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Casa Maffei

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Front side (Corso Rodolfo Montevecchio) of Casa Maffei, Turin, Italy
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Casa Maffei è uno storico edificio liberty della città di Torino, in Piemonte.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Casa Maffei (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Casa Maffei
Corso Rodolfo Montevecchio, Torino Circoscrizione 1

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N 45.063904 ° E 7.664903 °
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Indirizzo

Corso Rodolfo Montevecchio 50 scala A
10129 Torino, Circoscrizione 1
Piemonte, Italia
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Front side (Corso Rodolfo Montevecchio) of Casa Maffei, Turin, Italy
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Luoghi vicini

Corso Duca degli Abruzzi
Corso Duca degli Abruzzi

Corso Duca degli Abruzzi è uno dei grandi viali alberati di Torino. Ha inizio da corso Vittorio Emanuele II sulla prosecuzione di corso Vinzaglio, estendendosi fino al largo Orbassano. Qui il corso, pur mantenendo il medesimo asse, cambia denominazione, diventando corso IV Novembre, in memoria della vittoria dell'Italia il 4 novembre 1918. Prosegue quindi fino a corso Sebastopoli, ove cambia denominazione diventando corso Giovanni Agnelli, in onore del fondatore della FIAT, e prosegue fino a piazza Caio Mario, all'incrocio con corso Settembrini. Si tratta di un ampio viale alberato costituito da una carreggiata centrale a due corsie per senso di marcia e due carreggiate laterali, separate da quella centrale da altrettanti viali alberati. Ha inizio all'altezza del numero civico 107 di corso Vittorio Emanuele II e si sviluppa in direzione nord-sud; poco prima dell'incrocio con corso Einaudi, trova alla sua destra la facciata principale del Politecnico di Torino. Divenuto corso IV Novembre dopo largo Orbassano, ove incrocia l'omonimo corso, trova alla sua sinistra la caserma Monte Grappa e subito dopo, attraversato corso Lepanto, costituisce, sulla sinistra, il lato lungo occidentale del rettangolo di Piazza d'armi (essendo quello orientale costituito da corso Galileo Ferraris), mentre sulla destra corre lungo la facciata principale dell'Ospedale Militare Alessandro Riberi. A partire dall'incrocio con corso Sebastopoli assume la denominazione di corso Giovanni Agnelli, fiancheggiando immediatamente sulla sinistra lo Stadio Olimpico Grande Torino, già Stadio Municipale Benito Mussolini, Stadio Comunale, Stadio Comunale Vittorio Pozzo e Stadio Olimpico (così denominato in occasione dei XX Giochi olimpici invernali del 2006), per proseguire andando ad incontrare corso Tazzoli, dopo il quale si trova a fiancheggiare sulla destra il lato sud degli stabilimenti della Fiat Mirafiori (palazzina direzionale ed uffici inclusa) e sulla sinistra l'ampio parcheggio pubblico destinato, di fatto, all'uso dei dipendenti dello stabilimento. Terminato questo giunge in piazza Caio Mario, ove attraversa corso Settembrini e quindi confluisce in Corso Unione Sovietica. Specularmente a Corso Duca degli Abruzzi, rispetto a Corso Vittorio Emanuele II, termina, sullo stesso asse, Corso Vinzaglio. Si tratta di un viale alberato ed a medesima struttura di Corso Duca degli Abruzzi, che giunge a Corso Vittorio Emanuele II da Via Cernaia.Deve il suo nome alla battaglia di Vinzaglio, ove il 30 maggio 1859, la divisione sarda del generale Giovanni Durando sconfisse gli austriaci. Procedendo verso via Cernaia, il marciapiede del lato sinistro (numerazione civica dispari) è coperto da eleganti portici fino alla fine del corso. Sul lato destro si affacciano i severi palazzi della Questura di Torino, dell'Intendenza di Finanza e del Circolo Ufficiali di Presidio. Prima degli anni 1950, tutto Corso Duca degli Abruzzi era chiamato Corso Vinzaglio. Renzo Rossotti, Le strade di Torino, Roma, Newton Compton Editori, 1997, ISBN 88-8183-113-9 Dove, Come, Quando - Guida di Torino '98-99, Torino, Gruppi di Volontariato Vincenziano, 1997 Stradario di Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Corso Duca degli Abruzzi

Bombardamenti di Torino
Bombardamenti di Torino

Per la sua importanza come centro industriale, sede della FIAT e di numerosi altri stabilimenti attivi nella produzione bellica (tra cui le Officine RIV, la Lancia, la Snia Viscosa), Torino subì oltre cento bombardamenti aerei da parte degli Alleati anglo-americani nel corso della seconda guerra mondiale; il capoluogo piemontese risultò tra le città più bombardate dell’Italia settentrionale, con danni a circa il 40 % del tessuto urbano ed oltre duemila vittime tra la popolazione civile. 11-12 giugno: primo bombardamento su Torino, nonché (insieme al contemporaneo attacco su Genova) prima incursione aerea subita da una città italiana nella seconda guerra mondiale. Nove bombardieri britannici attaccarono gli stabilimenti Fiat Mirafiori. Le bombe caddero sul centro abitato, causando alcuni danni e 17 morti. 13-14 agosto: 12 bombardieri britannici con obiettivo Fiat Mirafiori (13 e 14). 18 morti e 83 feriti tra i civili. 26-27 agosto: 11 bombardieri britannici con obiettivo gli stabilimenti FIAT. Le bombe caddero sull’abitato danneggiando il sanatorio San Luigi. 5-6 settembre: velivoli del Bomber Command della RAF attaccarono gli stabilimenti Fiat Lingotto, colpendo sia l’obiettivo che il centro abitato. 8-9 novembre: velivoli del Bomber Command attaccarono Fiat Mirafiori. Le bombe caddero sul centro abitato, causando un morto e 6 feriti tra i civili 23-24 e 26 novembre: attacco aereo su Mirafiori: le bombe caddero nuovamente sulla città; il 26 novembre un morto tra i civili. 4-5 dicembre: velivoli del Bomber Command bombardarono la città causando un morto e 8 feriti tra i civili. 11-13 gennaio: incursione del Bomber Command, obiettivo FIAT. Colpita la città con quattro morti e sei feriti tra i civili. 10 settembre: incursione del Bomber Command. 76 bombardieri partiti dalle basi in Regno Unito attaccarono in parte Torino e in parte Genova. A Torino le bombe, 75 tonnellate, caddero sull’abitato, causando due morti tra i civili. 22-24 ottobre: aerei dispersi del Bomber Command, appartenenti a formazione diretta contro Genova, sganciarono bombe e spezzoni su Torino; 2 morti e 10 feriti tra la popolazione civile. 18-19 novembre: 71 velivoli sganciarono 121 tonnellate su arsenale, stabilimenti Fiat e vaste zone dell’abitato. Danneggiate le industrie Fiat, Westinghouse, la fonderia Nebiolo e la Chiesa di Gesù Adolescente. 42 morti e 72 feriti tra i civili. 20-21 novembre: 198 bombardieri sganciarono 211 tonnellate sulla Fiat e sulla città, compresi 120 000 spezzoni incendiari. Colpiti gli stabilimenti FIAT, la SNIA, la centrale elettrica AEM, l’ospedale Martini, i teatri Maffei e Chiarella e la sinagoga. 177 morti, 120 feriti tra i civili, e inizio dello sfollamento di massa: si trattava della più pesante incursione aerea subita da una città italiana dall’inizio della guerra. 28-29 novembre: 194 bombardieri sganciarono 371 tonnellate sulla FIAT e sulla città, provocando 67 morti e 83 feriti tra i civili. Furono colpiti, oltre alla Fiat, l’arsenale, gli ospedali San Giovanni e Mauriziano e la stazione ferroviaria di Porta Susa. Per la prima volta in Italia furono impiegate le bombe blockbuster da ottomila libbre (3628 kg). 29-30 novembre: 18 aerei sganciarono 28 tonnellate di bombe sulla Fiat e sull’abitato, provocando 16 morti e 15 feriti tra i civili. Colpite la Fiat, la STIPEL, l’ospedale San Giovanni e l’ospedale psichiatrico. 8-9 dicembre: 118 bombardieri sganciarono 265 tonnellate (123 di bombe dirompenti e 162 di bombe incendiarie) su tutta la città, colpendo tra l’altro gli stabilimenti Fiat, il palazzo del municipio, il teatro Vittorio Alfieri, le sedi del Politecnico e dell’università, gli ospedali Martini e Molinette; . Il fumo degli incendi raggiunse i 2,5 km d'altezza; 212 morti e 111 feriti tra i civili. Inoltre nel bombardamento dell'8 dicembre fu rasa al suolo la chiesa della Madonna di Campagna. La chiesa parrocchiale di Madonna di Campagna, costruita nel secolo XVII, sede di un convento di frati cappuccini, fu colpita e distrutta durante il bombardamento dell’8 dicembre 1942 effettuato da aerei della RAF con bombe di grosso e grossissimo calibro. Il bombardamento citato causò 64 vittime nel quartiere Madonna di Campagna, molte delle quali si erano rifugiate nello scantinato della chiesa. 9-10 dicembre: 196 velivoli sganciarono 393 tonnellate, con 73 morti e 99 ferite tra i civili. Furono colpite la Fiat, l’università, la sede della questura e l'ospedale oftalmico. L’incursione fu giudicata dai britannici poco efficace perché il fumo generato dagli incendi scatenati dall’attacco del giorno precedente impediva ai bombardieri di mirare con accuratezza. 11-12 dicembre: fu un sostanziale fallimento perché la maggior parte degli 82 bombardieri decollati dall’Inghilterra non raggiunse l’obiettivo a causa del maltempo (metà di essi non riuscì a superare le Alpi) e si liberò del carico sulla Val d'Aosta. Solo 28 bombardieri raggiunsero Torino, sganciandovi 55 tonnellate di bombe; nessuna vittima e pochi danni. A seguito di tale ciclo di incursioni furono sfollati 250 000 degli allora 700 000 abitanti del capoluogo piemontese; 2 000 furono le abitazioni colpite insieme ai principali edifici industriali, quattro ospedali e palazzi storici. Danneggiate gravemente anche le reti idriche, elettriche e del gas, nonché pesantemente impattato il settore dei trasporti pubblici. 3-4 febbraio: 156 velivoli del Bomber Command sganciano sulla città 354 tonnellate di bombe, causando 29 vittime e 53 feriti. Sono colpiti gli stabilimenti FIAT e Lancia, l’Università e il centro storico di Torino. 12-13 luglio: 264 bombardieri della RAF sganciano 763 tonnellate di bombe (478 tonnellate di bombe esplosive, tra cui otto blockbusters da ottomila libbre e 203 da quattromila e 285 tonnellate di bombe incendiarie). Tutta la città subisce gravi danni, e tra gli altri sono colpiti i quartieri Centro, Vanchiglia e Regio Parco, gli stabilimenti FIAT, gli ospedali Gradenigo, San Giovanni e Mauriziano, la Piccola casa della Divina Provvidenza, l’Università, Palazzo Chiablese, il cimitero monumentale, la Chiesa di Sant'Alfonso Maria De' Liguori. Anche la Mole Antonelliana viene colpita da una bomba, che scatena un incendio nella galleria degli archi parabolici, che può tuttavia essere domato prima di raggiungere dimensioni preoccupanti. Una bomba colpì la Chiesa di Santa Pelagia senza esplodere. I Vigili del Fuoco sono chiamati a compiere oltre 1100 interventi, ma la distruzione della rete idrica lascia gli idranti senz’acqua, costringendo ad attingere l’acqua per spegnere gli incendi dalle cisterne pubbliche e private, dalle piscine e persino dalle fogne. L’erogazione di acqua e gas sarà interrotta per settimane, la rete tranviaria è messa fuori uso. I morti tra la popolazione civile sono 792, i feriti 914 (diversi dei quali successivamente deceduti, portando il bilancio finale delle vittime a 816); prima del bombardamento di Roma del 19 luglio successivo si trattò del più pesante attacco aereo sull'Italia per tonnellaggio sganciato che per vittime. 7-8 agosto: 74 aerei sganciano 191 tonnellate di bombe, con 20 morti e 79 feriti tra la popolazione. Colpite la FIAT, le officine ferroviarie, le stazioni di Porta Susa e Porta Nuova e il teatro Balbo.. 12-13 agosto: 142 aerei sganciano 240 tonnellate di bombe colpendo la FIAT, il palazzo Carignano, l’ospedale Molinette e il Teatro della Moda. Le vittime civili sono relativamente poche – 18 morti e 63 feriti – rispetto all’entità dei danni materiali, a causa dello sfollamento della maggior parte della popolazione: ormai oltre 465 000 torinesi, più dei due terzi della popolazione, hanno lasciato la città.. 16-17 agosto: 133 velivoli sganciano 208 tonnellate di bombe colpendo gli stabilimenti FIAT e Microtecnica, l’ospedale Molinette, lo stadio Mussolini, i quartieri Crocetta, San Paolo e Mirafiori Nord (inclusa, tra le varie cascine, la Giajone). Colpita di nuovo la Mole, che non subisce danni gravi. In una città ormai semideserta, le bombe causano soltanto cinque vittime e 56 feriti tra i civili. 8 novembre: prima incursione da parte delle forze aeree statunitensi sulla Torino nel territorio della neonata Repubblica di Salò, stato fantoccio della Germania nazista. Dopo i bombardamenti a tappeto pre-armistizio si torna a quello di precisione contro obiettivi industriali (in questo caso, le officine RIV) e ferroviari; tuttavia, la scarsa precisione delle tecniche di bombardamento usate fa sì che gran parte delle 168 tonnellate di bombe sganciate dagli 81 bombardieri statunitensi Boeing B-17 Flying Fortress colpisca, oltre agli obiettivi, anche la città, provocando 202 vittime e 346 feriti tra la popolazione civile, frattanto gradualmente rientrata dopo la fine dei bombardamenti dell’estate. 24 novembre: incursione della RAF sulle officine RIV. 6 dei 76 bombardieri decollati raggiungono Torino ma l'obiettivo è mancato. Le bombe sono sganciate sulla città senza vittime. Danneggiata la chiesa di San Giovanni Bosco. 1º dicembre: 118 bombardieri B-17 della 15ª USAAF sganciano 316 tonnellate di bombe con obiettivo le officine RIV, lo scalo ferroviario e la FIAT. Gli obiettivi vengono colpiti, ma molte bombe cadono anche sull’abitato, causando 101 vittime e 74 feriti tra la popolazione civile. 3 gennaio: 60 B-17 della 15ª USAAF sganciano 156 tonnellate di bombe sulla RIV, la FIAT e lo scalo ferroviario. 16 morti e 42 feriti civili 29 marzo: 60 B-17 della 15ª USAAF bombardano la FIAT Lingotto e lo scalo ferroviario; colpita anche la città, con dieci morti e 16 feriti civili 25 aprile: inizio dell'ultimo anno di guerra, 150 B-24 Liberator della 15ª USAAF colpiscono FIAT Aeronautica, FIAT Ferriere e FIAT Fonderie ma anche l’abitato, con 37 morti e 42 feriti tra i civili. 4 giugno: 100 tra B-17 e B-24 della 15ª USAAF colpiscono FIAT Lingotto e scalo ferroviario. Colpita anche gran parte della città (specialmente i quartieri Lingotto, Crocetta e San Paolo); 54 morti e 95 feriti tra i civili. 22 giugno: 100 tra B-17 e B-24 della 15ª USAAF colpiscono FIAT Mirafiori. 2 morti e 2 feriti tra i civili. 24 luglio: 60 tra B-17 e B-24 colpiscono gli stabilimenti FIAT. Colpita anche la città, 122 morti e 118 feriti tra i civili 5 aprile, ultimo bombardamento sulla città, da parte di 30 B-24 e B-17 della 15ª USAAF, con obiettivo lo scalo ferroviario. Colpita anche la città, con 70 morti e 128 feriti tra i civili. Le perdite tra la popolazione civile, secondo i dati del comune di Torino del 1946, ammontarono a 2 069 morti e 2 695 feriti, in leggera discrepanza con le cifre fornite dalla Croce Rossa, secondo la quale i morti furono 2 199 e i feriti 2 624 feriti Su 217 562 abitazioni esistenti al 1940: 15 925 furono completamente distrutte (7,32% del totale) 66 169 furono danneggiate gravemente e rese inabitabili (30,41% del totale). Nel quartiere Lingotto, tra i più colpiti in quanto insediamento industriale FIAT, il 70% delle abitazioni fu distrutto; nel centro cittadino, nell’area compresa tra i corsi Vittorio Emanuele II e Regina Margherita e piazza Statuto, le distruzioni interessarono il 58% delle abitazioni. I vani messi fuori uso furono 160 000. 10 424 attività commerciali su 29 016 (36%) subirono danni; 1 018 attività industriali furono colpite, delle quali 223 furono completamente distrutte, 315 parzialmente distrutte e 480 sinistrate. Tutti i principali stabilimenti industriali (FIAT, Lancia, SNIA Viscosa, Michelin, RIV) subirono gravi danni. Riportarono conseguenze anche eminenti edifici d'arte e cultura: furono colpiti i palazzi di piazza San Carlo, Martini Cigala, Valletta, Solaro del Borgo, Balbo Bertone, d’Agliano, Chiablese, Thaon di Revel, del Seminario, dell'Università, della Prefettura, la villa della Regina, la casa Broglia, il Santuario della Consolata. Subirono danni, benché non gravi, anche Palazzo Reale, Palazzo Madama, Palazzo Carignano, la basilica di Superga e la Chiesa della Natività di Maria Vergine. Giorgio Bonacina, La R.A.F. cancella intere città, in La storia illustrata, n. 164, Milano, Mondadori, marzo 1972. Marco Gioannini e Giulio Massobrio, Bombardate l’Italia. Storia della guerra di distruzione aerea 1940-1945, Rizzoli, 2007, ISBN 8817015857. Campagna d'Italia

Santuario di Sant'Antonio di Padova (Torino)
Santuario di Sant'Antonio di Padova (Torino)

Il santuario di Sant'Antonio di Padova di Torino è un edificio storico religioso cattolico situato nella parte meridionale del centro di Torino, in Piemonte. Si trova nella piccola via omonima, non lontano dalla Stazione di Torino Porta Susa, quasi al confine con il quartiere Crocetta. Ad esso sono annessi un convento, gestito dai Frati Minori, un centro carità e una mensa per i poveri, sempre gestita dai Frati stessi. L'edificio fu fortemente voluto nel 1883 per ospitare gli allora Frati Minori, estromessi da Torino a causa della legge Siccardi. I cantieri procedettero relativamente in fretta, su disegni e progetto dell'ing. Alberto Porta, che ne disegnò anche l'elegante facciata, con elementi di stile neogotico, molto utilizzato in quel periodo, misti a elementi di neoromanico (archi a tutto sesto) per richiamare lo stile della basilica di Padova. L'intera struttura fu terminata nel 1885, ma si dovettero attendere ancora due anni per trovare i fondi per gli arredi e le decorazioni interne, arrivando così alla consacrazione il 13 giugno 1887, giorno della ricorrenza del santo al quale è dedicato. L'affresco frontale esterno fu opera di Luigi Morgari, e rappresenta il santo con la Vergine e gli angeli. Qualche anno dopo fu ultimato il campanile, furono aggiunte le statue esterne dei due leoni, a "guardia" del santuario e furono ultimate le due cappelle laterali, dedicate a Maria Santissima Immacolata e al Sacro Cuore di Gesù. Nel 1912 poi, in occasione del cinquantenario del riconoscimento delle apparizioni mariane di Lourdes, fu aggiunta una piccola copia della Grotta di Massabielle, ricavata da una nicchia dell’ingresso laterale sinistro. Durante la seconda guerra mondiale il convento fu parzialmente colpito dai bombardamenti, e vi fu un primo intervento di restauro nel 1949, quindi nel 1987. L'ultimo imponente restauro dell'intera struttura avvenne nel periodo 2007-2009. Sia il santuario che il convento è da sempre un polo di riferimento per le opere di carità ai poveri. Tra il 1928 e il 1929 venne costruito dalla ditta Francesco Vegezzi-Bossi il maestoso organo a canne, situato sulla cantoria in controfacciata entro la cassa lignea disegnata dal Porta, su progetto fonico di padre Roberto Rosso o.f.m. A trasmissione pneumatico-tubolare, lo strumento è dotato di una consolle a tre manuali di 58 note e pedaliera concavo-radiale di 30 tasti, per un totale di 41 registri e 2075 canne. La raffinata, corposa timbrica ne fa un organo tra i più significativi del panorama organario della città di Torino regolarmente utilizzato per le funzioni liturgiche festive, molto adatto peraltro per l'esecuzione della letteratura organistica sinfonica romantica. È stato restaurato dai Fratelli Marin di Genova nel 1998. [1] Il Santuario ha ospitato per circa un decennio fino a inizio 2020 i culti della Comunità Evangelica Luterana di Torino, celebrati ogni due domeniche al mese secondo una formula bilingue italiano/tedesco. Dall'estate 2020 la comunità luterana è trasferita presso la Chiesa di San Francesco d'Assisi (Torino) in seguito all'offerta di disponibilità della Arcidiocesi di Torino. L'ecumenismo ha costituito un ulteriore elemento di arricchimento della vita spirituale del santuario, in armonia con l'accogliente operato verso il prossimo portato avanti dalla comunità francescana affidataria del complesso. edifici di culto a Torino Basilica di Sant'Antonio di Padova Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su santuario di Sant'Antonio di Padova Sito ufficiale, su pgvpiemonte.it.

Chiesa della Beata Vergine delle Grazie (Torino)
Chiesa della Beata Vergine delle Grazie (Torino)

La Chiesa della Beata Vergine delle Grazie (anche chiamata Nostra Signora delle Grazie) comunemente nota come chiesa della Crocetta (La Crosëtta in piemontese) è un edificio di culto Cattolico che sorge nell'omonimo quartiere di Torino. Il nome popolare deriva dalla croce rossa e azzurra che fregiava l'abito dei padri trinitari, per lungo tempo titolari dell'edificio e del culto. Le origini della chiesa risalgono ad una cappella costruita nel 1558, che fu poi sostituita da una chiesa barocca nel 1618 (ancora oggi esistente in largo Cassini) che era parte del convento dei frati Trinitari. Una lunga disputa si protrasse tra i frati Trinitari (che possedevano la chiesa) e i padri Filippini (in carica della giurisdizione parrocchiale). La disputa si risolve nel 1799 quando la chiesa divenne parrocchia indipendente. Nel 1887 il parroco Alessandro Roccati avviò la costruzione della chiesa odierna, che si completò nel 1889. La chiesa, progettata da Giuseppe Ferrari d'Orsara, è in stile neomedievale, con elementi neoromanici, neobizantini, e neogotici. All'interno è decorata in ricchi marmi ed affreschi di Giovanni Stura, e ospita un'opera attribuita a Tintoretto. Il campanile neoromanico fu danneggiato nei bombardamenti del 1943 e ricostruito in stile. Nel 1558 una pia donna, Maddalena Groppello da Soncino, costruì a sue spese una cappelletta per grazia ricevuta e nel 1592 la volle affidare alla giurisdizione della parrocchia Santa Maria di Piazza, allora sede metropolitana dei frati Carmelitani, successivamente affidata ai padri Filippini (appartenenti alla Confederazione dell'oratorio di San Filippo Neri, anche detti Oratoriani). Un'altra cappelletta, dedicata a San Grato, sorgeva nelle vicinanze (probabilmente si tratta della medesima cappella). Nel 1618, su richiesta della moglie Caterina d'Asburgo, il duca Carlo Emanuele I assegnò ai frati Trinitari un terreno nell'allora regione Tauley, affinché edificassero una chiesa con convento e orto. La costruzione della nuova chiesetta (che ingloba la precedente ceppella) iniziò lo stesso anno sotto il patronato del cardinale Maurizio di Savoia che ne posa la prima pietra. Il sito scelto are sulle rovine di un antico castello, all'angolo dell'odierna via Marco Polo con il vicolo Crocetta, e rimane tutto'ora come la chiesa del Convalescenziario. I frati Trinitari, in carica della chiesa, convento, ed orto, svolgono servizio assistenziale per i viandanti e di educazione per i contadini del circondario e beneficiano di una considerevole sovvenzione annuale dalla corte ducale. Il convento dei trinitari ordinariamente ospita sei sacerdoti e quattro laici. A questo punto la chiesa è retta dai Trinitari (che beneficiano di concessioni da parte della corte), ma è situata sotto la giurisdizione della parrocchia di Sant'Eusebio dei padri Filippini (oggi chiesa di San Filippo Neri), sui quali ricadono i doveri parrocchiali. Inizia cosí la disupta tra i due ordini. Gli abitanti della Crocetta, dopo l'erezione a parrocchia della chiesa del Lingotto nel 1686, vollero una loro propria parrocchia indipendente; questo fatto si inerisce nella liti tra i due i Filippini (titolari della parrocchia) ed i Trinitari (possessori di chiesa e convento). Nel 1726, in vista di erigere la chiesa a parrocchia indipendente, fu abbattuto un portico rustico ed ampliato l'interno. L'erezione a parrocchia era fortemente voluta dagli abitanti della zona, che fino al allora dovevano recarsi fino a Sant'Eusebio, ed era favorita anche da Vittorio Amedeo II. Nel 1727 Filippini dunque, decisi ad erigere la chiesa in parrocchia, si rivolsero prima ai padri Serviti della Chiesa di San Salvario, affinché si incaricassero di essa, ma i Serviti rifiutarono. Il padre Filippino Gioan Francesco Perotti si rivolse allora ai trinitari, affidando loro temporaneamente le funzioni parrocchiali, ma che si limitavano allora all'assistenza ai malati in fin di vita. I Trinitari si dichiararono favorevoli a svolgere pienamente l'amministrazione parrocchiale, ma a 4 condizioni: 1) che fosse versata a loro, in quanto in carica della nuova parrocchia, una congrua (cioè una somma monetaria per il sostentamento di un bene ecclesiastico) 2) che la nomina di parroco fosse fatta dai Trinitari 3) che l'istituzione della parrocchia venisse dall'arcivescovo e non dai Filippini di Sant'Eusebio 4) che venisse eretta una canonica. I Filippini si ritennero assolutamente contrari a queste condizioni, sia perché volevano mantenere la parrocchia dipendente dalla loro, sia perché non volevano pagare la congrua. Dunque, anche questa volta la chiesa non venne eretta in parrocchia. Per risolvere ai problemi dell'assenza della parrocchia, l'arcivescovo Pietro Arborio Gattinara si mise d'accordo coi Filippini per far si che ai Trinitari venissero delegate alcuna facoltà parrocchiali dettate dalle circostanze del luogo, mentre si continuava a cercare una soluzione. Tra il 1727 ed il 1728 i Trinitari, poiché non avevano un cimitero, seppellirono i loro morti nella chiesa stessa. Questo fatto convinse l'arcivescovo Gattinara a finalmente erigere la chiesa in parrocchia, e le assegnò un territorio di quattro miglia di circonferenza e lungo un miglio e mezzo al suo limite massimo. I Trinitari erano finalmente in carica della parrocchia, ma non avevano ricevuto la congrua che desideravano; per non perdervi diritto allora vollero che la parrocchia fosse ancora dipendente da quella di Sant'Eusebio dei Filippini, fatto rispecchiato dal nome di parochia Sancti Eusebii extra muros. Nel luglio 1729 la città di Torino assegnò alla nuova parrocchia un territorio lungo la strada principale, che servisse da cimitero. Per quindici anni i Trinitari amministrarono la parrocchia con come unica rendita i diritti di stola (ovvero le prestazioni dovute dai fedeli ai parroci per i servizi funerari). Nel 1744 chiesero nuovamente ai Filippini un contributo economico come congrua, ma gli fu negato. Il 4 giugno 1755 il perdurare dei contrasti convinse l'arcivescovo Roero ad obbligare per decreto il curato trinitario della Crocetta a diventare vicario di Sant'Eusebio, la parrocchia dei Filippini. Pertanto il padre trinitario Ignazio Isler si vide costretto a compiere la remissione dei libri parrocchiali. Questo comportò ai Trinitari la perdita di potere di parrocchiale acquisto, il dimezzamento dei diritti di proprietà sulla loro stessa chiesa, ed in generale un'investitura precaria. I Trinitari sperarono almeno di poter ricevere finalmente un qualche sostegno economico dai Filippini in riconoscimento del loro nuovo ministero e per i loro doveri parrocchiali, ma questo gli fu negato ancora una volta. Dinnanzi a questo nuovo rifiuto, i Trinitari mandarono padre Isler dall'arcivescovo il 20 novembre 1756 a fare rinuncia formale alla parrocchia. Così, la chiesa Crocetta perse lo status di parrocchia e gli abitanti della zona si trovarono nuovamente a dover dipendere dalla lontana Sant'Eusebio per i loro bisogni parrocchiali. La perdita dello status di parrocchia della chiesa della Crocetta andò a pesare anche sui Filippini stessi, che si trovavano ora a dover viaggiare più di due miglia per assistere ai bisogni dei loro parrocchiani della Crocetta, in particolare gli ammalati. Dunque nel 1757 decisero, piuttosto di accettare di pagare la congrua ai Trinitari, di smembrare il territorio parrocchiale della Crocetta e affidarne una porzione al curato di San Marco, un'altra al priore del Lingotto, e un'altra al vicario di Pozzo Strada. Questo progetto fu però prevenuto dagli abitanti stessi della Crocetta, che andarono dall’arcivescovo per supplicarlo di non smembrare il loro territorio. Non soltanto l'arcivescovo dunque proibì tale progetto, ma inoltre obbligò i Filippini a stanziare un sacerdote residente nella Crocetta per provvedere ai bisogni parrocchiali. Il sacerdote stanziato dai Filippini, non avendo casa né canonica nella Crocetta affittava una camera vicino al convento. Le messe, funerali, e le varie funzioni parrocchiali venivano invece celebrate nella piccola cappella del cimitero e non nella chiesa vera e propria, poiché quella era parte del convento ed in mani ai Trinitari. Gli abitanti, per assistere alle funzioni religiose, rimanevano a cielo aperto e tra le tombe nel cimitero (tra l'altro senza cinta ne mura). La situazione rasentava il ridicolo, con una chiesa ampia e comoda nel convento ed una parrocchia relegata nella misera cappella del cimitero. Nel 1766 gli abitanti si rivolsero nuovamente al sovrano, ora Carlo Emanuele III, per una soluzione che li lasciasse usufruire della chiesa del convento per le funzioni parrocchiali. Il re delegò nel luglio 1766 l'intendente Tomatis per risolvere la disputa. Il compromesso (raggiunto ad Agosto dello stesso anno) fu che i Trinitari, loro malgrado, dovettero cedere una delle tre cappelle della chiesa (quella dedicata a Giovanni de Matha e Felice di Valois) affinché servisse per le funzioni della parrocchia. In compenso ricevettero 100 lire all'anno e l'assicurazione che le funzioni parrocchiali non avrebbero disturbato le loro proprie funzioni religiose. Inoltre, per 50 lire annue, i Trinitari cederono in affitto due camere per l'alloggio del vicario parrocchiale. I Filippini, che godevano delle rendite della parrocchia, dovettero inoltre prendersi cura delle spese del suddetto altare della cappella (anche se riuscirono ad addossarle ai confratelli del Corpus Domini, senza che quest'ultimi se ne accorgessero) e delle 150 lire annuali di stipendio del vicario. La pace raggiunta tra i Trinitari ed il vicario Filippino non durò molto, e già nel 1788 il nuovo arcivescovo e cardinale Vittorio Maria Baldassare Gaetano Costa d'Arignano nuovamente parlò con i Filippini con lo scopo di rendere la parrocchia indipendente, ma i Filippini di nuovo rifiutarono ogni proposta che includesse il pagamento della congrua, e dunque anche Costa rinunciò a trovare una soluzione. Continuarono così piccole picche e ripicche fino al 18 luglio 1797, quando a causa della guerra contro la Francia, lo stato Sabaudo ottiene il breve papale soppressione dei conventi con meno di otto religiosi e l'incameramento dei loro beni a favore dell'erario. Nonostante il convento Trinitario della Crocetta avesse dieci membri, viene comunque incluso nel breve papale successivo del 9 febbraio 1798. La chiesa ed i suoi beni vengono dunque lasciati dal Papa all'arcivescovo di Torino, e i Trinitari dovettero abbandonarla. La curia arcivescovile offrì l'incarico parrocchiale ai Filippini. L'offerta decretava che i beni della chiesa venissero ceduti alla parrocchia della Crocetta, che i Filippini avrebbero amministrato. I Filippini invece desideravano che i beni fossero dati direttamente alla loro Congregazione. Date le circostanze economiche però (in cui si sopprimevano gli ordini religiosi per i bisogni bellici), era impensabile che il governo desse in regalo questi beni (di un valore di oltre 50 mila lire) ad un ordine religioso. Poiché i Filippini non accettavano, la situazione rimase incompiuta fino al 10 marzo, quando le Finanze del Regno vennero in possesso del convento e di tutti i terreni e beni al di fuori della chiesa, la sacrestia, e le due camere annesse. Il convento ed i terreno furono messi in vendita dallo stato il 13 marzo 1799 e comprati dalla società agraria di Torino per 55,585 lire. Furono successivamente venduti all'Arciconfraternita della Santissima Trinità che li adibì convalescenziario, funzione alla cui sono adibiti tuttora. La chiesa, la sacrestia, e le due camere annesse, che non erano state prese dalle Finanze dello stato, vennero date in possesso al vicario parrocchiale l'8 giugno. Gli abitatni del quartiere allora tornarono al proposito di rendere la chiesa parrocchia indipendente. Intanto i Filippini si erano accorti di tale proposito e intendevano nuovamente evitarlo. Alienarono tutto ciò che possedevano nel vicinato della Crocetta, temendo che fosse usato per stabilire la congrua parrocchiale. Essendosi impossessati dei vasi d'argento e delle suppellettili della chiesa, e temendo che ciò fosse usato come pretesto per farli pagare la congrua, non consegnarono alcun inventario al vicario. Inoltre, si adoperarono per rimuovere ogni vestigia rimasta dai Trinitari: cambiarono la Madonna del Buon Rimedio (patrona dei Trinitari) in quella della Madonna del Rosario, in onore della quale eressero una compagnia il 25 settembre 1798, coprirono le immagini di San Giuseppe e San Grato con quelle dei quindici misteri del Rosario, e rititolarono la chiesa come chiesa comparrocchiale di San Eusebio. Continuarono però a non contribuire alle finanze della parrocchia, i cui doveri ed oneri rimanevano a carico del vicario. Gli abitanti del quartiere erano abituati con i Trinitari ad almeno otto messe nei giorni festivi, mentre ora ne veniva celebrata solo una. Inoltre, agli abitanti spettavano più di settecento messe che i Trinitari si erano impegnati a celebrare per via di legati (cioè disposizioni testamentarie e caritatevoli) e il cui compito ora spettava ai Filippini, che però non adempivano. I parrocchiani della Crocetta, stanchi di essere trascurati dai Filippini, si appellarono alle autorità civili ed ecclesiastiche richiedendo, ora che erano in possesso di una chiesa propria, l'erezione di una parrocchia indipendente. Inoltre, i parrocchiani si resero disponibili a provvedere alla sussistenza del parroco, poiché i Filippini si rifiutavano. Questa richiesta fu calorosamente accolta da Joseph-Mathurin Musset, commissario della repubblica francese in Piemonte. Il 27 aprile 1799 la Congregazione dei Filippini dovettero rinunciare ad ogni giurisdizione sopra il territorio della Crocetta ed alla nomina del vicario parrocchiale. I Filippini si mostrarono d'accordo, con le condizioni di poter conservare la congrua radicale ed originale della chiesa ed un terreno attiguo, ed inoltre pretenderono che il futuro parroco rinunziasse ad ogni pretesa di soldi per la chiesa o sostentamento proprio dai Filippini e che non potesse più richiedere nulla dalla loro congregazione. I parrocchiani, volendo finalmente porre fine alla vicenda, accettarono. Dunque, il 1 maggio 1799, l'arcivescovo di Torino Buronzo del Signore eresse la parrocchia della Crocetta in vicaria amovibile, e la rese completamente indipendente dalla parrocchia di Sant'Eusebio. Il primo parroco fu il presbitero Giuseppe Anontio Massa come "rettore assoluto ed indipendente della parrocchia di S. Eusebio extra muros". Come voluto dai Filippini, rinunziò ad richiedere nulla da loro. Nel 1828 i beni un tempo posseduti dai Trinitari vennero riassegnati alla parrocchia. La chiesa di San Salvario era succursale della Crocetta. Nel 1849 il vecchio cimitero, che era rasente alla strada, venne raso e uno nuovo, fuori dall'abitato, venne costruito a 300 piedi di distanza. Nel cimitero era seppellito Gerolamo Ramorino. Nel 1887 Don Alessandro Roccati, appena nominato parroco, acquistò dalle famiglie Rignon e Bogetti il terreno per la nuova chiesa. a questi aggiunse 2.000 metri quadrati che si era fatto donare dal Comune. La costruzione comincia il 21 settembre 1887, su progettato (a titolo gratuito) dall'architetto Giuseppe Ferrari d'Orsara. La prima pietra fu posata il 14 marzo 1888, genetliaco di Re Umberto, in presenza del principe Ferdinando di Savoia e le rappresentanze del Municipio e del Gran Magistero dell'Ordine Mauriziano. La prima pietra fu benedetta da Mons. Giovanni Battista Bertagna, rappresentante del cardinale Gaetano Alimonda. Il 9 settembre 1889 la chiesa, ancora incompiuta, veniva aperta al culto nella festa di San Grato, antico patrono della regione; il costo complessivo fu 400 mila lire. Nel 1906 il conte Felice Rignon, proprietario della monumentale villa Verrua, donava alla parrocchia ulteriori 360 mq. di terreno che servirono nel 1911 per la costruzione della casa parrocchiale. Il campanile fu distrutto dal bombardamento dell’8 agosto 1943 e fu poi ricostruito nello stesso stile neoromanico. Nel 1966, su iniziativa del monsignor Schierano, fu rinnovata la pavimentazione marmorea. La chiesa originaria aveva anteriormente un rustico portico, abbattuto nel 1726 per un ampliamento dell'interno, che era in stile barocco. La chiesa è oblunga e con tre altari: sull'altare Maggiore troneggiava un'icona con "Cristo deposto dalla Croce e Maria addolorata", opera tintorettiana, probabilmente di Palma il Vecchio; gli altri erano dedicati alla Madonna San Giuseppe e San Grato, e ai santi fondatori dell'Ordine, Giovanni de Matha e Felice di Valois. Il duca Carlo Emanuele ed il cardinale Maurizio tenevano molto al culto della Madonna del Buon Rimedio, tanto da donare un quadro che raffigurava la famiglia reale sotto la protezione del manto della Vergine. Vi erano anche due quadri di Felice Cervetti, raffiguranti la lavanda dei piedi e l'istituzione dell'Eucarestia. La vecchia chiesa tuttora fa parte del convalescenziario. La chiesa attuale unisce stili diversi, ed è esempio di gusto neo-medievale: tardo bizantino nell'impianto a croce greca, romanico nel campanile, ravennate nei pulvini, decorazioni neogotiche, stile paleocristiano nel catino absidale; l'atrio ricorda l'antico nartece. Rimangono della chiesa precedente la grande tela di scuola tintorettiana (possibilmente di Tintoretto o di Palma il Vecchio), l'altare del 1600 in legno scolpito e la statua della Vergine risalente al XV secolo. VI è anche un dipinto di Claudio Francesco Beaumont raffigurante Gesù nell'orto. Tra gli arredi recenti, vengono segnalati i due registi pittorici del torinese Giovanni Stura, molto attivo a Torino agli inizi del Novecento. Nella calotta absidale dipinse la Vergine in atto di intercedere grazia dal suo Divin Figlio. Sul fronte dell'arco trionfale è dipinto L'Angelo che proclama Maria piena di grazia con al centro lo Spirito Santo. Sulla fronte dell'arco trionfale, in mezzo a volute d'oro, vi è rappresentata la Mistica Fonte alla quale si dissetano due pavoni ed attorno aleggiano colombe bianche. Attraverso l'intera chiesa si sviluppa fascia laterale affrescata, al livello sopra le colonne della navata. Nella fascia, nella calotta abside, sono rappresentati i Sette Emblemi Eucaristici mentre sui lati che fiancheggiano il presbiterio sono presenti medaglioni con Profeti e Vergini. Nella navata e nelle cappella, la fascia è adornata da santi ed angeli in processione. Nei timpani tra le colonne e la fascia laterale sono presenti i Quattro Evangelisti. Le estremità dei due bracci del transetto, che al centro formano una croce, accolgono due spaziose cappelle dedicate al Sacro Cuore (a Est) e alla Vergine della Mercede (a Ovest). Le dodici colonne interne sono di marmo di Moncervetto con capitelli in pietra di Viggiù in stile bizantino. Il soffitto, in legno e sostenuto da archi volanti, è decorato con colori vivi, dorature, ed arabeschi. L'organo a canne è opera di Francesco Vegezzi Bossi di Centallo (CN). È stato realizzato nel 1920 e, dopo il restauro del 1979 di Francesco II Vegezzi Bossi e un intervento di modifica di Renzo Rosso nel 2002, è stato restaurato, modificato e ampliato dalla ditta Brondino Vegezzi Bossi nel 2019. Dispone di due consolle, una in cantoria, a 2 tastiere e trasmissione elettronica, e una in navata, a trasmissione elettronica, a 3 tastiere di 58 note (Do1-La5) e pedaliera parallelo-concava di 30 (Do1-Fa3). Le canne sono disposte sulla tribuna sopra l'ingresso (grand'organo, recitativo e pedale), e nel matroneo absidale sinistro (organo corale di Carlo II Vegezzi Bossi del 1961, donato alla parrocchia nel 2019 dalla chiesa evangelica battista dove era precedentemente collocato, restaurato e collegato all'organo maggiore in tribuna. Ora sono così entrambi suonabili dalla moderna consolle a 3 tastiere posta in navata). Giuseppe Isidoro Arneudo, Torino sacra illustrata nelle sue chiese, nei suoi monumenti religiosi, nelle sue reliquie / - Torino : G. Arneodo, 1898. - VIII, 407 p. : ill. ; 20 cm. G. F. Baruffi e Antonio, Passeggiate nei dintorni di Torino : ai colti e gentili Torinesi, memoria ed ossequio, Torino : Stamperia Reale, 1858 Carlo Maria Felice Arnaud, Notizie storiche della Crocetta compilate da Carlo Maria Felice Arnaud professore di rettorica e di filosofìa, notajo appostolico e socio dì varie accademie, Torino, Benfà e Ceresola, 1800 (data di pubblicaz. presunta). Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna compilato per cura del professore Goffredo Casalis, Torino, Presso G. Maspero librajo, Cassone Marzorati Vercellotti tipografi, 1833. Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa della Beata Vergine delle Grazie

Officine Grandi Riparazioni di Torino
Officine Grandi Riparazioni di Torino

Le Officine Grandi Riparazioni di Torino (OGR Torino) sono un complesso industriale di fine Ottocento situato a Torino. Per un secolo, tra la fine dell'Ottocento e i primi anni Novanta, le OGR-Officine Grandi Riparazioni di Torino hanno rappresentato un'eccellenza nel campo della manutenzione di locomotive, automotrici e vagoni ferroviari. In passato le OGR furono stabilimento di manutenzione di veicoli ferroviari, dapprima delle Strade Ferrate dell'Alta Italia (SFAI), poi della Rete Mediterranea (RM) e infine delle Ferrovie dello Stato. All'inizio del XX secolo, furono soprannominate Officine Nuove, per distinguerle dalle già esistenti di Stazione Porta Nuova; si eseguivano qui le grandi riparazioni delle locomotive a vapore e delle locomotive elettriche a corrente alternata trifase. Nel secondo dopoguerra, cessate le attività sui due precedenti tipi di motrici, furono adibite alla manutenzione delle automotrici. A seguito della chiusura, avvenuta nei primi anni 90, l’abbandono e il degrado portano a prevederne la demolizione, poi scongiurata. Una parte del complesso, originariamente denominata padiglione ad H e oggi comunemente indicata come OGR, è stata utilizzata per ospitare alcune grandi mostre tematiche organizzate nell'ambito delle celebrazioni di "Esperienza Italia 150" per il 150º anniversario dell'Unità d'Italia. Il complesso sarà aperto del tutto nell'estate del 2019, al termine dei lavori nella manica sud. Nel 2015 il progetto O.G.R. si aggiudica il Premio Urbanistica (categoria: QUALITÀ DELLE INFRASTRUTTURE E DEGLI SPAZI PUBBLICI). L'inaugurazione della prima parte dell'opera di recupero, si è svolta il 30 settembre 2017 con il Big Bang, primo appuntamento in programma che ha visto tra gli ospiti Giorgio Moroder, Elisa, Ghali, Omar Souleyman e Chemical Brothers. Nel 2017 le OGR sono state visitate da 100.000 persone. L'inaugurazione del nuovo edificio è avvenuta il 30 settembre 2017, con un grande evento chiamato "Big Bang", aprendo al pubblico i nuovi spazi delle Officine restaurate. Le OGR di Torino ospitano all’interno dei loro spazi mostre ed eventi culturali relativi alle arti visive, performative, alla musica e all’ambito educativo. Nel 2013 la Fondazione CRT acquista l’edificio a forma di H di circa 20.000 m² e 16 metri di altezza, gli uffici e le aree scoperte e, tramite la Società OGR-CRT, ne avvia la riqualificazione funzionale e strutturale. Sono stati investiti cento milioni di euro dalla Fondazione CRT per la rinascita delle OGR, cercando di integrare soluzioni ad alto contenuto tecnologico, sostenibilità ambientale, salvaguardia del valore storico, flessibilità degli spazi e accessibilità. Nel 2015 il progetto O.G.R. si aggiudica il Premio Urbanistica (categoria: qualità delle infrastrutture e degli spazi pubblici) mentre il marchio, la brand identity e il progetto di segnaletica interna progettati da studio FM milano sono invece stati selezionati dall’Osservatorio del Design per entrare a far parte dell’ADI Design Index. L'inaugurazione della prima parte dell'opera di recupero, si è svolta il 30 settembre 2017 con il Big Bang, primo appuntamento in programma che ha visto tra gli ospiti Giorgio Moroder, Elisa, Ghali, Omar Souleyman e Chemical Brothers. Nell'ottobre 2017, dopo tre anni dall’inizio dell’intervento da parte di Fondazione CRT, le OGR riaprono al pubblico. Nel corso dell’anno le OGR sono state visitate da 100.000 persone. Il complesso sarà aperto del tutto nell'estate del 2019, al termine dei lavori nella manica sud. L’Unità di crisi della Regione Piemonte, insieme ad altri enti e alla Fondazione CRT hanno avviato nella mattina del 28 marzo 2020 i sopralluoghi per l'istallazione nella struttura di un ospedale temporaneo per affrontare la pandemia di COVID-19. I lavori di allestimento del sito, avviati il 4 aprile 2020, hanno interessato un'area pari a circa 8.900 m²; è stato realizzato un modulo da 92 posti ripartiti in 4 posti di stabilizzazione in emergenza intensiva, 32 posti di terapia subintensiva e 56 posti di degenza ordinaria. L'inaugurazione è avvenuta il 18 aprile 2020. L’ospedale Covid delle Ogr cesserà la sua attività alla scadenza dell'affitto, il 31 luglio, e per affrontare l’eventualità di una nuova emergenza autunnale la struttura verrà trasferita in un'altra area in corso di valutazione. Oltre a personale sanitario reclutato dalle ASL torinesi e mediante assunzioni temporanee all'uopo, si sono uniti allo staff sin dall'apertura del sito 38 operatori sanitari cubani della Brigada Henry Reeve (contingente specializzato in catastrofi e gravi epidemie creato da Fidel Castro nel 2005), di cui 21 medici e 16 infermieri, accompagnati dal loro coordinatore logistico, che il Ministero della Salute di Cuba ha destinato al Piemonte accogliendo la richiesta formulata dal presidente della Regione Alberto Cirio attraverso l’Ambasciata di Cuba in Italia. La Brigada si è dichiarata disponibile a operare gratuitamente in Piemonte fino a quando sarebbe stato necessario. Il 10 luglio 2020 comunque, allo stabilizzarsi della situazione epidemiologica, la Brigada cessa la propria attività nel polo ospedaliero; il 12 luglio, con una cerimonia presso il Parco Dora, i sanitari cubani vengono fregiati di una medaglia per meriti civili. Con l’intervento di ristrutturazione e recupero si concretizza il passaggio da ex Officine per la riparazione dei treni a nuove Officine della cultura contemporanea, dell’innovazione e dell’accelerazione d’impresa a vocazione internazionale. Gli Spazi delle Officine Nord sono concepiti per essere polifunzionali su un’area complessiva di circa 9.000 metri quadri, luogo di incontro di arti visive e performative, ospitando mostre, spettacoli, concerti eventi di teatro, danza ed esperienze di realtà virtuale immersiva, in una vera e propria digital gallery. In particolare, le arti visive saranno localizzate nei tre “binari” ovest delle Officine Nord, le arti performative nell’ala est, che mantiene l’antica denominazione di “Sala Fucine”. Il cuore delle Officine Nord è il “Duomo”: l’imponente sala alta ben 19 metri – dove i vagoni dei treni venivano posizionati in verticale per le manutenzioni – sarà destinata a simposi, workshop e conferenze. Il nuovo spazio delle Officine Sud, che verrà completato definitivamente nel 2020, ospiterà un incubatore di idee focalizzato su startup, industrie creative e smart data. Nell’area di circa 9.000 m² sarà infatti sviluppato, in collaborazione con partner locali e internazionali, un hub per la ricerca scientifica, tecnologica, industriale focalizzato su tre attività principali: supporto alle startup, creazione di un polo per la formazione e lo sviluppo di progetti nel settore delle industrie creative e sviluppo di un centro di ricerca applicata su smart data. ANSA, Ogr Torino hub innovazione, 12.000 metri per guardare futuro, 2019 http://www.ansa.it/industry_4_0/notizie/postit/2019/06/05/intesa-san-paolo-ogr-torino-ecosistema-dellinnovazione_c0460f4e-ef84-4e83-a6ca-96e162d384ca.html Artribune, Un anno di OGR a Torino. Due giorni di festa tra musica, danza, performance: gli highlights, 2018 https://www.artribune.com/arti-performative/musica/2018/09/un-anno-di-ogr-a-torino-due-giorni-di-festa-tra-musica-danza-performance-gli-highlights/ Corriere della Sera, Torino: le Officine grandi riparazioni riaprono con il «Big Bang», 2017 https://www.corriere.it/cultura/17_giugno_29/torino-officine-grandi-riparazioni-arte-c8e7830e-5ceb-11e7-95ac-44c3014ce0fa.shtml Famiglia Cristiana, Officine grandi riparazioni nuovo tempio della cultura, 2017 http://www.famigliacristiana.it/articolo/officine-grandi-riparazioni.aspx Il Messaggero, Ogr Torino, 20 milioni di euro di investimento e 500 postazioni, 2019 https://www.ilmessaggero.it/economia/news/ogr_torino_20_milioni_di_euro_di_investimento_e_500_postazioni-4307723.html Il Sole 24 Ore, Al via l’hub dedicato alle start up della smart mobility alle Ogr di Torino, 2019 https://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2019-06-05/al-via-l-hub-dedicato-start-up-smart-mobility-ogr-torino-170731.shtml?uuid=ACceMKN Laura Milan, Teknoring, Le nuove OGR di Torino vicine all’apertura https://www.teknoring.com/news/restauro/le-nuove-ogr-di-torino-vicine-allapertura/ La Stampa, Ecco le nuove Ogr, officine di creatività riqualificate, 2017 https://www.lastampa.it/2017/09/06/cronaca/torino-ecco-le-nuove-ogr-officine-creativit-riqualificate-V7rRPi3H79GguI7Dt2B6MO/pagina.html La Repubblica, i ragazzi cantano a Porta Nuova per difendere il clima, 2019 https://video.repubblica.it/edizione/torino/torino-i-ragazzi-cantano-a-porta-nuova-per-difendere-il-clima/332434/333029?ref=vd-auto&cnt=1 Fondazione CRT Officine Grandi Riparazioni Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Officine Grandi Riparazioni di Torino Sito ufficiale, su ogrtorino.it. OGR Torino, su ogr-crt.it.

Palazzo della Provincia (Torino)
Palazzo della Provincia (Torino)

Il Palazzo della Provincia è uno dei grattacieli di Torino. Ubicato al centro di un'area interessata da profondi cambiamenti che vedono sorgere la nuova Stazione di Torino Porta Susa, il Grattacielo Intesa Sanpaolo e il completamento del grande viale della Spina Centrale, il Palazzo della Provincia è una delle testimonianze della prospettiva di trasformazione che ha interessato i maggiori capoluoghi italiani verso la fine degli anni cinquanta. L'edificio sorge nel quartiere Cit Turin al confine del Centro storico, tra corso Inghilterra, via Cavalli, via Avigliana e via Beaumont; la sua altezza di 65 metri ne fa uno degli edifici più alti della città. Realizzato sull'area dell'ex mattatoio a partire dal 1962, l'edificio fu progettato da Ottorino Aloisio, già autore della sede torinese della Sipra nel 1959, vincendo il concorso bandito della STIPEL (poi SIP e quindi Telecom) per la realizzazione del nuovo centro direzionale destinato ad ospitare uffici e impianti. L'austerità del progetto ebbe anche il compito di conferire all'opera un'immagine di emblematica modernità. Sulla base di questo alto valore simbolico, Aloisio concepisce l'edificio come un "grattacielo orizzontale" che delinea marcatamente l'antistante Corso Inghilterra, optando per una facciata principale scandita dalla fitta ripetizione di paraste altissime, tra le quali trovano posto le finestrature, anch'esse molto sviluppate in altezza. Contestualmente, Aloisio si occupa personalmente anche della progettazione dell'intero apparato di dettagli costruttivi secondari come inferriate, infissi esterni e interni, gli arredi e addirittura la grafica della segnaletica interna degli uffici. Nel corso del 2008, a seguito del contestato spostamento della sede legale della Telecom a Milano, il grattacielo è stato oggetto di una radicale ristrutturazione interna ed esterna su progetto di Paolo Rosani, divenendo la nuova sede operativa della Provincia di Torino (oggi Città metropolitana di Torino). I lavori di ristrutturazione, seguiti dagli uffici Tecnici dell'Ente sono durati due anni e sono stati portati a termine nei tempi previsti; la contestuale rivalutazione del quartiere ha indubbiamente contribuito all'ottimizzazione e unificazione dei vari uffici istituzionali dell'ente in un contesto architettonico significativo. Oltre alla necessaria bonifica dall'amianto, il progetto di Rosani ha operato sia esternamente che internamente, comprendendo interventi volti all'adeguamento tecnologico, a una migliore efficienza energetica e a una nuova organizzazione degli spazi, che hanno visto la realizzazione di un auditorium da 400 posti. Inoltre, l'accentuata verticalità della facciata è stata profondamente modificata e sono stati rimossi anche i rivestimenti policromi in klinker, in favore di un nuovo (ma più anonimo) rivestimento "ecosostenibile". Stessa sorte per i molteplici dettagli costruttivi interni ed esterni originali progettati dall'Aloisio. I lavori si sono conclusi con l'inaugurazione della nuova sede il 10 ottobre nel 2008. Anche dopo il notevole rimaneggiamento, l'edificio continua tuttavia ad essere protagonista della nuova area in fase di avanzato completamento ed è situato accanto a uno dei nuovi simboli di Torino: il Grattacielo Intesa Sanpaolo, affacciato su Corso Vittorio Emanuele II. M1 Metropolitana Fermi - Lingotto (fermata: Porta Susa). Politecnico di Torino Dipartimento Casa-Città, Beni culturali ambientali nel Comune di Torino, Torino, Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, 1984, p. 389. Maria Adriana Giusti, Guida all'architettura del Novecento in Piemonte (1902-2006), Torino, Allemandi, 2008. Società degli Architetti e degli Ingegneri in Torino, Architettour. 26 Itinerari di Architettura a Torino/Architectural Walks in Turin, Torino, SIAT, 2000. Nino Rosani, Edizioni EDA, Torino 1974 Micaela Viglino Davico, Note per una storia del Miar torinese. Ottorino Aloisio e l'architettura gestuale, RapiRapida, Torino 1974 Marco Pozzetto, Micaela Viglino Davico, "Ottorino Aloisio", in Cronache economiche, 3-4, marzo-aprile, 1975, pp. 3-18 Marco Pozzetto, Vita e opere dell'architetto udinese Ottorino Aloisio, Torino, 1977 Marco Pozzetto, Ottorino Aloisio Architetto, Catalogo della mostra, Istituto per l'Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Udine, 1981 Politecnico di Torino, Dipartimento Casa-Città, Beni culturali ambientali nel Comune di Torino, Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, Torino, 1984, p. 389 Vai alla pagina digitalizzata Augusto Sistri, Ottorino Aloisio (ad vocem), in Ordine degli Architetti pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia di Torino, Albo d'onore del Novecento. Architetti a Torino, Celid, Torino 2002 Paolo Scrivano, Aloisio, Ottorino, in Carlo Olmo (a cura di), Dizionario dell'architettura del XX secolo, Vol. I, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 2003 Alessandro Martini, Città, infrastrutture, trasformazioni urbane e aggiornamento tecnologico. Ottorino Aloisio e il Palazzo Sip di Torino, in Atti e Rassegna Tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, numero monografico "Il nuovo Palazzo della Provincia di Torino", nn. 3-4, settembre-ottobre, 2008, pp. 20-36 Spina Centrale Provincia di Torino Telecom Italia Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palazzo della Provincia