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Accademia Reale di Torino

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Accademia Artiglieria residua
Accademia Artiglieria residua

L'Accademia Reale di Torino nacque dalla Reale Scuola di Artiglieria e Fortificazioni sabauda. Fu un'Accademia militare dal 1815 al 1862 e quindi accademia d'artiglieria fino al 1943. Nel 1673 l'architetto ducale Amedeo di Castellamonte, su progetto del defunto Duca Carlo Emanuele II e incentivato dalla reggente Madama Reale Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, madre del piccolo Vittorio Amedeo II, iniziò la costruzione di un palazzo destinato a racchiudere un'accademia cavalleresca, centro di studi e di formazione per la nobiltà di tutta Europa, sul modello delle Ritterakademien di altri paesi europei. Nel 1676-1680 il fabbricato fu costruito da Carlo Buzzi del fu Francesco di Viggiù. Deodato Ramelli del fu Cesare di Grancia, Carlo Ferretti del fu Giorgio di Torre e Antonio Casella di Giovanni Battista di Carona ebbero il compito di reperire e trasportare in loco il materiale lapideo utilizzato per la costruzione da Chianocco in Val di Susa dove si trovavano le cave. Il primo gennaio 1679 fu inaugurata la Reale Accademia di Savoia, alla quale affluirono prìncipi e giovani di nobili casati. Accanto ai sudditi sabaudi, vi erano italiani di ogni provenienza (in particolare dallo Stato Pontificio e dalla Repubblica di Venezia), ma un nucleo particolarmente consistente era rappresentato da inglesi, tedeschi, austriaci, boemi, polacchi, russi. Il meglio dell'aristocrazia di tali Paesi sino alla fine del Settecento trascorse a Torino più o meno lunghi periodi per formarsi come gentiluomini. L'Accademia Reale non era un'accademia militare, bensì una scuola per formare i giovani gentiluomini alla vita di corte: vi si insegnavano letteratura e storia, italiano e francese, ma anche il ballo, la scherma, gli esercizi equestri (per cui gli studenti disponevano dell'edificio della cavallerizza). Gli studenti, inoltre, erano portati ad assistere a diverse lezioni dell'Università di Torino. Ampio spazio era poi dedicato alle materie militari, soprattutto all'architettura ed alle fortificazioni. L'Accademia Reale, comunque, non era un'accademia militare; i suoi studenti non studiavano per divenire militari: si trattava di una carriera possibile, certo, ma non dell'unica. Il Re Vittorio Amedeo II diede un primo riassetto all'istituto nel 1729: furono ammessi anche gli studenti universitari e conseguentemente i corsi furono organizzati in tre distinti "appartamenti", secondo l'indirizzo degli allievi. Con una successiva riforma, nel 1756, i giovani a carriera militare furono avviati ad un corso di studio, mentre teologi e alti funzionari ricevettero un'istruzione più consona alla loro formazione. Nel 1798 la Reale Accademia di Savoia fu soppressa dai Francesi che avevano occupato lo Stato sabaudo. All'indomani della Restaurazione, il 2 novembre 1815, Vittorio Emanuele I istituì la Regia Militare Accademia, ponendole la sede nel palazzo castellamontiano che già aveva ospitato l'Accademia Reale. Il nuovo istituto differiva totalmente dal precedente: si trattava, infatti, di un istituto destinato unicamente a sudditi degli Stati sabaudi che desiderassero intraprendere la carriera militare. Ad esso si accedeva con la sola approvazione sovrana: 200 era il numero degli allievi previsti. Di essi 75 erano a carico del Governo; vi erano poi 16 “Paggi d'onore”, con pensione pagata dalla Reale Casa. L'Accademia Militare portava in sé, quindi, la tradizione dell'antica Paggeria di corte. L'ammissione era tra i 9 e i 12 anni di età e la durata del corso era di 8 anni per ottenere i gradi di sottotenente alla Fanteria o alla Cavalleria; di nove anni invece era il corso di studi per gli allievi dell'Artiglieria e del Genio, dai quali si usciva con il grado di Luogotenente. Il 15 marzo 1849 Carlo Alberto concesse all'istituto la Bandiera tricolore, in sostituzione di quella con la croce bianca in campo rosso. Dal 1857 furono ammessi solo giovani di almeno 16 anni; i corsi furono ridotti a 3 anni per gli allievi destinati ad entrare nelle “Armi di linea” ed a 4 anni per quelli che si preparavano per le “Armi speciali”. Due anni dopo si istituì un corso suppletivo presso la Scuola Militare di Fanteria di Ivrea, ma un anno dopo, il Ministro della Guerra, presentò istanza per tre distinti corsi di formazione degli Ufficiali di Fanteria, di Cavalleria e delle Armi Speciali (Stato Maggiore, Artiglieria e Genio), con età richiesta minima di 19 anni compiuti (R.D. del 13 marzo 1860). Successivamente lo stesso ministro, il generale Manfredo Fanti, pensò di istituire un'altra Scuola Militare, l'accademia militare di Modena, e unificando i corsi con le Accademie di Torino e di Napoli, dal 1865 fu l'unico istituto di reclutamento e formazione degli Ufficiali di Fanteria e Cavalleria del Regio Esercito Italiano. La Scuola d'Applicazione delle Armi di Artiglieria e Genio nel 1897, fu posta assieme alla Regia Accademia Militare" sotto un unico comando. Nel 1923 assume la denominazione ufficiale di Accademia militare di artiglieria e genio. Nel 1928 acquisì poi il titolo di Regia Accademia. Lo stabile che ospitava l'Accademia fu seriamente lesionato in diversi episodi a partire dal 1936. Trasferita a Lucca nel 1943, fu sciolta dopo l'8 settembre. I fabbricati rimasti intatti sono ancora oggi sede del 1º Reparto Infrastrutture dell'Esercito Italiano. Parte integrante di una struttura più ampia denominata "zona di comando" (sede di organi amministrativi del Regno Sabaudo), l'edificio dell'accademia era costituito da tre maniche che insieme al corpo di fabbrica dell'Antico Teatro Regio chiudevano un cortile interno. I fabbricati, a tre piani fuori terra con un loggiato verso il cortile, a sud e ad est furono edificati da Amedeo di Castellamonte mentre quello a nord fu opera dell'architetto Filippo Juvarra. Sfortunatamente a seguito di un incendio nel corpo del teatro nel 1936 e delle lesioni causate dai bombardamenti di Torino del 1942, della fabbrica castellamontiana seicentesca permangono pochi frammenti del loggiato: un breve tratto della manica di levante in via Verdi. Nel 1959 ci fu una ulteriore demolizione per fare posto all'attuale Teatro Regio di Carlo Mollino Ciononostante nel 1997 l'edificio è stato inserito nella lista del Patrimonio dell'umanità in quanto parte del sito seriale UNESCO Residenze Sabaude. 1683-1798 Paola Bianchi, La fortuna dell'Accademia Reale di Torino nei percorsi europei del viaggio di formazione, in Vittorio Alfieri. Aristocratico ribelle (1749-1803), a cura di R. Maggio Serra, F. Mazzocca, C. Sisi, C. Spantigati, catalogo della mostra allestita a Torino, Archivio di Stato, 5 ottobre 2003-11 gennaio 2004, Milano, Electa, 2003, pp. 150–153 Paola Bianchi, In cerca del moderno. Studenti e viaggiatori inglesi a Torino nel Settecento, «Rivista storica italiana», CXV (2003), fasc. III, pp. 1021–1051 Paola Bianchi, «Quel fortunato e libero paese». L'Accademia Reale e i primi contatti del giovane Alfieri con il mondo inglese, in Alfieri e il suo tempo, atti del convegno internazionale svoltosi a Torino-Asti, 29 novembre-1º dicembre 2001, a cura di M. Cerruti, M. Corsi, B. Danna, Firenze, Olschki, 2003, pp. 89–112 Paola Bianchi, Una palestra di arti cavalleresche e di politica. Presenze austro-tedesche all'Accademia Reale di Torino nel Settecento, in Le corti come luogo di comunicazione. Gli Asburgo e l'Italia (secoli XVI-XIX). Höfe als Orte der Kommunikation. Die Habsburger und Italien (16. bis 19. Jh.), atti del convegno internazionale Trento, Fondazione Bruno Kessler, 8-10 novembre 2007, a cura di M. Bellabarba e J.P. Niederkorn, Bologna-Berlin, il Mulino / Dunker & Humblot, 2010, pp. 135–153 Paola Bianchi, Conservazione e modernità: il binomio corte-città attraverso il prisma dell'Accademia Reale di Torino in La città nel Settecento. Saperi e forme di rappresentazione, a cura di M. Formica, A. Merlotti, A.M. Rao, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura Fabrizio Corrado, Il duca e lo scalpellino. Potere e mestiere in una fabbrica simbolo della capitale sabauda, l'Accademia Reale di Amedeo di Castellamonte, in Giorgio Mollisi (a cura di), Svizzeri a Roma nella storia, nell'arte, nella cultura, nell'economia dal Cinquecento ad oggi, «Arte&Storia», anno 11, numero 52, ottobre 2011, Edizioni Ticino Management, Lugano 180-187. Fabrizio Corrado, Paolo San Martino, Il palazzo dell’Accademia Reale, 1675-1680, in "Carlo e Amedeo di Castellamonte 1571-1683. Architetti e ingegneri per i duchi di Savoia, a cura di A. Merlotti e C. Roggero, Roma, Campisano, 2016, pp. 117-128". 1815-1916 Francesco Luigi Rogier, La R. Accademia militare di Torino: note storiche 1816-1860, Torino, Candelotti, 1895, 2 voll. R. Pezzani, Il battaglione della speranza: l'Accademia militare di Torino 1816-1916, Torino, La Coccarda, 1948 Scuola d'applicazione di Torino Accademia Reale delle Residenze Reali Sabaude, su residenzerealisabaude.com. Museo Torino - Palazzo dell'Accademia Militare, su museotorino.it. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Accademia Reale di Torino

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Accademia Reale di Torino
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Accademia Artiglieria residua
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Luoghi vicini

Caffè Fiorio
Caffè Fiorio

Il Caffè dei Fratelli Fiorio (noto semplicemente come Fiorio) è un caffè storico di Torino, situato nella centrale via Po. Storicamente era abituale ritrovo dei nobili all'epoca della restaurazione ed in seguito dei maggiori intellettuali e politici del Risorgimento. Ancora oggi è apprezzato ritrovo dei torinesi e dei turisti. Inaugurato nel 1780 nella Contrada di Po, l'elegante Caffè Fiorio fu inizialmente frequentato da aristocratici e alti ufficiali, in contrapposizione allo scomparso Caffè Calosso di via Dora Grossa, ricettacolo di ferventi rivoluzionari e patrioti. La frequentazione di una clientela di orientamento conservatore gli valse la definizione di «Caffè dei Machiavelli» o «Caffè dei Codini». Analogamente a quanto accadde per il vicino Caffè Baratti & Milano, anche il Fiorio fu citato dalla letteratura del tempo. La fama del Fiorio crebbe costantemente a tal punto da iniziare ad essere frequentato anche dalla borghesia del tempo, ma per l'aristocratica clientela abituale non fu più il Fiorio di un tempo, tant'è che nel 1850 cambiò nome (anche se per poco) in "Caffè della Confederazione Italiana". Si dovette attendere la fine dell'Ottocento per rivedere il Fiorio divenire rinomato luogo di incontro dei maggiori intellettuali e personaggi politici del Risorgimento, tra i quali: Urbano Rattazzi, Massimo d'Azeglio, Camillo Cavour, Giacinto Provana di Collegno, Cesare Balbo, Giovanni Prati, Santorre di Santa Rosa ed è risaputo alle cronache del tempo che re Carlo Alberto nutrisse la consuetudine quotidiana di chiedere che cosa si dicesse al Caffè Fiorio prima di aprire le sue udienze. In questo caffè nacque il cono gelato da passeggio. Il locale inizialmente comprendeva le prime tre sale comunicanti. Nel 1845 vi fu un primo restauro delle sale e degli arredi, introducendo le ancora presenti sedie in velluto rosso, le tappezzerie alle pareti e arricchendo i locali con affreschi e sculture di celebri artisti come Francesco Gonin e Giuseppe Bogliani. Nel 1850 il locale venne ampliato aggiungendo la grande sala longitudinale comunicante con il piano superiore, anch'esso costituito da tre salette comunicanti. Questa sala, normalmente adibita a sala ristorante, ha ospitato nel corso degli anni eventi culturali e musicali. Dal 1 febbraio 2013 al 21 marzo 2014 ha ospitato milonghe, serate danzanti di tango argentino. All'interno del locale vennero girate alcune scene del film Tutti giù per terra (1996) di Davide Ferrario. Piera Condulmer, Il Risorgimento al filtro dei Caffè torinesi, Daniela Piazza editore, Torino 1981 Caffè Baratti & Milano Caffè Mulassano Caffè San Carlo Caffè Confetteria Al Bicerin dal 1763 Luoghi d'interesse a Torino Storia del caffè Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Caffè Fiorio Caffè storici di Torino su comune.torino.it Sito ufficiale di Caffè Fiorio

Archivio di Stato di Torino
Archivio di Stato di Torino

L'Archivio di Stato di Torino raccoglie il complesso dei documenti dei membri di casa Savoia, cui nel tempo si sono andati a sommare archivi di famiglie e personalità illustri, archivi di associazioni, di industrie e la documentazione amministrativa prodotta dal Regno di Sardegna e dagli Uffici periferici dello Stato italiano in Provincia di Torino. Questo importante patrimonio, custodito su circa 83 km lineari di scaffalature, rende l'Archivio una ricchissima miniera di informazioni che permettono, agli storici e non solo, di spaziare su 1300 anni di storia del Piemonte, dell'Italia e dell'Europa. L'Archivio di Stato di Torino riveste una notevole importanza non solo per la documentazione conservata, ma anche per le motivazioni che portarono alla costruzione di una delle sue attuali sedi. L'edificio ospitante la Sezione Corte dell'Archivio venne infatti progettato e realizzato da Filippo Juvara tra il 1731 e il 1733 per rispondere all'esigenza di accentramento amministrativo tipica di una monarchia assoluta qual era quella sabauda, e rappresenta l'unico caso attualmente conosciuto in Europa di edificio appositamente costruito dal principio a uso di archivio. Proprio in quanto sintesi architettonica di questa rigida politica, la sede della Sezione Corte è stata inclusa dall'UNESCO nel sistema delle Residenze Sabaude – anch'esse testimonianza tangibile del controllo esercitato dalla dinastia sul territorio – e come tale riconosciuta Patrimonio Mondiale dell’Umanità nel 1997.

Chiesa di San Francesco da Paola (Torino)
Chiesa di San Francesco da Paola (Torino)

La chiesa di San Francesco di Paola è un edificio di culto cattolico che si trova nella zona centrale di Torino, in via Po angolo via S. Francesco da Paola. È sede dell'omonima parrocchia. Il progetto della chiesa e del convento è attribuito al padre Andrea Costaguta, sostenuto da Cristina di Francia, come dimostra lo stemma ducale inserito nella facciata conclusa nel 1667, lavorata dai maestri luganesi, tra cui Martino Solaro e Giacomo Papa. L'interno è decorato con marmi policromi settecenteschi, presenta una pianta rettangolare, con navata e sei cappelle laterali, con altari che erano di patronato delle famiglie che erano legate alla corte. Nella prima cappella a destra sono il monumento sepolcrale dei marchesi Morozzo della Rocca (1699) e il Transito di San Giuseppe del pittore Tommaso Lorenzone (metà secolo XIX); nella seconda il monumento di Tomaso e Marcantonio Graneri e l'Arcangelo Michele di Stefano Maria Legnani (fine secolo XVII); nella terza l'Immacolata e Santi di Giovanni Peruzzini. Sul lato sinistro la prima cappella, voluta da Anna Maria d'Orléans, presenta il dipinto di Santa Genoveffa di Daniel Seyter (fine del secolo XVII), ai lati opere di François Jossermé; nella seconda Gesù crocifisso con la Vergine e san Giovanni Evangelista, di scuola genovese, databile al secolo XVII. Nella terza cappella, commissionata dal cardinal Maurizio di Savoia, importante l'altare con la statua della Madonna del Buon Soccorso, di Tommaso Carlone (1655). Dello stesso autore è l'altare maggiore su disegno di Amedeo di Castellamonte (1664-1665), con al centro San Francesco da Paola in Gloria di Charles Dauphin (1664), e così il dipinto laterale Luisa di Savoia chiede la grazia, mentre quello con San Francesco da Paola che attraversa lo stretto di Messina è attribuito alla bottega. Touring Club Italiano, La Sindone e i percorsi del sacro a Torino e in Piemonte, Torino, 1998. Andrea Spiriti, I Carlone di Rovio. Elogio alla maniera, in Giorgio Mollisi (a cura di), Arte&Storia: Svizzeri a Roma nella storia, nell'arte, nella cultura, nell'economia dal Cinquecento ad oggi, vol. 11, n. 52, Lugano, Edizioni Ticino Management, ottobre 2011, pp. 226-233. Laura Facchin, Biografia, in Giorgio Mollisi (a cura di), Arte&Storia: Svizzeri a Roma nella storia, nell'arte, nella cultura, nell'economia dal Cinquecento ad oggi, vol. 11, n. 52, Lugano, Edizioni Ticino Management, ottobre 2011, pp. 234-245. Antonio Bosio, La Reale Chiesa di S. Francesco di Paola e le sue nuove pitture, Torino, G. Favale, 1858. Fratelli Reycend, Nuova guida de' forestieri per la reale città di Torino, ossia Descrizione di questa metropoli e de' suoi contorni, adorna di pianta e varie vedute, Torino, 1826. Giovanni Battista Semeria, Storia della chiesa metropolitana di Torino descritta dai tempi apostolici sino all'anno 1840, Torino, Stabilimento Tipografico Fontana, 1840. Luciano Tamburini, Le chiese di Torino: dal Rinascimento al Barocco, Edizioni Angolo Manzoni, 2002 [1968], ISBN 88-86142-64-1, SBN IT\ICCU\TO0\1269729. Opera Omnia Stefano Legnani-Legnanino (1660c.-1715c.) (archiviato dall'url originale il 9 dicembre 2014). Gustavo Mola di Nomaglio, Feudi e nobiltà negli stati dei Savoia: materiali, spunti, spigolature bibliografiche per una storia, con la cronologia feudale delle Valli di Lanzo, Lanzo Torinese, Società storica delle Valli di Lanzo, 2006. Vittorio Angius, Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, vol. 4, Torino, Tipografia Giuseppe Cassone, 1837. Felice Pastore, Storia della reale basilica di Soperga, Stamperia Reale, 1814. Edifici di culto in Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Francesco da Paola Chiesa di San Francesco da Paola, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Chiesa di San Francesco da Paola, su Città e Cattedrali.

Auditorium Rai di Torino
Auditorium Rai di Torino

L'Auditorium Rai di Torino "Arturo Toscanini" è una struttura della Rai, nel capoluogo piemontese. Costruito alla fine dell'Ottocento per ospitare rappresentazioni equestri, è stato radicalmente ristrutturato più volte nel corso del Novecento. Dal 1952 è sede dell'Orchestra Rai di Torino e dal 1993 dell'unificata Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e ospita regolari stagioni sinfoniche ed eventi concertistici di alto livello. La struttura è dotata di coro, un'ampia platea, di una galleria e una balconata disposti a ferro di cavallo, per una capienza totale di 1.616 spettatori. L'attuale struttura sorge nel 1856 come "Regio Ippodromo Vittorio Emanuele II", appena al di fuori della cinta fortificata, a breve distanza dall'isolato che ospita tuttora il Teatro Regio, l'Archivio di Stato, l'Armeria Reale e dalle vicine scuderie del Regio Maneggio di via Verdi, allora nota come via della Zecca. La struttura fu realizzata su volere della famiglia reale per dotare la città di un luogo per le rappresentazioni equestri e circensi, nonché come luogo di esercitazione collegato alle vicine scuderie reali. Il Teatro Vittorio Emanuele, come fu successivamente nominato, poteva contenere ben 4.500 spettatori distribuiti tra la sala centrale e le due gallerie circostanti e fu progettato dall'architetto Gaetano Bertolotti: fu il centro della vita mondana della borghesia ottocentesca torinese e oltre a ospitare rappresentazioni equestri, fu anche luogo di manifestazioni atletiche e acrobatiche. Venne inaugurato il 7 febbraio 1859 con la prima assoluta di Isabella d'Aragona di Carlo Pedrotti con Antonietta Fricci. Nel 1861 avvenne la prima assoluta di La locandiera di Emilio Usiglio. Nel 1872 il teatro ospitò una prima stagione di concerti diretti dal maestro Pedrotti, che videro la sua consacrazione ad una vocazione prevalentemente concertistica. Torino divenne infatti la prima città italiana ad organizzare regolari stagioni sinfoniche tenute da un'orchestra stabile, tra cui vi è il giovane violoncellista Arturo Toscanini, destinato a diventare il noto, grandissimo musicista. Fu proprio lui a contribuire alla creazione della futura Orchestra Sinfonica Nazionale, al tempo nota come Orchestra Municipale. Nel 1876 avvenne la prima assoluta di Il fior d'Arlem di Friedrich von Flotow. Al principio del Novecento la struttura necessitò di restauri e, nel 1901, l'ingegner Antonio Vandone di Cortemilia si occupò della sua ristrutturazione, dotando l'edificio di un foyer più ampio, vari locali di servizio ed una nuova copertura dell'intera sala. Ad opera sua saranno anche i successivi interventi del 1910 e la grande ristrutturazione del 1926 che si prolungò per ben due anni, dotando il palcoscenico di nuovi congegni meccanici e migliorando la visibilità. Nel 1902 avviene la prima assoluta di Consuelo di Alfonso Rendano, nel 1904 di Aretusa di Riccardo Casalaina e del successo di Risurrezione di Franco Alfano diretta da Tullio Serafin, nel 1905 di Giovanni Gallurese di Italo Montemezzi e di Danze piemontesi sopra temi popolari di Leone Sinigaglia dirette da Toscanini, nel 1906 Velda di Leopoldo Cassone con Angelo Gamba ed Il Battista di Giocondo Fino, nel 1914 Sinfonia del fuoco di Ildebrando Pizzetti diretta da Manlio Mazza, nel 1927 La fata Malerba di Vittorio Gui con Conchita Supervia e Francesco Dominici, nel 1929 Via Crucis D. N. Iesu Christi di Fino, nel 1938 Cleopatra di Armando La Rosa Parodi e nel 1940 Basta con gli uomini! di Giancarlo Colombini. In seguito alla perdita del vicino Teatro di Torino a causa dei bombardamenti del 1942, l'Orchestra Sinfonica Nazionale si trovò orfana della propria sede. La RAI, quindi, acquistò il Teatro Vittorio nel 1952 affidando il progetto di ristrutturazione ad Aldo Morbelli, che coordinò un gruppo di architetti, tra cui Carlo Mollino, autore della successiva ricostruzione del Teatro Regio. Le nuove esigenze portarono ad ampliare l'ingresso e la biglietteria, mentre per la sala si migliorò l'acustica, la visibilità del palcoscenico e del boccascena, allargandolo di quasi sei metri. Si dotò la sala anche di un completo impianto di registrazione audio/video e si posizionò il grande organo a canne sul fondo della scena. Il nuovo Auditorium Rai venne inaugurato il 16 dicembre del 1952 con un concerto diretto dal maestro Mario Rossi con una selezione di brani di Stravinskij, Mozart, Rossini e Beethoven. Nel 2005 la sala è stata nuovamente oggetto di una ristrutturazione, inaugurata il 19 gennaio 2006 con la Sinfonia n. 2 di Gustav Mahler, diretta dal maestro Rafael Frühbeck de Burgos e interpretata dal soprano Elizabeth Norberg-Schultz. L'Auditorium Rai continua a essere sede di stagioni sinfoniche di riferimento per il panorama culturale locale e nazionale, nonché luogo di registrazione o di presa diretta di sinfonie e concerti trasmessi dai canali radio della RAI. Nel 2007, in occasione del cinquantesimo anniversario dalla scomparsa, l'auditorium è stato intitolato alla memoria di Arturo Toscanini. Nel 2019 l'auditorium è stato nuovamente ristrutturato e aggiornato, interessando prevalentemente l'area della platea e il foyer, in cui è stato installato un nuovo sistema d'illuminazione. La struttura è caratterizzata da una sobria facciata bicolore con la parte sommitale in pietra chiara e il basamento rivestito in pietra scura, con ingressi laterali su via Rossini e quello principale sul piazzale antistante. Delle grandi finestre quadrangolari scandiscono la parte superiore che si innalza per tre piani al di sopra della copertura aggettante che reca la scritta "AUDITORIUM RAI". Il foyer è ampio ma sobrio e si sviluppa rettangolarmente, accanto alla sala, da cui si accede dalle porte laterali e da quelle retrostanti, sul lato sinistro dell'edificio. La sala emiciclica è caratterizzata dalla forma a ferro di cavallo con un'ampia platea di poltrone in velluto rosso e due ordini di palchi; il primo ordine ospitava anche due postazioni di videoripresa aggettanti rispetto al limitare del parapetto, che tuttavia sono state rimosse nell'ultima ristrutturazione del 2019. Il boccascena ospita il golfo mistico che risulta ribassato rispetto al piano del palcoscenico, sulla cui parete di fondo trova posto il coro, posizionato su cinque file, e l'organo a canne. Il grande organo da concerto venne realizzato dalla ditta organaria Tamburini nel 1953 e dotato di una consolle a 4 tastiere collegata con una trasmissione elettrica ai corpi sonori. In concomitanza con i recenti lavori di ristrutturazione, lo strumento è stato integralmente smontato, quindi restaurato nel 2005 dalla ditta Ruffatti (Albignasego, PD): tuttavia, al termine dell'intervento non è più stato possibile ricollocarlo, in quanto la ristrutturazione architettonica dei locali ha ridotto lo spazio a disposizione, ingombrandolo con tubazioni dell'aria condizionata. Il restauratore Ruffatti aveva fatto presente per tempo le esigenze degli ingombri, ma i lavori non ne hanno tenuto conto, e la dirigenza RAI ha disposto che venissero rimontate solo le canne mute di facciata che continuano a campeggiare con una funzione esclusivamente scenografica. Il resto dell'organo giace smontato in un magazzino. Centro di produzione Rai di Torino Orchestra sinfonica nazionale della RAI Rai Auditorium Gianni Agnelli Teatro di Torino Teatro Regio (Torino) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Auditorium Rai di Torino Sito ufficiale, su orchestrasinfonica.rai.it. La morte dell'organo "Tamburini" della RAI di Torino!, su organieorganisti.it.