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Auditorium Rai di Torino

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Torino auditorium RAI interno
Torino auditorium RAI interno

L'Auditorium Rai di Torino "Arturo Toscanini" è una struttura della Rai, nel capoluogo piemontese. Costruito alla fine dell'Ottocento per ospitare rappresentazioni equestri, è stato radicalmente ristrutturato più volte nel corso del Novecento. Dal 1952 è sede dell'Orchestra Rai di Torino e dal 1993 dell'unificata Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e ospita regolari stagioni sinfoniche ed eventi concertistici di alto livello. La struttura è dotata di coro, un'ampia platea, di una galleria e una balconata disposti a ferro di cavallo, per una capienza totale di 1.616 spettatori. L'attuale struttura sorge nel 1856 come "Regio Ippodromo Vittorio Emanuele II", appena al di fuori della cinta fortificata, a breve distanza dall'isolato che ospita tuttora il Teatro Regio, l'Archivio di Stato, l'Armeria Reale e dalle vicine scuderie del Regio Maneggio di via Verdi, allora nota come via della Zecca. La struttura fu realizzata su volere della famiglia reale per dotare la città di un luogo per le rappresentazioni equestri e circensi, nonché come luogo di esercitazione collegato alle vicine scuderie reali. Il Teatro Vittorio Emanuele, come fu successivamente nominato, poteva contenere ben 4.500 spettatori distribuiti tra la sala centrale e le due gallerie circostanti e fu progettato dall'architetto Gaetano Bertolotti: fu il centro della vita mondana della borghesia ottocentesca torinese e oltre a ospitare rappresentazioni equestri, fu anche luogo di manifestazioni atletiche e acrobatiche. Venne inaugurato il 7 febbraio 1859 con la prima assoluta di Isabella d'Aragona di Carlo Pedrotti con Antonietta Fricci. Nel 1861 avvenne la prima assoluta di La locandiera di Emilio Usiglio. Nel 1872 il teatro ospitò una prima stagione di concerti diretti dal maestro Pedrotti, che videro la sua consacrazione ad una vocazione prevalentemente concertistica. Torino divenne infatti la prima città italiana ad organizzare regolari stagioni sinfoniche tenute da un'orchestra stabile, tra cui vi è il giovane violoncellista Arturo Toscanini, destinato a diventare il noto, grandissimo musicista. Fu proprio lui a contribuire alla creazione della futura Orchestra Sinfonica Nazionale, al tempo nota come Orchestra Municipale. Nel 1876 avvenne la prima assoluta di Il fior d'Arlem di Friedrich von Flotow. Al principio del Novecento la struttura necessitò di restauri e, nel 1901, l'ingegner Antonio Vandone di Cortemilia si occupò della sua ristrutturazione, dotando l'edificio di un foyer più ampio, vari locali di servizio ed una nuova copertura dell'intera sala. Ad opera sua saranno anche i successivi interventi del 1910 e la grande ristrutturazione del 1926 che si prolungò per ben due anni, dotando il palcoscenico di nuovi congegni meccanici e migliorando la visibilità. Nel 1902 avviene la prima assoluta di Consuelo di Alfonso Rendano, nel 1904 di Aretusa di Riccardo Casalaina e del successo di Risurrezione di Franco Alfano diretta da Tullio Serafin, nel 1905 di Giovanni Gallurese di Italo Montemezzi e di Danze piemontesi sopra temi popolari di Leone Sinigaglia dirette da Toscanini, nel 1906 Velda di Leopoldo Cassone con Angelo Gamba ed Il Battista di Giocondo Fino, nel 1914 Sinfonia del fuoco di Ildebrando Pizzetti diretta da Manlio Mazza, nel 1927 La fata Malerba di Vittorio Gui con Conchita Supervia e Francesco Dominici, nel 1929 Via Crucis D. N. Iesu Christi di Fino, nel 1938 Cleopatra di Armando La Rosa Parodi e nel 1940 Basta con gli uomini! di Giancarlo Colombini. In seguito alla perdita del vicino Teatro di Torino a causa dei bombardamenti del 1942, l'Orchestra Sinfonica Nazionale si trovò orfana della propria sede. La RAI, quindi, acquistò il Teatro Vittorio nel 1952 affidando il progetto di ristrutturazione ad Aldo Morbelli, che coordinò un gruppo di architetti, tra cui Carlo Mollino, autore della successiva ricostruzione del Teatro Regio. Le nuove esigenze portarono ad ampliare l'ingresso e la biglietteria, mentre per la sala si migliorò l'acustica, la visibilità del palcoscenico e del boccascena, allargandolo di quasi sei metri. Si dotò la sala anche di un completo impianto di registrazione audio/video e si posizionò il grande organo a canne sul fondo della scena. Il nuovo Auditorium Rai venne inaugurato il 16 dicembre del 1952 con un concerto diretto dal maestro Mario Rossi con una selezione di brani di Stravinskij, Mozart, Rossini e Beethoven. Nel 2005 la sala è stata nuovamente oggetto di una ristrutturazione, inaugurata il 19 gennaio 2006 con la Sinfonia n. 2 di Gustav Mahler, diretta dal maestro Rafael Frühbeck de Burgos e interpretata dal soprano Elizabeth Norberg-Schultz. L'Auditorium Rai continua a essere sede di stagioni sinfoniche di riferimento per il panorama culturale locale e nazionale, nonché luogo di registrazione o di presa diretta di sinfonie e concerti trasmessi dai canali radio della RAI. Nel 2007, in occasione del cinquantesimo anniversario dalla scomparsa, l'auditorium è stato intitolato alla memoria di Arturo Toscanini. Nel 2019 l'auditorium è stato nuovamente ristrutturato e aggiornato, interessando prevalentemente l'area della platea e il foyer, in cui è stato installato un nuovo sistema d'illuminazione. La struttura è caratterizzata da una sobria facciata bicolore con la parte sommitale in pietra chiara e il basamento rivestito in pietra scura, con ingressi laterali su via Rossini e quello principale sul piazzale antistante. Delle grandi finestre quadrangolari scandiscono la parte superiore che si innalza per tre piani al di sopra della copertura aggettante che reca la scritta "AUDITORIUM RAI". Il foyer è ampio ma sobrio e si sviluppa rettangolarmente, accanto alla sala, da cui si accede dalle porte laterali e da quelle retrostanti, sul lato sinistro dell'edificio. La sala emiciclica è caratterizzata dalla forma a ferro di cavallo con un'ampia platea di poltrone in velluto rosso e due ordini di palchi; il primo ordine ospitava anche due postazioni di videoripresa aggettanti rispetto al limitare del parapetto, che tuttavia sono state rimosse nell'ultima ristrutturazione del 2019. Il boccascena ospita il golfo mistico che risulta ribassato rispetto al piano del palcoscenico, sulla cui parete di fondo trova posto il coro, posizionato su cinque file, e l'organo a canne. Il grande organo da concerto venne realizzato dalla ditta organaria Tamburini nel 1953 e dotato di una consolle a 4 tastiere collegata con una trasmissione elettrica ai corpi sonori. In concomitanza con i recenti lavori di ristrutturazione, lo strumento è stato integralmente smontato, quindi restaurato nel 2005 dalla ditta Ruffatti (Albignasego, PD): tuttavia, al termine dell'intervento non è più stato possibile ricollocarlo, in quanto la ristrutturazione architettonica dei locali ha ridotto lo spazio a disposizione, ingombrandolo con tubazioni dell'aria condizionata. Il restauratore Ruffatti aveva fatto presente per tempo le esigenze degli ingombri, ma i lavori non ne hanno tenuto conto, e la dirigenza RAI ha disposto che venissero rimontate solo le canne mute di facciata che continuano a campeggiare con una funzione esclusivamente scenografica. Il resto dell'organo giace smontato in un magazzino. Centro di produzione Rai di Torino Orchestra sinfonica nazionale della RAI Rai Auditorium Gianni Agnelli Teatro di Torino Teatro Regio (Torino) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Auditorium Rai di Torino Sito ufficiale, su orchestrasinfonica.rai.it. La morte dell'organo "Tamburini" della RAI di Torino!, su organieorganisti.it.

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Teatro Gobetti
Teatro Gobetti

Il Teatro Gobetti è un teatro situato a Torino. È la sede principale del Teatro Stabile di Torino. Nel 1828 un gruppo di amatori di teatro istituirono l’Accademia Filodrammatica di Torino, un’associazione amatoriale di studio dell’arte teatrale; allestirono la sede in una sala del "Palazzo Pallenzo" un edificio posto nella Contrada San Carlo (attuale via Alfieri): qui tenevano dibattiti e rappresentazioni teatrali aperte ad un ristretto pubblico su invito. L’associazione crebbe fino al punto di necessitare, nel 1839, di una sede più consona; la società acquisto, dunque, un terreno adibito a campo da trincotto (una variante della pallacorda) sito in Contrada della Posta (attuale via Rossini) di fronte ai cancelli dei Giardini Reali. Diede poi l’incarico all’architetto Barnaba Panizza, il quale, però, lasciò il progetto incompiuto. Gli subentrò l’architetto ticinese Giuseppe Leoni, il quale era membro dell’accademia. I lavori di costruzione cominciarono nel 1840 e furono terminati in due anni: l’inaugurazione ebbe luogo la sera del 21 gennaio 1842 alla presenza del principe Vittorio Emanuele II, con la rappresentazione de "La Pia dei Tolomei", una tragedia di Carlo Marenco, membro anch’egli della società, e della commedia " Una visita a Bedlam" di Eugène Scribe . Nel novembre del 1847 il teatro fu sede della prima esecuzione assoluta del Canto degli italiani, composto dall'autore genovese Michele Novaro, secondo tenore e maestro dei cori dei teatri Regio e Carignano . Nel 1860 l’accademia viene sciolta e l’edificio rimane inutilizzato fino al 1881, quando l’amministrazione cittadina ne acquista la proprietà e ne destina i locali,al Liceo Musicale cittadino. Nel 1928 la scuola si trasferisce nella sede attuale di via Mazzini e il teatro diventa sede della "Casa del soldato", centro d’accoglienza e conforto per i militari di stanza in città. Nel secondo dopoguerra il Comune decide di ripristinarne l'originaria funzione, dedicando il teatro al critico teatrale e intellettuale antifascista Piero Gobetti; l’inaugurazione del ‘’Teatro Gobetti’’ ebbe luogo il 22 dicembre del 1945 con la rappresentazione della commedia Le miserie 'd Monsù Travet di Vittorio Bersezio . Il 16 settembre il comune affida il Gobetti al Piccolo Teatro di Genova e Torino, una associazione formata dal Piccolo Teatro “Eleonora “Duse” di Genova affiancata ad una piccola compagine cittadina.. Un anno più tardi, il 27 maggio del 1955, il consiglio comunale di Torino presieduto dal sindaco Amedeo Peyron decreta la fondazione del Piccolo Teatro della Città di Torino, ponendo la sede nel Teatro Gobetti: l'inaugurazione avvenne il 3 novembre, con la rappresentazione della commedia Gl'innamorati di Carlo Goldoni, affiancata dall'atto unico di Alfred De Musset Non si può pensare a tutti. Sebbene fossero stati fatti piccoli interventi di ammodernamento e manutenzione, il teatro aveva bisogno di operazioni più importanti: nel 1956 furono affidati all'architetto Mario Augusto Valinotti i lavori di restauro dell’edificio. Nel 1984, dopo i fatti del Cinema Statuto, il teatro venne ritenuto non idoneo alle norme di sicurezza e fu chiuso. Dopo diversi anni di stallo, il 23 maggio 1995 la giunta comunale presieduta dal sindaco Valentino Castellani delibera lo stanziamento di 10,88 miliardi di lire tramite mutuo con la cassa depositi e prestiti. I lavori, affidati agli architetti Luigi De Abate e Maria De Abate, ebbero inizio nel 1998 e, seppur subendo qualche ritardo, furono terminati nel 2001: l’inaugurazione avvenne il 18 aprile con l’opera La ragione degli altri di Luigi Pirandello, prodotta dalla compagnia del Teatro Stabile di Torino in collaborazione con il Teatro Stabile dell'Umbria. Nel 2016 furono affidati allo "Studio De Ferrari" i lavori per il restyling dell'atrio e della hall del teatro. Progettato dall'architetto ticinese Giuseppe Leoni, ispirato anche dall'idea iniziale del primo progettista Barnaba Panizza, l’edificio neoclassico è uno dei pochi esempio di struttura teatrale del primo Ottocento pervenutaci sostanzialmente integra . Le proporzioni particolari dell’edificio son dovute al terreno su cui sorge, destinato precedentemente ad un campo da gioco per la pallacorda. La facciata dell’edificio di tre piani è composta da un basamento a bugnato piatto, con tre ingressi, su cui poggiano 6 lesene scanalate di ordine corinzio che alternano 5 finestre sormontate da timpani, di cui tre balaustrate in marmo. Sul fregio all’ultimo piano v’era l’incisione, oggi eliminata, “’’Accademia Filodrammatica’’” . Nel 1929 l’edificio era sede della “casa del soldato”. La presidentessa dell’epoca, Idelgarda Ocella, propose di affiggere una lapide dedicata alla commemorazione della prima esecuzione assoluta del Canto degli Italiani, avvenuta proprio in quell’edificio. La Regia Sovrintendenza alle Arti, la Municipalità e il podestà Paolo Thaon di Revel approvarono la delibera per l'esecuzione e il 15 giugno 1930, il frontone della finestra centrale venne rimosso per far spazio alla posa della lapide. La lastra in marmo, opera dello scultore Edoardo Rubino, è composta da un medaglione in bronzo rappresentante il ritratto di Goffredo Mameli sovrastante l’incisione: Il foyer è composto da diverse sale. L’anticamera della sala teatrale è di forma ellittica, con il soffitto che originariamente recava un affresco dipinto da Luigi Vacca rappresentante una figura allegorica dell’Italia e diversi puttini e ritratti di personaggi piemontesi illustri. La sala delle rappresentazioni è di pianta rettangolare con fondo semicircolare. Le pareti sono ritmicamente scandite da 24 lesene ioniche che intervallano i ritratti delle nove muse dipinte dal pittore piemontese Pietro Ayres, sormontati da archivolti con scolpiti, dentro un corone di alloro e quercia, le effigi di alcuni autori italiani e stranieri. La porta d’ingreesso, centrale, è invece sovrastata da una lastra di marmo ornata con un ritratto in bassorilievo della direttrice dell’accademia all’epoca della costruzione del teatro, Carlotta Marchionni, eseguito dallo scultore Stefano Butti; sotto il ritratto v’è l’incisione: La disposizione dei posti a sedere è mutata diverse volte, passando dai tre ordini originari ai due, divisi centralmente, del XX secolo, fino ad arrivare, dopo la riprogettazione del 2001, ad un unico ordine, centrale, con tribunetta rialzata in fondo sala (opera che ha destato inizialmente qualche critica ). I tessuti del tendaggio e dei sedili sono blu. Il palco, largo 11,60 m. e profondo 9,80 m. (di cui 7,35 m. di boccascena) è dotata di una torre scenica alta 7,60 m. . Il proscenio è ornato da quattro lesene, un soffitto a cassettoni scolpiti e quinte ornate con emblemi musicali. Il teatro fu sede della prima assoluta di: Canto degli italiani di Goffredo Mameli (dicembre 1847) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Teatro Gobetti Teatro Gobetti, su teatrostabiletorino.it. URL consultato l'8 giugno 2021.

Museo della Radio e della Televisione
Museo della Radio e della Televisione

Il Museo della Radio e della Televisione è un museo di Torino, situato nel Centro di produzione Rai di via Giuseppe Verdi, 14-16, e dedicato alla Storia della radio e della televisione in Italia. Il primo progetto di un museo della radio risale al 1939. All'epoca, l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche aveva Direzione Generale e Laboratorio Ricerche a Torino. La guerra interruppe il progetto; esso fu recuperato nella seconda metà degli anni '60 da un gruppo di esperti, tra cui l’ingegner Banfi (già direttore tecnico dell’EIAR). Il materiale raccolto, che inizialmente doveva essere ospitato nello storico palazzo aziendale di Via dell’Arsenale 21, trovò una sistemazione provvisoria presso il Centro di produzione Rai; nel 1980 una parte dei cimeli venne collocata in alcune vetrine dell’atrio. Nel 1984, in occasione della mostra La Radio, storia di sessant’anni: 1924-1984, la collezione venne presentata per la prima volta al pubblico. L'inaugurazione vera e propria del Museo fu nel 1993: la raccolta fu ordinata, restaurata e ampliata, e si stabilì permanentemente nella Sala Enrico Marchesi del Centro di produzione Rai.Ad inizio 2020, sotto il nuovo direttore Alberto Allegranza, venne stabilita la seguente trasformazione: “Da Museo tecnico per collezionisti di oggetti, a spazio esperienziale e multimediale che accoglie la diversità di gusti del pubblico in un’atmosfera da studio televisivo”. Dopo nove mesi di lavoro, il 26 settembre 2020 è stato inaugurato il "nuovo" Museo. Il percorso del museo parte dal primo telegrafo Wheatstone per arrivare fino al DVD-Video. Le raccolte sono impreziosite anche dalla presenza di arredi di storici programmi Rai, quali Rischiatutto e Portobello. Musei di Torino Luoghi d'interesse a Torino Museo della Radio e della Televisione, su museotorino.it. Museo della radio e della televisione di Torino, su beniculturali.it. Museo della Radio e della Televisione, su comune.torino.it. Museo della Radio e della Televisione, su museionline.info. Museo della Radio e della Televisione, su rai.it.

Museo nazionale del cinema
Museo nazionale del cinema

Il Museo Nazionale del Cinema è un museo sito a Torino con sede nel monumento simbolo della città, la Mole Antonelliana. Il Museo si sviluppa a spirale verso l’alto, su più livelli espositivi, dando vita a una presentazione ricca di collezioni che ripercorre la storia del cinema dalle origini ai giorni nostri. In una cornice di scenografie, proiezioni e giochi di luce, arricchita dall'esposizione di fotografie, bozzetti, manifesti e oggetti d'epoca, i percorsi di visita danno vita a una presentazione che consente di scoprire in prima persona i segreti nascosti dietro la macchina da presa e le fasi che precedono la proiezione del film. Il Museo racchiude e illustra tutta la storia del cinema in un itinerario interattivo: dal teatro d’ombre e le prime affascinanti lanterne magiche che hanno costituito la preistoria della “settima arte”, ai più spettacolari effetti speciali dei nostri giorni. Nel 2022 ha ricevuto 567 182 visitatori, risultando uno dei musei più visitati d'Italia. Nel progettare l’allestimento museale lo scenografo svizzero François Confino non ha dovuto soltanto tener conto delle caratteristiche dell’edificio che lo ospita, ma, seguendo il crescendo antonelliano, ha sovrapposto livelli diversi di lettura, combinando le necessità di un rigoroso impianto scientifico con le esigenze di una presentazione spettacolare che si propone di riprodurre e giocare con i meccanismi della fascinazione che sono alla base della rappresentazione cinematografica. Il museo si sviluppa a spirale verso l'alto su più livelli espositivi che ripercorrono la storia del cinema dalle origini ai giorni nostri. Al piano dedicato all'Archeologia del Cinema si possono visitare otto aree tematiche per sperimentare in prima persona gli spettacoli ottici e i dispositivi che hanno segnato alcune tappe fondamentali per la nascita del cinema. Cuore spettacolare del Museo è l'Aula del Tempio, circondata da aree espositive dedicate ai grandi generi della storia del cinema, più un’area dedicata al capolavoro del cinema muto italiano, Cabiria e una a Torino “Città del Cinema”. Dall’Aula si accede alla Rampa elicoidale che, come una pellicola cinematografica, si srotola a salire verso la cupola: il percorso è sede delle mostre temporanee e permette di ammirare dall’alto l’Aula in una visione spettacolare e mozzafiato. La Macchina del Cinema illustra le diverse componenti e fasi dell’industria del film: gli studi di produzione, la regia, la sceneggiatura, gli attori e lo star system, i costumi di scena, la scenografia, gli storyboard, la sala cinematografica. Si sale alla Galleria dei Manifesti, che ripercorrono la storia del cinema, i film e gli autori più rilevanti e illustrano l’evoluzione del gusto figurativo, della grafica e della cartellonistica pubblicitaria italiana e internazionale. Il Museo Nazionale del Cinema è anche un polo di iniziative culturali, tra i più importanti a livello nazionale e internazionale. Ricerche d’avanguardia sulla conservazione dei materiali e sulla storia del cinema, un vasto programma di restauri, iniziative editoriali, rassegne cinematografiche, incontri con autori e protagonisti del cinema, programmi didattici. Da diversi anni il Museo Nazionale del Cinema ha ulteriormente rafforzato il suo impegno nel recupero e nel restauro di pellicole che si pensavano irrimediabilmente perdute. Molte le iniziative realizzate in collaborazione con prestigiose istituzioni di tutto il mondo, presentate poi, riscuotendo ampi consensi di pubblico e critica, nei maggiori festival di cinema internazionali. Il presidente del comitato di gestione della Fondazione M.A. Prolo - Museo Nazionale del Cinema è l'ex parlamentare Enzo Ghigo. Il primo progetto di costituire un museo italiano del cinema risale al giugno 1941, quando la studiosa piemontese di storia e di cinema Maria Adriana Prolo (1901–1991) cominciò a lavorare per realizzare l'idea. Col sostegno artistico di alcuni pionieri del cinema, tra cui il regista astigiano Giovanni Pastrone, che nel 1914 diresse proprio a Torino Cabiria, il più grande kolossal del cinema muto italiano, e col sostegno giornalistico di Francesco Pasinetti, arrivarono i primi contributi finanziari per l'acquisto di cimeli e documenti della storia del cinema italiano. Il materiale fu inizialmente immagazzinato in una sala della Mole Antonelliana, concessa dal Comune di Torino. Terminata la seconda guerra mondiale, nel 1946 fu organizzata nel capoluogo piemontese la prima mostra retrospettiva nella galleria sotterranea di via Roma, seguita da altre mostre temporanee negli anni 1950-1951. Nel 1952 poi, il nascente museo partecipò ad una delle prime trasmissioni televisive sperimentali, fornendo materiali e consulenze. Queste attività stimolarono l'interesse del pubblico e degli studiosi sulla collezione di cimeli, che però non riusciva a trovare un'esposizione permanente. L'idea iniziale di insediare il museo all'interno della Mole Antonelliana di Torino sfumò nel 1953, a causa di una tromba d'aria che danneggiò gravemente l'edificio. Nello stesso anno, arrivò a Torino Henri Langlois, fondatore della Cinémathèque française e del Musée du cinéma di Parigi, il quale incontrò giornalisti e consiglieri comunali e li persuase della necessità di dare una sistemazione adeguata al patrimonio raccolto. Il 7 luglio 1953, si costituì ufficialmente l'Associazione Museo del cinema, che aveva tra i soci fondatori il regista Pastrone (all'epoca con lo pseudonimo Piero Fosco), lo sceneggiatore Arrigo Frusta, lo scrittore e critico cinematografico Mario Gromo, l'architetto Leonardo Mosso, Carlo Giacheri e l'imprenditore cinematografico e giornalista Giordano Bruno Ventavoli. Nello stesso periodo la professoressa Prolo fu nominata presidente dell'Associazione; nel 1956 fu anche nominata direttrice a vita del museo che, nel frattempo aveva trovato una sua sistemazione definitiva. Furono infatti sfruttati gli spazi di un'ala di Palazzo Chiablese, edificio situato tra la centralissima Piazzetta Reale (sul lato nord di Piazza Castello) e piazzetta San Giovanni (Duomo di Torino). Fu allestito il piano terreno, mentre una sala era adibita a locale di proiezione; la cineteca e la biblioteca furono collocati al piano superiore. La sede museale fu inaugurata al pubblico il 27 settembre 1958. Il Museo divenne membro dell'Associazione nazionale dei musei italiani nel 1959, e fu riconosciuto tra i musei medi dello Stato nel 1960. Alcune delle manifestazioni più importanti di questo periodo compresero una "Mostra della caricatura nella fotografia e nel cinema dal 1839 al 1939" nel 1960, la "Mostra della Stereoscopia" nel 1966, una rassegna del cinema muto italiano in collaborazione con l'Istituto di storia del cinema e dello spettacolo dell'Università di Torino nel 1973, la "Mostra dei manifesti del cinema muto italiano" nel 1974. Nel 1975 poi, si tenne a Torino il trentunesimo congresso della FIAF (Fédération internationale des archives du film), che comprendeva anche un convegno su Pastrone e David W. Griffith. Il museo fu quindi chiuso al pubblico per ragioni di sicurezza nel 1983, alcuni mesi dopo l'incendio del Cinema Statuto. Alcuni allestimenti furono quindi spostati nel 1986 presso la sede dello storico e piccolo Cinema Massimo di via Verdi, vicino alla Mole Antonelliana e al Centro di produzione Rai di Torino. Nel 1991 la professoressa Prolo morì, e l'anno dopo il museo divenne una Fondazione, che prese il suo nome, sostenuta dall'Associazione Museo nazionale del cinema, dagli enti locali e della Cassa di Risparmio di Torino, tuttavia ancora con la sede provvisoria nei piccoli spazi del Cinema Massimo. Nel 1995, in occasione del centenario della nascita del cinema, fu deciso di trasferire l'allestimento del museo presso l'interno della vicina Mole Antonelliana così come fu inizialmente raccolto nel 1946. In una scenografia suggestiva, organizzata dall'architetto torinese Gianfranco Gritella e lo scenografo svizzero François Confino, nel luglio 2000 venne inaugurata l'attuale sede, presso l'interno della Mole Antonelliana. In breve tempo il museo divenne tra i più visitati, con oltre due milioni di visitatori nei primi cinque anni e mezzo di attività (2000-2005). Nel 2004 il regista Davide Ferrario ambientò qui il film Dopo mezzanotte facendo conoscere il museo al grande pubblico. In occasione dei XX Giochi olimpici invernali di Torino 2006, l'allestimento fu rinnovato con nuove postazioni multimediali e interattive, tre nuovi ambienti dedicati al western, al musical e alla fantascienza, e un restauro del film Cabiria di Giovanni Pastrone. Amedeo Benedetti, Gli archivi delle immagini. Fototeche, cineteche e videoteche in Italia, Genova, Erga, 2000, SBN IT\ICCU\REA\0048559. Amedeo Benedetti, Museo Nazionale del Cinema, in Il Cinema documentato. Cineteche, Musei del Cinema e Biblioteche cinematografiche in Italia, Genova, Cineteca D.W. Griffith, 2002, pp. 16–25, SBN IT\ICCU\LO1\0712717. Musei di Torino (e luoghi d'interesse a Torino in generale) Cinema Mole Antonelliana Precinema Torino Film Festival Attilio Prevost (1890-1954) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Museo nazionale del cinema Sito ufficiale, su museocinema.it. Museo nazionale del cinema, su CulturaItalia, Istituto centrale per il catalogo unico. Associazione Museo Nazionale del Cinema (AMNC), su amnc.it. Legge statale, su normattiva.it, 29 dicembre 2000, n. 404 (Interventi in favore del Museo nazionale del cinema "Fondazione Maria Adriana Prolo" di Torino). Film Commission Torino Piemonte, su fctp.it. Torino Città del Cinema 2020, su torinocittadelcinema2020.it. Enciclopedia del cinema in Piemonte, su torinocittadelcinema.it. Piemonte Movie Glocal Network, su piemontemovie.com.

Accademia Reale di Torino
Accademia Reale di Torino

L'Accademia Reale di Torino nacque dalla Reale Scuola di Artiglieria e Fortificazioni sabauda. Fu un'Accademia militare dal 1815 al 1862 e quindi accademia d'artiglieria fino al 1943. Nel 1673 l'architetto ducale Amedeo di Castellamonte, su progetto del defunto Duca Carlo Emanuele II e incentivato dalla reggente Madama Reale Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, madre del piccolo Vittorio Amedeo II, iniziò la costruzione di un palazzo destinato a racchiudere un'accademia cavalleresca, centro di studi e di formazione per la nobiltà di tutta Europa, sul modello delle Ritterakademien di altri paesi europei. Nel 1676-1680 il fabbricato fu costruito da Carlo Buzzi del fu Francesco di Viggiù. Deodato Ramelli del fu Cesare di Grancia, Carlo Ferretti del fu Giorgio di Torre e Antonio Casella di Giovanni Battista di Carona ebbero il compito di reperire e trasportare in loco il materiale lapideo utilizzato per la costruzione da Chianocco in Val di Susa dove si trovavano le cave. Il primo gennaio 1679 fu inaugurata la Reale Accademia di Savoia, alla quale affluirono prìncipi e giovani di nobili casati. Accanto ai sudditi sabaudi, vi erano italiani di ogni provenienza (in particolare dallo Stato Pontificio e dalla Repubblica di Venezia), ma un nucleo particolarmente consistente era rappresentato da inglesi, tedeschi, austriaci, boemi, polacchi, russi. Il meglio dell'aristocrazia di tali Paesi sino alla fine del Settecento trascorse a Torino più o meno lunghi periodi per formarsi come gentiluomini. L'Accademia Reale non era un'accademia militare, bensì una scuola per formare i giovani gentiluomini alla vita di corte: vi si insegnavano letteratura e storia, italiano e francese, ma anche il ballo, la scherma, gli esercizi equestri (per cui gli studenti disponevano dell'edificio della cavallerizza). Gli studenti, inoltre, erano portati ad assistere a diverse lezioni dell'Università di Torino. Ampio spazio era poi dedicato alle materie militari, soprattutto all'architettura ed alle fortificazioni. L'Accademia Reale, comunque, non era un'accademia militare; i suoi studenti non studiavano per divenire militari: si trattava di una carriera possibile, certo, ma non dell'unica. Il Re Vittorio Amedeo II diede un primo riassetto all'istituto nel 1729: furono ammessi anche gli studenti universitari e conseguentemente i corsi furono organizzati in tre distinti "appartamenti", secondo l'indirizzo degli allievi. Con una successiva riforma, nel 1756, i giovani a carriera militare furono avviati ad un corso di studio, mentre teologi e alti funzionari ricevettero un'istruzione più consona alla loro formazione. Nel 1798 la Reale Accademia di Savoia fu soppressa dai Francesi che avevano occupato lo Stato sabaudo. All'indomani della Restaurazione, il 2 novembre 1815, Vittorio Emanuele I istituì la Regia Militare Accademia, ponendole la sede nel palazzo castellamontiano che già aveva ospitato l'Accademia Reale. Il nuovo istituto differiva totalmente dal precedente: si trattava, infatti, di un istituto destinato unicamente a sudditi degli Stati sabaudi che desiderassero intraprendere la carriera militare. Ad esso si accedeva con la sola approvazione sovrana: 200 era il numero degli allievi previsti. Di essi 75 erano a carico del Governo; vi erano poi 16 “Paggi d'onore”, con pensione pagata dalla Reale Casa. L'Accademia Militare portava in sé, quindi, la tradizione dell'antica Paggeria di corte. L'ammissione era tra i 9 e i 12 anni di età e la durata del corso era di 8 anni per ottenere i gradi di sottotenente alla Fanteria o alla Cavalleria; di nove anni invece era il corso di studi per gli allievi dell'Artiglieria e del Genio, dai quali si usciva con il grado di Luogotenente. Il 15 marzo 1849 Carlo Alberto concesse all'istituto la Bandiera tricolore, in sostituzione di quella con la croce bianca in campo rosso. Dal 1857 furono ammessi solo giovani di almeno 16 anni; i corsi furono ridotti a 3 anni per gli allievi destinati ad entrare nelle “Armi di linea” ed a 4 anni per quelli che si preparavano per le “Armi speciali”. Due anni dopo si istituì un corso suppletivo presso la Scuola Militare di Fanteria di Ivrea, ma un anno dopo, il Ministro della Guerra, presentò istanza per tre distinti corsi di formazione degli Ufficiali di Fanteria, di Cavalleria e delle Armi Speciali (Stato Maggiore, Artiglieria e Genio), con età richiesta minima di 19 anni compiuti (R.D. del 13 marzo 1860). Successivamente lo stesso ministro, il generale Manfredo Fanti, pensò di istituire un'altra Scuola Militare, l'accademia militare di Modena, e unificando i corsi con le Accademie di Torino e di Napoli, dal 1865 fu l'unico istituto di reclutamento e formazione degli Ufficiali di Fanteria e Cavalleria del Regio Esercito Italiano. La Scuola d'Applicazione delle Armi di Artiglieria e Genio nel 1897, fu posta assieme alla Regia Accademia Militare" sotto un unico comando. Nel 1923 assume la denominazione ufficiale di Accademia militare di artiglieria e genio. Nel 1928 acquisì poi il titolo di Regia Accademia. Lo stabile che ospitava l'Accademia fu seriamente lesionato in diversi episodi a partire dal 1936. Trasferita a Lucca nel 1943, fu sciolta dopo l'8 settembre. I fabbricati rimasti intatti sono ancora oggi sede del 1º Reparto Infrastrutture dell'Esercito Italiano. Parte integrante di una struttura più ampia denominata "zona di comando" (sede di organi amministrativi del Regno Sabaudo), l'edificio dell'accademia era costituito da tre maniche che insieme al corpo di fabbrica dell'Antico Teatro Regio chiudevano un cortile interno. I fabbricati, a tre piani fuori terra con un loggiato verso il cortile, a sud e ad est furono edificati da Amedeo di Castellamonte mentre quello a nord fu opera dell'architetto Filippo Juvarra. Sfortunatamente a seguito di un incendio nel corpo del teatro nel 1936 e delle lesioni causate dai bombardamenti di Torino del 1942, della fabbrica castellamontiana seicentesca permangono pochi frammenti del loggiato: un breve tratto della manica di levante in via Verdi. Nel 1959 ci fu una ulteriore demolizione per fare posto all'attuale Teatro Regio di Carlo Mollino Ciononostante nel 1997 l'edificio è stato inserito nella lista del Patrimonio dell'umanità in quanto parte del sito seriale UNESCO Residenze Sabaude. 1683-1798 Paola Bianchi, La fortuna dell'Accademia Reale di Torino nei percorsi europei del viaggio di formazione, in Vittorio Alfieri. Aristocratico ribelle (1749-1803), a cura di R. Maggio Serra, F. Mazzocca, C. Sisi, C. Spantigati, catalogo della mostra allestita a Torino, Archivio di Stato, 5 ottobre 2003-11 gennaio 2004, Milano, Electa, 2003, pp. 150–153 Paola Bianchi, In cerca del moderno. Studenti e viaggiatori inglesi a Torino nel Settecento, «Rivista storica italiana», CXV (2003), fasc. III, pp. 1021–1051 Paola Bianchi, «Quel fortunato e libero paese». L'Accademia Reale e i primi contatti del giovane Alfieri con il mondo inglese, in Alfieri e il suo tempo, atti del convegno internazionale svoltosi a Torino-Asti, 29 novembre-1º dicembre 2001, a cura di M. Cerruti, M. Corsi, B. Danna, Firenze, Olschki, 2003, pp. 89–112 Paola Bianchi, Una palestra di arti cavalleresche e di politica. Presenze austro-tedesche all'Accademia Reale di Torino nel Settecento, in Le corti come luogo di comunicazione. Gli Asburgo e l'Italia (secoli XVI-XIX). Höfe als Orte der Kommunikation. Die Habsburger und Italien (16. bis 19. Jh.), atti del convegno internazionale Trento, Fondazione Bruno Kessler, 8-10 novembre 2007, a cura di M. Bellabarba e J.P. Niederkorn, Bologna-Berlin, il Mulino / Dunker & Humblot, 2010, pp. 135–153 Paola Bianchi, Conservazione e modernità: il binomio corte-città attraverso il prisma dell'Accademia Reale di Torino in La città nel Settecento. Saperi e forme di rappresentazione, a cura di M. Formica, A. Merlotti, A.M. Rao, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura Fabrizio Corrado, Il duca e lo scalpellino. Potere e mestiere in una fabbrica simbolo della capitale sabauda, l'Accademia Reale di Amedeo di Castellamonte, in Giorgio Mollisi (a cura di), Svizzeri a Roma nella storia, nell'arte, nella cultura, nell'economia dal Cinquecento ad oggi, «Arte&Storia», anno 11, numero 52, ottobre 2011, Edizioni Ticino Management, Lugano 180-187. Fabrizio Corrado, Paolo San Martino, Il palazzo dell’Accademia Reale, 1675-1680, in "Carlo e Amedeo di Castellamonte 1571-1683. Architetti e ingegneri per i duchi di Savoia, a cura di A. Merlotti e C. Roggero, Roma, Campisano, 2016, pp. 117-128". 1815-1916 Francesco Luigi Rogier, La R. Accademia militare di Torino: note storiche 1816-1860, Torino, Candelotti, 1895, 2 voll. R. Pezzani, Il battaglione della speranza: l'Accademia militare di Torino 1816-1916, Torino, La Coccarda, 1948 Scuola d'applicazione di Torino Accademia Reale delle Residenze Reali Sabaude, su residenzerealisabaude.com. Museo Torino - Palazzo dell'Accademia Militare, su museotorino.it. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Accademia Reale di Torino

Monumento nazionale al Carabiniere
Monumento nazionale al Carabiniere

Il Monumento nazionale al Carabiniere è un'opera eretta nel 1933 nella parte esterna dei giardini del Palazzo Reale di Torino, alla confluenza dei viali I Maggio e dei Partigiani. Fu uno dei tanti monumenti innalzati dopo la prima guerra mondiale per onorare il sacrificio dei caduti. Agli inizi degli anni venti, nessuno dei monumenti presenti a Torino commemorava in particolare la memoria dei carabinieri, specialmente quelli caduti nell'appena terminata prima guerra mondiale. Maria Letizia Bonaparte, vedova di Amedeo d'Aosta, chiese alla presidenza dell'"Istituto nazionale per le biblioteche dei soldati" di rimediare. Questa, con l'aiuto del Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, lanciò una sottoscrizione pubblica per raccogliere i fondi occorrenti. Raccolsero più del necessario, e quanto avanzò dopo la realizzazione del monumento fu utilizzato per l'istituzione della "Fondazione del Monumento al Carabiniere" che, fino al suo scioglimento sancito da un decreto del Presidente della Repubblica del 4 dicembre 1979, istituì l'erogazione di quattro premi annuali ai carabinieri meritevoli. Il monumento fu progettato e realizzato nel periodo 1925-1933 dallo scultore torinese Edoardo Rubino, articolandosi in tre grandi strutture: un podio di 25 metri dove sono rappresentati, con altorilievi in bronzo, i compiti principali svolti dai Carabinieri ed alcuni episodi storici (guardia alle Colonie, attività nei terremoti, nelle alluvioni, repressione del brigantaggio, repressione dell'abigeato, difesa della legalità istituzionale con l'episodio della medaglia d'oro Giovanni Battista Scapaccino, la Carica di Pastrengo, la partecipazione alla prima guerra mondiale), una statua in bronzo di un carabiniere; un pilastro in cima, sul quale un imponente gruppo scultoreo, sempre in bronzo, idealizza il giuramento del Corpo. Il monumento fu quindi inaugurato il 22 ottobre 1933, alla presenza del re Vittorio Emanuele III, di numerose autorità e personalità civili e militari e folte rappresentanze di associazioni combattentistiche e d'arma. L'Associazione nazionale carabinieri, per la circostanza, organizzò a Torino un raduno nazionale. Il 12 agosto 1943, durante un bombardamento aereo, il monumento subì gravi danni. Finita la seconda guerra mondiale, i danni furono ben presto riparati, sotto la direzione dello stesso e ormai anziano Rubino, Lo Statuto Albertino ed il Fascio Littorio oggetto del giuramento furono sostituiti dalla Costituzione della Repubblica Italiana ed il 15 settembre 1948, alla presenza del presidente Luigi Einaudi, si ebbe una nuova inaugurazione. Sul retro del monumento sono elencati con disposizione cronologica i nomi dei Carabinieri insigniti di medaglia d'oro. Il monumento, e in particolare la statua in bronzo del Carabiniere (innumerevoli volte replicata in piccolo), sono raffigurati sulla copertina del calendario storico dell'Arma dei Carabinieri dell'anno 2013. Luoghi d'interesse a Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monumento Nazionale al Carabiniere (url non funzionante) articolo sulla storia del monumento, su assocarabinieri.it. URL consultato il 13 gennaio 2006 (archiviato dall'url originale il 28 settembre 2007).

Chiesa di San Francesco da Paola (Torino)
Chiesa di San Francesco da Paola (Torino)

La chiesa di San Francesco di Paola è un edificio di culto cattolico che si trova nella zona centrale di Torino, in via Po angolo via S. Francesco da Paola. È sede dell'omonima parrocchia. Il progetto della chiesa e del convento è attribuito al padre Andrea Costaguta, sostenuto da Cristina di Francia, come dimostra lo stemma ducale inserito nella facciata conclusa nel 1667, lavorata dai maestri luganesi, tra cui Martino Solaro e Giacomo Papa. L'interno è decorato con marmi policromi settecenteschi, presenta una pianta rettangolare, con navata e sei cappelle laterali, con altari che erano di patronato delle famiglie che erano legate alla corte. Nella prima cappella a destra sono il monumento sepolcrale dei marchesi Morozzo della Rocca (1699) e il Transito di San Giuseppe del pittore Tommaso Lorenzone (metà secolo XIX); nella seconda il monumento di Tomaso e Marcantonio Graneri e l'Arcangelo Michele di Stefano Maria Legnani (fine secolo XVII); nella terza l'Immacolata e Santi di Giovanni Peruzzini. Sul lato sinistro la prima cappella, voluta da Anna Maria d'Orléans, presenta il dipinto di Santa Genoveffa di Daniel Seyter (fine del secolo XVII), ai lati opere di François Jossermé; nella seconda Gesù crocifisso con la Vergine e san Giovanni Evangelista, di scuola genovese, databile al secolo XVII. Nella terza cappella, commissionata dal cardinal Maurizio di Savoia, importante l'altare con la statua della Madonna del Buon Soccorso, di Tommaso Carlone (1655). Dello stesso autore è l'altare maggiore su disegno di Amedeo di Castellamonte (1664-1665), con al centro San Francesco da Paola in Gloria di Charles Dauphin (1664), e così il dipinto laterale Luisa di Savoia chiede la grazia, mentre quello con San Francesco da Paola che attraversa lo stretto di Messina è attribuito alla bottega. Touring Club Italiano, La Sindone e i percorsi del sacro a Torino e in Piemonte, Torino, 1998. Andrea Spiriti, I Carlone di Rovio. Elogio alla maniera, in Giorgio Mollisi (a cura di), Arte&Storia: Svizzeri a Roma nella storia, nell'arte, nella cultura, nell'economia dal Cinquecento ad oggi, vol. 11, n. 52, Lugano, Edizioni Ticino Management, ottobre 2011, pp. 226-233. Laura Facchin, Biografia, in Giorgio Mollisi (a cura di), Arte&Storia: Svizzeri a Roma nella storia, nell'arte, nella cultura, nell'economia dal Cinquecento ad oggi, vol. 11, n. 52, Lugano, Edizioni Ticino Management, ottobre 2011, pp. 234-245. Antonio Bosio, La Reale Chiesa di S. Francesco di Paola e le sue nuove pitture, Torino, G. Favale, 1858. Fratelli Reycend, Nuova guida de' forestieri per la reale città di Torino, ossia Descrizione di questa metropoli e de' suoi contorni, adorna di pianta e varie vedute, Torino, 1826. Giovanni Battista Semeria, Storia della chiesa metropolitana di Torino descritta dai tempi apostolici sino all'anno 1840, Torino, Stabilimento Tipografico Fontana, 1840. Luciano Tamburini, Le chiese di Torino: dal Rinascimento al Barocco, Edizioni Angolo Manzoni, 2002 [1968], ISBN 88-86142-64-1, SBN IT\ICCU\TO0\1269729. Opera Omnia Stefano Legnani-Legnanino (1660c.-1715c.) (archiviato dall'url originale il 9 dicembre 2014). Gustavo Mola di Nomaglio, Feudi e nobiltà negli stati dei Savoia: materiali, spunti, spigolature bibliografiche per una storia, con la cronologia feudale delle Valli di Lanzo, Lanzo Torinese, Società storica delle Valli di Lanzo, 2006. Vittorio Angius, Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, vol. 4, Torino, Tipografia Giuseppe Cassone, 1837. Felice Pastore, Storia della reale basilica di Soperga, Stamperia Reale, 1814. Edifici di culto in Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Francesco da Paola Chiesa di San Francesco da Paola, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Chiesa di San Francesco da Paola, su Città e Cattedrali.

Caffè Fiorio
Caffè Fiorio

Il Caffè dei Fratelli Fiorio (noto semplicemente come Fiorio) è un caffè storico di Torino, situato nella centrale via Po. Storicamente era abituale ritrovo dei nobili all'epoca della restaurazione ed in seguito dei maggiori intellettuali e politici del Risorgimento. Ancora oggi è apprezzato ritrovo dei torinesi e dei turisti. Inaugurato nel 1780 nella Contrada di Po, l'elegante Caffè Fiorio fu inizialmente frequentato da aristocratici e alti ufficiali, in contrapposizione allo scomparso Caffè Calosso di via Dora Grossa, ricettacolo di ferventi rivoluzionari e patrioti. La frequentazione di una clientela di orientamento conservatore gli valse la definizione di «Caffè dei Machiavelli» o «Caffè dei Codini». Analogamente a quanto accadde per il vicino Caffè Baratti & Milano, anche il Fiorio fu citato dalla letteratura del tempo. La fama del Fiorio crebbe costantemente a tal punto da iniziare ad essere frequentato anche dalla borghesia del tempo, ma per l'aristocratica clientela abituale non fu più il Fiorio di un tempo, tant'è che nel 1850 cambiò nome (anche se per poco) in "Caffè della Confederazione Italiana". Si dovette attendere la fine dell'Ottocento per rivedere il Fiorio divenire rinomato luogo di incontro dei maggiori intellettuali e personaggi politici del Risorgimento, tra i quali: Urbano Rattazzi, Massimo d'Azeglio, Camillo Cavour, Giacinto Provana di Collegno, Cesare Balbo, Giovanni Prati, Santorre di Santa Rosa ed è risaputo alle cronache del tempo che re Carlo Alberto nutrisse la consuetudine quotidiana di chiedere che cosa si dicesse al Caffè Fiorio prima di aprire le sue udienze. In questo caffè nacque il cono gelato da passeggio. Il locale inizialmente comprendeva le prime tre sale comunicanti. Nel 1845 vi fu un primo restauro delle sale e degli arredi, introducendo le ancora presenti sedie in velluto rosso, le tappezzerie alle pareti e arricchendo i locali con affreschi e sculture di celebri artisti come Francesco Gonin e Giuseppe Bogliani. Nel 1850 il locale venne ampliato aggiungendo la grande sala longitudinale comunicante con il piano superiore, anch'esso costituito da tre salette comunicanti. Questa sala, normalmente adibita a sala ristorante, ha ospitato nel corso degli anni eventi culturali e musicali. Dal 1 febbraio 2013 al 21 marzo 2014 ha ospitato milonghe, serate danzanti di tango argentino. All'interno del locale vennero girate alcune scene del film Tutti giù per terra (1996) di Davide Ferrario. Piera Condulmer, Il Risorgimento al filtro dei Caffè torinesi, Daniela Piazza editore, Torino 1981 Caffè Baratti & Milano Caffè Mulassano Caffè San Carlo Caffè Confetteria Al Bicerin dal 1763 Luoghi d'interesse a Torino Storia del caffè Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Caffè Fiorio Caffè storici di Torino su comune.torino.it Sito ufficiale di Caffè Fiorio

Liceo classico Vincenzo Gioberti
Liceo classico Vincenzo Gioberti

Il liceo Classico e Linguistico Statale Vincenzo Gioberti di Torino è uno dei più antichi licei italiani. Si tratta di uno dei quattro licei classici statali della città, insieme al D'Azeglio, il Cavour e l'Alfieri. Situato nel centro della città capoluogo piemontese, ha due sedi e l'indirizzo Linguistico, in cui si studiano il tedesco, il francese e lo spagnolo. Il liceo "Vincenzo Gioberti" venne fondato come Regio Collegio di San Francesco da Paola presso l'antico complesso conventuale dei Frati Minimi, edificato a partire dal 1627 in Contrada di Po a Torino grazie alle donazioni di Maria Cristina di Borbone-Francia, moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia, e diretto a partire dal 1821 dai Gesuiti. Istituito il 4 marzo 1865, tra i primi 68 licei classici del Regno d'Italia e a lungo il più frequentato di tutto il Regno, fu intitolato al filosofo e politico italiano Vincenzo Gioberti, tra le figure più importanti del Risorgimento. Nel 1969 è stato sede della prima "commissione fabbriche" costituita in una scuola superiore italiana, citata nel film Vento dell'est di Jean-Luc Godard. Nel 2020, durante la pandemia di COVID-19, è stato attivo nelle proteste studentesche pacifiche contro la chiusura delle scuole e per il ritorno in sicurezza degli studenti in presenza e segnò l'inizio delle proteste a livello liceale di tutta italia. L'istituto conta 1.370 iscritti (anno scolastico 2020/2021) ed è articolato in sezioni di classico tradizionale e di classico linguistico. Dall'anno scolastico 2005-2006 all'interno dell'istituto viene pubblicato il giornale scolastico Joe Berti, che include rassegne di cronaca internazionale, cucina, poesia e arte. La sede storica, in Via Sant'Ottavio 9/11, nel pieno centro di Torino e a pochi metri dal Palazzo delle facoltà umanistiche dell'Università e dalla Mole Antonelliana, risale ai primi anni del XX secolo. Il liceo si è ampliato nel 2001 e comprende una parte dell'edificio scolastico in via Giulia di Barolo, condiviso con il liceo Gobetti. La sede principale, che comprende oltre alle aule ordinarie anche l'Aula magna intitolata a Piero Gobetti, laboratori di fisica, chimica, linguistici e informatici, aule specifiche per l'insegnamento di scienze e storia dell'arte e una biblioteca, è stata oggetto di restauro nel 2007. Le sue aule conservano molti reperti naturalistici con un vasto assortimento di animali impagliati, strumentistica d'epoca di fisica e chimica e numerosi campioni di pietre e minerali. A. Torricella, Torino e le sue vie, Torino, Borgarelli, 1868 A. Galante Garrone, P. Borgna, Il mite giacobino. Conversazione su libertà e democrazia, Roma, Donzelli, 1994 C. Dionisotti, Ricordi della scuola italiana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1998 G. Viglongo, Notarelle gobettiane, Roma, Robin Edizioni, 2003 A. Ascenzi, Tra educazione etico-civile e costruzione dell'identità nazionale. L'insegnamento della storia nelle scuole italiane dell'Ottocento, Milano, Vita e Pensiero, 2004 A. Pronzato, Il folle di Dio: san Luigi Orione, Milano, Edizioni Paoline, 2004 E. Guastone Belcredi, La carriera. Pagine di vita diplomatica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Liceo classico Vincenzo Gioberti Sito ufficiale, su liceogioberti.gov.it.