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Santa Lucia (Verona)

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Santa Lucia, anticamente paesino adiacente a Verona (la sua parrocchia è tuttora chiamata Santa Lucia extra per distinguerla dal convento di Santa Lucia intra, che ha generato il nome, dopo il testamento di Pace drappiere, ricco mercante di epoca scaligera, risanatosi dopo malattia agli occhi,e divenuto devoto della Santa. Dunque nacque un secondo convento extra perché posizionato fuori dalle antiche mura comunali, sopra il ciglione creato dall'antico deposito glaciale), è oggi un quartiere inglobato nella città stessa, posto a sud ovest dal suo centro. Il quartiere è abitato da 11.941 persone. Fa parte della Circoscrizione 4 del Comune di Verona. È molto citato in quanto teatro di una dura battaglia avvenuta il 6 maggio 1848 nell'ambito della prima guerra di indipendenza fra truppe piemontesi ed austriache, arroccate all'interno del cimitero parrocchiale e dove un monumento in localita Fenilon ne rievoca le gesta. Dopo la distruzione del quartiere a causa dei bombardamenti alleati nella seconda guerra mondiale i cittadini riuscirono a riportare in auge il quartiere, grazie al loro spirito e alla loro forza (molto probabilmente trassero ispirazione dal popolo di Roma che dopo una rovinosa sconfitta a Canne nel 216 a.C. inflittagli da Annibale Barca e il suo esercito trova la futura salvezza proprio grazie alla forza d'animo dei suoi soldati). Negli anni cinquanta è stata oggetto insieme al quartiere delle Golosine di un veloce processo di urbanizzazione, che l'ha unita al nucleo cittadino grazie alla costruzione di numerose case popolari-residenziali, le cui propaggini si estendono fino alla zona industriale, doganale ed agroalimentare. Al giorno d'oggi si nota come un grande incremento della popolazione nei precedenti anni abbia portato a diversi scontri politico-economici all'interno del quartiere. Il pittoresco campanile, con la cupola a cipolla che si slancia verso il cielo, ospita sei grosse campane in scala musicale di Re3 calante, la maggiore delle quali (di kg 1170) venne fusa dal veronese Larducci nel 1777. Essa presenta un partito decorativo minuzioso e dettagliato ed un suono caldo ed avvolgente. Esiste una squadra che manovra queste campane secondo la tecnica dei concerti di Campane alla Veronese. Una colonna nella zona campanaria risulta offesa da una cannonata piemontese avvenuta appunto nel Maggio 1848 Non va dimenticato l'attuale Forte ristrutturato Austriaco intitolato a Gisella (figlia di Francesco Giuseppe d'Austria costruito 1860 poi forte Dossobuono alla riunificazione Italiana) posto sulla direttrice Verona Mantova, oggetto di attività ludico culturali gestite da un Comitato sotto l'egida del Comune di Verona. Infine fra i tanti monumenti storici di Santa Lucia ci sono sicuramente Piazza dei Caduti, la piazza centrale del quartiere dove sono ricordati i defunti della Prima e Seconda Guerra Mondiale, la Madonnina dell'incrocio fra Via VI Maggio e Via Mantovana (già antica strada romana Postumia che collegava Genova ad Aquileia) ora sempre più invasa dal traffico motoristico, quindi rumore e smog e la storica chiesa parrocchiale di via Santa Elisabetta vicino alle scuole elementari e medie Gli edifici condominiali sono risalenti agli anni 50 e anni 60. Nella zona Brigate sono presenti villini e case singole come in altre settori limitrofi alla circoscrizione. Il quartiere essendo a 10 minuti dal centro, è ben inglobato nella città e ben collegato con gli altri quartieri. Le linee che si possono prendere sono 23, 24, 62 e 73 nei giorni feriali e prefestivi mentre 91 e 98 nei giorni festivi. Ci sono corse speciali per le scuole e corriere che portano fuori città e nel Villafranchese. Santa Lucia dispone di diversi negozi di tutti i tipi per i propri abitanti. Ci sono supermercati, mercerie, tabaccherie, cartolerie e bar/pasticcerie e pizzerie al taglio e , dal punto di vista culinario, si può gustare oltre ai tradizionali menu veneti anche pietanze afro/asiatiche. L'attività fisica non è sicuramente un ambito trascurato nel quartiere. Ci sono due piste ciclabili, una che la collega al centro passando per Viale Piave e l'altra che attraversa il pittoresco e suggestivo centro del paese. Poi la parrocchia offre campi da calcio basket e pattinaggio e Grest estivo per i bambini/e. Confina con San Massimo Golosine e Z.A.I. che è comoda per l'accesso all'autostrada BS-PD e TN/Brennero a Nord. Vista la posizione strategica del quartiere è divenuto il luogo di passaggio per le persone che vengono dalla provincia per andare in città e viceversa, creando abitualmente rumore,confusione e smog. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Santa Lucia

Estratto dall'articolo di Wikipedia Santa Lucia (Verona) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

Santa Lucia (Verona)
Via Santa Elisabetta, Verona Santa Lucia

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Chiesa di Santa Lucia Extra
Chiesa di Santa Lucia Extra

La chiesa di Santa Lucia Extra è un luogo di culto cattolico che sorge nel quartiere di Santa Lucia a Verona; si tratta di una chiesa parrocchiale facente parte del vicariato di Verona Sud nell'omonima diocesi. La storia della chiesa di Santa Lucia è stata piuttosto agitata, tanto che venne più volte distrutta e ricostruita. Il primo documento che ne fa menzione è datato 973, un atto di vendita che attesta la cessione all'oratorio di un terreno con delle case, mentre una successiva testimonianza del 1178 parla già di un convento di frati con annessa chiesa. Nel 1252 il vescovo Iacopo di Breganze autorizzò l'edificazione di una nuova chiesa in sostituzione della precedente, tuttavia nel 1260 la nuova chiesa e il convento furono rasi al suolo, probabilmente durante le scorrerie dell'esercito guidato da Ezzelino III da Romano, così la chiesa venne essere ricostruita tra il 1309 e il 1319 insieme al monastero, che questa volta venne occupato dalle monache benedettine. Altro anno importante fu il 1517, quando la Repubblica di Venezia decise, per ragioni di ordine militare, di abbattere ogni manufatto posto entro un miglio dalle mura di Verona, tra cui la chiesa e il monastero di Santa Lucia. Una nuova chiesa venne così ricostruita nel 1518 a maggiore distanza dalla città, proprio nel punto in cui sorge l'attuale edificio chiesastico. Questo venne finalmente eretto a parrocchia autonoma il 21 ottobre 1649, grazie a un decreto del vescovo Marco Giustiniani. Intorno all'inizio del XVIII secolo venne edificato il campanile, ancora oggi presente, mentre sul finire del secolo successivo iniziarono i lavori di ampliamento della chiesa; tuttavia in fase di cantiere, il 23 ottobre 1898, la chiesa subì un grave crollo, perciò l'edificio venne sostanzialmente ricostruito nella sua forma definitiva, che ancora oggi lo contraddistingue: l'edificazione del nuovo tempio fu spedita, così che il 12 aprile 1900 fu già benedetto. La consacrazione della chiesa, e di un nuovo altare, avvenne finalmente il 26 giugno 2005 ad opera del vescovo Flavio Roberto Carraro. La facciata a capanna, intonacata, è caratterizzata da due coppie di paraste ioniche che si appoggiano su una zoccolatura e reggono la trabeazione; al centro si trova invece il portale d'ingresso timpanato e più in alto un'iscrizione e una finestra semicircolare. Ai lati del portale d'ingresso si trovano due nicchie ove sono state collocate le statue di Santa Lucia e di Sant'Antonio da Padova. I muri laterali sono invece con paramento murario a vista e sono ritmati da imponenti contrafforti che si rastremano verso l'alto: essi inquadrano in basso i volumi emergenti delle cappelle e in alto le finestre semicircolari che illuminano l'aula interna. Il campanile si contraddistingue per un fusto slanciato dotato di orologio e di una cella campanaria a edicola, con quattro ampie monofore dotate di balaustra, e terminante in alto con una copertura a cipolla e quattro pinnacoli. La chiesa ha una pianta ad aula rettangolare a unica navata, con presbiterio rialzato di quattro gradini e terminante con un'abside semicircolare. I prospetti laterali sono scanditi da lesene ioniche che inquadrano delle arcate cieche alternate ad arcate contenenti, invece, le quattro cappelle laterali. Ai due lati del presbiterio si trovano una cappella feriale (a sinistra) e un'aula più piccola (a destra). Tra le varie opere d'arte all'interno si trovano alcune statue inserite entro nicchie e le pitture di Agostino Pegrassi, situate nel catino absidale e nell'arco trionfale. Verona Monumenti di Verona Chiese di Verona Diocesi di Verona Parrocchie della diocesi di Verona Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Lucia Chiesa di Santa Lucia Extra, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Battaglia di Santa Lucia
Battaglia di Santa Lucia

La battaglia di Santa Lucia è un episodio della prima guerra d'indipendenza italiana. Ebbe luogo il 6 maggio 1848 quando Il re di Sardegna Carlo Alberto mosse contro Verona, importante fortezza austriaca facente parte del Regno Lombardo-Veneto. Nonostante la superiorità numerica l'Armata sarda non riuscì a conquistare tutte le posizioni che avrebbero potuto consentirle di cingere d'assedio la città. Ciò per la perfetta organizzazione delle truppe austriache comandate dal generale Josef Radetzky che sfruttarono le asperità del terreno a difesa delle loro posizioni. I piemontesi riuscirono a conquistare solo uno dei tre capisaldi austriaci e al termine della giornata, mancando pure la sollevazione della cittadinanza veronese, furono costretti a ripiegare. Dopo tale successo gli austriaci ripresero l'iniziativa che non abbandonarono più per tutto il corso della campagna militare. Terzo importante scontro della guerra (dopo quello del Ponte di Goito e quello di Pastrengo), fu anche il più sanguinoso dei tre e coincise con la prima sconfitta piemontese. Alla battaglia di Santa Lucia parteciparono sia il duca di Savoia, il futuro re Vittorio Emanuele II, sia il diciassettenne arciduca d’Austria, futuro imperatore Francesco Giuseppe, che in quella occasione ebbe il proprio battesimo del fuoco. Dopo le cinque giornate di Milano e la dichiarazione di guerra all’Austria del 23 marzo 1848, Carlo Alberto attraversò con cautela la Lombardia dalla quale gli austriaci si erano ritirati. La prima vera opposizione i piemontesi la trovarono presso Goito sul fiume Mincio, dopo il quale iniziava la zona del Quadrilatero. Qui i piemontesi, nella battaglia del ponte di Goito dell’8 aprile, sconfissero gli austriaci che si ritirarono sulla linea dell'Adige. Il fiume, scorrendo da nord a sud, oltre a difendere la città fortificata di Verona, costituiva con la sua valle una via di comunicazione con l’Austria. I piemontesi, tuttavia, non sfruttarono l’occasione e invece di inseguire rapidamente gli austriaci si limitarono a cominciare l’assedio di Peschiera che era rimasta quasi isolata a ovest. Solo il 30 aprile l’esercito di Carlo Alberto riuscì ad organizzarsi e a sferrare, con la battaglia di Pastrengo, un attacco con il quale riuscì a portare la propria ala sinistra (procedendo da ovest verso est, l’ala nord) fino all’Adige. Ora Carlo Alberto avrebbe voluto ricacciare l’esercito del generale Radetzky dentro le mura di Verona sloggiandolo dalle posizioni antistanti la città. Sarebbe stata un’azione dimostrativa che aveva anche uno scopo di politica interna: stavano infatti per aprirsi i lavori della Camera dei deputati nata dalla promulgazione dello Statuto, e il Re voleva approfittarne per annunciare una brillante vittoria. Il 3 maggio 1848 re Carlo Alberto rivelò al suo comandante in capo dell’esercito, il generale Eusebio Bava, che si stava segretamente contattando la cittadinanza di Verona affinché potesse insorgere all’assalto dei soldati piemontesi e che probabilmente a quel punto gli austriaci sarebbero usciti dalla città. Il Re invitò quindi il generale a fornirgli un piano d’operazioni che servisse a tale scopo. Il giorno dopo, Bava fece avere al Re un progetto di “ricognizione offensiva” contro Verona. In questo progetto l’attacco doveva essere condotto dalle due divisioni del 1º Corpo dell’esercito comandato direttamente da Bava, con la Divisione di riserva pronta a intervenire. Il generale supponeva che il nemico avrebbe opposto alle sue divisioni una debole difesa sul fronte avanzato di cui sopra e poi si sarebbe ritirato su Verona. Tale azione, ottenendo lo scopo di prendere possesso delle alture tra Chievo, Croce Bianca (dove sarà costruito il Forte Croce Bianca), San Massimo e Santa Lucia, avrebbe respinto gli austriaci della linea avanzata e consentito ai piemontesi di studiare da presso la reale consistenza della piazzaforte di Verona. Nell'eventualità però che Radetzky fosse venuto allo scontro in campo aperto e che i veronesi fossero insorti, lo scenario sarebbe cambiato e sarebbe stata utilizzata, per sfruttare al massimo ogni eventualità, la Divisione di riserva. Carlo Alberto sottopose il piano al ministro della Guerra, il generale Antonio Franzini, il quale lo modificò rapidamente e il 5 maggio ne presentò la nuova versione che prevedeva l'inizio delle manovre per la mattina del giorno seguente. L’impostazione di Bava della ricognizione con lo scopo di «presentare battaglia alle forze nemiche» rimaneva, ma sarebbero state impegnate oltre alle divisioni menzionate, anche la 3ª del 2º Corpo. Quindi non tre ma quattro delle cinque divisioni dell’esercito piemontese. Tuttavia si sarebbe trattato di una ricognizione più cauta di quanto previsto da Bava: una volta occupate le alture il movimento in avanti avrebbe avuto termine, con l'aspettativa che il nemico dentro le mura non sarebbe uscito e che la popolazione di Verona non sarebbe insorta. Complessivamente le forze piemontesi ammassate presso Santa Lucia risulteranno composte da 35 battaglioni con vari squadroni di cavalleria e 40 cannoni, anche se non tutte queste forze saranno impegnate. Considerando che l’esercito piemontese contava 800 uomini per battaglione si arrivava alla cifra di 28.000 fanti e altri 5.000 uomini delle altre specialità. Le unità piemontesi avrebbero mosso aprendosi a semicerchio: quelle alle estremità con un tragitto maggiore da percorrere. Per evitare che l’attacco mancasse di coordinamento era prescritta una sosta nella marcia, su di una linea distante da uno a due chilometri dagli austriaci, di due ore al massimo. Alle 7 del mattino le truppe piemontesi avrebbero lasciato i loro accampamenti, dalle 9 in poi avrebbero raggiunto il punto di sosta e alle 11 sarebbe iniziato l’assalto. Questo avrebbe dovuto cominciare dal centro, sul villaggio di San Massimo (a ovest di Verona) e poi gradualmente allargarsi a nord verso Croce Bianca e a sud verso Santa Lucia; più a sud est la posizione austriaca di Tomba sarebbe dovuta capitolare per aggiramento. Su San Massimo, quindi, doveva convergere l’attacco principale della 1ª Divisione, comandata dal generale Federico d'Arvillars sostenuta dalla Divisione di riserva comandata da Vittorio Emanuele duca di Savoia, erede di Carlo Alberto. Alla destra della 1ª Divisione, la 2ª di Vittorio Garretti di Ferrere avrebbe dovuto investire Santa Lucia. Alla sinistra della 1ª, la 3ª Divisione di Mario Broglia di Casalborgone avrebbe attaccato gli austriaci a Croce Bianca. Presso Verona l’esercito austriaco era diviso in tre parti: una sulla sinistra dell’Adige, a salire fino all’altezza di Pastrengo; una seconda davanti Verona, e una terza dentro le mura della città. Tali forze ammontavano a circa 30.000 uomini. Di questi, 12 battaglioni, ovvero circa 15.600 uomini, erano schierati a difesa dei villaggi situati fra le due braccia della grande ansa dell’Adige, in fondo alla quale c’è Verona. Tali villaggi erano stati fortificati con ingegno dagli austriaci, di modo da formare una formidabile linea difensiva con i lati saldati all’Adige. Presso i villaggi c'era parte del 1º Corpo austriaco, e cioè la divisione del generale Karl Schwarzenberg costituita dalle brigate dei generali Julius Cäsar von Strassoldo e Eduard Clam-Gallas (1805-1891), con 5.600 uomini circa disposti fra Santa Lucia e Tomba; nonché il 2º Corpo del generale Konstantin d'Aspre costituito da tre brigate di fanteria e una di cavalleria disposte fra Chievo, Croce Bianca e San Massimo, con circa 10.000 uomini. Con soli 12 battaglioni (9 in prima linea e 3 di riserva), meno della metà di quelli piemontesi, la linea difensiva austriaca esterna alla città di Verona diede forse l’illusione ai piemontesi di non essere adeguatamente forte. Nonostante si appoggiasse alle due branche del fiume fuori dalla città, a Chievo e a Tombetta (dove verrà poi costruita la Torre Tombetta), essa era troppo ampia e non aveva una seconda linea. Ciò nonostante la difesa era poderosa: dai punti di forza le artiglierie battevano con efficacia le strade; e il terreno, coperto di alberi e filari di viti, ostacolava particolarmente gli spostamenti; inoltre numerose file di sassi ammonticchiati (le “marogne”) parallele alla linea difensiva si dimostreranno un altro problema per i piemontesi, costretti a scoprirsi completamente nello scavalcarle. Tutte queste difficoltà avrebbero anche reso difficile per gli uomini di Carlo Alberto il piazzamento dell’artiglieria. La difesa austriaca aveva però un punto di inferiore efficacia alla sua sinistra (cioè verso Santa Lucia), luogo in cui gli impedimenti naturali erano meno forti. Ma né Bava, né Franzini avevano pensato a una manovra importante da questo lato, che avrebbe consentito di aggirare l’intero fronte difensivo. L’assalto principale era invece previsto verso il centro, contro San Massimo, dalle due località di Sona e Sommacampagna. A dispetto degli ordini per la pausa menzionata, gli spostamenti delle brigate che costituivano le varie divisioni piemontesi mancò di coordinamento. Come già riportato sopra, l’assalto principale contro la borgata di San Massimo era affidato alla 1ª Divisione del 1º Corpo appoggiata dalla Divisione di riserva. In testa avrebbe marciato la Brigata “Regina” del generale Ardingo Trotti, anticipata da due compagnie di bersaglieri e da uno squadrone di cavalleria. Tali avanguardie si spinsero oltre il punto di sosta e furono subito bersagliate dalla violenta reazione nemica. Si ritirarono quindi con lo scopo di salvaguardare lo schieramento che stava avvenendo del 9º Reggimento della “Regina” e l’arrivo del 10º Reggimento della stessa brigata. In quel frangente, aiutanti di campo di Bava e Franzini chiesero al comando della “Regina” di effettuare il collegamento a destra con l’altra brigata della 1ª Divisione, l’”Aosta” di Claudio Seyssel d'Aix e Sommariva che si stava battendo, sorprendentemente, davanti Santa Lucia (zona di competenza della 2ª Divisione). Il 10º Reggimento prima e il 9° poi furono fatti quindi piegare verso destra, procedendo con estrema difficoltà nel terreno accidentato e solo alle 12 giunsero in località Fenilone, appena a ovest di Santa Lucia. Era successo che la Brigata “Aosta” che doveva da Sommacampagna procedere verso San Massimo, al bivio di Caselle aveva voltato a destra verso Santa Lucia e non a sinistra. Il generale Bava era con la brigata e, a quanto risulta, fu lui a decidere di deviare a destra. Sicuramente l’ordine di Franzini era poco comprensibile, poiché prima riportava che l’”Aosta” avrebbe dovuto dopo aver raggiunto il punto di sosta schierarsi fino al Fenilone e poi disponeva che le due brigate (la ”Aosta” e la “Regina”) avrebbero dovuto attaccare San Massimo. Fatto sta che in pratica Bava trasferì contro Santa Lucia l’attacco principale e tutta la 1ª Divisione fu chiamata ad appoggiare la 2ª Divisione, anzi ad anticiparla nella manovra di destra. I fatti dimostravano che la linea di sosta stabilita dal comando piemontese era troppo vicina al fronte austriaco. La Brigata “Aosta”, infatti, che si dispiegò sulla linea del Fenilone presso Santa Lucia si trovò a 700 metri di distanza dalle posizioni austriache e fu subito fatta segno di un intenso fuoco nemico. La seguiva la Brigata “Guardie” del generale Carlo Biscaretti della Divisione di riserva che, imitando l’”Aosta”, voltò anch’essa a destra al bivio di Caselle. Ormai la battaglia si concentrava su Santa Lucia. Intanto Carlo Alberto e il generale Franzini avevano raggiunto l’”Aosta” che secondo i piani avrebbe dovuto attendere sulla linea di sosta, bersagliata dagli austriaci, fino alle 11, ossia almeno un’ora. Ma il Re si pose rischiosamente in posizione molto avanzata, incurante del pericolo, fra Fenilone e Santa Lucia, per cui Bava si risolse ad attaccare il villaggio. Contravvenendo al piano, quindi, il generale Bava non si fermò sulla linea di sosta, né si preoccupò di verificare i collegamenti fra l’”Aosta” e le altre unità ai suoi lati. Durante l’avanzata di quest’ultima, a circa 200 metri dalle posizioni austriache il fuoco si fece molto violento e Bava dovette manovrare per schierare i primi battaglioni in linea di tiro. L’operazione riuscì perfettamente e la linea riprese ad avanzare, poi si fermò e iniziò il fuoco di fila contro gli austriaci, ben preparati a difesa. Riepilogando, difendevano inizialmente Santa Lucia 2.300 austriaci di due battaglioni e due squadroni di cavalleria con 6 cannoni della brigata comandata dal generale Strassoldo. Costui, però, all’avvicinarsi dei piemontesi richiamò un battaglione della brigata del generale Clam-Gallas di riserva alla rotonda di Portanova, a tre chilometri di distanza. Di fronte a loro, come abbiamo visto, c'era la Brigata “Aosta”, comandata dal generale Sommariva, composta da due reggimenti (il 5° e il 6°) e una batteria di 8 cannoni per un totale di circa 5.000 uomini. Particolarmente adatto alla difesa si rivelò il cimitero del villaggio che su tre lati era fornito di feritoie. Lo scontro di fucileria continuò senza effetto e anche l’intervento degli 8 pezzi d'artiglieria piemontesi si rivelò insufficiente, contrastato da 6 cannoni austriaci molto meglio piazzati. I feriti piemontesi confluivano intanto al Fenilone, dov’era stata allestito un pronto soccorso, abbastanza sfornito. Lo scontro durò un’ora circa, dalle 10 alle 11. La Brigata “Regina”, richiamata da San Massimo, tardava a giungere, né si vedeva arrivare la 2ª Divisione che aveva avuto sin dall’inizio il compito di attaccare Santa Lucia. Verso le 11, però, giunse la Brigata “Guardie” della Divisione di riserva che venne subito dispiegata a sinistra dell’”Aosta”. Dopo di che il generale Bava condusse personalmente all'attacco due battaglioni delle Guardie riuscendo a occupare località Pellegrina sulla linea difensiva austriaca, ma non si trattò di uno sfondamento e il successo rimase limitato. Finalmente, verso le 12, cominciarono ad arrivare davanti a Santa Lucia sia i primi elementi della Brigata “Regina”, sia, con oltre un’ora di ritardo, le prime unità della 2ª Divisione, e precisamente l'11º Reggimento, al comando di Alessandro Filippa, della Brigata “Casale”. Il comandante di quest’ultima, il generale Giuseppe Passalacqua di Villavernia, si preparò subito ad assalire la linea austriaca e fra le 12,30 e le 13 venne lanciato l’attacco generale, mentre già dalla Pellegrina gli austriaci si vedevano minacciati di aggiramento. Le brigate “Guardie”, “Aosta” e “Casale” avanzarono in modo irrefrenabile e il 6º Reggimento della “Aosta” al grido di «Viva il Re, viva l’Italia!» assalì alla baionetta il cimitero di Santa Lucia penetrandovi attraverso le brecce create dai cannoni. Qui la lotta con il battaglione di Cacciatori austriaci (Kaiserjäger) che aveva bersagliato al riparo per ore la fanteria piemontese fu cruento ma vittorioso. Più a sud il generale Passalacqua, alla testa dell’11º Reggimento conquistò la località Colombara e da lì diresse verso il centro del villaggio di Santa Lucia penetrandovi assieme ai soldati della Brigata “Guardie” e della ”Aosta”. Così, la lotta cruenta durata quattro ore, dalle 10 alle 13, ebbe finalmente termine. Gli austriaci a difesa del villaggio furono obbligati ad abbandonare le forti posizioni e si ritirarono a Verona. Di conseguenza alle 13 circa i piemontesi conquistarono Santa Lucia, schierandosi poi lungo il ciglio di fronte a Verona. Carlo Alberto, fra i generali del suo stato maggiore, scrutò la città nella speranza di avvistare un indizio di sommossa anti-austriaca, che non vi fu. Radetzky, intanto, non aveva vere riserve, dato che i 12 battaglioni a Verona dovevano mantenere l’ordine in città ed erano i meno validi. Né disponeva di una seconda linea mentre la prima minacciava di essere aggirata, con la conseguenza del passaggio di Carlo Alberto sulla riva sinistra dell’Adige a Chievo. Ciò avrebbe voluto dire l’interruzione dei collegamenti con il Trentino e l’isolamento della guarnigione di Verona. Ma i piemontesi si fermarono. Quasi contemporaneamente alle azioni su Santa Lucia, sull’altra ala dello schieramento dell’esercito di Carlo Alberto, quella sinistra, si combatteva per il villaggio di Croce Bianca. Qui la Brigata “Savoia” del generale Francesco d'Ussillon della 3ª Divisione raggiunse gli avamposti austriaci verso le 11,30. Il terreno verso Croce Bianca si presentava ai piemontesi prima declinante e poi in leggero pendio fino alla località Cascina Labbia. Già prima di questo punto le linee austriache erano perfettamente disposte dietro i caseggiati, le siepi e le marogne di massi che dominavano quella depressione che doveva essere attraversata dai piemontesi. Difendevano Croce Bianca gli austriaci del 2º Corpo del generale D’Aspre e più precisamente gli uomini della brigata del generale Friedrich von und zu Liechtenstein (1807-1885). Si trattava di circa 3.000 uomini, con 2 squadroni di cavalleria e 6 cannoni. Ma valendosi della riserva di artiglieria del 2º Corpo, Liechtenstein aveva potuto schierare altri 10 cannoni, con 1.500 fanti a sostegno. Gli altri 1.500 soldati erano pronti a intervenire da Cascina Labbia in caso di necessità. Dal canto suo, il generale piemontese Broglia di Casalborgone, attese che arrivasse sul posto anche l’altra brigata della sua 3ª Divisione, la “Composta” del generale Francesco Conti, disponendola man mano che giungeva alla sinistra della “Savoia”. Terminato lo spiegamento, i battaglioni piemontesi cominciarono ad avanzare in linea fortemente contrastati dal nemico. Un attacco piemontese di fianco fallì e dopo un’ora per la “Savoia” fu necessario tornare momentaneamente indietro per riorganizzarsi. Sulla sua sinistra, intanto, il 16º Reggimento della “Composta” (che comprendeva anche un battaglione di volontari parmensi) avanzando fu fatto segno improvvisamente da una scarica d’artiglieria a mitraglia, che in un solo colpo procurò 33 morti tra le sue file. Attaccavano in sostanza 10 battaglioni piemontesi per circa 7.000 uomini. Una forza poco più che doppia a quella austriaca che era perfettamente schierata a difesa. La 3ª Divisione si trovava per di più con il fianco destro scoperto perché le truppe piemontesi contro San Massimo avevano deviato verso Santa Lucia. Dopo le 14, quindi, giunse a Carlo Alberto la notizia che il generale Broglia aveva rinunciato alla presa di Croce Bianca. Anche in questo caso come per Santa Lucia non vi era stata nessuna esplorazione precedente, nessun vero servizio di stato maggiore, nessun vero servizio di pronto soccorso. La notizia indusse Carlo Alberto a ordinare il ripiegamento. D’altronde Radetzky non era uscito con i suoi uomini da Verona, né la cittadinanza di questa era insorta come i piemontesi speravano. Fra le 14,30 e le 15, le truppe piemontesi si disposero a ripiegare. Il disimpegno presso Santa Lucia fu protetto dalla Brigata “Cuneo”, della Divisione di riserva, e a destra dalla Brigata “Acqui” della 2ª Divisione. Proprio in questa fase si ebbe una energica controffensiva austriaca sferrata complessivamente da 7 battaglioni scelti fra quelli meno provati dalla battaglia (circa 7.500 uomini), con una batteria di cannoni e uno squadrone di cavalleria. L’attacco venne respinto da unità delle due brigate piemontesi. Radetzky allora rincalzò l’assalto con forze provenienti dalla guarnigione di Verona che pure erano state in piccola parte sfruttate durante il corso della battaglia. Ma giunti gli austriaci a Santa Lucia, trovarono le prime case sgombre constatando che ovunque le posizioni erano state abbandonate dai piemontesi. Alle 18 la battaglia che era iniziata verso le 9 presso San Massimo, poteva dirsi terminata. Gli austriaci potevano considerarsi i vincitori. Al termine della giornata, i due eserciti avevano subito perdite numerose: quello austriaco 72 morti (di cui 7 ufficiali), 190 feriti (di cui 8 ufficiali) e 87 dispersi o prigionieri; quello piemontese 110 morti (di cui 6 ufficiali) e 776 feriti (di cui 31 ufficiali). Fra gli ufficiali piemontesi caduti vi fu il comandante del 5º Reggimento della Brigata “Aosta”, il colonnello Ottavio Caccia (1794-1848) colpito al petto durante l’attacco a Santa Lucia. Le conseguenze di questa battaglia per l’esercito piemontese furono gravi. I soldati di Carlo Alberto nell’insieme mostrarono una disciplina e un coraggio notevoli. Tuttavia il piano di battaglia era mediocre e la direzione degli alti gradi riprovevole; soprattutto era mancato, nel corso della battaglia, come a Pastrengo, lo sfruttamento del successo iniziale. D’ora in avanti l’atteggiamento dell’esercito piemontese sarebbe stato di sola attesa, rivolto solo a respingere l'azione degli austriaci. L’iniziativa, tenuta per nove giorni dai piemontesi, dal 28 aprile al 6 maggio, sarebbe ora passata al nemico. L’esercito di Radetzky appariva ormai ripreso dalla crisi di scoraggiamento e proprio i battaglioni composti da soldati del Lombardo-Veneto si erano distinti nella difesa delle posizioni avanti Verona. Cecilio Fabris, Gli avvenimenti militari del 1848 e 1849, Volume I, Tomo II, Torino, Roux Frassati, 1898. Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su battaglia di Santa Lucia

Forte Fenilone
Forte Fenilone

Forte Fenilone, originariamente chiamato Werk d'Aspre, è stata una fortificazione posta a sud-ovest di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del primo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1848 e 1856. Il forte fu realizzato in tre diverse fasi: nel 1848 furono impostati il terrapieno, il fossato e lo spalto, nel 1849 fu edificato il ridotto e nel 1859 avvenne la chiusura del fronte di gola e la costruzione del muro distaccato alla Carnot con le relative caponiere. L'utilità del forte tuttavia diminuì già dopo il 1861, in seguito alla costruzione della linea più avanzata del secondo campo trincerato, anche se mantenne la funzione di sicurezza contro le infiltrazioni di fanteria. I lavori furono seguiti dal direttore dell'Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona, il maggiore Conrad Petrasch. Intitolato al barone Costantino d'Aspre, luogotenente feldmaresciallo di Josef Radetzky durante la campagna del 1848-1849, le opere in muratura del forte furono demolite nella prima metà del Novecento, per cui rimangono solo tracce del terrapieno, intercluso in una diramazione ferroviaria. Si tratta di un forte a tracciato poligonale con ridotto centrale e ridotto di gola, ad impianto asimmetrico semiottagonale, che faceva sistema con i forti San Massimo e di Santa Lucia. Era situato a circa 400 metri a nord del borgo di Santa Lucia, all'interno della diramazione tra la ferrovia Milano-Venezia e Verona-Bolzano, che prendeva con tiro d'infilata dal fronte principale e dal fronte di gola; inoltre, le sue artiglierie battevano la campagna antistante tra San Massimo e Santa Lucia, nonché la strada proveniente da Mantova. Il fianco sinistro del forte, diretto verso Santa Lucia, era il più esteso, per la sua principale azione di combattimento. Il ridotto casamattato era a segmento di torre circolare su un solo piano, con copertura terrapienata disposta a piattaforma per l'artiglieria; anche al piano terra potevano essere collocate artiglierie in casamatta. Due tratti di muro convergenti collegavano il ridotto al centro del fronte di gola, dal quale sporgeva, come caponiera, il ridotto di gola ordinato per fucilieri e artiglieri, anche sulla copertura terrapienata. Ai suoi lati, in posizione simmetrica, preceduti dal ponte levatoio, si aprivano due portali di accesso verso il piazzale interno, nel quale un pozzo forniva le riserve d'acqua per la guarnigione. Il terrapieno semiottagonale, con le postazioni d'artiglieria a cielo aperto, era difeso al livello del fossato asciutto dal muro distaccato alla Carnot, con le tre caponiere per il fiancheggiamento d'artiglieria. Due poterne, adiacenti al fronte di gola e con annessi locali di servizio, mettevano in comunicazione il piazzale interno con il cammino di ronda lungo il muro alla Carnot, ordinato per fucilieri, e con le caponiere. All'esterno completava l'opera la controscarpa del fosso, a pendenza naturale. L'armamento della fortificazione consisteva in: 17 bocche da fuoco Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 115 uomini Luigi Battizocco, Forte Fenilone, in Verona militare: studio storico militare, Verona, H. F. Münster, 1877, p. 92, SBN IT\ICCU\RML\0110150. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona

Forte Dossobuono
Forte Dossobuono

Forte Dossobuono, chiamato originariamente Werk Erzherzogin Gisela, è una fortificazione posta a sud-ovest di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del secondo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1859 e 1866. La struttura fortificata fu realizzata tra 1860 e 1861 e i lavori furono diretti dall’Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona. Il forte è intitolato alla arciduchessa Gisella d'Asburgo-Lorena, secondogenita dell'imperatore Francesco Giuseppe e sorella maggiore dell'arciduca Rodolfo. Il forte, a tracciato poligonale (un sistema poligonale misto tipico della scuola fortificatoria neotedesca) con ridotto centrale, era situato in aperta campagna, a circa 1 400 metri di distanza dal borgo di Santa Lucia. Collocato sulla strada per Mantova, la obbliga ad aggirarlo, verso nord-ovest, prendendola così d'infilata con le sue artiglierie, anche sul rovescio verso Santa Lucia dalle postazioni sul paradorso. Nello stesso tempo batteva di fronte e di fianco la ferrovia proveniente da Mantova e quella proveniente da Milano. Il forte incrociava il fuoco d'artiglieria con i forti collaterali di Lugagnano e di Azzano, esercitando una potente azione di combattimento sulla pianura campestre antistante, fino quasi al piede del crinale morenico di Sona e Sommacampagna. Verso la pianura di Villafranca si opponeva alle operazioni nemiche provenienti dal medio Mincio. Il forte Dossobuono è quasi del tutto eguale, per tracciato, dimensioni e caratteri architettonici, al forte Lugagnano. L'ingresso al forte fu risolto dal progettista con una disposizione complessa, coordinata al doppio recinto di sicurezza interno. Nel terrapieno del fronte di gola rettilineo è inserita un'opera casamattata, alla quale è innestata la caponiera di gola, per artiglieria e fucileria, che difendeva l'accesso. La strada di accesso si sdoppia quindi davanti alla caponiera arrotondata, in direzione dei due portali laterali, simmetrici, preceduti dal ponte levatoio. Dai due portali ad arco si accede al piazzale interno, sotto il tiro dei fucilieri. Al centro del forte si eleva, su due piani e con copertura casamattata, il ridotto a corpo lineare, piegato sul tracciato a lunetta, con raccordi d'angolo arrotondati. Lungo il cortile interno del ridotto, al centro della facciata, sporge un corpo su pianta trapezoidale che contiene la scala e i servizi igienici. Sui due piani, nei locali a volta, sono disposti i ricoveri per la numerosa guarnigione e le varie funzioni logistiche, che rendevano l'opera autosufficiente. Il fronte principale del ridotto è ordinato per la difesa, su ogni piano, con galleria perimetrale a feritoie per fucilieri. Sul fronte secondario, concavo, il cortile è chiuso da un muro rettilineo di sicurezza. Nel mezzo, ai lati del passaggio per l'accesso al cortile, altri due muri paralleli si collegano alle casematte del fronte di gola, delimitando un ulteriore compartimento di sicurezza. Il tutto forma un doppio recinto a feritoie che, assieme alle gallerie per fucilieri del fronte principale, assicurava la difesa progressiva dell'opera. Inoltre tre pozzi per le riserve d'acqua sono collocati agli angoli del piazzale interno, in nicchie casamattate. Attorno al ridotto, il grande terrapieno si eleva sull'impianto a lunetta pentagonale, e copre in aderenza anche l'intero fronte di gola. Le postazioni di combattimento per l'artiglieria da fortezza, a cielo aperto, sono protette da numerose traverse, in parte casamattate. All'esterno, completavano l'opera la scarpa a pendenza naturale, rivestita dal muro aderente solo in corrispondenza delle tre caponiere. Dall'esterno, verso il fronte principale, si percepisce l'architettura di terra, con masse dai profili ben modellati dalla geometria del defilamento, mentre le opere murarie sono completamente sottratte alla vista. Nel fronte di gola, secondo un modello classico, spiccano i portali monumentali, inseriti nelle severe membrature murarie. Nel nucleo del forte il ridotto assume duplice fisionomia: fortificatoria, nel prospetto esterno, convesso, con la serrata sequenza di feritoie su due ordini; quasi civile, nel prospetto concavo interno, che affaccia sulla corte, con la successione di bifore a sesto ribassato. Una rarità costruttiva la si incontra nelle poterne principali, coperte da volte di laterizio a gradoni discendenti e con il tratto terminale a volta gotica. Ciottoli e listati di laterizio (come nella tradizione costruttiva del medioevo veronese) rivestono i muri di controscarpa, mentre il tufo di Verona riveste gli altri edifici del forte, conferendogli un aspetto di straordinaria saldezza. L'armamento della fortificazione consisteva in: 6 cannoni ad anima rigata da 12 cm a retrocarica 2 cannoni ad anima rigata da 15 cm a retrocarica 24 cannoni di diverso calibro ad anima liscia Riserve di munizioni: 52 500 kg di polveri. Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 375 fanti 72 artiglieri Era inoltre possibile disporre un presidio di emergenza di 616 uomini. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Forte Dossobuono Forte Gisella, su fortegisella.com.

Forte San Massimo
Forte San Massimo

Forte San Massimo, originariamente chiamato Werk Liechtenstein, è stata una fortificazione posta a ovest di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del primo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1848 e 1856. Il terrapieno, il fossato e lo spalto furono realizzati nel 1848, mentre il ridotto e il fronte di gola furono impostati nel 1859; i lavori furono seguiti dal direttore dell'Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona, il maggiore Conrad Petrasch. Intitolato al principe Friedrich von Liechtenstein, maggiore generale di cavalleria nell'armata di Josef Radetzky, il forte è stato completamente spianato e demolito nel periodo intercorso tra le due guerre mondiali. Si trattava di un piccolo forte di tipo poligonale con ridotto centrale e ridotto di gola, e terrapieno con impianto asimmetrico a lunetta. Faceva sistema con i forti San Zeno e di Fenilone, battendo così la campagna antistante, la strada proveniente da Lugagnano, la ferrovia Milano-Venezia e, mediante le artiglierie del fronte di gola, prendeva d'infilata la ferrovia del Brennero. All'interno del forte, il ridotto centrale casamattato era a segmento di torre circolare, a un solo piano, con postazioni di artiglieria sulla piattaforma di copertura. Due muri, a delimitare il cortile di sicurezza, lo collegavano al centro del fronte di gola dal quale sporgeva, come caponiera, l'altra parte del ridotto a segmento di torre. Nel piazzale interno, inoltre, un pozzo assicurava la riserva d'acqua. Il fossato asciutto era privo del tipico muro alla Carnot che caratterizzava molte fortificazioni veronesi, finì così per essere declassato in seguito alla costruzione della linea più avanzata del secondo campo trincerato, nel 1861, ma mantenne comunque la funzione difensiva contro le infiltrazioni di fanteria. L'armamento della fortificazione consisteva in: 14 bocche da fuoco Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 60 uomini Luigi Battizocco, Forte S. Massimo, in Verona militare: studio storico militare, Verona, H. F. Münster, 1877, p. 92, SBN IT\ICCU\RML\0110150. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Forte San Massimo

Golosine
Golosine

Golosine è uno dei quartieri a sud di Verona che fa parte della circoscrizione 4. Il quartiere è abitato da 14.828 persone. Dista all'incirca 2,5-3 km dal centro, raggiungibile tramite alcune linee di autobus pubblici. Per effetto dell'incremento demografico si sta sviluppando velocemente con servizi ed attrezzature adeguate. È previsto il riassetto della zona confinante con il Quartiere Fieristico a sud di Verona così come indicato nel nuovo PAT (Piano Assetto Territoriale) lungo l'asse Viale Piave-Viale del Lavoro con la costruzione di nuovi insediamenti commerciali, sistemazione degli ex magazzini generali, con l'aumento delle zone verdi e la realizzazione di nuovi parcheggi per l'Ente Fieristico. Raggiungibile con gli autobus del servizio urbano ATV 23,24,73 e 62 e con gli autobus serali 91 e 98. Nel Medioevo la zona era ricoperta di boschi molto vasti, luogo di caccia, ma anche rifugio di briganti. Al limite del bosco c'era un'osteria con annessa casa chiusa al piano superiore, gestita da due sorelle, dette "le golosine" per le loro abilità amatorie e culinarie, da cui il nome dell'attuale quartiere. L'osteria si trovava alla fine dell'attuale via Golosine, all'attuale civico 153 Vedi l'edificio che ha dato il nome al quartiere Il confine Nord del quartiere è segnato dall'antica linea ferroviaria Verona Bologna, che divide le Golosine dal quartiere Santa Lucia. In questo quartiere è cresciuto il celebre attore, cantante e membro-fondatore dei Gatti di Vicolo Miracoli Umberto Smaila. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Golosine

Chiesa di San Massimo (Verona)
Chiesa di San Massimo (Verona)

La chiesa di San Massimo, o più correttamente chiesa di San Massimo Vescovo, è un luogo di culto cattolico che sorge nel omonimo quartiere di Verona; si tratta di una chiesa parrocchiale facente parte del vicariato di Verona Nord Ovest nell'omonima diocesi. Essa venne edificata nel XVIII secolo in stile neoclassico su progetto dell'architetto Luigi Trezza. Il più antico documento in cui viene menzionata la chiesa di San Massimo, con l'attiguo convento, è datato 780, quando era ancora una chiesa sussidiaria a quella parrocchiale di San Procolo. Entrambe le chiese furono distrutte durante le incursioni degli Ungari del IX e X secolo essendo situate al di fuori delle mura di Verona, quindi ricostruite grazie all'azione del vescovo di Verona Milone. La chiesa di San Massimo divenne parrocchia indipendente da quella di San Procolo nel 1459, tuttavia nel 1518 venne abbattuta in quanto la Repubblica di Venezia ordinò la demolizione di tutti gli edifici presenti nel raggio di un miglio dalle mura cittadine di Verona. Due anni più tardi, nel 1520, una nuova chiesetta ad aula unica venne riedificata più a nord, in corrispondenza dell'attuale località di San Massimo, che prese il nome dall'edificio; questo è sopravvissuto quasi integralmente e oggi corrisponde al piccolo oratorio situato a lato dell'imponente tempio neoclassico. Nel 1767, don Giacomo Trevisani, dopo il suo insediamento come nuovo parroco di San Massimo all'Adige, promosse la costruzione di una nuova chiesa per il paese dal momento che quella esistente, ora divenuta oratorio, non risultava più sufficiente per soddisfare i bisogni della comunità. Una nuova chiesa, di dimensioni molto maggiori rispetto a quella precedente, venne così eretta tra il 1780 e il 1786 su progetto dell'architetto Luigi Trezza, che disegnò anche il campanile costruito invece tra il 1819 e il 1829. Il 16 settembre 1791, ultimata la nuova e più grande chiesa dedicata al vescovo veronese, essa venne consacrata solennemente dal vescovo Giovanni Andrea Avogadro. La chiesa fu restaurata fra il 1980 e il 1986, esattamente due secoli dopo la sua costruzione, su progetto dell'architetto Paolo Giacomelli, che nel 2002 progettò anche il restauro delle statue poste in facciata e del portale laterale. La facciata in stile neoclassico della chiesa è orientata verso ovest ed è caratterizzata da quattro paraste di ordine gigante poggianti su alti basamenti e con capitelli corinzi, che sostengono la trabeazione e incorniciano il portale d'ingresso. Sopra il portale con arcata a tutto sesto si trova un grande occhio che illumina lo spazio interno, mentre ai suoi lati si trovano due nicchie entro le quali si trovano le statue di San Massimo e San Zeno. Altre due statue raffiguranti i Santi Pietro e Paolo si trovano su due pinnacoli esterni. Sopra la trabeazione, a concludere la facciata, un timpano con cornice dentata aggettante, sormontato dalle statue raffiguranti le virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. La chiesa, sul cui lato meridionale trovano spazio la sagrestia e l'antico oratorio cinquecentesco, è impostata internamente su una pianta ad aula unica rettangolare di grandi dimensioni preceduta da un piccolo vestibolo d'ingresso, dotata di quattro altari laterali e di uno pseudotransetto anche anticipa il presbiterio, questo rialzato di tre gradini rispetto al resto dello spazio e concluso con un'abside semicircolare. I quattro altari, di cui due situati in modesti sfondamenti nella parete dell'aula e due in corrispondenza del transetto, sono dedicati a San Luigi e alla Madonna del Carmine sul lato nord, e all'Adorazione dei Magi e del Sacro Cuore sul lato sud. I prospetti interni sono caratterizzati, oltre che dai quattro altari, da lesene di ordine composito che scandiscono lo spazio e che sorreggono la trabeazione con cornice sorretta da mensoline, su cui si imposta l'ampia volta a botte che copre sia la navata che il presbiterio. La volta a botte, su cui corrono costolonature trasversali e si aprono unghie laterali, si trasforma in volta a crociera all'incrocio con lo pseudotransetto, e in una calotta semisferica presso l'abside. Tra le varie opere d'arte è da citare la pala d'altare opera di Agostino Ugolini e raffigurante la Madonna con Bambino e i santi Massimo, Rocco e Sebastiano. L'organo a canne della chiesa, che sostituì quello originale posizionato sulla balconata sopra la porta di ingresso, fu realizzato nel 1958 dalla ditta organaria Zarantonello e posizionato alle spalle dell'altare maggiore. A trasmissione elettrica, ha due tastiere di 61 note e pedaliera di 31. Il campanile, sempre opera di Luigi Trezza, è frutto di una lunga ricerca e si ispira alla Colonna traiana, come dimostra un primo disegno del 1798 conservato nella Biblioteca civica di Verona, intitolato «Progetto d'un Campanile adattato alla forma e proporzioni della Colonna Traiana in Roma»; del 1812, invece, un suo «Disegno di Campanile relativo al programma proposto dal Signor Francesco Malacarne Ingegnere di Prima Classe, et Architetto, e dall'infrascritto ideato», che dal primo progetto riprende diversi stilemi e che assomiglia molto alla torre effettivamente realizzata. La torre venne realizzata sul retro dell'edificio chiesastico ed è comunicante con esso tramite un edificio secondario. Il basamento della torre è a scarpa mentre il fusto è diviso in due ordini, uno inferiore schiacciato e uno superiore ove si trova una larga apertura ad arco, all'interno della quale si apre una finestra balaustrata sormontata da un orologio (posto su soli tre lati del campanile). A chiudere questa fascia si trova un imponente fregio a metope, su cui si imposta la cella campanaria a edicola di pianta ottagonale, con otto colonne di ordine ionico e con copertura a cupola che raggiunge, con la scultura sommitale, i 50 metri di altezza. Le otto campane originali furono prodotte dalla nota fonderia Cavadini, tuttavia nel corso degli anni dovettero essere rifuse più volte dalla stessa impresa a causa di danni causati dagli agenti atmosferici; nel 1933, inoltre, furono commissionate ai Cavadini ulteriori cinque campane minori per completare il concerto, in modo da rispondere a pieno alle esigenze liturgico-musicali. Bertoni Camilla et al. (a cura di), La Chiesa di San Massimo: i suoi tesori, Verona, Grafiche San Massimo, 1998, SBN IT\ICCU\PUV\1363667. AA. VV., Il campanile di san Massimo, San Giovanni Lupatoto, Megraf, 2002, SBN IT\ICCU\PUV\1363668. Verona Monumenti di Verona Chiese di Verona Diocesi di Verona Parrocchie della diocesi di Verona Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Massimo Sito ufficiale, su parrocchiasanmassimo.vr.it. URL consultato il 14 aprile 2020.

Stadio Marcantonio Bentegodi
Stadio Marcantonio Bentegodi

Lo stadio Marcantonio Bentegodi è un impianto sportivo di Verona. Con 39 211 posti complessivi, di cui solo 31 045 omologati, risulta l'ottavo stadio italiano per capienza. Lo stadio è sede degli incontri interni dell'Hellas Verona. Ha inoltre ospitato le partite di Women's Champions League del Bardolino Verona, alcuni incontri di squadre giovanili, partite di rugby, manifestazioni di atletica leggera e saltuariamente anche concerti musicali. Fu progettato dall'ing. Leopoldo Baruchello secondo una soluzione molto rara nel panorama degli impianti sportivi italiani, ovvero sovrapponendo tre ordini di scalinate. Inaugurato il 15 dicembre 1963, ha sostituito il vecchio e omonimo stadio comunale che era sito nella zona di piazza Cittadella. È dotato di una pista di atletica ad otto corsie che nell'agosto del 2010 è stata rivoluzionata (la vecchia pista si era deteriorata) e sostituita da una nuova pista in asfalto, dipinta con i colori blu e giallo e aperta al pattinaggio. La sua capienza è variata nel corso degli anni, soprattutto dopo i mondiali di Italia 90 quando vennero coperti tutti i settori ed eliminati i posti liberi. Attualmente è di 42 160 posti, distribuiti su un parterre (di cui solo la parte est è oggi aperta al pubblico, limitatamente ai disabili e ai loro accompagnatori), tre anelli sovrapposti (poltronissime, tribuna e tribuna superiore) ed una tribuna stampa (182 posti). Soprannominato all'epoca della costruzione stadio dei quarantamila, il Bentegodi si presenta all'interno come un ampio anfiteatro a forma ellittica. È intitolato alla memoria di Marcantonio Bentegodi, storico benefattore dello sport veronese del XIX secolo. Progettato per rimpiazzare il vecchio "Bentegodi" che esordì nel 1910, il nuovo stadio, costato circa un miliardo di lire dell'epoca (11420000 €) fu inaugurato il 15 dicembre 1963 in occasione dell'incontro di serie B tra Verona e Venezia, vinto 1-0 da quest'ultima. L'affluenza record fu registrata il 23 gennaio 1983 in occasione di Verona-Roma, 47 896 spettatori (di cui 38 767 paganti e 9 129 abbonati). Nella stagione 1984-85 fu il teatro della conquista dello scudetto da parte del Verona, mentre nell'annata 2000-01 vide la prima promozione in Serie A del Chievo. Nel 1985 iniziarono i lavori di costruzione del terzo anello e della copertura, in vista dei Mondiali di calcio Italia 1990. Lo stadio quindi si ingrandiva ma senza una significativa variazione del numero dei posti in quanto venivano allargati i percorsi di fuga e venivano installati i seggiolini numerati. Nei Mondiali di calcio Italia 1990 il Bentegodi ha ospitato il gruppo E (Belgio, Corea del Sud, Spagna, Uruguay) e l'ottavo di finale fra Spagna e Jugoslavia. Il record di spettatori del Bentegodi ampliato e coperto si avrà il 6 novembre 1988 con un Verona-Milan da 47.798 spettatori (35.077 paganti e 12.721 abbonati), inferiore di 98 persone al record del 1983. Fu anche sede della finale del campionato di rugby 1996-97 tra Benetton Treviso e Milan, incontro vinto dai veneti per 34-29. La curva Sud è storicamente riservata ai tifosi dell'Hellas Verona, mentre dalla stagione 2015-16 la curva Nord è riservata ai supporter del Chievo, dopo una piccola "lotta" durata diversi anni per ottenere la curva che, per motivi organizzativi, il comune non concedeva loro; conseguentemente, i tifosi ospiti prendono posto nella curva Nord Superiore in occasione delle partite casalinghe degli scaligeri, e nella curva Sud Superiore in occasione delle sfide interne dei clivensi. La tribuna Ovest (lato delle panchine) è invece attrezzata per la stampa. Il terreno di gioco misura 105x68 m. Tra luglio e dicembre del 2009 sulla copertura del Bentegodi è stato installato un impianto fotovoltaico del valore di circa 4 milioni di euro e della potenza nominale di circa 1 MW (9591 m² di pannelli per una potenza di 999 kWp), diventando così il primo stadio solare d'Italia ed il più grande impianto fotovoltaico d'Italia su una struttura sportiva, grazie all'installazione di 13 328 pannelli solari; con il ricavato dall'energia prodotta vengono coperti ampiamente i costi di manutenzione dell'impianto sportivo. Il 13 ottobre 2010 l'impianto ospitò un incontro della nazionale di rugby a 15 dell'Italia, contro l'Argentina e terminato con la sconfitta degli Azzurri con il punteggio di 16 a 22. Il 6 aprile 2014 il Bentegodi ospitò per la prima, e allo stato attuale unica, volta il terzo club professionistico cittadino, il Virtus Verona, impegnato in Lega Pro contro l'Alessandria. Lo stadio Marcantonio Bentegodi è stato sede di tre incontri amichevoli della nazionale di calcio dell'Italia: il 7 aprile 1984 contro la Cecoslovacchia, terminato 1-1; il 22 aprile 1989 contro l'Uruguay, terminato anche in questo caso 1-1; il 6 giugno 2016 contro la Finlandia, vinto dagli Azzurri con il punteggio di 2-0. Dati di affluenza media spettatori delle due squadre cittadine beneficiarie dell'impianto: Stadio Marcantonio Bentegodi (1906-1963) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Stadio Marcantonio Bentegodi Speciale Stadio Bentegodi su Hellastory.net, su hellastory.net. Mappa degli stadi italiani, su maps.google.it.

Forte Azzano
Forte Azzano

Forte Azzano, chiamato originariamente Werk Neu Wratislaw, è una fortificazione posta a sud di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del secondo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1859 e 1866. La struttura fortificata fu realizzata tra 1860 e 1861 e i lavori furono diretti dall’Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona. Il forte era intitolato al conte Johann Wratislaw von Mittrowitz, capo di Stato Maggiore d'Armata sotto Radetzky tra 1848 e 1849. Il forte, a tracciato poligonale (un sistema poligonale misto tipico della scuola fortificatoria neotedesca) con ridotto centrale, è situato in aperta campagna ed equidistante dai forti Dossobuono e Tomba, con i quali faceva sistema incrociando i tiri. Sebbene fosse dotato di minore armamento rispetto agli altri forti di prima linea, presidiava la campagna tra Dossobuono e Ca' di David. Le sue artiglierie da fortezza, oltre a battere di fronte e di fianco la ferrovia proveniente da Mantova, esercitavano una potente azione di combattimento sulla pianura, contro tentativi nemici condotti da meridione, dopo il forzamento del medio Mincio. Il forte Azzano è simile, per impianto architettonico e caratteristiche tecnico-logistiche, ai forti Lugagnano e Dossobuono, se ne distingue tuttavia per le dimensioni d'insieme leggermente inferiori (il fronte di gola misura 183 metri, rispetto ai 200/204 metri dei due forti precedenti), di conseguenza è minore l'estensione del ridotto e il paradorso sul fronte di gola è disposto diversamente. L'ingresso al forte fu risolto dal progettista con una disposizione complessa, coordinata al doppio recinto di sicurezza interno. Nel terrapieno del fronte di gola rettilineo è inserita un'opera casamattata, alla quale è innestata la caponiera di gola, per artiglieria e fucileria, che difendeva l'accesso. La strada di accesso si sdoppia quindi davanti alla caponiera arrotondata, in direzione dei due portali laterali, simmetrici, preceduti dal ponte levatoio. Dai due portali ad arco si accede al piazzale interno, sotto il tiro dei fucilieri. Al centro del forte si eleva, su due piani e con copertura casamattata, il ridotto a corpo lineare, piegato sul tracciato a lunetta, con raccordi d'angolo arrotondati. Lungo il cortile interno del ridotto, al centro della facciata, sporge un corpo su pianta trapezoidale che contiene la scala e i servizi igienici. Sui due piani, nei locali a volta, sono disposti i ricoveri per la numerosa guarnigione e le varie funzioni logistiche, che rendevano l'opera autosufficiente. Il fronte principale del ridotto è ordinato per la difesa, su ogni piano, con galleria perimetrale a feritoie per fucilieri. Sul fronte secondario, concavo, il cortile è chiuso da un muro rettilineo di sicurezza. Nel mezzo, ai lati del passaggio per l'accesso al cortile, altri due muri paralleli si collegano alle casematte del fronte di gola, delimitando un ulteriore compartimento di sicurezza. Il tutto forma un doppio recinto a feritoie che, assieme alle gallerie per fucilieri del fronte principale, assicurava la difesa progressiva dell'opera. Inoltre tre pozzi per le riserve d'acqua sono collocati agli angoli del piazzale interno, in nicchie casamattate. Attorno al ridotto, il grande terrapieno si eleva sull'impianto a lunetta pentagonale, e copre in aderenza anche l'intero fronte di gola. Le postazioni di combattimento per l'artiglieria da fortezza, a cielo aperto, sono protette da numerose traverse, in parte casamattate. All'esterno, completavano l'opera la scarpa a pendenza naturale, rivestita dal muro aderente solo in corrispondenza delle tre caponiere. Dall'esterno, verso il fronte principale, si percepisce l'architettura di terra, con masse dai profili ben modellati dalla geometria del defilamento, mentre le opere murarie sono completamente sottratte alla vista. Nel fronte di gola, secondo un modello classico, spiccano i portali monumentali, inseriti nelle severe membrature murarie. Nel nucleo del forte il ridotto assume duplice fisionomia: fortificatoria, nel prospetto esterno, convesso, con la serrata sequenza di feritoie su due ordini; quasi civile, nel prospetto concavo interno, che affaccia sulla corte, con la successione di bifore a sesto ribassato. Una rarità costruttiva la si incontra nelle poterne principali, coperte da volte di laterizio a gradoni discendenti e con il tratto terminale a volta gotica. Ciottoli e listati di laterizio (come nella tradizione costruttiva del medioevo veronese) rivestono i muri di controscarpa, mentre il tufo di Verona riveste gli altri edifici del forte, conferendogli un aspetto di straordinaria saldezza. L'armamento della fortificazione consisteva in: 5 cannoni ad anima rigata da 9 cm a retrocarica 3 cannoni ad anima rigata da 9,5 cm ad avancarica 22 cannoni di diverso calibro ad anima liscia Riserve di munizioni: 52 500 kg di polveri. Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 300 fanti 68 artiglieri Era inoltre possibile disporre un presidio di emergenza di 400 uomini. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona

Forte Palio
Forte Palio

Forte Palio, chiamato originariamente Werk Alt Wratislaw, è stata una fortificazione posta a sud di Verona, parte del complesso sistema difensivo cittadino e più in particolare del primo campo trincerato di pianura, messo in opera tra 1848 e 1856. Il forte fu realizzato tra 1848 e 1850 e completato del muro distaccato alla Carnot e di tre caponiere nel 1859; l'utilità del forte tuttavia diminuì già dopo il 1861, in seguito alla costruzione della linea più avanzata del secondo campo trincerato, anche se mantenne la funzione di sicurezza contro le infiltrazioni di fanteria. I lavori furono seguiti dal direttore dell'Imperiale Regio Ufficio delle Fortificazioni di Verona, il maggiore Conrad Petrasch. Intitolato al conte Johann Wratislaw von Mittrowitz, capo dello Stato Maggiore d'Armata di Josef Radetzky durante la campagna del 1848-1849, il forte venne completamente spianato e demolito nel 1912 per fare spazio al nuovo grande scalo ferroviario per le merci di Porta Nuova. Si tratta di un forte a tracciato poligonale con ridotto centrale, terrapieno con impianto asimmetrico semiottagonale e fronte di gola a leggero rientrante. Faceva sistema con i forti Santa Lucia e di Porta Nuova, situato immediatamente a est della diramazione ferroviaria per Milano e per Mantova, che prendeva con tiri d'artiglieria d'infilata. Batteva inoltre la campagna antistante tra i borghi di Santa Lucia e Tomba, nonché la strada proveniente da Mantova. Il ridotto centrale del forte era a segmento di torre cilindrica, su un solo piano, con copertura terrapienata disposta a piattaforma per l'artiglieria; anche al piano terra potevano essere collocate artiglierie in casamatta. Due tratti di muro convergenti, a delimitare il cortile di sicurezza, collegavano la semitorre al centro del fronte di gola, il cui muro formava un tamburo difensivo per fucileria e artiglieria. Sull'ala destra del fronte di gola era inserito inoltre il portale d'ingresso con l'antistante ponte levatoio. Nel piazzale interno, sulla destra, si trovava un pozzo per la riserva d'acqua del presidio. Il terrapieno semiottagonale, con le postazioni di artiglieria, era difeso al livello del fossato asciutto dal muro distaccato alla Carnot, con le tre caponiere per il fiancheggiamento di artiglieria. Adiacenti al fronte di gola due poterne mettevano in comunicazione il piazzale interno con il cammino di ronda lungo il muro alla Carnot, ordinato per fucilieri, e con le tre caponiere. All'esterno completava l'opera la controscarpa del fosso raccordato alla campagna. L'armamento della fortificazione consisteva in: 8 bocche da fuoco Il presidio in caso di guerra della fortificazione consisteva in: 60 uomini Luigi Battizocco, Forte Palio, in Verona militare: studio storico militare, Verona, H. F. Münster, 1877, p. 91, SBN IT\ICCU\RML\0110150. Verona Monumenti di Verona Sistema difensivo di Verona Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Forte Palio