place

Stazione di Scafati (Circumvesuviana)

Pagine con mappeSenza fonti - luglio 2017Senza fonti - stazioni d'ItaliaStazioni ferroviarie di Scafati
Scafati stazione ferroviaria Circumvesuviana panoramica
Scafati stazione ferroviaria Circumvesuviana panoramica

La stazione di Scafati è una stazione della ferrovia Circumvesuviana, sita nell'omonimo comune. Si trova sulla ferrovia Napoli-Pompei-Poggiomarino. La stazione fu inaugurata nel 1904. Il fabbricato viaggiatori ospita la biglietteria, servizi igienici e una piccola sala d'attesa. Il preesistente passaggio a livello, ancora visibile, è stato trasformato in edicola . I binari sono tre: due passanti per il servizio viaggiatori ed uno tronco al servizio della sottostazione elettrica. Nella stazione fermano tutti gli accelerati diretti a Napoli e Poggiomarino. La stazione dispone di: Biglietteria Servizi igienici Ferrovia Circumvesuviana Stazione di Scafati Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stazione di Scafati

Estratto dall'articolo di Wikipedia Stazione di Scafati (Circumvesuviana) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Stazione di Scafati (Circumvesuviana)
Traversa Talete,

Coordinate geografiche (GPS) Indirizzo Luoghi vicini
placeMostra sulla mappa

Wikipedia: Stazione di Scafati (Circumvesuviana)Continua a leggere su Wikipedia

Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 40.7536 ° E 14.5245 °
placeMostra sulla mappa

Indirizzo

Scafati

Traversa Talete
84018 , San Pietro
Campania, Italia
mapAprire su Google Maps

Scafati stazione ferroviaria Circumvesuviana panoramica
Scafati stazione ferroviaria Circumvesuviana panoramica
Condividere l'esperienza

Luoghi vicini

Chiesa di Santa Maria delle Vergini (Scafati)
Chiesa di Santa Maria delle Vergini (Scafati)

La chiesa di Santa Maria delle vergini è il più importante edificio di culto della città di Scafati (SA). Essa sorge su una costruzione preesistente e raggiunge la sua forma attuale attorno al XV secolo. Tutta la sua architettura (specialmente la facciata) è pienamente in stile rinascimentale mentre l'interno, a tre navate con quella centrale riccamente affrescata, ospita numerose opere. Il transetto è sormontato da una decoratissima cupola affrescata da Vincenzo Galloppi e rappresenta una vivacissima scena del paradiso con al centro la trinità nella gloria dei beati e degli angeli. A sorreggere la cupola quattro affreschi raffiguranti quattro profeti. Nelle ali della croce, a destra e a sinistra, vi sono affreschi raffiguranti scene bibliche, mentre, la mezza cupola del presbiterio è arricchita da scene importanti per la storia ecclesiastica. La chiesa ha una pianta a croce latina con un'ala, l'arciconfraternita, che si apre sulla navata di destra volta ad ospitare la statua di santa Maria delle Vergini. Molte sono le opere che l'interno della chiesa ospita. La più grande è certamente l'imponente polittico attribuito a Decio Tramontano che orna l'altare realizzato tra il '400 e il '500 con scene della vita di Cristo. Altra grande opera è la Madonna del Rosario. Attorno alla vergine del rosario si affollano papi, principi, re, e guerrieri; il quadro è stato attribuito a Pompeo Landolfo realizzato forse nell'ultimo decennio del '500. Un'altra grande opera è la "madonna e le anime purganti" che reca la firma di Fedele Fischetti e la data del 1759. Altri grandi quadri sono "l'adorazione dei pastori", la "purificazione di Maria","la presentazione di Gesù al tempio" tutti di autori del XV secolo. Attribuiti a Giuseppe Bonito sono due tondi dell'altare che raffigurano l'Angelo custode e San Michele arcangelo. Gli affreschi della navata centrale e del transetto risalgono al 1800. Di fattura pregiata è anche la Madonna del Carmelo che risale al pieno rinascimento, anch'essa è di autore ignoto. Nel mezzo del transetto si innalza la cupola riccamente affrescata con una scena assai animata del paradiso con al centro la Trinità. Da annoverare è anche il fonte battesimale settecentesco che si trova nella seconda arcata della navata sinistra. Anticamente nel tempio si venerava la Madonna del parto per cui l'immagine al centro del polittico raffigura la vergine incinta. La Madonna delle Vergini è una statua in legno policromo scolpita, come riportato alla base, nel 1713 da mani ignote, attribuita però a Nicola Fumo. Secondo una leggenda la statua, in viaggio per una diversa destinazione su un carro trainato da buoi, arrivata sul ponte a Scafati si appesantì fin quasi a sprofondare. Si prese allora la decisione di trasferire la statua nel vicino tempio. Nel 1800 venne edificata l'arciconfraternita di santa Maria delle vergini. La statua raffigura la Vergine giovane con un viso molto dolce, che accoglie sotto il suo manto due altre vergini, una ricca e perciò la Madonna l'accoglie coprendola poco, ed una povera, che la Madonna copre molto. Sono tanti i doni che il popolo di Scafati ha dato alla sua patrona, tra cui l'antica corona del 1840, e lo stellario del 1906; la nuova corona con l'apposito stellario del 2006; un grande medaglione del 1840 e altri due medaglioni del 1854 e del 1954 per riconoscenza per le grazie che la Madonna ha recato ai suoi pellegrini. Si narrano molti episodi attribuiti alle capacità miracolose della statua di S. Maria delle vergini. Tra questi si racconta che nel corso dell'eruzione del Vesuvio del 1906, si prese la decisione di portare la Madonna innanzi alla colata lavica che stava per investire la città. Accadde così che il flusso lavico si fermò e la città di Scafati venne risparmiata. Non un lapillo o cenere infatti colpì l’area scafatese, facendola così anche diventare un punto di accoglienza per tutti i paesi che invece ne erano stati colpiti pienamente. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Maria delle Vergini Chiesa di Santa Maria delle Vergini, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Scafati
Scafati

Scafati è un comune italiano di 47 940 abitanti della provincia di Salerno in Campania. Di fatto inglobato nella conurbazione napoletana, costituisce un unico agglomerato urbano con i comuni limitrofi di Pompei e Castellammare di Stabia. Questa vicinanza con l'immediato hinterland partenopeo lo rende legato ad esso anche dal punto di vista sociale e culturale, nonostante faccia parte della Provincia di Salerno. Prima città dell'Agro nocerino-sarnese per numero di abitanti. La sua superficie pianeggiante è ubicata alle pendici del Vesuvio ed è attraversata dal fiume Sarno, che separa in due zone distinte il popoloso centro urbano. Fa inoltre parte dell'area denominata Valle del Sarno in quanto situata nella vasta piana del fiume Sarno, tra i poli urbani di Napoli e Salerno e presenta una buona accessibilità dall’esterno. Il centro abitato di Scafati si trova ad una'altitudine di 12 metri sul livello del mare: l'altezza massima raggiunta nel territorio comunale è di 34 metri s.l.m., mentre la quota minima è di 6 metri. s.l.m. Classificazione sismica: zona 2 (sismicità media), Ordinanza PCM. 3274 del 20/03/2003. A Scafati si riscontra un clima mite, caldo e temperato. La vicinanza del mare fa sì che vi sia un clima mediterraneo tipico del meridione italiano. Il tasso di umidità è abbastanza elevato, soprattutto in estate dove la temperatura percepita, in passato, ha raggiunto anche i 45°. L'inverno ha molta più piovosità dell'estate. In accordo con la classificazione dei climi di Köppen e Geiger il clima è stato classificato come Cs-a (Cs: climi temperati con estate secca, a: temperatura media del mese più caldo superiore a 22 °C). La temperatura media annuale di Scafati è 16.0 °C. La piovosità media annuale è di 1143 mm. Il mese più secco è Luglio con 18 mm mentre con una media di 190 mm il mese di Novembre è quello con maggior Pioggia. L'umidità relativa più alta si misura a Novembre (77.06 %). Il più basso ad Agosto (66.50 %). Dicembre (giorni: 13.73) ha in media i giorni più piovosi al mese. Il minor numero di giorni di pioggia si registra ad Luglio (giorni: 3.40 days). Il toponimo Scafati si dice derivi dal termine scafa, ossia "battello fluviale", che a sua volta deriva dal latino scapha. Tali mezzi, chiamati poi lontri, simili alle gondole, ma con fondo piatto, erano fondamentali mezzi per la navigazione del fiume Sarno. Ed è proprio per questa ragione, ma anche per il fatto che i palazzi del centro si affacciano pittorescamente sul fiume, che la città di Scafati era un tempo indicata con il nome di Piccola Venezia. Secondo altre fonti, la città, come spesso accadde a località sorte sulle rive di un corso d'acqua, prese il nome da Scaphatum, cioè da quello che una volta assumeva il fiume Sarno nell'attraversare il territorio dell'odierna Scafati; forse perché in quel tratto le sue acque diventavano sensibilmente più calde (nap. scarfato, ‘riscaldato’). La città, chiamata sino al Settecento perlopiù col suo nome italiano volgare di Scafatta (infatti in castigliano era Scaphata), vedrà poi nell'Ottocento prevalere definitivamente quello suo latino originario di Scafati, o meglio di ciò che resta di vicus Scaphati (‘il borgo del fiume Scafato’). Ecco infatti quanto per esempio si legge in un'antica cronaca della guerra che, a partire dal 1132, Ruggiero II di Sicilia mosse in Campania contro il conte Rainulfo d'Alife e Roberto di Capua, potenti feudatari normanni che non lo volevano accettare come loro nuovo re: … Cum ergo ad fluvium Sarni, ubi Scaphatum dicitur, pervenissent… … Deinde turris, quae erat in praefato flumine, quod Scaphatum dicitur, continuo turricolis… … Quam ob rem comes Ranulphus, non pauco costipatus numero galearum, ad praememoratum Scaphatum pergit… Fonte: Alexandri abbatis telesini, Rogerii Siciliae regis rerum gestarum libri quatuor in Giovambattista Carusio, Bibliotheca historica Regni Siciliae sive historicorum etc. Tomo I, libro II, pp. 272, 279. Palermo, 1723. Non si ha notizia della presenza di un insediamento umano, nell'odierna Scafati, durante la prima età del ferro (IX-VII sec. a.C.); in base ad alcuni scavi eseguiti nella valle in epoche diverse si ha motivo di ritenere che la popolazione del protostorico, nel corso del proprio dislocamento lungo il Sarno, non s'insediò nell'area che oggi appartiene al comune di Scafati, benché una citazione dell'Eneide identifichi i "sarastra" come abitanti dell'odierna Scafati. La ragione è da ricercarsi nel fatto che il primo nucleo abitativo di Pompei era stato fondato da genti osche dedite al commercio più che all'agricoltura. Il fiume Sarno era il naturale tratto d'unione fra la costa campana e il suo entroterra; su esso, già dai tempi della civiltà osca, correvano le imbarcazioni mercantili. I primi segni di attività economica nel territorio di Scafati si ebbero sul fiume prima che nei campi. Due avvenimenti politici segnarono l'estendersi dell'agricoltura verso Scafati: il primo fu conseguenza della politica commerciale di Napoli che orientò le proprie attività verso il retroterra vesuviano, il secondo va collegato a un fenomeno di riversamento dei sanniti più poveri delle montagne verso zone rimaste scoperte. Durante le guerre sannitiche Roma legò Nocera ai suoi interessi economici e militari mediante un patto federale, grazie al quale il territorio della confederazione nocerina sarebbe rimasto esente da ogni influenza di legislazione romana, insomma, in piena autonomia economica e amministrativa. Il territorio pompeiano continuò a godere dei benefici della feracità del suolo e la popolazione a fruire delle conseguenze degli intensi scambi commerciali con le altre regioni italiche, finché il terremoto del 62 e l'eruzione del 79 vennero a turbare una vita fondata sul lavoro e sull'agiatezza. Nella storiografia locale, tutta la campagna dell'Ager Nucerinus viene associata alla stessa sorte delle campagne pompeiane, ma in realtà le cose dovettero andare in altro modo. Infatti i ritrovamenti nella zona dimostrano che essa costituì una via di scampo, dove, chi era riuscito a salvarsi ha potuto rifarsi una vita. Quindi la vita economica riprese a dispetto di ogni difficoltà, e la produttività agricola crebbe al punto di destare le mire dei duchi napoletani a partire dal VI secolo. La valle continuò a gravitare nell'area bizantina, finché, nel 601, Arechi, duca di Benevento, l'occupò dopo feroci devastazioni. Nel 652 Sarno passava sotto la dominazione longobarda. Il corso del fiume Sarno cessò di essere la linea di delimitazione tra i due principati. Fu così che il territorio di Scafati rimase ancora assegnato al Ducato di Napoli, ma la separazione fra i due stati non garantiva una pace sicura alle popolazioni poste lungo la linea di confine. Infatti, alcuni mutamenti politici portarono alla ridefinizione dell'assetto territoriale e dall'anno 848 il territorio di Scafati entrò a far parte della valle del Sarno, passando dalla dominazione bizantina a quella longobarda del principato di Salerno. Nel 1140 Ruggiero II divenne re di Sicilia e di Puglia. Ciò portò sicurezza nelle campagne, perché determinò la cessazione delle furibonde guerre combattute fra i conti e i principi. Il Catalogus baronum riporta notizia di un Signore a Lettere e di un altro a Nocera, e nulla più. L'assenza di altri baroni nella valle conferma l'ipotesi della demanialità della zona, che era sottoposta a particolare amministrazione per ciò che concerneva il rendimento dei terreni e la loro concessione, ma a nessuna soggezione politica. Quando quella terra si avviò a ridiventare coltivabile e una popolazione iniziò a fermarsi per lavorarla e abitarvi, fu donata a Riccardo Filangieri. Estintasi la famiglia Filangieri, la terra di Scafati ritornò al regio demanio e segnatamente alla corona angioina. La nuova situazione non fu certo migliore: alla tolleranza degli Svevi si sostituì un'ostinata e crudele intransigenza che impedì all'Italia meridionale e alla Sicilia di raggiungere lo splendore che aveva cominciato ad annunciarsi sotto la caduta dominazione. La presenza di una monarchia stabile a Napoli, però, determinò miglioramenti nelle condizioni di vita nella città e un nuovo e più intenso rapporto con la vicina campagna. L'agro nocerino sarnese, si trovò così investito di più larghe e frequenti richieste di vettovagliamento, il che dette impulso allo sviluppo e all'incremento dell'agricoltura. Nel 1284, Carlo II d'Angiò concesse la terra di Scafati al monastero di S. Maria di Realvalle come un feudo nobile. L'abbazia tenne il feudo sino ad alcuni anni prima del 1355, quando la regina Giovanna I lo concesse al Gran Siniscalco del Regno, Niccolò Acciaiuoli. Da qui il feudo tornò nuovamente nelle mani dell'abbazia alla quale fu tolto definitivamente nel 1464 per donazione fattane da papa Pio II a suo nipote Antonio Piccolomini, liberatore della terra scafatese. Con quest'ultimo passaggio si chiuse la lunga serie di infeudazioni cui fu esposta la terra di Scafati. Intorno all'anno 1532 si verificarono alcuni fattori favorevoli al miglioramento dell'economia agricola: ai terreni vulcanici fertilissimi, si aggiunsero quelli ricavati dalla riduzione dell'area boschiva, rendendo così possibile l'estendersi dell'area messa a coltura; furono impiantati opifici e mulini feudali in località Bottaro e fu aperta la strada regia, lungo la quale si intensificò il traffico commerciale. Erano i segni della nuova mentalità rinascimentale e dell'influenza economica e finanziaria della scoperta dell'America, seguita dal rialzo dei prezzi e dalla rivalutazione dei terreni. Scafati ne fu direttamente investita e così il suo territorio assunse un'importanza mai avvertita prima che la posizionò al centro dei commerci e dei transiti nella valle del Sarno, nel momento in cui i traffici si incrementavano e il passaggio delle merci sul fiume avvertiva un proficuo sviluppo. Questa situazione di benessere richiamò, sul posto più vicino al fiume, nuova gente, e avrebbe di lì a poco dato inizio a una floridezza economica senza precedenti, se il signore di Scafati non avesse modificato l'alveo del fiume, causando il disastroso impaludamento di buona parte dei terreni. Connessa all'incremento demografico ed economico fu l'estensione dell'insediamento urbano. Il centro storico, che ancora oggi viene chiamato Vitrare, cominciò invece a sorgere e a svilupparsi nella seconda metà del XVIII secolo. Infatti il fiscalismo spagnolo, la degradazione ecologica della valle da Scafati a Sarno, il calo della popolazione e le epidemie del secolo, non poterono certo incoraggiare uno sviluppo urbanistico. Nel biennio 1647-48 la valle fu teatro della guerra fra le forze popolari e quelle baronali come riflesso immediato della rivolta di Masaniello, scoppiata pochi mesi prima a Napoli. La sua caduta in mano alle forze baronali segnò l'inizio di un triste periodo di sottomissione alla volontà dei baroni. Un secolo e mezzo dopo, l'ideale rivoluzionario della repubblica partenopea, nell'Agro e a Scafati in particolare, ebbe vita brevissima. Le classi intellettuali rimasero indifferenti o volutamente estranee al movimento delle idee e non si lasciarono travolgere dai fatti. In questa zona la repubblica fu una ventata insignificante che non vide più rivivere l'ardore e il coraggio testimoniati dall'aspra guerra contadina del tempo di Masaniello. Scafati venne travolta nel 1707 dalla caduta abbondante di piroclasti del Vesuvio insieme ai comuni di Striano, Torre del Greco e Boscotrecase. Danni alle coltivazioni, centinaia di feriti. Fu importante centro industriale tessile e dell'armeria sotto il Regno delle Due Sicilie. Infatti, l'allora re Ferdinando II istituì un polverificio e realizzò un'opera di rettifica del basso corso del fiume Sarno per il trasporto delle polveri da sparo dall'opificio verso il mare, intervento che risolse anche diversi problemi per la popolazione legati alle continue esondazioni del fiume. Inoltre, sempre sotto la reggenza di Ferdinando II, fu costruito uno scalo ferroviario sulla storica linea Napoli - Portici, la prima ferrovia d'Italia, quando questa fu allungata fino a Nocera Inferiore. Il 29 marzo 1928 la frazione "Valle di Pompei" fino ad allora facente parte di Scafati, venne scorporata e insieme ad altre porzioni di territori cedute da altri quattro comuni, divennero comune autonomo, e in cambio Scafati "ricevette" la frazione di Bagni dalla cittadina confinante, Angri. Durante la seconda guerra mondiale, in Italia molte piccole città non furono toccate dal conflitto. La città di Scafati era una di queste, finché un giorno una pattuglia britannica e una tedesca si scontrano nelle sue strade. In quel periodo Scafati era una città di 15 000 abitanti circa. Come oggi (2014) c'era il ponte di pietra che attraversa il fiume Sarno che divide la città in due. In periferia c'erano molte piccole masserie dalle quali dipendeva l'economia della cittadina. Scafati quindi di per sé era un posto tranquillo, ma siccome si trovava sulla strada principale per Napoli, nei suoi vicoli stretti e tortuosi, i tedeschi avevano deciso di ritardare l'avanzata delle unità corazzate britanniche che erano penetrate attraverso le montagne a nord di Salerno. Verso le 11:00 del 28 settembre 1943, le pattuglie blindate inglesi si avvicinarono alla cittadina, muovendosi con cautela, attraverso le campagne. A sud della città furono fermate da alcuni abitanti alquanto esaltati, facenti parte del primo gruppo armato di resistenza del meridione d'Italia, denominato Gruppo 28 Settembre: alcuni portavano fucili e indossavano bracciali con sopra cucite delle croci rosse. Altri possedevano delle bombe a mano che avevano rubato ai tedeschi. I partigiani informarono il comandante britannico che il ponte davanti a loro era stato minato e assediato dalle mitragliatrici tedesche. Comandante britannico era il tenente colonnello irlandese Michael Forrester (31 agosto 1917 – 15 ottobre 2006), al comando del 1/6° del Queen's Royal Regiment, meglio conosciuto come i "Topi del Deserto" (Desert Rats). Egli posizionò uno dei suoi carri armati all'altezza di una curva nella strada che portava in città nelle cui vicinanze c'era il ponte. Un tommy (soprannome che gli inglesi davano ai propri soldati) salì in cima a una casa per osservare di vedetta, individuando un cannone anticarro in piazza vicino al ponte, puntato su di loro. A questo punto un Bren Gun Carrier (piccolo veicolo corazzato cingolato inglese) espose il “naso di ferro” oltre la curva avanzando ma venendo subito raggiunto da raffiche di proiettili di mitragliatrice. Nel frattempo, alcuni italiani si offrirono di guidare un piccolo gruppo di soldati britannici per la città ritornando poi attraverso il fiume. Sopraggiunsero molti veicoli mentre un gruppo di ufficiali e soldati si era raccolto dietro un carro armato per discutere della situazione. Il tenente colonnello prese un tommy gun (soprannome inglese del mitra Thompson) e portò con sé due dei suoi uomini nella casa più vicina al ponte. Dal tetto, individuarono un cannone anticarro e un carro armato Mark III vicino al ponte. Aprirono il fuoco sui serventi al pezzo costringendoli a disperdersi. Anche il carro armato indietreggiò attraverso il ponte. A questo punto l'ufficiale scese giù e ordinò di convertire la casa in un posto di osservazione. Nello stesso istante, una squadra mortai britannica si spostò iniziando a sparare lontano. Due soldati americani, S/Sgt. Don Graeber di Salt Lake City, e Pvt. John Priester di New York, erano seduti in una jeep a guardare il procedimento con molta attenzione. I due erano lì per riportare indietro i prigionieri tedeschi per l'interrogatorio. Gli inglesi stavano avendo la meglio sui tedeschi, così i Jerries (soprannome inglese per i soldati tedeschi) andarono via dal ponte. Il ponte non era stato minato, come si era temuto, ma c'erano diverse scatole di esplosivo ad alto potenziale sparse qua e là. La battaglia si spostò così verso l'altro lato della città. Furono avvistati altri tre carri armati tedeschi mentre quelli britannici si preparavano ad affrontarli. Sul lato liberato del ponte, gli italiani stavano arrivando entusiasti dalle case trasportando frutta e vino. Attraverso il ponte la lotta era ancora in corso, ma i tedeschi iniziavano a soccombere. Un gruppo di tre famosi corrispondenti di guerra seguì a piedi il corso della battaglia. Il Bren Gun Carrier li precedeva dietro l'angolo, ma fu completamente distrutto dal colpo di un carro tedesco Mark III e con esso i tre corrispondenti britannici rimasero uccisi. Gli inglesi risposero al fuoco spingendo i tedeschi fuori da Scafati, in direzione di Napoli. Non appena l'ultimo carro armato tedesco ebbe lasciato la città, iniziò a cadere la pioggia che ebbe una sorta di effetto rilassante sulla cittadinanza. Finalmente i tedeschi erano andati via, ma erano rimaste le cicatrici della battaglia. Quindi furono esaminati gli edifici in frantumi e i corpi straziati che si trovavano nelle strade. Poi i cittadini tornarono tranquillamente alle loro case per riprendere le loro vite da dove erano state interrotte. I tre corrispondenti di guerra che persero la vita erano Alexander Austin, Stewart Sale e William Munday. Le loro salme, alla fine del conflitto, furono trasportate nel Salerno War Cemetery, uno dei più grandi cimiteri di guerra inglese, che si trova a Salerno sulla Strada statale 18 presso Montecorvino Pugliano. Il cimitero ospita le spoglie di 1653 inglesi, 27 canadesi, 10 australiani, 3 neozelandesi, 9 sudafricani, 33 indiani, 111 non identificati per un totale di 1846 militari caduti in Italia Meridionale. I tedeschi spinti verso Napoli passarono per il comune di Poggiomarino dove, nella scuola in contrada Tortorelle, avevano allestito un ospedale militare per i feriti. Nel cortile adiacente alla scuola vennero seppelliti i morti che successivamente, dopo la guerra, furono esumati e portati in patria. Lo stemma e il gonfalone del comune di Scafati sono stati concessi la prima volta con decreto del presidente della Repubblica del 5 aprile 1995. In seguito all'elevazione al rango di Città avvenuto nel 1997, gli attuali stemma e gonfalone della Città di Scafati sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 31 luglio 1997. Vi è rappresentata la torre merlata, eretta nel IX secolo in riva al fiume presso il ponte per difendere l'abitato dalle scorribande saracene, diventata simbolo del luogo e che fu abbattuta nei primi anni del XIX secolo, laddove sorge il Palazzo Mayer, attuale sede del municipio. Il gonfalone comunale costituisce il simbolo più elevato dell'istituzione locale. L'uscita del gonfalone dalla casa comunale e la sua esposizione in pubblico è limitata alle manifestazioni e cerimonie di elevato valore istituzionale e sociale e deve sempre essere autorizzata dal sindaco. Il gonfalone della città di Scafati è di colore giallo a tinta unita. Scafati è tra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione, insignita di alcune onorificenze per i sacrifici delle sue popolazioni e per l'attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale: È costruito interamente in stile tardo-barocco napoletano, annunciando in diversi tratti anche un pieno stile rococò, che tuttavia influenzò in minor modo la regione. La facciata, che nelle diverse linee ondulate, per rientranze e sporgenze, risente pienamente del barocco, presenta un portale centrale e altri due minori che fanno accedere al sagrato del santuario; da qui si passa all'entrata. L'imponente struttura è costituita da tre navate ben sviluppate, di cui la principale è sormontata da un affresco raffigurante la Risurrezione di Cristo. Al di sopra dell'entrata vi è l'organo, decorato da porcellana e palme in bronzo, il tutto per accogliere le alte canne che si protendono verso l'alto, nel tipico stile del '600. La bassa cupola è affrescata con scene della vita popolare, specialmente di scene della fonte miracolosa e dei miracoli operati dalla Madonna. Anche l'altare che ospita il bellissimo dipinto della Vergine dei Bagni è in pieno stile barocco, per la presenza dei coloratissimi marmi che si accomunano opportunamente ai due quadri del '900 ai lati del presbiterio. La caratteristica festa, verso la fine di maggio, è un'attrazione per tutta la piana: si organizza il classico carrettòn' 'e vagne e si rende omaggio alla Madonna alla miracolosa fonte dove circa 200 anni prima accaddero miracoli inspiegabili. Una tradizione vuole che, sempre durante la festa, si debba passare la mano sull'altare perché impregnato del sudore della Madonna. La Chiesa di Santa Maria delle Vergini è il più importante edificio di culto di Scafati. Costruita nel XV secolo, è in stile rinascimentale. La storia narra che la Madonna delle Vergini era destinata ad un paese diverso da Scafati, ma la statua, arrivata sul ponte, iniziò ad appesantirsi e i buoi che la trasportavano non riuscirono più a muoversi, così si decise di portare la statua nella vicina chiesa. Di chiaro stile rinascimentale la chiesa della Madonna delle Grazie, detta anche Madonna dei Muroli, è a croce latina a navata unica con una cupola bassa sul transetto; nell'area del presbiterio si innalza il trono di Santa Maria delle Grazie, dove si venera l'omonima statua che, secondo quanto vuole la leggenda, ha cacciato via tutti gli insetti che devastavano il raccolto. La statua è stata scolpita da scalpello anonimo, in legno policromo, attorno al 1700. La raffigurazione della Vergine è anomala, infatti la Madonna porge una mela al figlio che ha tra le braccia, mentre un angelo con due grappoli d'uva invita i fedeli all'adorazione. La chiesa ospitava quadri e opere di pregevole fattura che sono andati persi con un furto agli inizi del Novecento. È molto spoglia anche se la navata centrale è decorata da altorilievi, come l'interno della cupola e il presbiterio. Nel transetto di sinistra si innalza l'altare privilegiato del Sacro Cuore di Gesù. La chiesa ha anche quattro cappelle lungo la navata centrale; a destra abbiamo la cappella del Crocifisso e quella di Sant'Antonio da Padova. A sinistra una nella quale c'è il confessionale e un'altra dove si venera san Giuseppe. Nel transetto di destra abbiamo l'Assunta e nel presbiterio San Vito e san Vincenzo Ferreri. La piccola chiesa di San Francesco di Paola sorge nel bel mezzo del corso Nazionale; essa ha un imponente facciata riccamente decorata risalente al XIX secolo. L'interno è a croce greca, il soffitto presenta affreschi con scene di vita di san Francesco ed una vetrata colorata sul lato destro. Anche se l'edificio è molto piccolo un tempo era il principale luogo dove si venerava il santo a Scafati (che poi è stato trasferito nella nuova chiesa); esso era posto sull'altare maggiore, oggi è luogo della venerazione del Santissimo Sacramento. La nuova chiesa di San Francesco di Paola a pianta centrale, è costituita da un corpo che va a restringersi man mano che si arriva al presbiterio. La parte iniziale è costituita in alto da una grande vetrata (presente anche sul lato destro) molto colorata e la parte bassa da grandi portoni riccamente decorati. La statua in legno policromo del santo è anonima e non si ha nessuna data su quando sia stata realizzata. Di pregevole fattura il quadro della vergine che si trova nella parte alta del lato sinistro. La chiesa di San Francesco di Paola è la più recente chiesa costruita a Scafati. Ciò che resta dell'antica struttura dell'abbazia di Santa Maria di Realvalle lo si può visitare a San Pietro. L'abbazia è stata per metà distrutta a causa di un disastroso terremoto nel 1564; essa fu costruita da Carlo I d'Angiò per celebrare la vittoria nella battaglia di Benevento nel 1270. La struttura è composta dal corpo dell'abbazia ed una chiesa, con stili architettonici che vanno dal gotico al barocco; la nuova abbazia sorta vicino a quella antica, è affidata alle suore francescane alcantarine. Oggi si trova in un grave stato di degrado ed è fortemente pericolante. Secondo alcuni studiosi nata sulle resta dell antica chiesa di San Pietro Apostolo ad Erceca presente dal X-XI secolo. L'antica chiesa di San Pietro Apostolo ad Erceca era governata dai monaci benedettini di Cassino (era infatti presente anche un convento), ed in quel periodo dipendeva dall'abbazia di Sant'Angelo in Formis. Chiesa di Sant'Antonio Vecchio, chiesa del XX secolo, eretta per volere popolare. Sulla facciata esterna nel 1980 è stata posta una lapide dedicata ad Antonio Testa, fautore principale della costruzione. Chiesa Croce Santa; Chiesa S. Francesco d'Assisi; Chiesa SS. Vergine del Suffragio; Chiesa San Vincenzo Ferreri (XX secolo). L'ex Real polverificio Borbonico è un'antica struttura dove si analizzava la polvere da sparo prima di passare nelle officine. Ferdinando II di Borbone, ultimo sovrano di Napoli, ne ordinò la costruzione nel 1851, con l’intenzione di sostituire la Real Fabbrica di Polveri e Nitri di Torre Annunziata nella produzione di polvere da sparo. La struttura è formata da una imponente facciata, con all'interno la cappella di santa Barbara patrona degli artificieri, oggi sconsacrata, è usata come auditorium. Nel febbraio 2017, parte del giardino retrostante, di 11 ettari, è stato soggetto ad un incendio. Il palazzo Mayer era l'antica casa della famiglia Mayer, una delle più grandi famiglie tessili nella valle del Sarno. Costruito attorno al XIX secolo, oggi è la casa comunale. La Villa comunale o Parco Wenner, (prima metà dell'800) conserva un esemplare di Jubaea spectabilis che per dimensioni è il più grande in Europa . L'opera è stata realizzata dall'artista Francesco Jerace, originario di Polistena. Si trova tra via Roma e via Guglielmo Oberdan ed è composto da parti in marmo e bronzo. Il monumento poggia su un basamento decorato con conchiglie e meduse, e si erge un gruppo scultoreo in bronzo. Questo gruppo è composto da due soldati in azione e dalla figura di una vittoria alata. La vittoria alata tiene un gladio e un ramoscello d'ulivo nelle mani, simboli di forza e pace. Simbolo della città, anticamente il fiume era attraversato dal Pons Sarni, ponte in legno di età romana. Nel 1753 Pompeo Piccolomini, feudatario di Scafati, decise l’abbattimento dell’opera in legno e la costruzione di un ponte in muratura. Il fatto venne documentato da una lapide apposta sulla base del pilastro d'accesso. La Popolazione di Scafati ha registrato una crescita costante fino al 2011. Da quel momento si registra una diminuzione della popolazione. Cronologia degli abitanti censiti Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre 2022 la popolazione straniera residente era di 2 122 persone. Le nazionalità maggiormente rappresentate in base alla percentuale sul totale della popolazione residente sono: Marocco 1021 Ucraina 449 Romania 176 Bulgaria 127 Cina 93 Polonia 54 La maggioranza della popolazione è di religione cristiana appartenente principalmente alla Chiesa cattolica; il territorio comunale ricade sotto la giurisdizione di 3 diocesi. La chiesa madre e la maggior parte delle parrocchie del comune sono amministrate dalla diocesi di Nola. La chiesa della Madonna dei Bagni è amministrata dalla diocesi di Nocera Inferiore-Sarno. La parrocchia del Sacro Cuore (Mariconda) è amministrata dall'arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia. L'altra confessione cristiana presente è quella evangelica con una comunità: Chiesa evangelica pentecostale ADI. Fra altre confessioni religiose è presente anche quella dei testimoni di Geova con una Sala del Regno in cui si radunano quattro congregazioni (di cui anche una di Pompei). Ogni settimana la Sala del Regno di Scafati è frequentata in totale da circa 500 persone. La "tammurriata" utilizza particolari strumenti musicali: la già citata tammorra, formata da una pelle tesa su un cerchio di legno su cui sono fissati dei sonagli detti "'e cicere" o "'e cimbale"; le castagnette o nacchere, intagliate nel legno e costituite da due parti unite fra loro da un cordoncino. In alcune zone le castagnette vengono distinte in "maschio" e "femmina" a seconda che vengano suonate rispettivamente con la destra o con la sinistra. «Questo esempio riporta ad un'antica simbologia del corpo secondo la quale l'uomo, il suo corpo in genere, è per metà maschile e per metà femminile. Una visione del genere, tipica del mondo antico ed orientale, si ritrova però anche nella concezione della divinità nel Meridione. Alcune Madonne, ad esempio, hanno nella raffigurazione iconografica il sole (sulla destra) e la luna (sulla sinistra), ovvero il "maschile" e il "femminile"» (Sergio De Gregorio, nell'opuscolo allegato all'LP Musica e canti popolari della Campania - vol. 1). Alla tammorra e alle castagnette si possono aggiungere anche: il putipù o caccavella (tamburo a frizione costituito da una pentola di terracotta o scatola di latta ricoperta da una pelle, su cui è fissata una canna); il triccheballacche o scetavajasse (composto da tre martelletti di legno di cui quello centrale fisso, martelletti ai quali possono essere applicati anche dei sonagli); la tromba degli zingari o scacciapensieri o marranzano. Il rappresentante illustre della "Tammurriata" è Antonio Matrone ('O Lion) col suo gruppo definito "A Paranza do' Lione". L'altra grande forma di musica popolare è "A Fronna e Limone" (fronda di limone). Quest'ultima è una particolare forma di canto campano, eseguito a distesa e senza accompagnamento strumentale. Per quel che riguarda i testi, in genere si attinge ad un vasto repertorio di "fronne" che però, a seconda della circostanza, possono essere variate, rimescolate o improvvisate in parte dall'esecutore (e ciò avviene massimamente quando le "fronne" sono articolate tra due o tre persone che si rispondono e dialogano con tali canti). Per questa loro disponibilità al dialogo, le "fronne" sono state anche utilizzate come comunicazione con i carcerati. Infatti per il passato, era abbastanza frequente sentir cantare sotto le carceri alcuni tipi di "fronne", articolate da parenti o amici di reclusi. Spesso erano informazioni che si davano al carcerato, messaggi d'amore, parole di conforto, il tutto articolato con un linguaggio oscuro e gergale che sfuggiva anche alla comprensione dei secondini. Nella tradizione più classica, esiste, un repertorio di "fronne" più ritualizzate, le cui tematiche si riferiscono all'amore, a fatti sessuali e alla morte. Il protagonista indiscusso di questa particolare forma di canto e "Zì Giannino Del Sorbo" senza ombra di dubbio il più grande frondaiolo vivente. Una festa considerata emblematica per tutto l'agro nocerino sarnese è la festa della "Madonna dei Bagni", si svolge a Bagni, località agricola situata in periferia di Scafati al confine con Angri. Una festa tipicamante primaverile che si consuma nei suoi rituali nelle masserie dove si canta e si danza a ritmo di "tammorra" e "castagnette" (tamburo e nacchere). Scritti antichi ci riportano ai festeggiamenti per i quali la plebe rurale traeva ispirazione dalle "Feste Ilarie", che celebravano la morte e resurrezione di Attis. Antropologicamente nell'antichità pagana il dio della natura rinasce in questo periodo. Festeggiamenti quindi per l'alterna vicenda della natura che fiorisce a nuova vita. Morte e vita, nel mondo rurale si identificano: dalla morte del seme consegue la nascita della pianta. Altro elemento di vita è l'acqua. Su queste premesse si innesta il rito religioso che nei giorni della festa dell'Ascensione, sulla Statale 18, nei pressi del seicentesco Santuario, si celebra in onore della "Madonna dei Bagni". La festa, secondo autorevoli studiosi, rientra nel culto delle "Sette Madonne" in Campania. A Bagni, oltre al Santuario di S. Maria Incoronata dei Bagni, risalta la fonte ('o fuosso) che contiene l'acqua ritenuta miracolosa; dove una vecchietta intinge una penna di gallina nell'olio santo, unge e benedice la gente. Altre peculiarità del "fosso" sono: la camomilla, i papaveri e "'o Vacille cu' 'e rrose", bacinella con petali di rose maggiaiole che vengono, secondo la leggenda, benedetti da un "Angelo" che passa nei campi la notte precedente l'Ascensione, donando ai fiori tipici della festa proprietà taumaturgiche e purificatorie. Icona mobile della festa “Il Carrettone”. Anticamente i signorotti del napoletano raggiungevano Bagni con il "Bleak", vettura di lusso trainata da cavalli dove prendevano posto le "maeste ncannaccate", signore con vistosi gioielli al collo. I contadini invece si servivano dei comuni carretti che per l'occasione "annoccavano" (addobbavano) con fronde e fiori di carta velina, per copertura, come riparo dal sole, venivano sistemate delle lenzuola. Da tali carretti deriva il nome "'O Carrettone 'e Vagne". Tale mezzo di viaggio, la cui ultima apparizione risaliva al lontano 1954, è stato riproposto, nel pieno rispetto dell'antica tradizione, dal 1982 al 1987, fino a quando la festa non ha subito un processo di trasformazione con l'immissione di elementi spurii che non hanno nessuna congruenza culturale - antropologica con la memoria autentica. Il "Carrettone" era preceduto, nel suo "viaggio", da un folto gruppo di ragazzi che indossavano "antrite", collane di noccioline e castagne e che "guidavano" il tipico "chirchio", cerchio di bicicletta o di botte, anch'esso "annoccato" con fiori di carta, penna di gallina e immaginetta della Madonna. La Festa della Madonna dei Bagni conserva oggi il suo fascino in ragione delle esibizioni spontanee della gente che rimane protagonista autentica quando accompagnandosi con le inseparabili "castagnette" si disinibisce e si esprime a lungo in una frenetica "tammurriata" collettiva. Scafati si contraddistingue per la sua profonda e radicata tradizione di musica popolare: nelle sue periferie ancora a vocazione fortemente agricola, si conservano la suggestioni della "Tammurriata" che prende il nome dal tamburo che scandisce il ritmo, detto "tammorra" o "tammurro". Originario di Scafati sarebbe stato, secondo la tradizione, Felippo Sgruttendio (detto per questo "de Scaphato") autore di una raccolta di sonetti e canzoni in dialetto napoletano dal titolo "La tiorba a taccone", pubblicata per la prima volta nel 1646. N. Sapegno così ebbe a definire l'opera: "un canzoniere in vita e in morte di una Cecca, gustosa parodia, ricca di pittoreschi quadretti di vita popolana, dei modi e dei temi della lirica amorosa contemporanea". A Scafati sono state girate delle scene del film Bob & Marys - Criminali a domicilio in Piazza Vittorio Veneto e all'interno della Chiesa di Santa Maria delle Vergini. A Scafati è stato girato quasi interamente il primo episodio della serie Missione Fashion Style, con protagonista Federico Lauri e con l'aiuto di Ginta Biku, in un negozio di parrucchiere situato nel comune. La serie va in onda su Real Time. L'antico centro cittadino si sviluppa a ridosso del fiume Sarno. Qui vi troviamo la piazza Vittorio Veneto su cui affaccia la chiesa di Santa Maria delle Vergini, patrona della città. Da piazza Vittorio Veneto parte la strada più importante della città che la congiunge con il centro della vicina città di Pompei, un rettilineo denominato fino al confine tra le città Corso Nazionale. Sempre da piazza Vittorio Veneto, attraversando il ponte sul fiume, a pochi metri è possibile raggiungere il palazzo della Casa Comunale denominato Palazzo Mayer. Alle spalle di quest'ultimo si trova la Villa Comunale chiamata Parco Wenner. Parallelamente a Corso Nazionale, corre una strada chiamata via Martiri d'Ungheria. Il centro storico, che si sviluppa dei dintorni della piazza Vittorio Veneto è denominato quartiere Vitrare, poiché nel 1700 gran parte degli abitanti erano dediti alla vetrificazione delle stoviglie di terracotta. Il manufatto di terracotta (stoviglie, tegami etc.) veniva calato a mano in una tinozza, al cui interno c'era un composto di piombo (l'abbaiacca), e poi veniva infornato ad altissime temperature. La città è suddivisa in varie frazioni: Bagni; Sant'Antonio Vecchio; Mariconda; Mortellari; San Pietro San Vincenzo; Trentuno; Ventotto; Marra-Zaffaranelli. Le due frazioni "Ventotto" e "Trentuno" si chiamano in tal modo, poiché si fa riferimento alla numerazione delle cabine dell'acqua che anticamente servivano per irrigare i campi, che si trovavano lungo l'ex canale Conte di Sarno. Le principali strade extraurbane che attraversano il territorio sono: Strada Statale 18 Tirrena Inferiore Strada Provinciale 5 Pendino-Bivio San Marzano (Confine Poggiomarino). Strada Provinciale 127 Innesto SP 5 (S.Marzano)-Trav. Badia-via Torino-Innesto SP 96 (Tricino). Strada Provinciale 185 Via Longa-Innesto SS 18-Ortoloreto-Ortalonga-Innesto SS 367. Strada Provinciale 287 Innesto SS 18 (Scafati)-confine centro abitato di Angri. Strada Statale 268 del Vesuvio (Scafati) È servita dalle seguenti linee ferroviarie: Linea Napoli-Pompei-Poggiomarino della rete Circumvesuviana mediante la stazione di Scafati e la stazione San Pietro Linea Napoli-Salerno della rete RFI mediante la stazione di Scafati. Fra il 1911 e il 1952 Scafati era servita dalla tranvia Salerno-Pompei, esercita dalla società Tranvie Elettriche della Provincia di Salerno (TEPS). Scafati ha alle sue spalle una forte tradizione sportiva, che si esprime in differenti discipline, tra le più rilevanti calcio, pallacanestro e pallamano. In occasione dei XX Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006 la fiamma olimpica attraversò le vie della città. Scafati è stata proclamata Città Europea dello Sport per l'anno 2016 dall'ACES (Associazione delle Capitali Europee dello Sport). La principale squadra di calcio della città è la Scafatese Calcio 1922, che conta anche due partecipazioni in Serie B. La squadra di pallacanestro è la società Scafati Basket 1969, tra le principali dell'Italia meridionale, che milita in Serie A. La compagine di pallamano Cierre Scafati è stata campione d'Italia nella stagione 1983-1984. Altri sport praticati sono la pallavolo e il calcio a 5, nel comune infatti ha sede una società femminile di pallavolo: la Volley Scafati fondata nel 1967. Dal 2015, presso il Centro Sportivo Gymnasium, la città ospita il trofeo di Nuoto per Salvamento "Trofeo Gymnasium Scafati". Stadio 28 settembre 1943 PalaMangano, con una capienza di 3700 spettatori. PalaGymnasium Cimmelli Vittorio, Storia di Scafati e di S..Pietro suo villaggio, 1997 Agro nocerino sarnese Valle del Sarno Fiume Sarno Canale Conte di Sarno Canale Bottaro Consorzio di bonifica integrale comprensorio Sarno Battaglia di Nocera Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Scafati Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Scafati Sito ufficiale, su comune.scafati.sa.it. Scafati, su sapere.it, De Agostini.

Stazione di Scafati
Stazione di Scafati

La stazione di Scafati è una stazione ferroviaria posta sulla linea Napoli-Salerno, a servizio dell'omonimo comune. Situata lungo la parte iniziale di Via Guglielmo Oberdan, lungo il percorso della strada statale S.S.18, è posta in una zona relativamente periferica rispetto al centro cittadino. La stazione ha 2 binari passeggeri, mentre un terzo binario tronco, con annesso scalo merci, è situato poco prima della banchina della stazione verso Salerno: piuttosto ampio, i suoi spazi sono utilizzati solo saltuariamente per il ricovero di materiale rotabile. In passato lo scalo merci era particolarmente attivo, poi con il progressivo declino dell'industria scafatese nel corso degli anni 80-90 esso ha perso la sua originaria funzione. La stazione di Scafati, nel corso degli anni, ha visto dapprima chiudere la propria biglietteria e, saltuariamente, la sala d'aspetto dei viaggiatori, poi ristrutturata e riaperta al pubblico. Nonostante la soppressione dello scalo merci, il locale posto di movimento continua ad essere operativo nelle ore diurne e notturne. Dopo il passaggio dell'ultimo treno, i locali passeggeri della stazione vengono chiusi al pubblico nelle ore notturne. Nei primi mesi del 2007 furono attuati alcuni interventi di ammodernamento, in particolare si ebbe la costruzione di un sottopassaggio, prima mancante. La stazione attualmente è dotata di un bar e di una biglietteria automatica. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stazione di Scafati Descrizione della stazione, da lestradeferrate.it, su lestradeferrate.it.

San Pietro (Scafati)
San Pietro (Scafati)

San Pietro, con i suoi circa 15.000 abitanti, è la maggiore frazione della città di Scafati, in provincia di Salerno. Situata ad est nel comune di Scafati, ricalca principalmente i confini dell'omonima parrocchia incardinata nell'8°decanato della 3 zona pastorale della Diocesi di Nola.Situata nell'area dell'agro nocerino sarnese, dista circa 35 km da Napoli, circa 30 km da Salerno e circa 30 km da Nola. Collegata con l'autostrada A3 Napoli-Salerno, con la Strada statale 268 del Vesuvio e con la Strada statale 18 Tirrena Inferiore. Lambita dal fiume Sarno. È servita dalla linea Napoli-Pompei-Poggiomarino della rete ferroviaria locale Circumvesuviana con la fermata San Pietro. Nell'alto Medioevo la zona dove è sito il villaggio di San Pietro si presentava paludosa e malsana; il fiume Sarno, detto il "Dragone" per la sua forma sinuosa, proveniente dal monte "Saro", composto da diversi affluenti quali "Rio Palazzo", la sorgente di Santa Marina e quella di "Foce", attraversava tutta la valle. La zona improvvisamente ebbe un aumento demografico, almeno così ci perviene dal Codice Longobardo, infatti in quel periodo erano i Longobardi a dominare questa terra. Questi ultimi rifiutando il lavoro ''vile'' della terra ed esaltando invece quello delle armi e della guerra, costrinsero feudatari ed ecclesiastici del luogo a stipulare dei contratti con gli abitanti della zona che vivevano prevalentemente di agricoltura. I contadini versavano annualmente al signore del luogo un canone (si parla di enfiteusi), in via piuttosto simbolica, inoltre perviene traccia ai nostri giorni persino di un contratto denominato "AD PASTINANDUM" con il quale il proprietario terriero prestava piante, alberi o sementi da piantare; i frutti del raccolto poi venivano divisi tra i due, un'usanza ancora presente in queste zone. In questo contratto era essenziale che l'area assegnata al colono fosse fertile, per aree invece di tipo paludoso c'erano altri tipi di contratti ad esempio "AD MELIORANDUM", la caratteristica principale era che questo contratto durava fino a quando l'area assegnata al colono non diveniva fertile, da paludosa che era. L'arrivo della legge, come ci insegna la storia, crea classi sociali, nello specifico venivano considerati uomini "liberi", coloro che avevano la facoltà di stipulare contratti e godevano di diritti come possedere, lavorare o migliorare il terreno. Grazie all'opera di questi coloni e delle leggi longobarde, a partire dal IX secolo l'agricoltura divenne florida. Secondo alcuni studiosi è proprio a questo fermento che si deve la nascita della chiesa di San Pietro Apostolo ad Erceca presente dal X-XI secolo. La chiesa di San Pietro Apostolo ad Erceca era governate dai monaci benedettini di Cassino (era infatti presente anche un convento), ed in quel periodo dipendeva dall'abbazia di Sant'Angelo in Formis; intorno alla chiesa pian piano si formò un piccolo centro urbano che verrà poi chiamato il Casale di San Pietro. Attualmente nello stesso luogo sorge la chiesa di San Pietro Apostolo, appartenente alla diocesi di Nola. Insomma nel 1200 la vallata di San Pietro offriva un habitat perfetto per lo stile di vita del periodo, il tutto immerso nella Silva mala. Con quest'ultimo termine ci si riferiva al fitto bosco che circondava queste zone, l'appellativo pare sia dovuto a Federico II di Svevia, il quale separò questa zona da Ottaviano e la adibì a zona di caccia reale (l'animale maggiormente cacciato era il falcone). La "Silva mala" (sorvegliata dai Bauli, guardie speciali del re) era piuttosto estesa tant'è che vi sono ancora comuni che riportano il suo nome come Boscoreale o Boscotrecase. Il Casale di San Pietro era completamente autonomo fino a quando il re Carlo I d'Angiò decise di donare quest'ultimo all'abbazia di Santa Maria di Realvalle da lui fondata. Il Casale però apparteneva all'abate di Cassino, pertanto Carlo I d'Angiò, come si legge dal decreto dato in Logopesole il 3 agosto dell'anno 1274 propose una permuta ("si Abbas Cassinensis voluerit eam permutare loca curie que vocantur Hecla et Campanara"). Nel XVI secolo le terre di San Pietro furono acquistate dal duca di Nocera Alfonso dei Carafa. Il comune di San Pietro nel 1810 venne accorpato al comune di Scafati di cui ancora oggi fa parte. Con circa 15.000 abitanti S.Pietro è la frazione più popolosa della provincia di Salerno. La frazione contiene una serie di luoghi di interesse religioso tra cui: Chiesa di San Pietro Apostolo, sede dell'omonima parrocchia. Abbazia Santa Maria di Realvalle, abbazia cistercense del XIII secolo. Cineteatro S.Pietro Scafati Parrocchia San Pietro Apostolo di Scafati, su parrocchiasanpietro.org. URL consultato il 2 agosto 2007 (archiviato dall'url originale il 28 settembre 2007).

Real Polverificio Borbonico

Il Real Polverificio Borbonico è un complesso di edifici di Scafati, risalenti al XIX secolo, utilizzato per la produzione di polvere da sparo e successivamente convertito per la produzione e lavorazione del tabacco. Costruito nel 1851, per volontà di Ferdinando II di Borbone re del Regno delle Due Sicilie, per spostare la fabbricazione delle polveri da sparo dalla Real Fabbrica di Polveri e Nitri di Torre Annunziata dopo il verificarsi di due esplosioni che misero in serio pericolo la zona. Fu quindi scelto il sito di Scafati per l'allora lontananza dal centro urbano della città e grazie anche alla posizione favorevole, prossima al Canale Conte di Sarno e ad un suo derivato il Canale Bottaro. Quest'ultimo possedeva una caratteristica rara, quasi unica: quella di far correre l’acqua fresca e pulita del Sarno a una quota superiore rispetto a quella della campagna circostante. Una vera e propria meraviglia di ingegneria idraulica, famosa in Europa al tempo. Con la occasione, per ragioni strategiche di rapido accesso lungo il fiume, il Re Borbone pose mano anche alla rettifica dell’ultimo tratto del fiume Sarno da Scafati alla sua foce a mare, che fu rifatta. Il Polverificio di Scafati restò attivo per circa quarant'anni fino al 1895 quando, per ragioni strategiche del neonato Regno d’Italia, la struttura militare fu convertita in Istituto Sperimentale del Tabacco. Il Regio Istituto sperimentale per la coltivazione dei Tabacchi, fondato nella seconda metà dell’ottocento per “contribuire al miglioramento della produzione nazionale del tabacco". La trasformazione del sito servì anche a ridurre l’impatto sui livelli occupazionali della scomparsa del Polverificio. Esso ebbe una lunga vita edilizia fino al 1980, quando tutta la struttura fu abbandonata a seguito dei danni del terremoto del 1980. Fino al 2004 il CRA Centro di ricerca per l’agricoltura ha continuato a lavorare concentrandosi sulle culture del pomodorino del piennolo e sugli asparagi, ma successivamente il centro è stato trasferito a Caserta. Il complesso di forma rettangolare, del XIX secolo, lambito sul lato destro dal fiume Sarno, è costituito da un complesso principale ad uso amministrativo, dalla chiesa di Santa Barbara, dai laboratori Chimici, dalle officine, inserite all'interno di un’area verde, che ne costituisce il parco, caratterizzata da due viali di rigogliosi platani e verdeggianti tratti secondari. All'ingresso di quest'ultima si trova un'iscrizione che recita "ne ferro, ne fuoco", a sottolineare la pericolosità del luogo che richiedeva l'assenza di qualsiasi materiale d'innesco. Attualmente la gestione del sito è stata divisa in due: l'area del parco è stata affidata alla gestione del Parco archeologico di Pompei, mentre la struttura principale fino all'ingresso del parco è stata affidata alla gestione della città di Scafati. Il Real Polverificio, su ambientesa.beniculturali.it, Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Salerno e Avellino - Ministero della cultura. Pompeii Sites Portale Ufficiale Parco Archeologico di Pompei - Polverificio Borbonico. Ministero della Cultura - Parco Archeologico di Pompei - Ex Real Polverificio Borbonico. Il Real Polverificio Borbonico di Scafati: la fabbrica che riforniva l'esercito del regno. Né ferro né fuoco, il Real Polverificio di Scafati Gente e Territori - Il pasticcio del Polverificio Borbonico di Scafati

Stazione di Pompei Santuario
Stazione di Pompei Santuario

La stazione di Pompei Santuario è una stazione della ferrovia Circumvesuviana, sita nel comune di Pompei. Si trova sulla ferrovia Napoli-Pompei-Poggiomarino. In origine la stazione era chiamata semplicemente Pompei. In seguito, poiché poteva essere confusa con la stazione di Pompei Scavi-Villa dei Misteri sulla ferrovia Torre Annunziata-Sorrento, venne aggiunta la denominazione di Santuario, in quanto la stazione si trova nei pressi del santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei. Il fabbricato viaggiatori è stato ricostruito in luogo di quello originario, di minori dimensioni e ubicato a poca distanza: al suo interno ospita biglietteria e sala d'attesa. La stazione è presenziata. Vi sono tre binari passanti per il servizio passeggeri muniti di 2 banchine con pensiline e collegati tramite un sottopassaggio. Nella stazione fermano tutti i treni in transito e le destinazioni sono Napoli e Poggiomarino. La stazione dispone di: Biglietteria a sportello Biglietteria automatica Fra il 1924 e il 1952 presso la stazione si attestavano le corse della tranvia Salerno-Pompei, esercita dalla società Tranvie Elettriche della Provincia di Salerno (TEPS). Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stazione di Pompei Santuario Storia e immagini delle stazioni di Pompei, su stazionidelmondo.it. URL consultato il 10 novembre 2018 (archiviato dall'url originale il 30 marzo 2009). Il progetto per la nuova stazione di Pompei Santuario, su interplan2.it. URL consultato il 15 settembre 2009 (archiviato dall'url originale il 28 ottobre 2010).

Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei
Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei

Il pontificio santuario della Beata Vergine del Santo Rosario un luogo di culto cattolico di Pompei, situato nella città metropolitana di Napoli. È uno dei santuari mariani più visitati d'Italia. Numerosi personaggi e santi vi hanno fatto visita tra cui san Ludovico da Casoria, san Luigi Guanella, san Giuseppe Moscati, san Giuseppe Marello, san Luigi Orione, san Leonardo Murialdo, san Padre Pio da Pietrelcina, santa Francesca Saverio Cabrini e san Massimiliano Maria Kolbe. Tra i papi che hanno visitato il santuario vi sono san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco. Il santuario ha la dignità di basilica pontificia. È cattedrale della prelatura territoriale ed è sede della delegazione pontificia. La storia del santuario è legata a quella del beato Bartolo Longo, co-fondatore insieme alla sua consorte, la contessa Marianna Farnararo de Fusco (vedova del conte Albenzio de Fusco), con la quale condivise una vita dedicata al servizio dei più bisognosi. Il santuario è stato costruito grazie alle offerte spontanee dei fedeli di ogni parte del mondo. La sua costruzione ebbe inizio l'8 maggio 1876 mediante la raccolta dell'offerta di un soldo al mese promossa dalla contessa. Primo a seguirne i lavori fu Antonio Cua, docente dell'Università di Napoli, che diresse gratuitamente la costruzione della parte rustica. Giovanni Rispoli in seguito si occupò della decorazione e della monumentale facciata inaugurata nel 1901. Il santuario fu elevato a basilica pontificia maggiore da papa Leone XIII il 4 maggio 1901. A croce latina, aveva inizialmente una sola navata con abside, cupola, quattro cappelle laterali e due cappelle nella crociera. Ai due lati del santuario vi erano altre due cappelle con ingressi distinti ma intercomunicanti con la navata centrale: a sinistra, la cappella di Santa Caterina da Siena, ove fu esposto inizialmente il quadro della Madonna durante la costruzione del santuario; a destra, la cappella del Santissimo Salvatore che prese il posto dell'omonima parrocchia che sorgeva in quel luogo fino al 1898 e che fu poi ricostruita a poche decine di metri di distanza. Nel 1925 fu ultimata la costruzione del campanile alto ben 88 metri. Con il passare del tempo e il sensibile aumento del numero dei fedeli si rese necessario l'ampliamento del santuario eseguito dal 1934 al 1938 su progetto del Chiappetta. Il santuario ebbe così tre navate (quella centrale non fu modificata) mentre vennero ampliate l'abside e la cupola. Gli esterni furono rivestiti in armonia con la monumentale facciata facendo acquistare al santuario l'aspetto di una grande basilica romana. Negli anni successivi il santuario sopravvisse all'eruzione del Vesuvio del 1944 e all'arrivo delle truppe naziste che arrivarono a minacciarne la distruzione. È stato meta di pellegrinaggi da parte di papa Giovanni Paolo II il 21 ottobre 1979 e il 7 ottobre 2003, di papa Benedetto XVI il 19 ottobre 2008 e di papa Francesco il 21 marzo 2015. L'11 novembre 1962 nella piazza antistante il santuario fu collocato il monumento a Bartolo Longo, opera dello scultore ravennate Domenico Ponzi. Alla solenne cerimonia inaugurale intervenne l'allora presidente della repubblica, Antonio Segni. Oltre che meta di pellegrinaggi, il santuario attira molti turisti da tutto il mondo. Ogni anno oltre quattro milioni di persone si recano in visita al santuario che risulta pertanto tra i più visitati d'Italia. In particolare l'8 maggio e la prima domenica di ottobre decine di migliaia di fedeli si recano nella città di Pompei per assistere alla pratica devozionale della Supplica alla Madonna di Pompei (l'Ora del Mondo, recitata dai devoti della Madonna del Rosario in contemporanea ovunque essi siano) scritta dal beato Bartolo Longo e trasmessa da radio e televisione in tutto il mondo. In onore della Vergine del Santo Rosario, il beato Bartolo Longo compose una preghiera di Supplica, approvata dall'autorità ecclesiastica. La preghiera è nota e recitata in tutta la Chiesa, in modo particolare l'8 maggio (con indulgenza plenaria) a mezzogiorno e la prima domenica di Ottobre, quale introduzione ai rispettivi mesi di preghiera mariana. Bartolo Longo, nel suo intento di propagandare la pratica del Rosario tra i pompeiani, si recò a Napoli per acquistare un dipinto della Madonna del Rosario. L'idea era quella di acquistarne uno già visto in un negozio: ma le cose andarono diversamente. Per puro caso infatti incontrò in via Toledo Padre Radente (suo confessore) che allo scopo gli consigliò di andare in suo nome al Conservatorio del Rosario di Portamedina e di chiedere a suor Maria Concetta De Litala un vecchio dipinto del Rosario che egli stesso le aveva affidato dieci anni prima. Bartolo seguì il consiglio ma rimase sconcertato quando la suora gli mostrò il dipinto: una tela corrosa dalle tarme e logorata dal tempo, mancante di pezzi di colore e con la Madonna che insolitamente porge la corona a santa Rosa anziché a santa Caterina da Siena come vuole la tradizione domenicana. Bartolo fu sul punto di rinunciare ma, dietro insistenza della suora, ritirò il dipinto. Nel tardo pomeriggio del 13 novembre 1875 l'immagine della Madonna giunse a Pompei su un carretto guidato dal carrettiere Angelo Tortora e adibito al trasporto di letame. Avvolta in una coperta logora e consunta, fu scaricata davanti alla fatiscente parrocchia del Santissimo Salvatore dove ad aspettarla c'erano l'anziano parroco Cirillo, Bartolo e altri abitanti. Quando, tolta la coperta, fu mostrato il dipinto, lo stesso stupore che a prima vista aveva colto Bartolo si manifestò anche negli altri presenti. Tutti concordarono che esso non potesse essere esposto in quelle condizioni se non dopo un suo restauro sia pure parziale. Il primo fu opera di Guglielmo Galella, un pittore che riproduceva le immagini dipinte negli scavi dell'antica Pompei. Nei successivi tre anni la vecchia tela, esposta nella parrocchia del Santissimo Salvatore, andò incontro a ulteriori deterioramenti. Fu restaurata una seconda volta e sempre gratuitamente dal pittore napoletano Federico Maldarelli che si occupò tra l'altro di trasformare la figura di santa Rosa in santa Caterina da Siena. Un altro artista napoletano, Francesco Chiariello, sostituì la malandata tela allungandola di un palmo prima che Maldarelli effettuasse il secondo restauro. Il dipinto non tornò nella parrocchia del Salvatore ma fu posto su un altare provvisorio allestito in una delle cappelle (ribattezzata successivamente di santa Caterina) all'interno del santuario in costruzione. L'immagine della Madonna si coprì ben presto di pietre preziose offerte dai fedeli quale attestato di grazie ricevute. Papa Leone XIII nel 1887 benedisse il meraviglioso diadema che cingeva la fronte della Vergine. Tra i diamanti e gli zaffiri che formavano le aureole sul capo della Madonna e del Bambino si potevano notare quattro rarissimi smeraldi offerti da due ebrei per grazia ricevuta. L'ultimo restauro fu effettuato nel 1965 presso il Pontificio istituto dei padri benedettini olivetani di Roma, un restauro altamente scientifico durante il quale furono riesumati i colori originali che erano stati coperti da altri che vi si erano sovrapposti nel corso dei precedenti interventi e che furono fatti risalire a un valente artista della scuola di Luca Giordano (XVII secolo). Vennero inoltre eliminate quasi tutte le pietre preziose che avrebbero potuto arrecare danni alla tela. In quell'occasione l'immagine della Madonna rimase esposta alla venerazione dei fedeli per alcuni giorni nella basilica di San Pietro: il 23 aprile il dipinto fu incoronato da papa Paolo VI. Il suo ritorno a Pompei avvenne in maniera solenne con un corteo di ecclesiastici e di fedeli che cresceva sempre più man mano che si attraversavano le città lungo il tragitto che da Roma portava a Pompei. A sera inoltrata il dipinto giunse a Napoli accolto con luminarie e fiaccolate per poi proseguire con un largo seguito di napoletani fino a Pompei dove il viaggio si concluse in modo trionfale con una grande manifestazione. Nel 2000, in occasione del suo 125º anniversario, il dipinto è stato esposto per cinque giorni nel Duomo di Napoli venerato da migliaia di fedeli. Il ritorno a Pompei è stato fatto a piedi ripercorrendo il tracciato del 1875 e facendo tappa in diverse città della provincia. Per tutto il giorno centinaia di migliaia di persone hanno affollato il percorso di trenta chilometri che si snoda tra Pompei e il capoluogo campano. Il 16 ottobre 2002 il dipinto è tornato in piazza San Pietro su esplicita richiesta di papa Giovanni Paolo II che, accanto alla “bella immagine venerata a Pompei”, ha firmato la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae. Ha aspetto basilicale ed è caratterizzata da due ordini sovrapposti. L'ordine inferiore, in stile ionico, presenta centralmente un corpo avanzato in corrispondenza della navata centrale. In quest'ordine sono presenti tre arcate (con la centrale maggiore) che immettono al portico e quindi ciascuna ad una navata. Nella parte bassa di quest'ordine è presente un robusto basamento dal quale si elevano, in corrispondenza di ciascuna arcata, pilastri (per le arcate laterali) e quattro colonne monolitiche di 6,80 metri di granito rosa (per l'arcata centrale). Tali pilastri e colonne hanno basi attiche e capitelli ionici. Sopra le arcate c'è la scritta "VIRGINI S.S. ROSARII DICATVM" (Dedicato alla Vergine del Santo Rosario). L'ordine superiore segue la disposizione di quello inferiore, nella distribuzione dei pilastri e delle colonne, ma in stile corinzio. Nella parte centrale dell'ordine superiore, ovvero al di sopra dell'arcata maggiore, è situata la Loggia Papale, caratterizzata da una balaustra di marmo bianco. L'ordine superiore presenta una cornice, decorata con mensole, e nel mezzo un frontone, nel cui timpano è collocato lo stemma in marmo bianco di papa Leone XIII, dal quale il santuario è stato dichiarato Basilica il 4 maggio 1901. Alla sommità dell'ordine superiore è presente un attico con balaustra. Ai lati di quest'ultima sono posti un grosso orologio (a sinistra) e una meridiana di pari dimensioni (a destra). Al centro invece, su una robusta base, è collocata la statua della Vergine del Rosario. Tale statua, opera dello scultore Gaetano Chiaramonte, è alta ben 3,25 metri ed è stata tratta da un sol pezzo di marmo di Carrara dal peso di 180 quintali. Sulla base su cui poggia la statua, è scolpito il motto "PAX" (Pace) cui l'intera facciata è dedicata e più in basso la data MCMI (1901). Nel portico della facciata sono collocate quattro nicchie ove sono poste le statue in marmo di San Ludovico da Casoria, di San Luigi Guanella, di San Leonardo Murialdo e di Santa Francesca Saverio Cabrini, nomi legati alla storia del santuario. La posa della prima pietra del campanile avvenne il 12 maggio 1912. Dopo tredici anni, il 24 maggio 1925 avvenne l'inaugurazione con una solenne cerimonia in presenza di Bartolo Longo (che allora aveva 84 anni). Il campanile sorge su una palizzata in cemento armato di una superficie di circa 400 m². Architettonicamente la struttura è costituita da tre parti: l'esterna, decorata di granito grigio; l'interna di mattoni pressati; una terza centrale composta da un'armatura a castello di travi metalliche che forma una torre di collegamento, dal peso di 100 000 kg, che sostiene una scala in ferro che conduce fino alla sommità. Il campanile è visibile anche a chilometri di distanza in quanto è alto ben 80 metri e presenta al vertice una croce di bronzo alta 7 metri (illuminata di notte), opera dell'architetto Aristide Leonori. È in stile corinzio ed è caratterizzato da cinque ordini sovrapposti, all'ultimo dei quali è presente una terrazza con balaustra, raggiungibile mediante un ascensore interno, visitabile tutti i giorni e dalla quale è possibile avere una vista panoramica che passa dalle isole del golfo fino all'Appennino, agli Scavi, al Vesuvio e alla Valle del Sarno. Al primo ordine è presente un portone di grandi dimensioni baroccamente decorato. Una nicchia al quarto ordine racchiude un'imponente statua di 6 metri e dal peso di 180 quintali in marmo di Carrara, rappresentante il Sacro Cuore di Gesù con sopra la scritta "VENITE AD ME OMNES" (Venite a me voi tutti). Ai quattro angoli del terzo ordine sono invece posti quattro grandi angeli in bronzo che danno fiato alle trombe. Un sistema elettrico mette in funzione un concerto di otto campane, di differenti dimensioni e quindi di suono. La campana maggiore ha 2 metri di diametro e pesa 50 quintali. Tali campane, riccamente decorate, furono formate dalla fonderia Marinelli nel cortile della allora proprietà Falanga in Via Sacra, a poche decine di metri dal santuario, usando 100 quintali di cannoni di guerra, cui si aggiunsero 50 quintali di rame e una quantità proporzionale di stagno per ottenere i 180 quintali di bronzo necessari. Durante i lavori di ampliamento del santuario del 1934-38 la superficie sacra fu quintuplicata fino a raggiungere ben 5000 m². In particolare la navata centrale rimase intatta, ma fu prolungata notevolmente, furono create le due navate laterali in corrispondenza dei due ingressi laterali della facciata, fu abbattuta la vecchia cupola per costruirne un'altra più alta, più avanti e fu aumentato il numero degli altari. Infine utilizzando lo spazio tra le grandi campate in cemento armato che si erano rese necessarie per sostenere l'imponente peso della struttura, tra le fondazioni, fu ricavata una cripta. La navata centrale, che quindi non subì grandi modifiche, presenta tutto intorno un grande cornicione corinzio. La volta, divisa in vari compartimenti riccamente decorati, presenta nel mezzo un affresco di grandi dimensioni di Vincenzo Paliotti. Ai lati della navata centrale, trovano spazio anche le due statue bronzee (opera del Tonnini) dei Fondatori (Bartolo Longo e la Contessa De Fusco). L'attuale abside, quintuplicata rispetto all'originale, è sostenuta da due grandi colonne di marmo grigio e da 8 colonne più piccole in marmo colorato che sorreggono le 9 arcate su cui poggia la volta centrale dell'abside. L'affresco della volta centrale che rappresenta l'Assunzione della Vergine è opera di Pasquale Arzuffi. Una balaustra a semicerchio circonda il trono e l'altare maggiore. Al centro di essa vi è un artistico cancello con cinque nicchie in ciascuna delle quali è collocata una statua d'argento (rappresentano la religione, la fede, la carità, la speranza e la purità). Il trono è distaccato dall'altare. Due pilastri rivestiti in marmo nero sorreggono il piano del trono. Su di esso sono collocate due angeli di bronzo (opera dell'artista Salvatore Cepparulo). Quattro colonne in marmo alte 4 metri, si innalzano dal piano del trono e presentano basi e capitelli corinzi in bronzo dorato. La parte posteriore del trono è rivestita di marmi preziosi. Il quadro della Madonna è collocato tra marmi policromi, lastre di onice e lapislazzuli ed intorno sono presenti 15 medaglioni in rame sui quali il Paliotti dipinse i "quindici misteri" del Rosario. Il 12 luglio 2018 sono stati aggiunti intorno al quadro anche i 5 misteri della luce, facendoli diventare 20. Il ciborio, ad imitazione del Pantheon di Roma, è ricco di metalli e marmi preziosi. Ha forma ottagonale e possiede una grande quantità di oro, argento, bronzo, marmo e statue bronzee. Nelle volte delle cappelle delle navate laterali e dell'abside sono rappresentati i "quindici misteri" in mosaico della Scuola Vaticana. E sugli altari di tali cappelle vi sono quadri dipinti da artisti di diversi periodi. La primitiva cupola, alta 29 metri, fu sostituita dopo i lavori di ampliamento con l'attuale, di maggiori dimensioni e alta ben 57 metri. Essa è al centro di altre quattro cupole minori. Architettonicamente si compone di due tamburi sovrapposti e termina con un cupolino dal quale svetta la croce. Essa è stata affrescata dall'artista Angelo Landi, il quale vi ha dipinto 360 figure su una superficie di ben 509 m². Ricavata tra le fondazioni del santuario, dopo i lavori di ampliamento, la cripta è in effetti un secondo santuario ove si celebrano le messe ed hanno luogo le confessioni. Al centro è collocato l'altare maggiore mentre gli altri altari sono alle spalle di quello principale. Dietro l'altare centrale, in una cappella dedicata al Beato, riposano i resti di Bartolo Longo, raccolti e ricomposti in un'urna esposta ai fedeli. Riposano nella cripta anche i resti della Contessa De Fusco, di padre Radente, di suor Maria Concetta De Litala, del vescovo di Nola mons. Formisano, del patriarca Anastasio Rossi, del vicario mons. Vincenzo Celli e di mons. Francesco Saverio Toppi, arcivescovo emerito di Pompei e frate cappuccino. I pilastri della cripta sono stati affrescati da Mirco Casaril con vicende che illustrano le prime vicende della storia del santuario e dell'Incoronazione dell'immagine della Vergine, fatta da Paolo VI nel 1965, dopo il restauro. Sulle pareti della cripta si ammira anche la Via Crucis donata da padre Ludovico da Casoria, quando il santuario era ancora in costruzione. Durante la costruzione del santuario, Bartolo Longo ordinò a Pacifico Inzoli la costruzione dell'organo a canne del santuario. Lo strumento venne collocato sopra la cantoria in controfacciata e la sua inaugurazione fu l'8 maggio 1890. L'organo era a tre tastiere (Grand'Organo-Espressivo-Espressivo) con pedaliera; i registri della seconda e della terza tastiera erano gli stessi. Dopo la seconda guerra mondiale, Vincenzo Mascioni ricostruì l'organo su progetto dei Maestri Fernando Germani e Ferruccio Vignanelli; il nuovo strumento venne realizzato nel 1949 e inaugurato nel 1952. Un organista storico del santuario di Pompei fu il fratello delle scuole cristiane: Nicolino Sicignano (1907-1990). L'organo a canne Mascioni opus 650, a trasmissione elettronica per la consolle ed elettro-pneumatica per i registri, consta di sette corpi fonici, quattro sul portale e tre in cupola: sulla cantoria in controfacciata il Positivo, il Grand'Organo, l'Espressivo, comandati rispettivamente dalla prima, dalla seconda e della terza tastiera, e la prima sezione del Pedale; nella cupola, il Solo, l'Eco, comandati rispettivamente dalla seconda e dalla terza tastiera, e la seconda sezione del Pedale. La cantoria, pregiatamente decorata, racchiude l'organo portale in una cassa lignea dorata, contenente anche canne degli organi preesistenti, e accoglie la consolle Mascioni a tre manuali di 61 note ciascuno e pedaliera concavo-radiale di 32 note. Nell'anno 2005, la Ditta Mascioni ha effettuato un restauro radicale, con il rifacimento di alcune componenti interne e la sostituzione del precedente impianto trasmissivo tra la consolle e i corpi fonici con un sistema elettronico di più moderna tecnologia. Nel mese di febbraio 2016, sono iniziati i lavori di manutenzione straordinaria del Grande Organo Monumentale, affidati alla Casa organaria costruttrice Mascioni, in seguito ad un periodo di inutilizzo dovuto ai lavori di restauro della Basilica, non ancora terminati. L'organo dispone di 87 registri e 5624 canne. Nel deambulatorio, alla destra dell'altare maggiore, si trova un organo costruito dalla ditta Consoli nel 2011; esso è costituito da una consolle elettronica Rodgers Artist Series 599 con registri campionati e da un corpo di canne da essa comandato. I registri sonori reali e derivati, in totale dieci, sono distribuiti sulla seconda e terza tastiera della consolle elettronica, che ha tre tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32. Nel 1902 la famiglia Ciccodicola di Arpino donò al santuario di Pompei due preziose reliquie. Nello specifico si trattava di una spina, intrisa di sangue, che sarebbe appartenuta alla corona di spine posta sul capo di Gesù Cristo e di un pezzetto di legno della santa croce. Il Museo Diocesano di Pompei si divide in due plessi: il Museo del Santuario e il Museo del Villino di Bartolo Longo. La prima sezione, quella del Museo del Santuario, è stata istituita nel 1900 e successivamente ristrutturata e ampliata prima nel 1970 e poi nel 2000 in occasione dell’anno giubilare. Tale sezione si trova all'interno del santuario. All’interno del museo è possibile trovare dei reperti di tipo storico-artistico e prevalentemente ex voto del Santuario: argenti, ori, arredi liturgici, avori, coralli, ceramiche, presepi napoletani, armature e altri oggetti di grande valore. All’interno delle vetrine vi sono principalmente santi e Madonne scolpiti o dipinti su tavolette. Fu molto importante il lavoro di alcuni artigiani, che hanno contribuito alla formazione della memoria storica del popolo e ad un’importante testimonianza artistica e culturale. Prima vetrina: vi sono un Gesù bambino e alcune Madonne realizzate in cartapesta e legno e conservate sotto campane di vetro; sono esposti anche busti realizzati in bronzo e vasi di porcellana. Seconda, terza e quarta vetrina: piatti, vasi, statuine e brocche realizzate con vari materiali; centrotavola realizzati in porcellana di Capodimonte. Quinta vetrina: bicchieri e bottiglie di Murano, cristalli di Boemia, oggetti vari quali vasi e centrotavola. Sesta vetrina: testi liturgici aventi copertine in lamina di bronzo dorato e materiali vari, statuine in ceramica, leggio in legno con raffigurazione della Madonna di Pompei. Settima vetrina: piastrelle, piatti e statuine realizzate in ceramica e in avorio. Ottava, nona e decima vetrina: orologi, vasi in ceramica di Capodimonte, mattonelle, centrotavola e piatti di vari materiali. Undicesima e dodicesima vetrina: candelabri in bronzo dorato e alabastro, corone, croci. Tredicesima vetrina: sculture raffiguranti la facciata della Basilica, il Calvario, la Madonna del Rosario e la Natività, tutto realizzato in avorio. Quattordicesima vetrina: centrotavola e statuine realizzate in ceramica italiana e straniera. Quindicesima vetrina: presepe napoletano, vasi realizzati in ceramica, bronzo e opalina, statuette in bronzo e centrotavola in alabastro. Sedicesima vetrina: vasi e statuine cinesi. Diciassettesima vetrina: orologi realizzati in bronzo e ceri policromi. Diciottesima vetrina: statuine realizzate in argento raffiguranti bambini. Diciannovesima vetrina: vasi, candelabri e centrotavola in argento. Ventesima vetrina: candelabri, portacandele e statuine di bambini realizzate in argento. Ventunesima vetrina: calici realizzati in oro, argento e bronzo dorato. Ventiduesima vetrina: statue realizzate in cartapesta, bronzo e argento, raffiguranti Santi, Madonne e Bambini. Ventitreesima vetrina: medaglie, spadini e armi. Arcivescovo Francesco Saverio Toppi † (1996 - 17 febbraio 2001 ritirato) Arcivescovo Domenico Sorrentino (17 febbraio 2001 - 2 agosto 2003 nominato segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti) Arcivescovo Carlo Liberati (5 novembre 2003 - 10 novembre 2012 ritirato) Arcivescovo Tommaso Caputo, dal 10 novembre 2012 Nunzio Tamburro - "Pompei Fondata Da Bartolo Longo, Storia E Guida (1875-1987)" - 1987 Antonio Ferrara, La memoria e lo zelo di Luigi Fato, 1° zelatore del Pontificio Santuario di Pompei, Sarno 2009 Antonio Ferrara, Angelandrea Casale, I Prelati del Pontificio Santuario di Pompei dal 1890 al 2012. La storia, la cronotassi, i ritratti, i cenni biografici e gli emblemi araldici, edizioni Santuario di Pompei, Sarno 2012 Mario Rosario Avellino, Pompei / L'organo del Santuario, Pontificio Santuario di Pompei, Pompei 1995 Rino Cammilleri, Tutti i giorni con Maria: calendario delle apparizioni, Milano, Edizioni Ares, 2020, ISBN 978-88-815-59-367. Supplica alla Madonna di Pompei Rosario Bartolo Longo Lista delle torri e dei campanili più alti d'Italia Pompei (comune) Edoardo Ciccodicola Suore domenicane figlie del Santo Rosario Wikibooks contiene testi o manuali sulle disposizioni foniche degli organi a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei Il sito del Santuario di Pompei. Sito dell'Istituto Bartolo Longo diretto dai Fratelli delle Scuole Cristiane, su vivalasalle.it. URL consultato il 31 luglio 2019 (archiviato dall'url originale il 21 dicembre 2017). Bartolo Longo dal sito Santi e Beati, su santiebeati.it. Sito del Comune di Pompei, su comune.pompei.na.it. Azienda di Cura, Soggiorno e Turismo di Pompei, su pompeiturismo.it. Testo della Supplica in dieci lingue , su santuario.it. Chiesa della Beata Vergine del Rosario (Pompei) su BeWeB - Beni ecclesiastici in web (IT, EN, FR, DE, ES, PT) Recita del Santo Rosario e meditazione di Benedetto XVI, su vaticana.va, Pontificio Santuario di Pompeu, 19 ottobre 2008. URL consultato il 29 ottobre 2018 (archiviato dall'url originale il 12 settembre 2016). Il grande organo "Mascioni" del Santuario di Pompei in un c.d. di Paolo Bottini con musiche di Matteo Iannone, organista presso il Santuario dal 1985 al 2006, su matteoiannone.it. Museo del Santuario di Pompei su BeWeb - Beni ecclesiastici in Web

Abbazia di Santa Maria di Realvalle

L'abbazia di Santa Maria di Realvalle è un'abbazia cistercense del XIII secolo che si trova nel comune di Scafati (SA). L'abbazia fu eretta nel 1274 per volontà di Carlo d'Angiò a commemorazione della vittoria decisiva, con l'appoggio papale, nella battaglia di Campo San Marco presso Benevento (1266) su Manfredi e quindi sul dominio svevo nel regno di Sicilia. L'abbazia, ricchissima di dotazioni regie, prosperò fin quando regnarono a Napoli gli Angioini; ma già prima che subentrassero gli Aragonesi era iniziata un'irresistibile decadenza, aggravata dal grande terremoto che nel 1456 ne distrusse in gran parte le strutture. Essa riuscì tuttavia a sopravvivere fino alla soppressione degli ordini religiosi benedettini e loro derivazioni, ordinata da Gioacchino Murat nel 1808, con l'incameramento da parte dello Stato dei loro beni e la successiva vendita. Alla fine dello stesso secolo, a seguito di un lascito, il complesso pervenne alle Suore Francescane Alcantarine. Dal 2022, però le Suore Francescane Alcantarine non risiedono più nella struttura. Convivono a Realvalle testimonianze di fede che spaziano sull'arco di oltre sette secoli, e memorie architettoniche che vanno dal gotico francese, attraverso il barocco, fino all'Ottocento e ai tempi moderni con la nuova cappella di Santa Maria di Realvalle nel convento delle suore francescane alcantarine, dello scultore Angelo Casciello. La struttura nel corso del XV e XVI secolo, fu affidata a diversi commendatari. Negli anni 1590-1597 il priore Don Martino riuscì ad erigere una chiesetta per la messa e a riparare parte dell'ala conversi. L'abbazia è articolata in blocchi strutturali, correlati tra loro e disposti intorno all'immenso chiostro d'epoca angioina, fulcro dell'intera organizzazione spaziale: dell'ala monaci disposta ad est restano pochi elementi, come pure del refettorio con le cucine, forse posizionato nell'ambiente denominato sala a pilastri, mentre l'ala conversi s'è interamente conservata, anche se è stata oggetto di rimaneggiamenti. Dal prospetto principale, l'accesso all'ala conversi è caratterizzato da un ambiente imponente, con volte a crociera, che introduce al cortile colonnato, denominato corte dei conversi, da cui è possibile raggiungere il chiostro. A nord e a sud dell'ingresso si dispongono alcuni ambienti utilizzati come magazzini per le derrate alimentari e stalle per il ricovero dei cavalli. Accanto al prospetto dell'ala conversi è disposta la facciata principale della chiesa settecentesca, per la quale alcuni ambienti dell'impianto gotico furono ampliati: negli anni 1740-1748 fu, infatti, eretta la cappella con abside a pianta semicircolare, modificata dopo il 1834 per assumere l'attuale configurazione di chiesa ad aula unica, con copertura di volta a botte. Tornando al fulcro del complesso abbaziale, gli elementi superstiti visibili del chiostro sono tre muri - quello settentrionale in cui s'intravedono le alte monofore che illuminavano la chiesa abbaziale, quello occidentale in comune con l'ala conversi, quello meridionale in cui un tempo s'apriva una porta d'accesso al refettorio - ed i peducci, sui quali erano impostate le volte a crociera, che coprivano un porticato aperto sullo spazio centrale, di cui non si è conservata alcuna traccia. A nord del prospetto principale dell'abbazia si raggiungono la masseria sette-ottocentesca, che conserva in un ambiente a piano terra un forno in pietra, ed il muro della chiesa abbaziale con le gotiche monofore in blocchi lapidei, arricchite da raffinati capitelli a foglie d'acanto e croquet. La sala scoperta, la cosiddetta sala a pilastri, posta a sud del chiostro, è caratterizzata dalla presenza di grossi pilastri quadrati di lato 1,3 m ed è preceduta da un vestibolo coperto con volte a vela, impostate su pilastri della medesima dimensione, e da un altro vano notevolmente trasformato agl'inizi del XX secolo. La sala è identificabile con una parte dell'antico refettorio, rimaneggiato tra XVI e XVIII secolo per edificare nuovi ambienti, che avrebbero dovuto ospitare i monaci e che non vennero mai ultimati. Angelo Pesce, Santa Maria di Real Valle. Un'abbazia cistercense del Duecento a San Pietro di Scafati, Castellammare di Stabia 2002. Abbazia Cistercense di Santa Maria di Realvalle, su rotaryscafatiangrirealvalle.it. L'abbazia dimenticata di Santa Maria di Realvalle, su lacittadisalerno.it. Abbazia di Santa Maria di Realvalle, su loquis.com. Realvalle, su cistercensi.info. Restauro del Centro S. Francesco nell'Abbazia di Santa Maria di Realvalle, su archilovers.com.