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Cangiani

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Cangiani è una frazione del comune campano di Boscoreale, nella città metropolitana di Napoli. Si sviluppa sull'omonima strada ed è per questo talvolta indicata come Via Cangiani. La storia del piccolo centro è correlata alla costruzione di un canale d'irrigazione, con relativi mulini ad acqua, che avrebbe collegato le acque del fiume Sarno a Torre Annunziata. L'opera, iniziata nel 1593 e terminata nel 1605, vedeva nella zona in cui sorge l'attuale villaggio, un punto culminante, e di cambio di pendenze, tra la pianura dell'Agro nocerino-sarnese e la discesa a valle verso il mare, a Torre Annunziata. Data la sua posizione, tale zona sarebbe stata localmente definita Cangio, che in napoletano significa "cambio", offrendo un'ipotesi sull'origine del toponimo. Altra ipotesi, più accreditata, fa risalire il toponimo Cangiani ad una nobile famiglia partenopea, i Cangiano, ivi residente nel XIX secolo ed a cui apparteneva la Cappella Cangiani (1575), situata a Napoli. Cangiani, situato nell'area nordorientale del comune e lungo l'omonima via, è urbanisticamente contiguo con le frazioni boschesi di Marchesa (ad ovest) e Marra (ad est), e fa parte dell'area vesuviana. L'abitato sorge nei pressi del confine con la Provincia di Salerno, nel comune di Scafati, da cui dista 4,7 km. Gli altri centri più vicini sono le altre due frazioni boschesi di Pellegrini e Passanti, Poggiomarino (4 km nord), la frazione scafatese di San Pietro (3,7 km sud), Boccia al Mauro (4 km ovest), Boscoreale (5 km ovest), e Terzigno (5,2 km nord-ovest). La frazione è attraversata da nord-ovest a sud-est dalla Strada statale 268 del Vesuvio, e gli svincoli più vicini ad essa, entrambi a circa 2 km, sono "Scafati" e "Poggiomarino-Boscoreale". Cangiani è inoltre servita dall'omonima stazione ferroviaria della Circumvesuviana, sulla linea Napoli-Torre Annunziata-Pompei-Poggiomarino, che la collega direttamente con la città partenopea. Zona rossa del Vesuvio Scavi archeologici di Boscoreale Pagina di Cangiani sul sito municipale di Boscoreale Archiviato il 10 marzo 2016 in Internet Archive.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Cangiani (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Cangiani
Via Alfredo Quinto,

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Luoghi vicini

Abbazia di Santa Maria di Realvalle

L'abbazia di Santa Maria di Realvalle è un'abbazia cistercense del XIII secolo che si trova nel comune di Scafati (SA). L'abbazia fu eretta nel 1274 per volontà di Carlo d'Angiò a commemorazione della vittoria decisiva, con l'appoggio papale, nella battaglia di Campo San Marco presso Benevento (1266) su Manfredi e quindi sul dominio svevo nel regno di Sicilia. L'abbazia, ricchissima di dotazioni regie, prosperò fin quando regnarono a Napoli gli Angioini; ma già prima che subentrassero gli Aragonesi era iniziata un'irresistibile decadenza, aggravata dal grande terremoto che nel 1456 ne distrusse in gran parte le strutture. Essa riuscì tuttavia a sopravvivere fino alla soppressione degli ordini religiosi benedettini e loro derivazioni, ordinata da Gioacchino Murat nel 1808, con l'incameramento da parte dello Stato dei loro beni e la successiva vendita. Alla fine dello stesso secolo, a seguito di un lascito, il complesso pervenne alle Suore Francescane Alcantarine. Dal 2022, però le Suore Francescane Alcantarine non risiedono più nella struttura. Convivono a Realvalle testimonianze di fede che spaziano sull'arco di oltre sette secoli, e memorie architettoniche che vanno dal gotico francese, attraverso il barocco, fino all'Ottocento e ai tempi moderni con la nuova cappella di Santa Maria di Realvalle nel convento delle suore francescane alcantarine, dello scultore Angelo Casciello. La struttura nel corso del XV e XVI secolo, fu affidata a diversi commendatari. Negli anni 1590-1597 il priore Don Martino riuscì ad erigere una chiesetta per la messa e a riparare parte dell'ala conversi. L'abbazia è articolata in blocchi strutturali, correlati tra loro e disposti intorno all'immenso chiostro d'epoca angioina, fulcro dell'intera organizzazione spaziale: dell'ala monaci disposta ad est restano pochi elementi, come pure del refettorio con le cucine, forse posizionato nell'ambiente denominato sala a pilastri, mentre l'ala conversi s'è interamente conservata, anche se è stata oggetto di rimaneggiamenti. Dal prospetto principale, l'accesso all'ala conversi è caratterizzato da un ambiente imponente, con volte a crociera, che introduce al cortile colonnato, denominato corte dei conversi, da cui è possibile raggiungere il chiostro. A nord e a sud dell'ingresso si dispongono alcuni ambienti utilizzati come magazzini per le derrate alimentari e stalle per il ricovero dei cavalli. Accanto al prospetto dell'ala conversi è disposta la facciata principale della chiesa settecentesca, per la quale alcuni ambienti dell'impianto gotico furono ampliati: negli anni 1740-1748 fu, infatti, eretta la cappella con abside a pianta semicircolare, modificata dopo il 1834 per assumere l'attuale configurazione di chiesa ad aula unica, con copertura di volta a botte. Tornando al fulcro del complesso abbaziale, gli elementi superstiti visibili del chiostro sono tre muri - quello settentrionale in cui s'intravedono le alte monofore che illuminavano la chiesa abbaziale, quello occidentale in comune con l'ala conversi, quello meridionale in cui un tempo s'apriva una porta d'accesso al refettorio - ed i peducci, sui quali erano impostate le volte a crociera, che coprivano un porticato aperto sullo spazio centrale, di cui non si è conservata alcuna traccia. A nord del prospetto principale dell'abbazia si raggiungono la masseria sette-ottocentesca, che conserva in un ambiente a piano terra un forno in pietra, ed il muro della chiesa abbaziale con le gotiche monofore in blocchi lapidei, arricchite da raffinati capitelli a foglie d'acanto e croquet. La sala scoperta, la cosiddetta sala a pilastri, posta a sud del chiostro, è caratterizzata dalla presenza di grossi pilastri quadrati di lato 1,3 m ed è preceduta da un vestibolo coperto con volte a vela, impostate su pilastri della medesima dimensione, e da un altro vano notevolmente trasformato agl'inizi del XX secolo. La sala è identificabile con una parte dell'antico refettorio, rimaneggiato tra XVI e XVIII secolo per edificare nuovi ambienti, che avrebbero dovuto ospitare i monaci e che non vennero mai ultimati. Angelo Pesce, Santa Maria di Real Valle. Un'abbazia cistercense del Duecento a San Pietro di Scafati, Castellammare di Stabia 2002. Abbazia Cistercense di Santa Maria di Realvalle, su rotaryscafatiangrirealvalle.it. L'abbazia dimenticata di Santa Maria di Realvalle, su lacittadisalerno.it. Abbazia di Santa Maria di Realvalle, su loquis.com. Realvalle, su cistercensi.info. Restauro del Centro S. Francesco nell'Abbazia di Santa Maria di Realvalle, su archilovers.com.

San Pietro (Scafati)
San Pietro (Scafati)

San Pietro, con i suoi circa 15.000 abitanti, è la maggiore frazione della città di Scafati, in provincia di Salerno. Situata ad est nel comune di Scafati, ricalca principalmente i confini dell'omonima parrocchia incardinata nell'8°decanato della 3 zona pastorale della Diocesi di Nola.Situata nell'area dell'agro nocerino sarnese, dista circa 35 km da Napoli, circa 30 km da Salerno e circa 30 km da Nola. Collegata con l'autostrada A3 Napoli-Salerno, con la Strada statale 268 del Vesuvio e con la Strada statale 18 Tirrena Inferiore. Lambita dal fiume Sarno. È servita dalla linea Napoli-Pompei-Poggiomarino della rete ferroviaria locale Circumvesuviana con la fermata San Pietro. Nell'alto Medioevo la zona dove è sito il villaggio di San Pietro si presentava paludosa e malsana; il fiume Sarno, detto il "Dragone" per la sua forma sinuosa, proveniente dal monte "Saro", composto da diversi affluenti quali "Rio Palazzo", la sorgente di Santa Marina e quella di "Foce", attraversava tutta la valle. La zona improvvisamente ebbe un aumento demografico, almeno così ci perviene dal Codice Longobardo, infatti in quel periodo erano i Longobardi a dominare questa terra. Questi ultimi rifiutando il lavoro ''vile'' della terra ed esaltando invece quello delle armi e della guerra, costrinsero feudatari ed ecclesiastici del luogo a stipulare dei contratti con gli abitanti della zona che vivevano prevalentemente di agricoltura. I contadini versavano annualmente al signore del luogo un canone (si parla di enfiteusi), in via piuttosto simbolica, inoltre perviene traccia ai nostri giorni persino di un contratto denominato "AD PASTINANDUM" con il quale il proprietario terriero prestava piante, alberi o sementi da piantare; i frutti del raccolto poi venivano divisi tra i due, un'usanza ancora presente in queste zone. In questo contratto era essenziale che l'area assegnata al colono fosse fertile, per aree invece di tipo paludoso c'erano altri tipi di contratti ad esempio "AD MELIORANDUM", la caratteristica principale era che questo contratto durava fino a quando l'area assegnata al colono non diveniva fertile, da paludosa che era. L'arrivo della legge, come ci insegna la storia, crea classi sociali, nello specifico venivano considerati uomini "liberi", coloro che avevano la facoltà di stipulare contratti e godevano di diritti come possedere, lavorare o migliorare il terreno. Grazie all'opera di questi coloni e delle leggi longobarde, a partire dal IX secolo l'agricoltura divenne florida. Secondo alcuni studiosi è proprio a questo fermento che si deve la nascita della chiesa di San Pietro Apostolo ad Erceca presente dal X-XI secolo. La chiesa di San Pietro Apostolo ad Erceca era governate dai monaci benedettini di Cassino (era infatti presente anche un convento), ed in quel periodo dipendeva dall'abbazia di Sant'Angelo in Formis; intorno alla chiesa pian piano si formò un piccolo centro urbano che verrà poi chiamato il Casale di San Pietro. Attualmente nello stesso luogo sorge la chiesa di San Pietro Apostolo, appartenente alla diocesi di Nola. Insomma nel 1200 la vallata di San Pietro offriva un habitat perfetto per lo stile di vita del periodo, il tutto immerso nella Silva mala. Con quest'ultimo termine ci si riferiva al fitto bosco che circondava queste zone, l'appellativo pare sia dovuto a Federico II di Svevia, il quale separò questa zona da Ottaviano e la adibì a zona di caccia reale (l'animale maggiormente cacciato era il falcone). La "Silva mala" (sorvegliata dai Bauli, guardie speciali del re) era piuttosto estesa tant'è che vi sono ancora comuni che riportano il suo nome come Boscoreale o Boscotrecase. Il Casale di San Pietro era completamente autonomo fino a quando il re Carlo I d'Angiò decise di donare quest'ultimo all'abbazia di Santa Maria di Realvalle da lui fondata. Il Casale però apparteneva all'abate di Cassino, pertanto Carlo I d'Angiò, come si legge dal decreto dato in Logopesole il 3 agosto dell'anno 1274 propose una permuta ("si Abbas Cassinensis voluerit eam permutare loca curie que vocantur Hecla et Campanara"). Nel XVI secolo le terre di San Pietro furono acquistate dal duca di Nocera Alfonso dei Carafa. Il comune di San Pietro nel 1810 venne accorpato al comune di Scafati di cui ancora oggi fa parte. Con circa 15.000 abitanti S.Pietro è la frazione più popolosa della provincia di Salerno. La frazione contiene una serie di luoghi di interesse religioso tra cui: Chiesa di San Pietro Apostolo, sede dell'omonima parrocchia. Abbazia Santa Maria di Realvalle, abbazia cistercense del XIII secolo. Cineteatro S.Pietro Scafati Parrocchia San Pietro Apostolo di Scafati, su parrocchiasanpietro.org. URL consultato il 2 agosto 2007 (archiviato dall'url originale il 28 settembre 2007).

Chiesa di Santa Maria delle Vergini (Scafati)
Chiesa di Santa Maria delle Vergini (Scafati)

La chiesa di Santa Maria delle vergini è il più importante edificio di culto della città di Scafati (SA). Essa sorge su una costruzione preesistente e raggiunge la sua forma attuale attorno al XV secolo. Tutta la sua architettura (specialmente la facciata) è pienamente in stile rinascimentale mentre l'interno, a tre navate con quella centrale riccamente affrescata, ospita numerose opere. Il transetto è sormontato da una decoratissima cupola affrescata da Vincenzo Galloppi e rappresenta una vivacissima scena del paradiso con al centro la trinità nella gloria dei beati e degli angeli. A sorreggere la cupola quattro affreschi raffiguranti quattro profeti. Nelle ali della croce, a destra e a sinistra, vi sono affreschi raffiguranti scene bibliche, mentre, la mezza cupola del presbiterio è arricchita da scene importanti per la storia ecclesiastica. La chiesa ha una pianta a croce latina con un'ala, l'arciconfraternita, che si apre sulla navata di destra volta ad ospitare la statua di santa Maria delle Vergini. Molte sono le opere che l'interno della chiesa ospita. La più grande è certamente l'imponente polittico attribuito a Decio Tramontano che orna l'altare realizzato tra il '400 e il '500 con scene della vita di Cristo. Altra grande opera è la Madonna del Rosario. Attorno alla vergine del rosario si affollano papi, principi, re, e guerrieri; il quadro è stato attribuito a Pompeo Landolfo realizzato forse nell'ultimo decennio del '500. Un'altra grande opera è la "madonna e le anime purganti" che reca la firma di Fedele Fischetti e la data del 1759. Altri grandi quadri sono "l'adorazione dei pastori", la "purificazione di Maria","la presentazione di Gesù al tempio" tutti di autori del XV secolo. Attribuiti a Giuseppe Bonito sono due tondi dell'altare che raffigurano l'Angelo custode e San Michele arcangelo. Gli affreschi della navata centrale e del transetto risalgono al 1800. Di fattura pregiata è anche la Madonna del Carmelo che risale al pieno rinascimento, anch'essa è di autore ignoto. Nel mezzo del transetto si innalza la cupola riccamente affrescata con una scena assai animata del paradiso con al centro la Trinità. Da annoverare è anche il fonte battesimale settecentesco che si trova nella seconda arcata della navata sinistra. Anticamente nel tempio si venerava la Madonna del parto per cui l'immagine al centro del polittico raffigura la vergine incinta. La Madonna delle Vergini è una statua in legno policromo scolpita, come riportato alla base, nel 1713 da mani ignote, attribuita però a Nicola Fumo. Secondo una leggenda la statua, in viaggio per una diversa destinazione su un carro trainato da buoi, arrivata sul ponte a Scafati si appesantì fin quasi a sprofondare. Si prese allora la decisione di trasferire la statua nel vicino tempio. Nel 1800 venne edificata l'arciconfraternita di santa Maria delle vergini. La statua raffigura la Vergine giovane con un viso molto dolce, che accoglie sotto il suo manto due altre vergini, una ricca e perciò la Madonna l'accoglie coprendola poco, ed una povera, che la Madonna copre molto. Sono tanti i doni che il popolo di Scafati ha dato alla sua patrona, tra cui l'antica corona del 1840, e lo stellario del 1906; la nuova corona con l'apposito stellario del 2006; un grande medaglione del 1840 e altri due medaglioni del 1854 e del 1954 per riconoscenza per le grazie che la Madonna ha recato ai suoi pellegrini. Si narrano molti episodi attribuiti alle capacità miracolose della statua di S. Maria delle vergini. Tra questi si racconta che nel corso dell'eruzione del Vesuvio del 1906, si prese la decisione di portare la Madonna innanzi alla colata lavica che stava per investire la città. Accadde così che il flusso lavico si fermò e la città di Scafati venne risparmiata. Non un lapillo o cenere infatti colpì l’area scafatese, facendola così anche diventare un punto di accoglienza per tutti i paesi che invece ne erano stati colpiti pienamente. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Maria delle Vergini Chiesa di Santa Maria delle Vergini, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.