m², dove sorgevano le strutture della caserma Crippa e dell'autocentro militare che erano state quasi completamente distrutte durante la guerra e il cui terreno era stato richiesto in concessione dal Comune al demanio militare. Tra gli altri aspetti positivi che furono valutati nell'individuazione di quest'area vi furono la vicinanza alla stazione di Verona Porta Nuova, l'ubicazione lungo il rettifilo che andava dal previsto casello dell'autostrada Milano-Venezia fino al centro della città, l'ampia disponibilità di vie d'accesso e la posizione centrale nella nascente Zona Agricolo-Industriale. Il quartiere fieristico venne così ideato in maniera organica con la ZAI, anche dal punto di vista urbanistico e architettonico, grazie al coordinamento dell'ufficio comunale che stava pianificando la ricostruzione della città nel dopoguerra. Il progetto di sistemazione generale della fiera fu redatto dall'architetto Plinio Marconi con il supporto degli ingegneri Italo Avanzini e Giuseppe Palatini, sulla base delle esigenze suggerite dall'allora presidente dell'ente autonomo della fiera, l'avvocato Antonio Alberti: tra i principali obiettivi posti vi era quello di potere usufruire delle strutture anche nei periodi al di fuori delle fiere ed estenderne quindi la funzionalità a tutto l'anno. L'attuazione del nuovo quartiere si sarebbe dovuto svolgere per gradi, tuttavia l'urgenza della ricostruzione e la scarsa attenzione per un contesto che, al tempo, era periferico, portarono all'edificazione disorganica di diversi padiglioni senza una caratterizzazione precisa. L’unico elemento che spicca è il l'Agricenter, poi ridenominato Palaexpo, costruito tra il 1985 e il 1988 sul fronte di viale del Lavoro, che con la sua grossa mole e con la torre per uffici condiziona la vista principale della fiera dal lato della città. Un tentativo di trasformare il fronte principale fu affrontato dall'architetto Aldo Rossi nel 1996, che propose un nuovo blocco contenente un padiglione e un'aula congressuale collocato lungo l'asse dell'Agricenter, con quest'ultimo che veniva connesso alla città tramite ponti pedonali che avrebbero dovuto attraversare viale del Lavoro. Il progetto, dall'aspetto monumentale, rimase tuttavia su carta. Agli inizi degli anni duemila l'ente Fiera decise di ristrutturare la sua sede attuale, affidando il progetto allo studio GMP di Amburgo che nel 2004 consegnò il masterplan dell'intera area, che si era nel frattempo ampliata con l'acquisizione di ulteriori lotti. Furono tuttavia costruiti solo i primi due padiglioni, disegnati secondo nuovi standard qualitativi, e il progetto complessivo non fu portato a termine. Tra il 2018 e il 2020 fu infine riqualificato l'ingresso Re Teodorico, utilizzato come accesso per le manifestazioni che non coinvolgono l'intera fiera, su progetto dello studio Maffeis Engineering che ha previsto la sistemazione della piazza d'accesso, coperta con nuove pensiline dalle forme organiche, eventualmente estensibile all'intero quartiere. Nel 2017 l'ente autonomo si trasformò in Veronafiere S.p.A., società avente come obbiettivo quello di rappresentare una piattaforma di promozione a livello internazionale. Nel tempo è così riuscita a presidiare i mercati mondiali attraverso una rete di 60 delegati, la società Veronafiere do Brasil, gli uffici permanenti a Shanghai e a Il Cairo, e le proprie rassegne internazionali che si svolgono negli Stati Uniti, Brasile, Russia, Cina, Nord Africa, Medio Oriente e Australia. Il quartiere fieristico, racchiuso all'interno di un grande isolato, copre una superficie totale di 309000 m², di cui 152000 m² di superficie espositiva coperta divisi tra 13 padiglioni e 157000 m² di superficie scoperta, eventualmente adibibile a esposizioni. Sono disponibili oltre 10000 posti auto e l'accessibilità è garantita da sette porte d'accesso, le principali rinominate ingresso Cangrande, ingresso San Zeno e ingresso Re Teodorico. L'Agricenter, in seguito rinominato Palaexpo, è stato edificato tra il 1985 e il 1988 lungo il fronte di viale del Lavoro. Con la sua grande mole occupa uno spazio grossomodo rettangolare di 305 × 45 metri, per una superficie di circa 30000 m² e una volumetria di circa 300000 m³. La fiera di Verona, per rimanere centrale per il mondo rurale e continuare a essere interprete delle sue esigenze, realizzò il "Centro Permanente Internazionale dell'Agricoltura", che aveva l'obiettivo di proiettare l'agricoltura verso il futuro. Questo proposito veniva perseguito attraverso l'inserimento di tre elementi all'interno di questa grande struttura: il centro congressi, in cui collocare dibattiti, convegni e seminari; il centro mercantile, in cui alternare le esposizioni e le contrattazioni dei prodotti agroalimentari; il sistema informativo, aveva infatti sede nell'Agricenter una banca dati e relativi servizi che consentivano agli operatori di rimanere aggiornati in tempo reale sulle quotazioni dei prodotti nei principali mercati. Nel 2004 lo studio GMP di Amburgo è stato incaricato di redigere un masterplan del quartiere, che prevedeva una ristrutturazione e ampliamento per fasi successive in modo da garantire la continuità delle manifestazioni fieristiche. Lo scopo del progetto era quello di modernizzare le strutture e potenziare la possibilità di allestire più eventi contemporaneamente, oltre che a migliorare l'attrattività e l'aspetto generale del quartiere. Il progetto si svolgeva principalmente verso sud, dove dovevano essere realizzati due nuovi ingressi, est e ovest, da affiancarsi allo storico ingresso situato a nord, nei pressi del palazzo per uffici. Dall'ingresso est sarebbe partita una lunga galleria coperta su cui si sarebbero attestati i nuovi padiglioni. Due padiglioni speciali erano inoltre previsti in prossimità dell'ingresso nord, coperto con una volta a botte e destinato a manifestazioni speciali, e dell'ingresso ovest, coperto da una vasta cupola e destinato a eventi fieristici, sportivi, politici e di intrattenimento. Anche l'ingresso nord sarebbe stato sottoposto a un intervento di riqualificazione, in particolare l'Agricenter sarebbe stato rivestito in modo da diventare un grande pannello per pubblicità alla base del quale, verso viale del Lavoro, era prevista un'ampia vasca d'acqua. Di questo complesso masterplan vennero tuttavia realizzati solo due padiglioni, ultimati nel 2006. I due padiglioni, comprensivi di una galleria di servizio, occupano una superficie di 20000 m² e sono coperti da ampie travi metalliche per consentire, con le loro ampie luci, la massima libertà di allestimento degli spazi. I padiglioni hanno inoltre la possibilità, a seconda delle esigenze, di essere illuminati con luce naturale oppure di essere completamente oscurati. Nel 2018 è stata commissionata a Maffeis Engineering la riqualificazione dell'ingresso Re Teodorico, che viene usualmente utilizzato per manifestazioni di richiamo ma che interessano solamente la porzione sud del quartiere fieristico. L'elemento principale è una grande copertura formata da pensiline dalle forme organiche di 6700 m², terminata nel 2020, che diventa un elemento fortemente riconoscibile da utilizzare sia come percorso coperto verso i padiglioni sia come luogo di incontro e sosta per i visitatori, eventualmente estensibile all'intero quartiere. Le pensiline sono composte da pilastri d'acciaio che si ramificano per sostenere la copertura, caratterizzata da cuscini in etilene tetrafluoroetilene (ETFE), un materiale versatile, trasparente e autopulente: il suo utilizzo ha conferito leggerezza e trasparenza alla copertura, oltre che un certo dinamismo grazie alla scelta di utilizzare differenti gradazioni di opacità. Le principali manifestazioni fieristiche includono: Fieragricola: rassegna internazionale di agricoltura Fieracavalli: dal 1898 punto di riferimento dei prodotti di allevamento equino Marmomac: fiera dedicata alle aziende del settore lapideo Vinitaly: salone internazionale del vino e dei distillati Samoter: salone dedicato al mondo delle macchine per costruzioni Negli anni i prodotti sono aumentati e includono anche manifestazioni quali ArtVerona (fiera d'arte moderna e contemporanea), Elettroexpo (fiera dell'elettronica, dell'informatica e del radioamatore), Enolitech (salone delle tecniche per la viticoltura, l'enologia e delle tecnologie olivicole ed olearie), Innovabiomed (al servizio dell'industria biomedicale), JOB&Orienta (salone dell'orientamento, della scuola, della formazione e del lavoro), Model Expo Italy (fiera del modellismo statico, dinamico e del gioco), Motor Bike Expo (fiera della moto personalizzata), Progetto Fuoco (mostra biennale sul riscaldamento a legna, pellet e biomasse), Sol&Agrifood (salone dell'olio extravergine di oliva e dell'agroalimentare di qualità) e diversi altre. Il nuovo quartiere della fiera di Verona (PDF), Verona, Ente autonomo per le fiere dell'agricoltura e dei cavalli, 1947, ISBN non esistente. Marzia Guastella, Laura Bonadiman e Giorgia Negri, Verso Sud, in ArchitettiVerona, vol. 02, n. 121, Verona, Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona, aprile/giugno 2020, pp. 76-79. Stefano Lodi, La Fiera di «muro» nel Campo Marzio di Verona, in ArchitettiVerona, vol. 02, n. 117, Verona, Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona, aprile/giugno 2019, pp. 54-59. Volkwin Marg, Nuova fiera di Verona: il progetto, in ArchitettiVerona, vol. 01, n. 78, Verona, Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona, gennaio/aprile 2007, pp. 12-21. Alberto Vignolo, Oltre il recinto. Opportunità e limiti dell'organismo fieristico, in ArchitettiVerona, vol. 01, n. 78, Verona, Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona, gennaio/aprile 2007, pp. 30-33. Alberto Vignolo, Fiera. Una problematica centralità, in ArchitettiVerona, vol. 02, n. 84, Verona, Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona, maggio/agosto 2009, pp. 73-74. Verona Fiera di Muro Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Fiera di Verona Sito ufficiale Veronafiere, su veronafiere.it.

Forte Dossobuono
Forte Dossobuono

Forte Dossobuono, chiamato originariamente Werk Erzherzogin Gisela, è una fortificazione posta a sud-ovest di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del secondo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1859 e 1866. La struttura fortificata fu realizzata tra 1860 e 1861 e i lavori furono diretti dall’Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona. Il forte è intitolato alla arciduchessa Gisella d'Asburgo-Lorena, secondogenita dell'imperatore Francesco Giuseppe e sorella maggiore dell'arciduca Rodolfo. Il forte, a tracciato poligonale (un sistema poligonale misto tipico della scuola fortificatoria neotedesca) con ridotto centrale, era situato in aperta campagna, a circa 1 400 metri di distanza dal borgo di Santa Lucia. Collocato sulla strada per Mantova, la obbliga ad aggirarlo, verso nord-ovest, prendendola così d'infilata con le sue artiglierie, anche sul rovescio verso Santa Lucia dalle postazioni sul paradorso. Nello stesso tempo batteva di fronte e di fianco la ferrovia proveniente da Mantova e quella proveniente da Milano. Il forte incrociava il fuoco d'artiglieria con i forti collaterali di Lugagnano e di Azzano, esercitando una potente azione di combattimento sulla pianura campestre antistante, fino quasi al piede del crinale morenico di Sona e Sommacampagna. Verso la pianura di Villafranca si opponeva alle operazioni nemiche provenienti dal medio Mincio. Il forte Dossobuono è quasi del tutto eguale, per tracciato, dimensioni e caratteri architettonici, al forte Lugagnano. L'ingresso al forte fu risolto dal progettista con una disposizione complessa, coordinata al doppio recinto di sicurezza interno. Nel terrapieno del fronte di gola rettilineo è inserita un'opera casamattata, alla quale è innestata la caponiera di gola, per artiglieria e fucileria, che difendeva l'accesso. La strada di accesso si sdoppia quindi davanti alla caponiera arrotondata, in direzione dei due portali laterali, simmetrici, preceduti dal ponte levatoio. Dai due portali ad arco si accede al piazzale interno, sotto il tiro dei fucilieri. Al centro del forte si eleva, su due piani e con copertura casamattata, il ridotto a corpo lineare, piegato sul tracciato a lunetta, con raccordi d'angolo arrotondati. Lungo il cortile interno del ridotto, al centro della facciata, sporge un corpo su pianta trapezoidale che contiene la scala e i servizi igienici. Sui due piani, nei locali a volta, sono disposti i ricoveri per la numerosa guarnigione e le varie funzioni logistiche, che rendevano l'opera autosufficiente. Il fronte principale del ridotto è ordinato per la difesa, su ogni piano, con galleria perimetrale a feritoie per fucilieri. Sul fronte secondario, concavo, il cortile è chiuso da un muro rettilineo di sicurezza. Nel mezzo, ai lati del passaggio per l'accesso al cortile, altri due muri paralleli si collegano alle casematte del fronte di gola, delimitando un ulteriore compartimento di sicurezza. Il tutto forma un doppio recinto a feritoie che, assieme alle gallerie per fucilieri del fronte principale, assicurava la difesa progressiva dell'opera. Inoltre tre pozzi per le riserve d'acqua sono collocati agli angoli del piazzale interno, in nicchie casamattate. Attorno al ridotto, il grande terrapieno si eleva sull'impianto a lunetta pentagonale, e copre in aderenza anche l'intero fronte di gola. Le postazioni di combattimento per l'artiglieria da fortezza, a cielo aperto, sono protette da numerose traverse, in parte casamattate. All'esterno, completavano l'opera la scarpa a pendenza naturale, rivestita dal muro aderente solo in corrispondenza delle tre caponiere. Dall'esterno, verso il fronte principale, si percepisce l'architettura di terra, con masse dai profili ben modellati dalla geometria del defilamento, mentre le opere murarie sono completamente sottratte alla vista. Nel fronte di gola, secondo un modello classico, spiccano i portali monumentali, inseriti nelle severe membrature murarie. Nel nucleo del forte il ridotto assume duplice fisionomia: fortificatoria, nel prospetto esterno, convesso, con la serrata sequenza di feritoie su due ordini; quasi civile, nel prospetto concavo interno, che affaccia sulla corte, con la successione di bifore a sesto ribassato. Una rarità costruttiva la si incontra nelle poterne principali, coperte da volte di laterizio a gradoni discendenti e con il tratto terminale a volta gotica. Ciottoli e listati di laterizio (come nella tradizione costruttiva del medioevo veronese) rivestono i muri di controscarpa, mentre il tufo di Verona riveste gli altri edifici del forte, conferendogli un aspetto di straordinaria saldezza. L'armamento della fortificazione consisteva in: 6 cannoni ad anima rigata da 12 cm a retrocarica 2 cannoni ad anima rigata da 15 cm a retrocarica 24 cannoni di diverso calibro ad anima liscia Riserve di munizioni: 52 500 kg di polveri. Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 375 fanti 72 artiglieri Era inoltre possibile disporre un presidio di emergenza di 616 uomini. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Forte Dossobuono Forte Gisella, su fortegisella.com.

Battaglia di Santa Lucia
Battaglia di Santa Lucia

La battaglia di Santa Lucia è un episodio della prima guerra d'indipendenza italiana. Ebbe luogo il 6 maggio 1848 quando Il re di Sardegna Carlo Alberto mosse contro Verona, importante fortezza austriaca facente parte del Regno Lombardo-Veneto. Nonostante la superiorità numerica l'Armata sarda non riuscì a conquistare tutte le posizioni che avrebbero potuto consentirle di cingere d'assedio la città. Ciò per la perfetta organizzazione delle truppe austriache comandate dal generale Josef Radetzky che sfruttarono le asperità del terreno a difesa delle loro posizioni. I piemontesi riuscirono a conquistare solo uno dei tre capisaldi austriaci e al termine della giornata, mancando pure la sollevazione della cittadinanza veronese, furono costretti a ripiegare. Dopo tale successo gli austriaci ripresero l'iniziativa che non abbandonarono più per tutto il corso della campagna militare. Terzo importante scontro della guerra (dopo quello del Ponte di Goito e quello di Pastrengo), fu anche il più sanguinoso dei tre e coincise con la prima sconfitta piemontese. Alla battaglia di Santa Lucia parteciparono sia il duca di Savoia, il futuro re Vittorio Emanuele II, sia il diciassettenne arciduca d’Austria, futuro imperatore Francesco Giuseppe, che in quella occasione ebbe il proprio battesimo del fuoco. Dopo le cinque giornate di Milano e la dichiarazione di guerra all’Austria del 23 marzo 1848, Carlo Alberto attraversò con cautela la Lombardia dalla quale gli austriaci si erano ritirati. La prima vera opposizione i piemontesi la trovarono presso Goito sul fiume Mincio, dopo il quale iniziava la zona del Quadrilatero. Qui i piemontesi, nella battaglia del ponte di Goito dell’8 aprile, sconfissero gli austriaci che si ritirarono sulla linea dell'Adige. Il fiume, scorrendo da nord a sud, oltre a difendere la città fortificata di Verona, costituiva con la sua valle una via di comunicazione con l’Austria. I piemontesi, tuttavia, non sfruttarono l’occasione e invece di inseguire rapidamente gli austriaci si limitarono a cominciare l’assedio di Peschiera che era rimasta quasi isolata a ovest. Solo il 30 aprile l’esercito di Carlo Alberto riuscì ad organizzarsi e a sferrare, con la battaglia di Pastrengo, un attacco con il quale riuscì a portare la propria ala sinistra (procedendo da ovest verso est, l’ala nord) fino all’Adige. Ora Carlo Alberto avrebbe voluto ricacciare l’esercito del generale Radetzky dentro le mura di Verona sloggiandolo dalle posizioni antistanti la città. Sarebbe stata un’azione dimostrativa che aveva anche uno scopo di politica interna: stavano infatti per aprirsi i lavori della Camera dei deputati nata dalla promulgazione dello Statuto, e il Re voleva approfittarne per annunciare una brillante vittoria. Il 3 maggio 1848 re Carlo Alberto rivelò al suo comandante in capo dell’esercito, il generale Eusebio Bava, che si stava segretamente contattando la cittadinanza di Verona affinché potesse insorgere all’assalto dei soldati piemontesi e che probabilmente a quel punto gli austriaci sarebbero usciti dalla città. Il Re invitò quindi il generale a fornirgli un piano d’operazioni che servisse a tale scopo. Il giorno dopo, Bava fece avere al Re un progetto di “ricognizione offensiva” contro Verona. In questo progetto l’attacco doveva essere condotto dalle due divisioni del 1º Corpo dell’esercito comandato direttamente da Bava, con la Divisione di riserva pronta a intervenire. Il generale supponeva che il nemico avrebbe opposto alle sue divisioni una debole difesa sul fronte avanzato di cui sopra e poi si sarebbe ritirato su Verona. Tale azione, ottenendo lo scopo di prendere possesso delle alture tra Chievo, Croce Bianca (dove sarà costruito il Forte Croce Bianca), San Massimo e Santa Lucia, avrebbe respinto gli austriaci della linea avanzata e consentito ai piemontesi di studiare da presso la reale consistenza della piazzaforte di Verona. Nell'eventualità però che Radetzky fosse venuto allo scontro in campo aperto e che i veronesi fossero insorti, lo scenario sarebbe cambiato e sarebbe stata utilizzata, per sfruttare al massimo ogni eventualità, la Divisione di riserva. Carlo Alberto sottopose il piano al ministro della Guerra, il generale Antonio Franzini, il quale lo modificò rapidamente e il 5 maggio ne presentò la nuova versione che prevedeva l'inizio delle manovre per la mattina del giorno seguente. L’impostazione di Bava della ricognizione con lo scopo di «presentare battaglia alle forze nemiche» rimaneva, ma sarebbero state impegnate oltre alle divisioni menzionate, anche la 3ª del 2º Corpo. Quindi non tre ma quattro delle cinque divisioni dell’esercito piemontese. Tuttavia si sarebbe trattato di una ricognizione più cauta di quanto previsto da Bava: una volta occupate le alture il movimento in avanti avrebbe avuto termine, con l'aspettativa che il nemico dentro le mura non sarebbe uscito e che la popolazione di Verona non sarebbe insorta. Complessivamente le forze piemontesi ammassate presso Santa Lucia risulteranno composte da 35 battaglioni con vari squadroni di cavalleria e 40 cannoni, anche se non tutte queste forze saranno impegnate. Considerando che l’esercito piemontese contava 800 uomini per battaglione si arrivava alla cifra di 28.000 fanti e altri 5.000 uomini delle altre specialità. Le unità piemontesi avrebbero mosso aprendosi a semicerchio: quelle alle estremità con un tragitto maggiore da percorrere. Per evitare che l’attacco mancasse di coordinamento era prescritta una sosta nella marcia, su di una linea distante da uno a due chilometri dagli austriaci, di due ore al massimo. Alle 7 del mattino le truppe piemontesi avrebbero lasciato i loro accampamenti, dalle 9 in poi avrebbero raggiunto il punto di sosta e alle 11 sarebbe iniziato l’assalto. Questo avrebbe dovuto cominciare dal centro, sul villaggio di San Massimo (a ovest di Verona) e poi gradualmente allargarsi a nord verso Croce Bianca e a sud verso Santa Lucia; più a sud est la posizione austriaca di Tomba sarebbe dovuta capitolare per aggiramento. Su San Massimo, quindi, doveva convergere l’attacco principale della 1ª Divisione, comandata dal generale Federico d'Arvillars sostenuta dalla Divisione di riserva comandata da Vittorio Emanuele duca di Savoia, erede di Carlo Alberto. Alla destra della 1ª Divisione, la 2ª di Vittorio Garretti di Ferrere avrebbe dovuto investire Santa Lucia. Alla sinistra della 1ª, la 3ª Divisione di Mario Broglia di Casalborgone avrebbe attaccato gli austriaci a Croce Bianca. Presso Verona l’esercito austriaco era diviso in tre parti: una sulla sinistra dell’Adige, a salire fino all’altezza di Pastrengo; una seconda davanti Verona, e una terza dentro le mura della città. Tali forze ammontavano a circa 30.000 uomini. Di questi, 12 battaglioni, ovvero circa 15.600 uomini, erano schierati a difesa dei villaggi situati fra le due braccia della grande ansa dell’Adige, in fondo alla quale c’è Verona. Tali villaggi erano stati fortificati con ingegno dagli austriaci, di modo da formare una formidabile linea difensiva con i lati saldati all’Adige. Presso i villaggi c'era parte del 1º Corpo austriaco, e cioè la divisione del generale Karl Schwarzenberg costituita dalle brigate dei generali Julius Cäsar von Strassoldo e Eduard Clam-Gallas (1805-1891), con 5.600 uomini circa disposti fra Santa Lucia e Tomba; nonché il 2º Corpo del generale Konstantin d'Aspre costituito da tre brigate di fanteria e una di cavalleria disposte fra Chievo, Croce Bianca e San Massimo, con circa 10.000 uomini. Con soli 12 battaglioni (9 in prima linea e 3 di riserva), meno della metà di quelli piemontesi, la linea difensiva austriaca esterna alla città di Verona diede forse l’illusione ai piemontesi di non essere adeguatamente forte. Nonostante si appoggiasse alle due branche del fiume fuori dalla città, a Chievo e a Tombetta (dove verrà poi costruita la Torre Tombetta), essa era troppo ampia e non aveva una seconda linea. Ciò nonostante la difesa era poderosa: dai punti di forza le artiglierie battevano con efficacia le strade; e il terreno, coperto di alberi e filari di viti, ostacolava particolarmente gli spostamenti; inoltre numerose file di sassi ammonticchiati (le “marogne”) parallele alla linea difensiva si dimostreranno un altro problema per i piemontesi, costretti a scoprirsi completamente nello scavalcarle. Tutte queste difficoltà avrebbero anche reso difficile per gli uomini di Carlo Alberto il piazzamento dell’artiglieria. La difesa austriaca aveva però un punto di inferiore efficacia alla sua sinistra (cioè verso Santa Lucia), luogo in cui gli impedimenti naturali erano meno forti. Ma né Bava, né Franzini avevano pensato a una manovra importante da questo lato, che avrebbe consentito di aggirare l’intero fronte difensivo. L’assalto principale era invece previsto verso il centro, contro San Massimo, dalle due località di Sona e Sommacampagna. A dispetto degli ordini per la pausa menzionata, gli spostamenti delle brigate che costituivano le varie divisioni piemontesi mancò di coordinamento. Come già riportato sopra, l’assalto principale contro la borgata di San Massimo era affidato alla 1ª Divisione del 1º Corpo appoggiata dalla Divisione di riserva. In testa avrebbe marciato la Brigata “Regina” del generale Ardingo Trotti, anticipata da due compagnie di bersaglieri e da uno squadrone di cavalleria. Tali avanguardie si spinsero oltre il punto di sosta e furono subito bersagliate dalla violenta reazione nemica. Si ritirarono quindi con lo scopo di salvaguardare lo schieramento che stava avvenendo del 9º Reggimento della “Regina” e l’arrivo del 10º Reggimento della stessa brigata. In quel frangente, aiutanti di campo di Bava e Franzini chiesero al comando della “Regina” di effettuare il collegamento a destra con l’altra brigata della 1ª Divisione, l’”Aosta” di Claudio Seyssel d'Aix e Sommariva che si stava battendo, sorprendentemente, davanti Santa Lucia (zona di competenza della 2ª Divisione). Il 10º Reggimento prima e il 9° poi furono fatti quindi piegare verso destra, procedendo con estrema difficoltà nel terreno accidentato e solo alle 12 giunsero in località Fenilone, appena a ovest di Santa Lucia. Era successo che la Brigata “Aosta” che doveva da Sommacampagna procedere verso San Massimo, al bivio di Caselle aveva voltato a destra verso Santa Lucia e non a sinistra. Il generale Bava era con la brigata e, a quanto risulta, fu lui a decidere di deviare a destra. Sicuramente l’ordine di Franzini era poco comprensibile, poiché prima riportava che l’”Aosta” avrebbe dovuto dopo aver raggiunto il punto di sosta schierarsi fino al Fenilone e poi disponeva che le due brigate (la ”Aosta” e la “Regina”) avrebbero dovuto attaccare San Massimo. Fatto sta che in pratica Bava trasferì contro Santa Lucia l’attacco principale e tutta la 1ª Divisione fu chiamata ad appoggiare la 2ª Divisione, anzi ad anticiparla nella manovra di destra. I fatti dimostravano che la linea di sosta stabilita dal comando piemontese era troppo vicina al fronte austriaco. La Brigata “Aosta”, infatti, che si dispiegò sulla linea del Fenilone presso Santa Lucia si trovò a 700 metri di distanza dalle posizioni austriache e fu subito fatta segno di un intenso fuoco nemico. La seguiva la Brigata “Guardie” del generale Carlo Biscaretti della Divisione di riserva che, imitando l’”Aosta”, voltò anch’essa a destra al bivio di Caselle. Ormai la battaglia si concentrava su Santa Lucia. Intanto Carlo Alberto e il generale Franzini avevano raggiunto l’”Aosta” che secondo i piani avrebbe dovuto attendere sulla linea di sosta, bersagliata dagli austriaci, fino alle 11, ossia almeno un’ora. Ma il Re si pose rischiosamente in posizione molto avanzata, incurante del pericolo, fra Fenilone e Santa Lucia, per cui Bava si risolse ad attaccare il villaggio. Contravvenendo al piano, quindi, il generale Bava non si fermò sulla linea di sosta, né si preoccupò di verificare i collegamenti fra l’”Aosta” e le altre unità ai suoi lati. Durante l’avanzata di quest’ultima, a circa 200 metri dalle posizioni austriache il fuoco si fece molto violento e Bava dovette manovrare per schierare i primi battaglioni in linea di tiro. L’operazione riuscì perfettamente e la linea riprese ad avanzare, poi si fermò e iniziò il fuoco di fila contro gli austriaci, ben preparati a difesa. Riepilogando, difendevano inizialmente Santa Lucia 2.300 austriaci di due battaglioni e due squadroni di cavalleria con 6 cannoni della brigata comandata dal generale Strassoldo. Costui, però, all’avvicinarsi dei piemontesi richiamò un battaglione della brigata del generale Clam-Gallas di riserva alla rotonda di Portanova, a tre chilometri di distanza. Di fronte a loro, come abbiamo visto, c'era la Brigata “Aosta”, comandata dal generale Sommariva, composta da due reggimenti (il 5° e il 6°) e una batteria di 8 cannoni per un totale di circa 5.000 uomini. Particolarmente adatto alla difesa si rivelò il cimitero del villaggio che su tre lati era fornito di feritoie. Lo scontro di fucileria continuò senza effetto e anche l’intervento degli 8 pezzi d'artiglieria piemontesi si rivelò insufficiente, contrastato da 6 cannoni austriaci molto meglio piazzati. I feriti piemontesi confluivano intanto al Fenilone, dov’era stata allestito un pronto soccorso, abbastanza sfornito. Lo scontro durò un’ora circa, dalle 10 alle 11. La Brigata “Regina”, richiamata da San Massimo, tardava a giungere, né si vedeva arrivare la 2ª Divisione che aveva avuto sin dall’inizio il compito di attaccare Santa Lucia. Verso le 11, però, giunse la Brigata “Guardie” della Divisione di riserva che venne subito dispiegata a sinistra dell’”Aosta”. Dopo di che il generale Bava condusse personalmente all'attacco due battaglioni delle Guardie riuscendo a occupare località Pellegrina sulla linea difensiva austriaca, ma non si trattò di uno sfondamento e il successo rimase limitato. Finalmente, verso le 12, cominciarono ad arrivare davanti a Santa Lucia sia i primi elementi della Brigata “Regina”, sia, con oltre un’ora di ritardo, le prime unità della 2ª Divisione, e precisamente l'11º Reggimento, al comando di Alessandro Filippa, della Brigata “Casale”. Il comandante di quest’ultima, il generale Giuseppe Passalacqua di Villavernia, si preparò subito ad assalire la linea austriaca e fra le 12,30 e le 13 venne lanciato l’attacco generale, mentre già dalla Pellegrina gli austriaci si vedevano minacciati di aggiramento. Le brigate “Guardie”, “Aosta” e “Casale” avanzarono in modo irrefrenabile e il 6º Reggimento della “Aosta” al grido di «Viva il Re, viva l’Italia!» assalì alla baionetta il cimitero di Santa Lucia penetrandovi attraverso le brecce create dai cannoni. Qui la lotta con il battaglione di Cacciatori austriaci (Kaiserjäger) che aveva bersagliato al riparo per ore la fanteria piemontese fu cruento ma vittorioso. Più a sud il generale Passalacqua, alla testa dell’11º Reggimento conquistò la località Colombara e da lì diresse verso il centro del villaggio di Santa Lucia penetrandovi assieme ai soldati della Brigata “Guardie” e della ”Aosta”. Così, la lotta cruenta durata quattro ore, dalle 10 alle 13, ebbe finalmente termine. Gli austriaci a difesa del villaggio furono obbligati ad abbandonare le forti posizioni e si ritirarono a Verona. Di conseguenza alle 13 circa i piemontesi conquistarono Santa Lucia, schierandosi poi lungo il ciglio di fronte a Verona. Carlo Alberto, fra i generali del suo stato maggiore, scrutò la città nella speranza di avvistare un indizio di sommossa anti-austriaca, che non vi fu. Radetzky, intanto, non aveva vere riserve, dato che i 12 battaglioni a Verona dovevano mantenere l’ordine in città ed erano i meno validi. Né disponeva di una seconda linea mentre la prima minacciava di essere aggirata, con la conseguenza del passaggio di Carlo Alberto sulla riva sinistra dell’Adige a Chievo. Ciò avrebbe voluto dire l’interruzione dei collegamenti con il Trentino e l’isolamento della guarnigione di Verona. Ma i piemontesi si fermarono. Quasi contemporaneamente alle azioni su Santa Lucia, sull’altra ala dello schieramento dell’esercito di Carlo Alberto, quella sinistra, si combatteva per il villaggio di Croce Bianca. Qui la Brigata “Savoia” del generale Francesco d'Ussillon della 3ª Divisione raggiunse gli avamposti austriaci verso le 11,30. Il terreno verso Croce Bianca si presentava ai piemontesi prima declinante e poi in leggero pendio fino alla località Cascina Labbia. Già prima di questo punto le linee austriache erano perfettamente disposte dietro i caseggiati, le siepi e le marogne di massi che dominavano quella depressione che doveva essere attraversata dai piemontesi. Difendevano Croce Bianca gli austriaci del 2º Corpo del generale D’Aspre e più precisamente gli uomini della brigata del generale Friedrich von und zu Liechtenstein (1807-1885). Si trattava di circa 3.000 uomini, con 2 squadroni di cavalleria e 6 cannoni. Ma valendosi della riserva di artiglieria del 2º Corpo, Liechtenstein aveva potuto schierare altri 10 cannoni, con 1.500 fanti a sostegno. Gli altri 1.500 soldati erano pronti a intervenire da Cascina Labbia in caso di necessità. Dal canto suo, il generale piemontese Broglia di Casalborgone, attese che arrivasse sul posto anche l’altra brigata della sua 3ª Divisione, la “Composta” del generale Francesco Conti, disponendola man mano che giungeva alla sinistra della “Savoia”. Terminato lo spiegamento, i battaglioni piemontesi cominciarono ad avanzare in linea fortemente contrastati dal nemico. Un attacco piemontese di fianco fallì e dopo un’ora per la “Savoia” fu necessario tornare momentaneamente indietro per riorganizzarsi. Sulla sua sinistra, intanto, il 16º Reggimento della “Composta” (che comprendeva anche un battaglione di volontari parmensi) avanzando fu fatto segno improvvisamente da una scarica d’artiglieria a mitraglia, che in un solo colpo procurò 33 morti tra le sue file. Attaccavano in sostanza 10 battaglioni piemontesi per circa 7.000 uomini. Una forza poco più che doppia a quella austriaca che era perfettamente schierata a difesa. La 3ª Divisione si trovava per di più con il fianco destro scoperto perché le truppe piemontesi contro San Massimo avevano deviato verso Santa Lucia. Dopo le 14, quindi, giunse a Carlo Alberto la notizia che il generale Broglia aveva rinunciato alla presa di Croce Bianca. Anche in questo caso come per Santa Lucia non vi era stata nessuna esplorazione precedente, nessun vero servizio di stato maggiore, nessun vero servizio di pronto soccorso. La notizia indusse Carlo Alberto a ordinare il ripiegamento. D’altronde Radetzky non era uscito con i suoi uomini da Verona, né la cittadinanza di questa era insorta come i piemontesi speravano. Fra le 14,30 e le 15, le truppe piemontesi si disposero a ripiegare. Il disimpegno presso Santa Lucia fu protetto dalla Brigata “Cuneo”, della Divisione di riserva, e a destra dalla Brigata “Acqui” della 2ª Divisione. Proprio in questa fase si ebbe una energica controffensiva austriaca sferrata complessivamente da 7 battaglioni scelti fra quelli meno provati dalla battaglia (circa 7.500 uomini), con una batteria di cannoni e uno squadrone di cavalleria. L’attacco venne respinto da unità delle due brigate piemontesi. Radetzky allora rincalzò l’assalto con forze provenienti dalla guarnigione di Verona che pure erano state in piccola parte sfruttate durante il corso della battaglia. Ma giunti gli austriaci a Santa Lucia, trovarono le prime case sgombre constatando che ovunque le posizioni erano state abbandonate dai piemontesi. Alle 18 la battaglia che era iniziata verso le 9 presso San Massimo, poteva dirsi terminata. Gli austriaci potevano considerarsi i vincitori. Al termine della giornata, i due eserciti avevano subito perdite numerose: quello austriaco 72 morti (di cui 7 ufficiali), 190 feriti (di cui 8 ufficiali) e 87 dispersi o prigionieri; quello piemontese 110 morti (di cui 6 ufficiali) e 776 feriti (di cui 31 ufficiali). Fra gli ufficiali piemontesi caduti vi fu il comandante del 5º Reggimento della Brigata “Aosta”, il colonnello Ottavio Caccia (1794-1848) colpito al petto durante l’attacco a Santa Lucia. Le conseguenze di questa battaglia per l’esercito piemontese furono gravi. I soldati di Carlo Alberto nell’insieme mostrarono una disciplina e un coraggio notevoli. Tuttavia il piano di battaglia era mediocre e la direzione degli alti gradi riprovevole; soprattutto era mancato, nel corso della battaglia, come a Pastrengo, lo sfruttamento del successo iniziale. D’ora in avanti l’atteggiamento dell’esercito piemontese sarebbe stato di sola attesa, rivolto solo a respingere l'azione degli austriaci. L’iniziativa, tenuta per nove giorni dai piemontesi, dal 28 aprile al 6 maggio, sarebbe ora passata al nemico. L’esercito di Radetzky appariva ormai ripreso dalla crisi di scoraggiamento e proprio i battaglioni composti da soldati del Lombardo-Veneto si erano distinti nella difesa delle posizioni avanti Verona. Cecilio Fabris, Gli avvenimenti militari del 1848 e 1849, Volume I, Tomo II, Torino, Roux Frassati, 1898. Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su battaglia di Santa Lucia

Forte Palio
Forte Palio

Forte Palio, chiamato originariamente Werk Alt Wratislaw, è stata una fortificazione posta a sud di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del primo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1848 e 1856. Il forte fu realizzato tra 1848 e 1850 e completato del muro distaccato alla Carnot e di tre caponiere nel 1859; l'utilità del forte tuttavia diminuì già dopo il 1861, in seguito alla costruzione della linea più avanzata del secondo campo trincerato, anche se mantenne la funzione di sicurezza contro le infiltrazioni di fanteria. I lavori furono seguiti dal direttore dell'Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona, il maggiore Conrad Petrasch. Intitolato al conte Johann Wratislaw von Mittrowitz, capo dello Stato Maggiore d'Armata di Josef Radetzky durante la campagna del 1848-1849, il forte venne completamente spianato e demolito nel 1912 per fare spazio al nuovo grande scalo ferroviario per le merci di Porta Nuova. Si tratta di un forte a tracciato poligonale con ridotto centrale, terrapieno con impianto asimmetrico semiottagonale e fronte di gola a leggero rientrante. Faceva sistema con i forti Santa Lucia e di Porta Nuova, situato immediatamente a est della diramazione ferroviaria per Milano e per Mantova, che prendeva con tiri d'artiglieria d'infilata. Batteva inoltre la campagna antistante tra i borghi di Santa Lucia e Tomba, nonché la strada proveniente da Mantova. Il ridotto centrale del forte era a segmento di torre cilindrica, su un solo piano, con copertura terrapienata disposta a piattaforma per l'artiglieria; anche al piano terra potevano essere collocate artiglierie in casamatta. Due tratti di muro convergenti, a delimitare il cortile di sicurezza, collegavano la semitorre al centro del fronte di gola, il cui muro formava un tamburo difensivo per fucileria e artiglieria. Sull'ala destra del fronte di gola era inserito inoltre il portale d'ingresso con l'antistante ponte levatoio. Nel piazzale interno, sulla destra, si trovava un pozzo per la riserva d'acqua del presidio. Il terrapieno semiottagonale, con le postazioni di artiglieria, era difeso al livello del fossato asciutto dal muro distaccato alla Carnot, con le tre caponiere per il fiancheggiamento di artiglieria. Adiacenti al fronte di gola due poterne mettevano in comunicazione il piazzale interno con il cammino di ronda lungo il muro alla Carnot, ordinato per fucilieri, e con le tre caponiere. All'esterno completava l'opera la controscarpa del fosso raccordato alla campagna. L'armamento della fortificazione consisteva in: 8 bocche da fuoco Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 60 uomini Luigi Battizocco, Forte Palio, in Verona militare: studio storico militare, Verona, H. F. Münster, 1877, p. 91, SBN IT\ICCU\RML\0110150. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Forte Palio

Forte Fenilone
Forte Fenilone

Forte Fenilone, originariamente chiamato Werk d'Aspre, è stata una fortificazione posta a sud-ovest di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del primo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1848 e 1856. Il forte fu realizzato in tre diverse fasi: nel 1848 furono impostati il terrapieno, il fossato e lo spalto, nel 1849 fu edificato il ridotto e nel 1859 avvenne la chiusura del fronte di gola e la costruzione del muro distaccato alla Carnot con le relative caponiere. L'utilità del forte tuttavia diminuì già dopo il 1861, in seguito alla costruzione della linea più avanzata del secondo campo trincerato, anche se mantenne la funzione di sicurezza contro le infiltrazioni di fanteria. I lavori furono seguiti dal direttore dell'Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona, il maggiore Conrad Petrasch. Intitolato al barone Costantino d'Aspre, luogotenente feldmaresciallo di Josef Radetzky durante la campagna del 1848-1849, le opere in muratura del forte furono demolite nella prima metà del Novecento, per cui rimangono solo tracce del terrapieno, intercluso in una diramazione ferroviaria. Si tratta di un forte a tracciato poligonale con ridotto centrale e ridotto di gola, ad impianto asimmetrico semiottagonale, che faceva sistema con i forti San Massimo e di Santa Lucia. Era situato a circa 400 metri a nord del borgo di Santa Lucia, all'interno della diramazione tra la ferrovia Milano-Venezia e Verona-Bolzano, che prendeva con tiro d'infilata dal fronte principale e dal fronte di gola; inoltre, le sue artiglierie battevano la campagna antistante tra San Massimo e Santa Lucia, nonché la strada proveniente da Mantova. Il fianco sinistro del forte, diretto verso Santa Lucia, era il più esteso, per la sua principale azione di combattimento. Il ridotto casamattato era a segmento di torre circolare su un solo piano, con copertura terrapienata disposta a piattaforma per l'artiglieria; anche al piano terra potevano essere collocate artiglierie in casamatta. Due tratti di muro convergenti collegavano il ridotto al centro del fronte di gola, dal quale sporgeva, come caponiera, il ridotto di gola ordinato per fucilieri e artiglieri, anche sulla copertura terrapienata. Ai suoi lati, in posizione simmetrica, preceduti dal ponte levatoio, si aprivano due portali di accesso verso il piazzale interno, nel quale un pozzo forniva le riserve d'acqua per la guarnigione. Il terrapieno semiottagonale, con le postazioni d'artiglieria a cielo aperto, era difeso al livello del fossato asciutto dal muro distaccato alla Carnot, con le tre caponiere per il fiancheggiamento d'artiglieria. Due poterne, adiacenti al fronte di gola e con annessi locali di servizio, mettevano in comunicazione il piazzale interno con il cammino di ronda lungo il muro alla Carnot, ordinato per fucilieri, e con le caponiere. All'esterno completava l'opera la controscarpa del fosso, a pendenza naturale. L'armamento della fortificazione consisteva in: 17 bocche da fuoco Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 115 uomini Luigi Battizocco, Forte Fenilone, in Verona militare: studio storico militare, Verona, H. F. Münster, 1877, p. 92, SBN IT\ICCU\RML\0110150. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona

Campo di aviazione di Verona-Tombetta
Campo di aviazione di Verona-Tombetta

Il campo di aviazione di Verona-Tombetta fu uno dei primi aeroporti d'Italia, il primo aeroporto di Verona fino ai primi anni venti. Verso la fine del 1914, si costituì il primo campo di Verona situato a Tombetta. Il campo era situato di fronte al santuario di Santa Teresa di Gesù Bambino tra le attuali via Scuderlando e viale Agricoltura. Era delimitato a nord dalla Stazione di Verona Porta Nuova e dalla linea ferroviaria per Trento, a sud dall'attuale Via Mantovana, ad ovest dalle attuali Via Guerrieri - Via Albere ed ad est dall'attuale Via Aeroporto. Vi fu costruito un hangar tipo Gioia e una piccola casermetta ad uso officina, con la truppa alloggiata nel Forte Porta Nuova. Nell'agosto-settembre si mise mano a diverse altre costruzioni di hangars. Nell'agosto-settembre vennero costruiti di hangars, tanto nella pista di Tombetta quanto nella Piazza d'Armi, prossima alla Stazione di Verona Porta Nuova e confinante con l'altro campo. Verso la fine del 1916 il campo poteva ospitare 6 o 7 squadriglie. La pista da volo era in terra battuta. L'aeroporto fu impiegato per tutto il conflitto ed ospitò numerosi reparti. Il campo ospitò anche dei reparti francesi dislocati lungo il perimetro adiacente allo stradone Santa Lucia. Francesi e inglesi installarono sul campo importanti depositi e riserve per la loro aviazione contribuendo alla decisione del Comando supremo militare italiano di spostare alcuni reparti sui campi vicini di Ganfardine (poi aeroporto di Verona-Villafranca) e dell'aviosuperficie di Ca' degli Oppi. Il 20 giugno 1917 venne bombardato da una squadriglia aerea austriaca partita dall'aeroporto militare di Gardolo nel Trentino. Quando, nel maggio del 1918 i reparti di stanza a Piazza d'Armi furono trasferiti, Tombetta rimase il campo di aviazione principale di Verona ospitando oltre alla 6ª Squadriglia una sezione per la difesa aerea della città (1ª Sezione difesa su Savoia-Pomilio SP.3) fino al 12 ottobre. Il campo di Piazza d'Armi, chiamato dai francesi "Porta Nuova" fu demolito agli inizi degli anni '20 per l'edificazione dei quartieri delle Golosine, di Borgo Roma e del polo fieristico della "ZAI" (acronimo per "Zona Agricolo Industriale"). I Reparti dell'aviazione italiana nella Grande Guerra, AM Ufficio Storico - Roberto Gentilli e Paolo Varriale, 1999 Verona Borgo Roma Santuario di Santa Teresa di Gesù Bambino Forte Porta Nuova Stazione di Verona Porta Nuova La squadriglia, su Verona Volat, http://www.veronavolat.it. URL consultato il 2 aprile 2021.

Chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù (Verona)
Chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù (Verona)

La chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù è un luogo di culto cattolico che sorge nel quartiere di Borgo Roma a Verona; si tratta di una chiesa parrocchiale facente parte del vicariato di Verona Sud nell'omonima diocesi, affidata ai carmelitani scalzi. Il 26 aprile 1938 fu elevata alla dignità di basilica minore, mentre nel 1967 il vescovo di Verona Giuseppe Carraro costituì la Basilica-Santuario teresiano. La chiesa, inizialmente dedicata alla Sacra Famiglia, venne realizzata per la maggior parte delle opere tra il 1901 e il 1904, per cui già il 15 gennaio 1905 il vescovo di Verona Bartolomeo Bacilieri inaugurò l'edificio. Nel 1925 ci furono ulteriori lavori che portarono all'installazione di marmi, mosaici, sculture e pitture degli artisti Francesco Perotti e Ferruccio Martinelli. Più lunghi furono invece i lavori di edificazione di otto cappelle laterali, che si protrassero dal 1921 al 1964: su un lato furono posizionati il battistero e gli altari del Sacro Cuore, della Madonna del Carmine e del Crocifisso, mentre sul lato opposto vennero eretti gli altari di Sant'Antonio, di Santa Teresa, dei Santi Teresa e Giovanni e del Bambino di Praga. Inoltre negli stessi anni Piero Bargellini raffigurò Il trionfo del Carmelo in un'imponente opera pittorica che interessò la controfacciata della chiesa, inaugurata il 20 settembre 1931. Al secondo dopoguerra risalgono invece la costruzione del campanile (1955) e il completamento della facciata, che venne rivestita in mattoni di laterizio facciavista (1968). Il tempio neogotico è caratterizzato da una facciata a salienti a cui si accede tramite uno spazioso sagrato; essa è completamente rivestita in mattoni di laterizio ed è orientata verso nord-ovest. Al centro del prospetto si apre un grande portale strombato d'ingresso, concluso ad arco acuto, sormontato da una altrettanto ampia trifora che insieme alle due monofore poste ai lati del portale illumina lo spazio interno. A coronare l'edificio una cornice ad archetti pensili e cinque pinnacoli ad aumentare lo slancio verticale della facciata. Ancora più slanciato è il campanile, situato lungo il fianco meridionale dell'edificio chiesastico: a base quadrata, con lungo fusto, cella campanaria in cui si aprono grandi bifore e conclusa da una copertura a cuspide in metallo e vetro. Sempre sul lato meridionale, inoltre, si sviluppa il complesso conventuale con chiostro. La pianta della chiesa è ad aula a navata unica, con presbiterio di dimensioni ridotte e rialzato di due gradini rispetto al resto dello spazio interno, concluso inoltre con un coro semicircolare, oltre il quale si trova la sagrestia. Come anticipato lungo l'aula si trovano otto cappelle: sul lato sinistro si trovano il battistero e gli altari del Sacro Cuore, della Madonna del Carmine e del Crocifisso; sul lato destro gli altari di Sant'Antonio, di Santa Teresa, dei Santi Teresa e Giovanni e del Bambino di Praga. Ai lati del presbiterio, invece, si trovano due ambiente su cui si sovrappone una tribuna con loggia. Lo spazio interno si contraddistingue, come campanile e facciata, da una slanciata verticalità e da forme neogotiche, con una luce soffusa che entra nell'aula attraverso monofore, bifore e trifore poste in alto sulla pareti. I prospetti interni, scanditi da snelle lesene, sono decorati da marmi policromi, pitture, mosaici, sculture e vetrate artistiche; particolarmente lodevole è la decorazione della controfacciata, completamente coinvolta nel grande affresco Apoteosi del Carmelo opera del pittore fiorentino Piero Bargellini. L'aula è coperto da una volta a botte a profilo acuto, con unghie laterali e costolonature trasversali, mentre il presbiterio è coperto da una volta a crociera con costoloni diagonali, con ogni vela decorata da affreschi raffiguranti gli evangelisti. Il coro è invece coperto da un catino con cinque vele con nervature convergenti verso la sommità. Tutte queste coperture sono realizzate in incannucciato collegato a centine in legno, con una finitura in intonaco dipinto da cornici policrome e raffigurazioni di santi. Archivio storico della curia diocesana di Verona (a cura di), Cenni storici sulle chiese parrocchiali della diocesi di Verona (PDF), Verona, Archivio storico Curia Diocesana, 2015, SBN IT\ICCU\VIA\0292237. URL consultato il 10 aprile 2020 (archiviato dall'url originale il 25 luglio 2020). Breve storia del santuario-basilica di S. Teresa del Bambino Gesù in Verona (Tombetta), Verona, Tipografia operaia, 1939, SBN IT\ICCU\VIA\0069334. Verona Monumenti di Verona Chiese di Verona Diocesi di Verona Parrocchie della diocesi di Verona Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul santuario di Santa Teresa di Gesù Bambino Sito ufficiale, su santateresaverona.it. URL consultato il 17 aprile 2020.