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Chiesa di Santa Maria degli Angeli alle Croci

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Angeli Facciata
Angeli Facciata

La chiesa di Santa Maria degli Angeli alle Croci è una delle più belle chiese barocche di Napoli; si erge in via Veterinaria, nei pressi dell'Orto botanico. La chiesa ha assunto questo nome per la presenza della via crucis che veniva fatta sulla salita di via Michele Tenore dai Francescani Osservanti. La struttura religiosa è stata costruita assieme al Convento dei Francescani Osservanti, nel 1581. Dopo che venne attuata la riforma dell'ordine, il convento venne trasformato in un collegio e la riqualificazione della struttura venne affidata a Cosimo Fanzago; in seguito, questi provvide anche all'ammodernamento della chiesa. L'impianto della chiesa è tipicamente controriformistico, con una navata centrale e cappelle laterali. Sono da annoverare principalmente le pregevoli colonne in granito nell'atrio (provenienti dalla vicina basilica di San Giorgio Maggiore) e le varie opere scultoree del Fanzago. La facciata è caratterizzata da pregevoli marmi intagliati, bianchi e grigi e dai due angeli, molto probabilmente, anch'essi opera del Fanzago. L'intera struttura è stata restaurata dopo il terremoto del 1980, così come le opere pittoriche e scultoree collocate al suo interno. Vincenzo Regina, Le chiese di Napoli. Viaggio indimenticabile attraverso la storia artistica, architettonica, letteraria, civile e spirituale della Napoli sacra, Newton e Compton editore, Napoli 2004. Napoli Chiese di Napoli Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Maria degli Angeli alle Croci

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Chiesa di Santa Maria degli Angeli alle Croci
Via della Veterinaria, Napoli Municipalità 3

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Chiesa di Santa Maria degli Angeli alle Croci

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Luoghi vicini

Orto botanico di Napoli
Orto botanico di Napoli

L'Orto botanico di Napoli, conosciuto anche come Real orto botanico, è una struttura dell'Università Federico II, che fa parte della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali; ha una estensione di 12 ettari e ospita circa 9000 specie vegetali e quasi 25000 esemplari. Si trova in via Foria, vicino al Real Albergo dei Poveri. Fondato il 28 dicembre 1807 con decreto di Giuseppe Bonaparte, l'orto botanico fu costruito su alcuni terreni precedentemente appartenuti ai Religiosi di Santa Maria della Pace e all'Ospedale della Cava. In realtà il progetto fu inizialmente avallato dal re Ferdinando IV, attraverso l'intercessione di Giuseppe Beccadelli di Bologna che nel 1776 ottenne dal sovrano un finanziamento; la Rivoluzione Napoletana del 1799 tuttavia ne rese impossibile la realizzazione. Il progetto venne portato avanti da due architetti. Il primo, Giuliano de Fazio, è autore della facciata monumentale e del viale a essa perpendicolare, della stufa temperata, e del viale che porta al Castello. La parte inferiore è invece opera di Gaspare Maria Paoletti. Il primo direttore dell'Orto, che aprì i battenti nel 1811, fu Michele Tenore (nominato l'anno precedente). Tenore si occupò sia dell'attività scientifica, che delle relazioni esterne. Per quel che riguarda la prima, grande importanza fu data alla ricerca e alla didattica. Furono messe a coltivazione molte specie di uso e interesse in campo medico, ma anche piante esotiche. Le seconde furono portate avanti presso le maggiori istituzioni botaniche d'Europa. Alla fine della sua esperienza come direttore della struttura, nel 1860, le specie coltivate giunsero quasi a toccare il numero di 9000. Guglielmo Gasparrini, entrato in carica nel 1861, proseguì nel miglioramento dell'Orto, risistemando alcune aree che versavano in cattive condizioni e creando un'area destinata ad accogliere piante alpine. Durante la sua gestione fu costruita anche una nuova serra riscaldata (che andava a sostituire la precedente, costruita nel 1818, detta Stufa calda). Egli diede molta importanza anche al Museo botanico. Nel 1868, due anni dopo la morte di Gasparrini, gli subentrò Vincenzo Cesati, in carica fino all'anno della sua morte, il 1883. A succedergli fu Giuseppe Antonio Pasquale, che era già stato direttore ad interim dopo il 1866 e che rimase in carica per dieci anni fino alla sua morte. Il suo successore, Federico Delpino, ebbe molte difficoltà a mantenere intatto il prestigio dell'Orto. Infatti, il suo mandato (1893-1905), fu caratterizzato da notevoli difficoltà economiche. Il rilancio doveva essere, quindi, l'obiettivo di Fridiano Cavara, succedutogli nel 1906. Non solo restaurò alcune strutture e aumentò l'entità delle collezioni ma, soprattutto, istituì la Stazione sperimentale per le piante officinali (in seguito diventata Sezione, inizialmente non facente parte della struttura in senso istituzionale, aggregata ad esso solo negli anni settanta) e diede il via alla costruzione di una struttura destinata a diventare la nuova sede dell'Istituto. Nel 1930 fu sostituito da Biagio Longo, che ne continuò l'opera di riqualificazione. Sotto la sua direzione, sede dell'Istituto divenne la struttura voluta da Cavara. Nel 1940 vi fu un appuntamento importante, cioè una riunione della Società Botanica Italiana alla Mostra d'Oltremare. Devastazioni dovute ai bombardamenti, sottrazione di ferro per uso militare, l'arrivo di parte della popolazione in fuga e la decisione di mettere a coltura porzioni dell'Orto per coltivare beni di prima necessità, la conversione di alcune aree della struttura a scopi militari, oltre la trasformazione di una parte della struttura in campo sportivo da calcio, ospitante le partite del Napoli: queste furono le conseguenze della Seconda guerra mondiale sulla vita dell'Orto botanico di Napoli. Giuseppe Catalano, successore di Longo, fu il primo direttore nominato nel secondo dopoguerra. L'incarico, affidatogli nel 1948, si incentrava in particolar modo sulla ristrutturazione dell'Orto, accompagnata ad un arricchimento per quel che riguarda gli strumenti a disposizione dei botanici e dalla trasformazione della "valletta", voluta da Gasparrini, in quello che nel XXI secolo è il filicetum. Sulla stessa falsariga si mosse Valerio Giacomini, entrato in carica nel 1959. Nel 1963 inizia un periodo considerato molto importante per la storia dell'Orto. Diviene infatti direttore Aldo Merola. Sotto la sua direzione, l'Orto acquisì, nel 1967, l'autonomia economica ed amministrativa, il che rese possibile ottenere finanziamenti straordinari per migliorare la struttura: vennero realizzate varie serre (per un totale di 5000 m²), un impianto di riscaldamento e una rete di distribuzione idrica. Grande importanza ebbe l'opera "politica" di Merola, che cercò di ottenere aiuti a livello legislativo (come la creazione di un ruolo professionale specifico ad alta specializzazione: il giardiniere degli orti botanici). Le coltivazioni furono molto arricchite, soprattutto grazie all'opera di Luigi Califano. Furono nuovamente riattivati i rapporti con i principali Orti europei e grande importanza fu data al ruolo didattico della struttura. Uno dei segni più visibili, comunque, dell'opera meroliana è la ridisposizione delle aree secondo due criteri: quello sistematico e quello ecologico. Il terremoto del 23 novembre 1980 colpì fortemente l'orto botanico, durante il periodo di direzione ad interim di Giuseppe Caputo. Ancora una volta la struttura divenne rifugio per la popolazione. Nel 1981 divenne direttore Paolo De Luca, al quale toccò iniziare l'opera di ricostruzione. Le aree espositive sono disposte secondo tre criteri. Quello sistematico, quello ecologico e quello etnobotanico. Fanno parte dell'area disposta secondo il criterio sistematico le seguenti zone: l'area delle Pinophyta; il filiceto, destinato alla coltivazione di felci e piante affini; il palmeto; l'area delle Magnoliophyta l'agrumeto; e altre piccole zone dedicate a singole specie. Secondo il criterio ecologico, troviamo le aree denominate: deserto, area destinata ad accogliere le piante succulente; spiaggia, che vede coltivate le piante più diffuse, appunto, sulle spiagge italiane; torbiera, nella quale vengono coltivate le Cyperaceae; roccaglia, destinata all'esposizione di specie tipiche delle zone calcaree degli Appennini; macchia mediterranea oltre alle vasche per la coltivazione delle idrofite. Nella serra tropicale ubicata accanto alla serra Merola è stato riprodotto un mangrovieto con esemplari delle specie Rhizophora mangle, Avicennia nitida, Laguncularia racemosa e Conocarpus erectus. Infine, l'area etnobotanica è la Sezione sperimentale delle piante officinali. Il Castello, edificio creato tra il XVI e il XVII secolo. Per molto tempo ha ospitato l'Istituto di botanica, il laboratorio, la biblioteca, l'erbario e il museo; in seguito è diventata la sede delle attività amministrative e tecniche, oltre che del museo di paleobotanica ed etnobotanica. L'edificio della Sezione sperimentale delle piante officinali, nel quale sono custoditi semi di molte piante utili e vengono riconosciuti, essiccati e conservati altri tipi di esemplari vegetali. Il C.I.S.M.E. (Centro Interdipartimentale di Servizio per la Microscopia Elettronica). Dipartimento di Biologia Vegetale della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell'Università di Napoli. Ricerca Le aree delle serre dell'Orto sono le seguenti: la Serra Merola, inizialmente conosciuta come Stufa temperata; le Serre Califano; le serre di riproduzione e moltiplicazione. Presso l'Orto vengono svolte una vasta gamma di attività che vanno oltre la coltivazione e la presentazione a fini museologici delle sue preziose collezioni. L'orto ospita manifestazioni artistiche e culturali, contribuendo alla vita culturale della città. Tuttavia, la sua missione principale riguarda la ricerca, la didattica e la conservazione delle specie vegetali, in particolare quelle rare o a rischio di estinzione. L'attività di ricerca condotta si concentra sulla morfologia delle piante, con particolare attenzione a gruppi specifici come le cycadales e le orchidaceae. Inoltre, vengono condotte indagini etnobotaniche presso comunità rurali dell'Italia meridionale e centrale e vengono analizzati fossili vegetali provenienti dai siti geologici della Regione. Le collezioni dell'orto rappresentano una risorsa inestimabile per la ricerca, messa a disposizione dei docenti del Dipartimento delle Scienze Biologiche per approfondire le conoscenze nel campo della biologia vegetale. Tommaso Russo (a cura di), "L'Orto botanico di Napoli : 1807-1992", Grafiche Cimmino, 1992, SBN IT\ICCU\NAP\0054824. De Luca P. & Menale B., L’Orto Botanico di Napoli, Roma, Silgraf, 1997, ISBN 978-88-8314-001-0 De Luca P., Menale B., Pinto E., Barone Lumaga M.R., Casoria P., Orto botanico, Napoli, Edizioni Pubblicomit, 1994, ISBN 978-88-86392-01-5 Giacomini V., L’Orto Botanico di Napoli, Napoli, Orto Botanico dell’Università di Napoli, 1965 Menale B. & Barone Lumaga M.R., Il Real Orto Botanico di Napoli, Napoli, Fridericiana Editrice Universitaria, 2000, ISBN 978-88-8338-103-4 Menale B. & Barone Lumaga M.R., L’Orto Botanico di Napoli e la pianificazione dei Siti Reali: il ruolo di Federico Dehnhardt, Napoli, Delpinoa, 2000 Menale B. & Muoio R., L’Orto Botanico, Napoli, Libreria Dante & Descarteis, 2006, ISBN 978-88-88142-82-9 Università degli Studi di Napoli Federico II Elenco degli orti botanici in Italia Musei di Napoli Monumenti di Napoli Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sull'Orto botanico di Napoli Il sito ufficiale dell'Orto botanico di Napoli, su ortobotanico.unina.it. URL consultato il 22 giugno 2007 (archiviato dall'url originale il 31 dicembre 2021).

Via Foria
Via Foria

Via Foria (AFI: /foˈria/) è una storica via di Napoli che delimita a nord il nucleo antico della città di Napoli. Parte da piazza Cavour e scende sino a Piazza Carlo III. Famosa per la numerosa presenza di caratteristiche botteghe di antiquariato, la strada è lunga un chilometro esatto, attraversando i quartieri Stella, San Carlo all'Arena e San Lorenzo. Foria deriva dalla corruzione di Forino (con cui si chiamava la strada dal XVIII secolo, mentre in precedenza la si indicava come strada di San Carlo all'Arena), cioè il principe di Forino che costruì l'omonimo palazzo, il primo di un nucleo di costruzioni nella zona. La strada di Forino era niente altro che un grande lavinaio (un collettore di acque) che correva nei pressi della cortina settentrionale delle mura cittadine che fino all'epoca aragonese partendo da Caponapoli lambivano piazza Cavour e degradavano verso il Castel Capuano lungo il carbonarius, l'odierna via Carbonara. Questo fossato accoglieva tutte le acque torrentizie (la cosiddetta lava) provenienti dalle colline sovrastanti come la Stella, il Moiariello, l'Infrascata, la Veterinaria e dai valloni della Sanità e dei Vergini. In particolare la lava dei Vergini era la più temuta e anche la più micidiale per via delle tante vittime che fece. Il fenomeno della lava terminò nel 1871 con la regolarizzazione delle acque piovane tramite collettore (anche se si ebbero molti anni più avanti alcuni straripamenti dovuti a cattiva manutenzione). Nel XVI secolo Don Pedro di Toledo amplia le mura a nord; ne consegue da queste parti lo spostamento di porta San Gennaro e la costruzione della porta di Costantinopoli. Nel XVII secolo lungo la strada si costruiscono alcuni edifici come la chiesa di San Carlo all'Arena e il palazzo Caracciolo di Forino. Il boom edilizio avviene nel XVIII secolo, grazie anche alla lastricazione avvenuta precisamente tra il 1767 e il 1768: il palazzo Forino aveva degli splendidi giardini, parte dei quali furono espropriati a cittadini che cominciarono la costruzione dei loro edifici privati. Palazzo Forino, pur avendo perso parte dei suoi splendidi giardini, ebbe in compenso una ristrutturazione barocca che è quella visibile tuttora. Di questo periodo sono la maggior parte dei palazzi che si ergono in via Foria e anche molte chiese come il rifacimento di quella di Sant'Antonio Abate. Tra il 1810 e il 1812 Gioacchino Murat provvede a sistemare ulteriormente la via nonché il riempimento dei restanti fossati: i lavori di rettificazione vengono affidati a Stefano Gasse e a Gaetano Schioppa. Dal 1811 al 1814 si lavora per costruirne un prolungamento fino a Poggioreale (la strada nuova del campo) con progetto di Giuliano De Fazio sotto la supervisione di Luigi Malesci. Restaurata la monarchia borbonica, si costruisce tra il 1846 e il 1849 un mercato di commestibili all'angolo con via Duomo su progetto di Francesco De Cesare, sul luogo della cosiddetta villa dei pezzenti, una passeggiata costruita nei primi del secolo, ma andata in rovina (da qui il nomignolo). Per circa cinquant'anni adibito alla vendita di alimentari, nel XX secolo fu sede di mercato di fiori fino al 1958, quando sarà abbattuto per fare posto ad un enorme edificio-torre, realizzato dall'imprenditore edile Mario Ottieri, che rovina la lineare altezza dei preesistenti edifici. Si procede sempre su progetto del De Cesare, coadiuvato da Giuseppe Settembre, ad aprire la strada della Pietatella (oggi via Domenico Cirillo), collegamento con via Carbonara, a partire dal 1845 fino al 1856. AA.VV., Napoli nobilissima, vol. IX, fasc. VII, Berisio Editore. Rocco Civitelli, Via Foria. Un itinerario napoletano, Dante & Descartes, 2006. Cesare De Seta, Napoli tra Barocco e Neoclassicismo, Electa Napoli, 2002. Romualdo Marrone, Le strade di Napoli, Newton Compton, 2004. Strade di Napoli Wikiquote contiene citazioni di o su via Foria Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su via Foria

Chiostro dei Miracoli

Il chiostro dei Miracoli è uno dei chiostri storici di Napoli; è situato nel centro storico, nell'omonimo complesso religioso. Facente parte del monastero di Santa Maria della Provvidenza, fu edificato per volontà di Giovan Camillo Cacace che investì, quasi tutti i suoi averi monetari, nella costruzione di una cittadella religiosa per le francescane. Colpito dalla peste del 1656, le sue volontà furono comunque prese a cuore ed esaudite dall'ordine dei governatori del Pio Monte della Misericordia, il quale, immediatamente provvidero all'acquisto di un vecchio monastero. Esso fu ristrutturato secondo i dettami scritti nel testamento del Cacace, infatti, venne dotato di spazi ampi, austeri ed ariosi. Il vecchio monastero, che già era dotato di un piccolo chiostro, non venne distrutto o modificato da Francesco Antonio Picchiatti; questi, preferì costruirne un altro ben più grande e con 36 vaste arcate. Due lati del nuovo chiostro furono aperti a loggia, mentre, un fabbricato a due piani adibito a dormitorio, sovrastava i restanti corridoi. I lavori di ristrutturazione ed ingrandimento cominciarono nel 1663 e si conclusero nel 1675 (anno in cui il complesso fu affidato a Maria Agnese Caracciolo). In questo periodo, i suoi giardini erano molti coltivati, soprattutto l'area antistante la chiesa; in seguito, per via del terreno mal odorante (a causa del concime utilizzato) ben presto gli abitanti della zona si ribellarono a tal punto che le religiose furono costrette a sradicare tutti gli ortaggi. In seguito, il terreno fu donato ai cittadini che lo trasformarono in una piazza. Nel 1808, per via della soppressione degli ordini, il complesso fu riadattato ad orfanotrofio militare e i suoi pregevoli giardini coltivavano aranci, cedri, ecc.. Nel 1813, per volontà di Carolina Bonaparte, regina di Napoli e sorella di Napoleone, il chiostro grande fu adibito ad Educandato femminile Real Casa Carolina. In tempi recenti i chiostri sono stati utilizzati per luoghi di ricreazioni di alcuni edifici scolastici della zona. Oggi, risulta che il chiostro piccolo è usato come palestra, mentre, il chiostro grande, che attende la sua destinazione di uso, ha perso parte della sua struttura architettonica.

Caserma Garibaldi
Caserma Garibaldi

La caserma Garibaldi (già quartiere militare di San Giovanni a Carbonara) è un edificio storico di Napoli, originariamente realizzato per essere destinato ad usi militari, che sorge all'angolo tra via Foria e via Cesare Rosaroll (già tratto dell'originario corso Garibaldi). Fu realizzata attorno alla metà del XIX secolo adoperando il convento degli agostiniani di San Giovanni a Carbonara. Nella struttura furono inglobate anche due torri rinascimentali che univano le cortine difensive settentrionale e orientale e che furono ristrutturate e ampliate in altezza. Il tratto di mura che le due torri contenevano fu sostituito da un nuovo corpo di fabbrica che costituisce la facciata principale della caserma. Ospitò nel periodo borbonico la scuola militare, un collegio destinato ai figli dei militari distintisi per le loro azioni e destinati a diventare sottufficiali, i migliori potevano accedere al Real Collegio Militare della Nunziatella per diventare ufficiali, poi accolse anche due reggimenti di fanteria e in seguito il Reggimento Real Marina. La caserma ha ospitato reparti delle Forze Armate anche in seguito all'unità d'Italia, quando ebbe la denominazione di caserma Garibaldi (dal momento che al suo fianco scorreva il tratto finale del corso Garibaldi, tratto in seguito denominato via Cesare Rosaroll) prima di essere utilizzata dall'amministrazione della giustizia. Inserita oggi nell'ambito di un progetto di riqualificazione ambientale ed architettonica che coinvolge tutta la zona circostante, l'ex-caserma, appena i giudici di pace saranno trasferiti al centro direzionale, dovrebbe diventare una “cittadella culturale”, dove localizzare la nuova sede della sovrintendenza archeologica e realizzare ampi spazi espositivi e museali, provvedendo alla valorizzazione dei giardini che si estendono a ridosso di essa per complessivi 7.740 m2. Nello specifico il progetto prevederebbe la creazione del “Museo Angioino” nell'ala alle spalle dell'ingresso principale e la collocazione degli uffici all'interno del corpo centrale che dà su via Foria, nonché il disvelamento ed il recupero del tracciato aragonese e l'istituzione di un Istituto di storia del cinema e dell'industria cinematografica, con annesso centro di documentazione e videoteca sul Mezzogiorno. Nel nuovo complesso, una volta terminato ed inaugurato, dovrebbe trovare spazio anche la biblioteca dell'Istituto italiano per gli studi filosofici, composta da 300 000 volumi e sita finora in palazzo Serra di Cassano. Mura di Napoli Palazzi di Napoli Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla caserma Garibaldi "Il parco delle mura aragonesi" - Via Foria tra passato, presente e futuro, su centroforia.com. URL consultato il 4 aprile 2021 (archiviato dall'url originale il 13 agosto 2007).

Osservatorio astronomico di Capodimonte
Osservatorio astronomico di Capodimonte

L'Osservatorio astronomico di Capodimonte è la sezione napoletana dell'Istituto Nazionale di Astrofisica, INAF, il principale ente italiano per la ricerca astronomica e astrofisica da terra e dallo spazio. L'Osservatorio di Napoli è impegnato nelle principali linee di ricerca della moderna astrofisica in collaborazione con le università e con altre istituzioni nazionali ed internazionali. A Capodimonte si studiano il Sole e il Sistema Solare attraverso l'analisi delle polveri cosmiche e la costruzione di strumenti per le principali missioni spaziali dell'ESA e dell'ASI. Con le osservazioni realizzate ai grandi telescopi dell'ESO, dislocati nel deserto di Atacama in Cile, si indaga la vita delle stelle, dalla loro formazione sino agli ultimi stadi evolutivi caratterizzati dalle grandi esplosioni di supernovae e di lampi gamma, questi associati, in qualche caso all'emissione di onde gravitazionali. Con le osservazioni dei satelliti si studiano le proprietà fisiche di oggetti estremi come le stelle di neutroni e i buchi neri, mentre con le ricerche sull'evoluzione e sulla dinamica delle galassie si comprendono le proprietà della materia oscura. Si progettano strumenti di nuova generazione per i grandi telescopi del futuro come E-ELT. L'Osservatorio di Napoli, la più antica istituzione scientifica partenopea, svolge anche un importante ruolo per la promozione e diffusione sul territorio della cultura scientifica e delle conoscenze astronomiche.