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Stazione di Pompei Santuario

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Pompei Santuario
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La stazione di Pompei Santuario è una stazione della ferrovia Circumvesuviana, sita nel comune di Pompei. Si trova sulla ferrovia Napoli-Pompei-Poggiomarino. In origine la stazione era chiamata semplicemente Pompei. In seguito, poiché poteva essere confusa con la stazione di Pompei Scavi-Villa dei Misteri sulla ferrovia Torre Annunziata-Sorrento, venne aggiunta la denominazione di Santuario, in quanto la stazione si trova nei pressi del santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei. Il fabbricato viaggiatori è stato ricostruito in luogo di quello originario, di minori dimensioni e ubicato a poca distanza: al suo interno ospita biglietteria e sala d'attesa. La stazione è presenziata. Vi sono tre binari passanti per il servizio passeggeri muniti di 2 banchine con pensiline e collegati tramite un sottopassaggio. Nella stazione fermano tutti i treni in transito e le destinazioni sono Napoli e Poggiomarino. La stazione dispone di: Biglietteria a sportello Biglietteria automatica Fra il 1924 e il 1952 presso la stazione si attestavano le corse della tranvia Salerno-Pompei, esercita dalla società Tranvie Elettriche della Provincia di Salerno (TEPS). Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stazione di Pompei Santuario Storia e immagini delle stazioni di Pompei, su stazionidelmondo.it. URL consultato il 10 novembre 2018 (archiviato dall'url originale il 30 marzo 2009). Il progetto per la nuova stazione di Pompei Santuario, su interplan2.it. URL consultato il 15 settembre 2009 (archiviato dall'url originale il 28 ottobre 2010).

Estratto dall'articolo di Wikipedia Stazione di Pompei Santuario (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Stazione di Pompei Santuario
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Pompei Santuario
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Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei
Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei

Il pontificio santuario della Beata Vergine del Santo Rosario un luogo di culto cattolico di Pompei, situato nella città metropolitana di Napoli. È uno dei santuari mariani più visitati d'Italia. Numerosi personaggi e santi vi hanno fatto visita tra cui san Ludovico da Casoria, san Luigi Guanella, san Giuseppe Moscati, san Giuseppe Marello, san Luigi Orione, san Leonardo Murialdo, san Padre Pio da Pietrelcina, santa Francesca Saverio Cabrini e san Massimiliano Maria Kolbe. Tra i papi che hanno visitato il santuario vi sono san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco. Il santuario ha la dignità di basilica pontificia. È cattedrale della prelatura territoriale ed è sede della delegazione pontificia. La storia del santuario è legata a quella del beato Bartolo Longo, co-fondatore insieme alla sua consorte, la contessa Marianna Farnararo de Fusco (vedova del conte Albenzio de Fusco), con la quale condivise una vita dedicata al servizio dei più bisognosi. Il santuario è stato costruito grazie alle offerte spontanee dei fedeli di ogni parte del mondo. La sua costruzione ebbe inizio l'8 maggio 1876 mediante la raccolta dell'offerta di un soldo al mese promossa dalla contessa. Primo a seguirne i lavori fu Antonio Cua, docente dell'Università di Napoli, che diresse gratuitamente la costruzione della parte rustica. Giovanni Rispoli in seguito si occupò della decorazione e della monumentale facciata inaugurata nel 1901. Il santuario fu elevato a basilica pontificia maggiore da papa Leone XIII il 4 maggio 1901. A croce latina, aveva inizialmente una sola navata con abside, cupola, quattro cappelle laterali e due cappelle nella crociera. Ai due lati del santuario vi erano altre due cappelle con ingressi distinti ma intercomunicanti con la navata centrale: a sinistra, la cappella di Santa Caterina da Siena, ove fu esposto inizialmente il quadro della Madonna durante la costruzione del santuario; a destra, la cappella del Santissimo Salvatore che prese il posto dell'omonima parrocchia che sorgeva in quel luogo fino al 1898 e che fu poi ricostruita a poche decine di metri di distanza. Nel 1925 fu ultimata la costruzione del campanile alto ben 88 metri. Con il passare del tempo e il sensibile aumento del numero dei fedeli si rese necessario l'ampliamento del santuario eseguito dal 1934 al 1938 su progetto del Chiappetta. Il santuario ebbe così tre navate (quella centrale non fu modificata) mentre vennero ampliate l'abside e la cupola. Gli esterni furono rivestiti in armonia con la monumentale facciata facendo acquistare al santuario l'aspetto di una grande basilica romana. Negli anni successivi il santuario sopravvisse all'eruzione del Vesuvio del 1944 e all'arrivo delle truppe naziste che arrivarono a minacciarne la distruzione. È stato meta di pellegrinaggi da parte di papa Giovanni Paolo II il 21 ottobre 1979 e il 7 ottobre 2003, di papa Benedetto XVI il 19 ottobre 2008 e di papa Francesco il 21 marzo 2015. L'11 novembre 1962 nella piazza antistante il santuario fu collocato il monumento a Bartolo Longo, opera dello scultore ravennate Domenico Ponzi. Alla solenne cerimonia inaugurale intervenne l'allora presidente della repubblica, Antonio Segni. Oltre che meta di pellegrinaggi, il santuario attira molti turisti da tutto il mondo. Ogni anno oltre quattro milioni di persone si recano in visita al santuario che risulta pertanto tra i più visitati d'Italia. In particolare l'8 maggio e la prima domenica di ottobre decine di migliaia di fedeli si recano nella città di Pompei per assistere alla pratica devozionale della Supplica alla Madonna di Pompei (l'Ora del Mondo, recitata dai devoti della Madonna del Rosario in contemporanea ovunque essi siano) scritta dal beato Bartolo Longo e trasmessa da radio e televisione in tutto il mondo. In onore della Vergine del Santo Rosario, il beato Bartolo Longo compose una preghiera di Supplica, approvata dall'autorità ecclesiastica. La preghiera è nota e recitata in tutta la Chiesa, in modo particolare l'8 maggio (con indulgenza plenaria) a mezzogiorno e la prima domenica di Ottobre, quale introduzione ai rispettivi mesi di preghiera mariana. Bartolo Longo, nel suo intento di propagandare la pratica del Rosario tra i pompeiani, si recò a Napoli per acquistare un dipinto della Madonna del Rosario. L'idea era quella di acquistarne uno già visto in un negozio: ma le cose andarono diversamente. Per puro caso infatti incontrò in via Toledo Padre Radente (suo confessore) che allo scopo gli consigliò di andare in suo nome al Conservatorio del Rosario di Portamedina e di chiedere a suor Maria Concetta De Litala un vecchio dipinto del Rosario che egli stesso le aveva affidato dieci anni prima. Bartolo seguì il consiglio ma rimase sconcertato quando la suora gli mostrò il dipinto: una tela corrosa dalle tarme e logorata dal tempo, mancante di pezzi di colore e con la Madonna che insolitamente porge la corona a santa Rosa anziché a santa Caterina da Siena come vuole la tradizione domenicana. Bartolo fu sul punto di rinunciare ma, dietro insistenza della suora, ritirò il dipinto. Nel tardo pomeriggio del 13 novembre 1875 l'immagine della Madonna giunse a Pompei su un carretto guidato dal carrettiere Angelo Tortora e adibito al trasporto di letame. Avvolta in una coperta logora e consunta, fu scaricata davanti alla fatiscente parrocchia del Santissimo Salvatore dove ad aspettarla c'erano l'anziano parroco Cirillo, Bartolo e altri abitanti. Quando, tolta la coperta, fu mostrato il dipinto, lo stesso stupore che a prima vista aveva colto Bartolo si manifestò anche negli altri presenti. Tutti concordarono che esso non potesse essere esposto in quelle condizioni se non dopo un suo restauro sia pure parziale. Il primo fu opera di Guglielmo Galella, un pittore che riproduceva le immagini dipinte negli scavi dell'antica Pompei. Nei successivi tre anni la vecchia tela, esposta nella parrocchia del Santissimo Salvatore, andò incontro a ulteriori deterioramenti. Fu restaurata una seconda volta e sempre gratuitamente dal pittore napoletano Federico Maldarelli che si occupò tra l'altro di trasformare la figura di santa Rosa in santa Caterina da Siena. Un altro artista napoletano, Francesco Chiariello, sostituì la malandata tela allungandola di un palmo prima che Maldarelli effettuasse il secondo restauro. Il dipinto non tornò nella parrocchia del Salvatore ma fu posto su un altare provvisorio allestito in una delle cappelle (ribattezzata successivamente di santa Caterina) all'interno del santuario in costruzione. L'immagine della Madonna si coprì ben presto di pietre preziose offerte dai fedeli quale attestato di grazie ricevute. Papa Leone XIII nel 1887 benedisse il meraviglioso diadema che cingeva la fronte della Vergine. Tra i diamanti e gli zaffiri che formavano le aureole sul capo della Madonna e del Bambino si potevano notare quattro rarissimi smeraldi offerti da due ebrei per grazia ricevuta. L'ultimo restauro fu effettuato nel 1965 presso il Pontificio istituto dei padri benedettini olivetani di Roma, un restauro altamente scientifico durante il quale furono riesumati i colori originali che erano stati coperti da altri che vi si erano sovrapposti nel corso dei precedenti interventi e che furono fatti risalire a un valente artista della scuola di Luca Giordano (XVII secolo). Vennero inoltre eliminate quasi tutte le pietre preziose che avrebbero potuto arrecare danni alla tela. In quell'occasione l'immagine della Madonna rimase esposta alla venerazione dei fedeli per alcuni giorni nella basilica di San Pietro: il 23 aprile il dipinto fu incoronato da papa Paolo VI. Il suo ritorno a Pompei avvenne in maniera solenne con un corteo di ecclesiastici e di fedeli che cresceva sempre più man mano che si attraversavano le città lungo il tragitto che da Roma portava a Pompei. A sera inoltrata il dipinto giunse a Napoli accolto con luminarie e fiaccolate per poi proseguire con un largo seguito di napoletani fino a Pompei dove il viaggio si concluse in modo trionfale con una grande manifestazione. Nel 2000, in occasione del suo 125º anniversario, il dipinto è stato esposto per cinque giorni nel Duomo di Napoli venerato da migliaia di fedeli. Il ritorno a Pompei è stato fatto a piedi ripercorrendo il tracciato del 1875 e facendo tappa in diverse città della provincia. Per tutto il giorno centinaia di migliaia di persone hanno affollato il percorso di trenta chilometri che si snoda tra Pompei e il capoluogo campano. Il 16 ottobre 2002 il dipinto è tornato in piazza San Pietro su esplicita richiesta di papa Giovanni Paolo II che, accanto alla “bella immagine venerata a Pompei”, ha firmato la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae. Ha aspetto basilicale ed è caratterizzata da due ordini sovrapposti. L'ordine inferiore, in stile ionico, presenta centralmente un corpo avanzato in corrispondenza della navata centrale. In quest'ordine sono presenti tre arcate (con la centrale maggiore) che immettono al portico e quindi ciascuna ad una navata. Nella parte bassa di quest'ordine è presente un robusto basamento dal quale si elevano, in corrispondenza di ciascuna arcata, pilastri (per le arcate laterali) e quattro colonne monolitiche di 6,80 metri di granito rosa (per l'arcata centrale). Tali pilastri e colonne hanno basi attiche e capitelli ionici. Sopra le arcate c'è la scritta "VIRGINI S.S. ROSARII DICATVM" (Dedicato alla Vergine del Santo Rosario). L'ordine superiore segue la disposizione di quello inferiore, nella distribuzione dei pilastri e delle colonne, ma in stile corinzio. Nella parte centrale dell'ordine superiore, ovvero al di sopra dell'arcata maggiore, è situata la Loggia Papale, caratterizzata da una balaustra di marmo bianco. L'ordine superiore presenta una cornice, decorata con mensole, e nel mezzo un frontone, nel cui timpano è collocato lo stemma in marmo bianco di papa Leone XIII, dal quale il santuario è stato dichiarato Basilica il 4 maggio 1901. Alla sommità dell'ordine superiore è presente un attico con balaustra. Ai lati di quest'ultima sono posti un grosso orologio (a sinistra) e una meridiana di pari dimensioni (a destra). Al centro invece, su una robusta base, è collocata la statua della Vergine del Rosario. Tale statua, opera dello scultore Gaetano Chiaramonte, è alta ben 3,25 metri ed è stata tratta da un sol pezzo di marmo di Carrara dal peso di 180 quintali. Sulla base su cui poggia la statua, è scolpito il motto "PAX" (Pace) cui l'intera facciata è dedicata e più in basso la data MCMI (1901). Nel portico della facciata sono collocate quattro nicchie ove sono poste le statue in marmo di San Ludovico da Casoria, di San Luigi Guanella, di San Leonardo Murialdo e di Santa Francesca Saverio Cabrini, nomi legati alla storia del santuario. La posa della prima pietra del campanile avvenne il 12 maggio 1912. Dopo tredici anni, il 24 maggio 1925 avvenne l'inaugurazione con una solenne cerimonia in presenza di Bartolo Longo (che allora aveva 84 anni). Il campanile sorge su una palizzata in cemento armato di una superficie di circa 400 m². Architettonicamente la struttura è costituita da tre parti: l'esterna, decorata di granito grigio; l'interna di mattoni pressati; una terza centrale composta da un'armatura a castello di travi metalliche che forma una torre di collegamento, dal peso di 100 000 kg, che sostiene una scala in ferro che conduce fino alla sommità. Il campanile è visibile anche a chilometri di distanza in quanto è alto ben 80 metri e presenta al vertice una croce di bronzo alta 7 metri (illuminata di notte), opera dell'architetto Aristide Leonori. È in stile corinzio ed è caratterizzato da cinque ordini sovrapposti, all'ultimo dei quali è presente una terrazza con balaustra, raggiungibile mediante un ascensore interno, visitabile tutti i giorni e dalla quale è possibile avere una vista panoramica che passa dalle isole del golfo fino all'Appennino, agli Scavi, al Vesuvio e alla Valle del Sarno. Al primo ordine è presente un portone di grandi dimensioni baroccamente decorato. Una nicchia al quarto ordine racchiude un'imponente statua di 6 metri e dal peso di 180 quintali in marmo di Carrara, rappresentante il Sacro Cuore di Gesù con sopra la scritta "VENITE AD ME OMNES" (Venite a me voi tutti). Ai quattro angoli del terzo ordine sono invece posti quattro grandi angeli in bronzo che danno fiato alle trombe. Un sistema elettrico mette in funzione un concerto di otto campane, di differenti dimensioni e quindi di suono. La campana maggiore ha 2 metri di diametro e pesa 50 quintali. Tali campane, riccamente decorate, furono formate dalla fonderia Marinelli nel cortile della allora proprietà Falanga in Via Sacra, a poche decine di metri dal santuario, usando 100 quintali di cannoni di guerra, cui si aggiunsero 50 quintali di rame e una quantità proporzionale di stagno per ottenere i 180 quintali di bronzo necessari. Durante i lavori di ampliamento del santuario del 1934-38 la superficie sacra fu quintuplicata fino a raggiungere ben 5000 m². In particolare la navata centrale rimase intatta, ma fu prolungata notevolmente, furono create le due navate laterali in corrispondenza dei due ingressi laterali della facciata, fu abbattuta la vecchia cupola per costruirne un'altra più alta, più avanti e fu aumentato il numero degli altari. Infine utilizzando lo spazio tra le grandi campate in cemento armato che si erano rese necessarie per sostenere l'imponente peso della struttura, tra le fondazioni, fu ricavata una cripta. La navata centrale, che quindi non subì grandi modifiche, presenta tutto intorno un grande cornicione corinzio. La volta, divisa in vari compartimenti riccamente decorati, presenta nel mezzo un affresco di grandi dimensioni di Vincenzo Paliotti. Ai lati della navata centrale, trovano spazio anche le due statue bronzee (opera del Tonnini) dei Fondatori (Bartolo Longo e la Contessa De Fusco). L'attuale abside, quintuplicata rispetto all'originale, è sostenuta da due grandi colonne di marmo grigio e da 8 colonne più piccole in marmo colorato che sorreggono le 9 arcate su cui poggia la volta centrale dell'abside. L'affresco della volta centrale che rappresenta l'Assunzione della Vergine è opera di Pasquale Arzuffi. Una balaustra a semicerchio circonda il trono e l'altare maggiore. Al centro di essa vi è un artistico cancello con cinque nicchie in ciascuna delle quali è collocata una statua d'argento (rappresentano la religione, la fede, la carità, la speranza e la purità). Il trono è distaccato dall'altare. Due pilastri rivestiti in marmo nero sorreggono il piano del trono. Su di esso sono collocate due angeli di bronzo (opera dell'artista Salvatore Cepparulo). Quattro colonne in marmo alte 4 metri, si innalzano dal piano del trono e presentano basi e capitelli corinzi in bronzo dorato. La parte posteriore del trono è rivestita di marmi preziosi. Il quadro della Madonna è collocato tra marmi policromi, lastre di onice e lapislazzuli ed intorno sono presenti 15 medaglioni in rame sui quali il Paliotti dipinse i "quindici misteri" del Rosario. Il 12 luglio 2018 sono stati aggiunti intorno al quadro anche i 5 misteri della luce, facendoli diventare 20. Il ciborio, ad imitazione del Pantheon di Roma, è ricco di metalli e marmi preziosi. Ha forma ottagonale e possiede una grande quantità di oro, argento, bronzo, marmo e statue bronzee. Nelle volte delle cappelle delle navate laterali e dell'abside sono rappresentati i "quindici misteri" in mosaico della Scuola Vaticana. E sugli altari di tali cappelle vi sono quadri dipinti da artisti di diversi periodi. La primitiva cupola, alta 29 metri, fu sostituita dopo i lavori di ampliamento con l'attuale, di maggiori dimensioni e alta ben 57 metri. Essa è al centro di altre quattro cupole minori. Architettonicamente si compone di due tamburi sovrapposti e termina con un cupolino dal quale svetta la croce. Essa è stata affrescata dall'artista Angelo Landi, il quale vi ha dipinto 360 figure su una superficie di ben 509 m². Ricavata tra le fondazioni del santuario, dopo i lavori di ampliamento, la cripta è in effetti un secondo santuario ove si celebrano le messe ed hanno luogo le confessioni. Al centro è collocato l'altare maggiore mentre gli altri altari sono alle spalle di quello principale. Dietro l'altare centrale, in una cappella dedicata al Beato, riposano i resti di Bartolo Longo, raccolti e ricomposti in un'urna esposta ai fedeli. Riposano nella cripta anche i resti della Contessa De Fusco, di padre Radente, di suor Maria Concetta De Litala, del vescovo di Nola mons. Formisano, del patriarca Anastasio Rossi, del vicario mons. Vincenzo Celli e di mons. Francesco Saverio Toppi, arcivescovo emerito di Pompei e frate cappuccino. I pilastri della cripta sono stati affrescati da Mirco Casaril con vicende che illustrano le prime vicende della storia del santuario e dell'Incoronazione dell'immagine della Vergine, fatta da Paolo VI nel 1965, dopo il restauro. Sulle pareti della cripta si ammira anche la Via Crucis donata da padre Ludovico da Casoria, quando il santuario era ancora in costruzione. Durante la costruzione del santuario, Bartolo Longo ordinò a Pacifico Inzoli la costruzione dell'organo a canne del santuario. Lo strumento venne collocato sopra la cantoria in controfacciata e la sua inaugurazione fu l'8 maggio 1890. L'organo era a tre tastiere (Grand'Organo-Espressivo-Espressivo) con pedaliera; i registri della seconda e della terza tastiera erano gli stessi. Dopo la seconda guerra mondiale, Vincenzo Mascioni ricostruì l'organo su progetto dei Maestri Fernando Germani e Ferruccio Vignanelli; il nuovo strumento venne realizzato nel 1949 e inaugurato nel 1952. Un organista storico del santuario di Pompei fu il fratello delle scuole cristiane: Nicolino Sicignano (1907-1990). L'organo a canne Mascioni opus 650, a trasmissione elettronica per la consolle ed elettro-pneumatica per i registri, consta di sette corpi fonici, quattro sul portale e tre in cupola: sulla cantoria in controfacciata il Positivo, il Grand'Organo, l'Espressivo, comandati rispettivamente dalla prima, dalla seconda e della terza tastiera, e la prima sezione del Pedale; nella cupola, il Solo, l'Eco, comandati rispettivamente dalla seconda e dalla terza tastiera, e la seconda sezione del Pedale. La cantoria, pregiatamente decorata, racchiude l'organo portale in una cassa lignea dorata, contenente anche canne degli organi preesistenti, e accoglie la consolle Mascioni a tre manuali di 61 note ciascuno e pedaliera concavo-radiale di 32 note. Nell'anno 2005, la Ditta Mascioni ha effettuato un restauro radicale, con il rifacimento di alcune componenti interne e la sostituzione del precedente impianto trasmissivo tra la consolle e i corpi fonici con un sistema elettronico di più moderna tecnologia. Nel mese di febbraio 2016, sono iniziati i lavori di manutenzione straordinaria del Grande Organo Monumentale, affidati alla Casa organaria costruttrice Mascioni, in seguito ad un periodo di inutilizzo dovuto ai lavori di restauro della Basilica, non ancora terminati. L'organo dispone di 87 registri e 5624 canne. Nel deambulatorio, alla destra dell'altare maggiore, si trova un organo costruito dalla ditta Consoli nel 2011; esso è costituito da una consolle elettronica Rodgers Artist Series 599 con registri campionati e da un corpo di canne da essa comandato. I registri sonori reali e derivati, in totale dieci, sono distribuiti sulla seconda e terza tastiera della consolle elettronica, che ha tre tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32. Nel 1902 la famiglia Ciccodicola di Arpino donò al santuario di Pompei due preziose reliquie. Nello specifico si trattava di una spina, intrisa di sangue, che sarebbe appartenuta alla corona di spine posta sul capo di Gesù Cristo e di un pezzetto di legno della santa croce. Il Museo Diocesano di Pompei si divide in due plessi: il Museo del Santuario e il Museo del Villino di Bartolo Longo. La prima sezione, quella del Museo del Santuario, è stata istituita nel 1900 e successivamente ristrutturata e ampliata prima nel 1970 e poi nel 2000 in occasione dell’anno giubilare. Tale sezione si trova all'interno del santuario. All’interno del museo è possibile trovare dei reperti di tipo storico-artistico e prevalentemente ex voto del Santuario: argenti, ori, arredi liturgici, avori, coralli, ceramiche, presepi napoletani, armature e altri oggetti di grande valore. All’interno delle vetrine vi sono principalmente santi e Madonne scolpiti o dipinti su tavolette. Fu molto importante il lavoro di alcuni artigiani, che hanno contribuito alla formazione della memoria storica del popolo e ad un’importante testimonianza artistica e culturale. Prima vetrina: vi sono un Gesù bambino e alcune Madonne realizzate in cartapesta e legno e conservate sotto campane di vetro; sono esposti anche busti realizzati in bronzo e vasi di porcellana. Seconda, terza e quarta vetrina: piatti, vasi, statuine e brocche realizzate con vari materiali; centrotavola realizzati in porcellana di Capodimonte. Quinta vetrina: bicchieri e bottiglie di Murano, cristalli di Boemia, oggetti vari quali vasi e centrotavola. Sesta vetrina: testi liturgici aventi copertine in lamina di bronzo dorato e materiali vari, statuine in ceramica, leggio in legno con raffigurazione della Madonna di Pompei. Settima vetrina: piastrelle, piatti e statuine realizzate in ceramica e in avorio. Ottava, nona e decima vetrina: orologi, vasi in ceramica di Capodimonte, mattonelle, centrotavola e piatti di vari materiali. Undicesima e dodicesima vetrina: candelabri in bronzo dorato e alabastro, corone, croci. Tredicesima vetrina: sculture raffiguranti la facciata della Basilica, il Calvario, la Madonna del Rosario e la Natività, tutto realizzato in avorio. Quattordicesima vetrina: centrotavola e statuine realizzate in ceramica italiana e straniera. Quindicesima vetrina: presepe napoletano, vasi realizzati in ceramica, bronzo e opalina, statuette in bronzo e centrotavola in alabastro. Sedicesima vetrina: vasi e statuine cinesi. Diciassettesima vetrina: orologi realizzati in bronzo e ceri policromi. Diciottesima vetrina: statuine realizzate in argento raffiguranti bambini. Diciannovesima vetrina: vasi, candelabri e centrotavola in argento. Ventesima vetrina: candelabri, portacandele e statuine di bambini realizzate in argento. Ventunesima vetrina: calici realizzati in oro, argento e bronzo dorato. Ventiduesima vetrina: statue realizzate in cartapesta, bronzo e argento, raffiguranti Santi, Madonne e Bambini. Ventitreesima vetrina: medaglie, spadini e armi. Arcivescovo Francesco Saverio Toppi † (1996 - 17 febbraio 2001 ritirato) Arcivescovo Domenico Sorrentino (17 febbraio 2001 - 2 agosto 2003 nominato segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti) Arcivescovo Carlo Liberati (5 novembre 2003 - 10 novembre 2012 ritirato) Arcivescovo Tommaso Caputo, dal 10 novembre 2012 Nunzio Tamburro - "Pompei Fondata Da Bartolo Longo, Storia E Guida (1875-1987)" - 1987 Antonio Ferrara, La memoria e lo zelo di Luigi Fato, 1° zelatore del Pontificio Santuario di Pompei, Sarno 2009 Antonio Ferrara, Angelandrea Casale, I Prelati del Pontificio Santuario di Pompei dal 1890 al 2012. La storia, la cronotassi, i ritratti, i cenni biografici e gli emblemi araldici, edizioni Santuario di Pompei, Sarno 2012 Mario Rosario Avellino, Pompei / L'organo del Santuario, Pontificio Santuario di Pompei, Pompei 1995 Rino Cammilleri, Tutti i giorni con Maria: calendario delle apparizioni, Milano, Edizioni Ares, 2020, ISBN 978-88-815-59-367. Supplica alla Madonna di Pompei Rosario Bartolo Longo Lista delle torri e dei campanili più alti d'Italia Pompei (comune) Edoardo Ciccodicola Suore domenicane figlie del Santo Rosario Wikibooks contiene testi o manuali sulle disposizioni foniche degli organi a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei Il sito del Santuario di Pompei. Sito dell'Istituto Bartolo Longo diretto dai Fratelli delle Scuole Cristiane, su vivalasalle.it. URL consultato il 31 luglio 2019 (archiviato dall'url originale il 21 dicembre 2017). Bartolo Longo dal sito Santi e Beati, su santiebeati.it. Sito del Comune di Pompei, su comune.pompei.na.it. Azienda di Cura, Soggiorno e Turismo di Pompei, su pompeiturismo.it. Testo della Supplica in dieci lingue , su santuario.it. Chiesa della Beata Vergine del Rosario (Pompei) su BeWeB - Beni ecclesiastici in web (IT, EN, FR, DE, ES, PT) Recita del Santo Rosario e meditazione di Benedetto XVI, su vaticana.va, Pontificio Santuario di Pompeu, 19 ottobre 2008. URL consultato il 29 ottobre 2018 (archiviato dall'url originale il 12 settembre 2016). Il grande organo "Mascioni" del Santuario di Pompei in un c.d. di Paolo Bottini con musiche di Matteo Iannone, organista presso il Santuario dal 1985 al 2006, su matteoiannone.it. Museo del Santuario di Pompei su BeWeb - Beni ecclesiastici in Web

Pompei (comune)
Pompei (comune)

Pompei è un comune italiano di 23 807 abitanti della città metropolitana di Napoli in Campania, sede dei celebri scavi archeologici dell'antica città romana. Una migrazione di abitanti dalle terre dell'Egeo discendenti dei Pelasgi, formò un primitivo insediamento ai piedi del Vesuvio, nell'area di Pompei: forse non un villaggio vero e proprio, più probabilmente un piccolo agglomerato di case posto all'incrocio di tre importanti strade, ricalcate in epoca storica dalla via proveniente da Cuma, Nola, Stabia e da Nocera. Fu conquistata una prima volta dalla colonia di Bea tra il 525 e il 474 a.C.: le prime tracce di un centro importante risalgono al VI secolo a.C., anche se in questo periodo la città, sembra ancora un'aggregazione di edifici piuttosto disordinata e spontanea. La battaglia persa dagli Etruschi nelle acque di fronte a Cuma contro Cumani e Siracusani (metà del V secolo a.C.) portò Pompei sotto l'egemonia dei sanniti. La città aderì alla Lega nucerina: probabilmente risale a questo periodo la fortificazione dell'intero altopiano con una cerchia di mura di tufo che racchiudeva oltre sessanta ettari, anche se la città vera e propria non raggiungeva i dieci ettari d'estensione. Fu ostile ai Romani durante le guerre sannitiche. Una volta sconfitta, divenne alleata di Roma come socia dell'Urbe, conservando un'autonomia linguistica e istituzionale. È del IV secolo a.C. il primo regolare impianto urbanistico della città che, intorno al 300 a.C., fu munita di una nuova fortificazione in calcare del Sarno. Durante la seconda guerra punica Pompei, ancora sotto il controllo di Nuceria Alfaterna, rimase fedele a Roma e poté così conservare una parziale indipendenza. Nel II secolo a.C. la coltivazione intensiva della terra e la conseguente massiccia esportazione di olio e vino portarono ricchezza e un alto tenore di vita. Allo scoppio della guerra sociale Pompei fu ostile a Roma: nell'89 a.C. Silla, dopo aver fatto capitolare Stabia, partì alla volta di Pompei, che tentò una strenua difesa rinforzando le mura cittadine e avvalendosi dell'aiuto di un gruppo di celti capitanati da Lucio Cluenzio. Ogni tentativo di resistenza risultò vano e la città cadde ma, grazie all'appartenenza alla lega nucerina, ottenne la cittadinanza romana e fu inserita nella Gens Menenia. Nell'80 a.C. entrò definitivamente nell'orbita di Roma e Silla vi trasferì un gruppo di veterani nella Colonia Venerea Pompeianorum Sillana. Tacito ricorda la rissa tra Nucerini e Pompeiani del 59 d.C. nell'Anfiteatro romano di Pompei, che spinse i consoli a proibire per dieci anni ogni forma di spettacolo gladiatorio. Nel 79 d.C. Pompei fu interessata dall'eruzione del Vesuvio, che la seppellì sotto una coltre di materiali piroclastici di altezza variabile dai cinque ai sette metri, determinandone la fine. Al momento dell'eruzione molti edifici erano in fase di ricostruzione a causa del sisma del 62 d.C. Alcuni reperti bizantini testimoniano l'esistenza di un piccolo insediamento anche nel Medioevo; in questo periodo gli abitanti erano concentrati in località Civiltà Giuliana, a nord della città antica e in posizione più elevata, vista la presenza di paludi e di una forte umidità nella parte più meridionale, nei pressi del fiume Sarno, portatrice di malattie e morte. Successivamente il Sarno fu deviato dal Principe di Scafati, e ciò provocò la morte di quasi tutti gli abitanti della valle di Pompei. I Borboni realizzarono poi alcune opere idrauliche e la foce del fiume fu interamente bonificata e delimitata da argini in pietra. A inizio Ottocento fu costruita la Chiesa della Giuliana. La Pompei moderna fu fondata dopo la costruzione del Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei. Il santuario fu consacrato nel 1891. Il comune di Pompei fu istituito il 29 marzo 1928, acquisendo la parte del territorio di Scafati denominata Valle di Pompei. Il restante territorio fu ceduto dai comuni di Torre Annunziata, Boscoreale, Gragnano e Castellammare di Stabia. Personaggio di rilievo fu Bartolo Longo, proclamato beato il 26 ottobre 1980 da papa Giovanni Paolo II. Per sua volontà fu eretto il santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, ora basilica pontificia, ricca di ex voto, la quale costituisce una delle mete italiane più frequentate "per grazia ricevuta"; in esso è conservata la tela seicentesca della scuola di Luca Giordano, raffigurante la Madonna di Pompei. Un pellegrinaggio si verifica in occasione delle due suppliche alla Madonna, l'8 di maggio e il 7 di ottobre. Si devono a lui anche due strutture destinate all'accoglienza dei figli e figlie di persone carcerate. Ebbe risalto internazionale la registrazione in audio e video, nell'Anfiteatro romano di Pompei, avvenuta nell'ottobre 1971, del concerto dei Pink Floyd, pubblicato nel 1972 come Pink Floyd a Pompei. Il concerto fu tenuto in assenza di pubblico, alla presenza del solo staff tecnico. Nello stesso anfiteatro l'ex componente degli stessi Pink Floyd, David Gilmour ha eseguito due concerti nel luglio 2016, da queste tappe, del suo Rattle That Lock Tour, è stato tratto un album dal vivo, sia audio che video, dal titolo Live at Pompeii pubblicato nel 2017. Il 26 dicembre 2020 è stato riscoperto un termopolio magnificamente conservato, con tanto di affreschi intonsi, resti di cibo nelle sue anfore e ormai quasi del tutto emerso dalle ceneri della città soffocata dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Lo stemma del comune di Pompei è stato concesso con regio decreto del 30 maggio 1929. Il gonfalone, concesso con il regio decreto del 15 dicembre 1930, è costituito da un drappo azzurro. Con decreto firmato il 9 gennaio 2004 dall'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, Pompei è stata elevata al rango di città. Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei Chiesa di San Salvatore Chiesa del Sacro Cuore di Gesù Chiesa di San Giuseppe sposo della Beata Vergine Chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo Chiesa Immacolata Concezione Chiesa Madonna dell'Arco Cappella Madonna delle Grazie Chiesa dei Sacri Cuori di Gesù e Maria A partire dalla fine del XVIII secolo sono stati riportati alla luce i resti dell'antica città romana: le indagini archeologiche hanno restituito non solo pitture, mosaici, suppellettili ed edifici, ma hanno permesso di ricostruire lo stile di vita in epoca romana. Il sito archeologico pompeiano, insieme a quelli di Ercolano e Oplonti, è stato dichiarato nel 1997 dall'UNESCO patrimonio dell'umanità. Abitanti censiti Al 31 dicembre 2022 erano presenti 746 stranieri, pari al 3,24% della popolazione. La città di Pompei è attraversata dall'autostrada A3 Napoli-Salerno ed è servita dai tre svincoli Pompei Scavi, Castellammare di Stabia e Pompei Centro - Scafati. La città di Pompei è attraversata da 3 linee ferroviarie: Napoli-Poggiomarino e Torre Annunziata-Sorrento della rete Circumvesuviana gestita dall'Ente Autonomo Volturno, la Napoli-Salerno è gestita da Rete Ferroviaria Italiana. Fra il 1911 e il 1952 Pompei fu servita dai binari della tranvia Salerno-Pompei, esercita dalla società Tranvie Elettriche della Provincia di Salerno (TEPS). Il primitivo capolinea tronco era situato sulla piazza del Santuario, sostituito nel 1924 da quello definitivo posto di fronte alla stazione della Circumvesuviana. Gyeongju, dal 1994 Latiano Tarragona Xi'an Noto Lampedusa, dal 2008 Casagiove Lijiang Benevento Pozzuoli Oria La principale squadra di calcio della città è l'F.C. Pompei, che milita nel girone A dell'Eccellenza. Dal campionato 2024-2025 la squadra di Pompei giocherà in Serie D, quarta serie del campionato italiano di calcio. Scavi archeologici di Pompei Data dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei Bartolo Longo Antiquarium di Pompei Terremoto di Pompei del 62 Canale Conte di Sarno Wikiquote contiene citazioni di o su Pompei Wikinotizie contiene notizie di attualità su Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pompei Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Pompei Sito ufficiale, su comune.pompei.na.it. Pompèi, su sapere.it, De Agostini. Pompei Notizie su Comuni-Italiani.it

Anfiteatro romano di Pompei
Anfiteatro romano di Pompei

L'anfiteatro romano di Pompei è un anfiteatro di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: è uno degli edifici, nel suo genere, meglio conservato, nonché uno dei più antichi al mondo. L'anfiteatro fu costruito intorno al 70 a.C. dai duoviri Gaio Quinzio Valgo e Marco Porcio ed era utilizzato per giochi circensi e combattimenti tra i gladiatori; queste parate, talvolta pubblicizzate con graffiti sulle facciate delle case, avvenivano in forma grandiosa, come è testimoniato da un'iscrizione che recita: Fu proprio durante uno di questi spettacoli che nel 59 ebbe luogo una violenta rissa tra pompeiani e nocerini, la quale provocò numerosi feriti e anche diversi morti: a seguito di tale evento il senato romano decise la chiusura dell'anfiteatro per dieci anni e condannò all'esilio l'organizzatore dell'evento, Livineio Regolo. La rissa fu inoltre ricordata da Tacito, che così scriveva: Il motivo della lite è probabilmente da attribuirsi al fatto che Nuceria Alfaterna era diventata nel 57 una colonia romana e ciò aveva permesso ai nocerini di accaparrarsi territori precedentemente appartenuti ai pompeiani. A seguito del terremoto di Pompei del 62 l'edificio subì notevoli danni ed al contempo il provvedimento decennale venne annullato: l'intera struttura fu completamente rinnovata, come testimoniano due iscrizioni che si trovano nel passaggio d'ingresso, dai duoviri Caio e Cuspio Pensa, padre e figlio. Durante l'eruzione del Vesuvio del 79, fu completamente sepolto sotto una fitta coltre di ceneri e lapilli e fu uno dei primi edifici ad essere riportato alla luce nella campagna di scavi promossa dalla dinastia borbonica nel 1748. L'anfiteatro sorge nella parte sud-est dell'antica Pompei e questa scelta fu dettata da due motivi: il primo, in quanto la zona era poco abitata e quindi di minore intralcio alla vita quotidiana della città, considerando il gran numero di persone che visionava gli spettacoli; il secondo, fu una scelta economica, in quanto la struttura venne addossata alla cinta muraria, ormai in disuso, utilizzando un terrapieno preesistente e costruendone uno nuovo sul lato rimasto scoperto, utilizzando il terreno di risulta dello scavo: in tal modo la struttura è posta a circa sei metri di profondità ed assume una forma ellittica; ha inoltre una lunghezza di centotrentacinque metri e una larghezza di centoquattro metri, per una capienza di ventimila spettatori. Esternamente si presenta in due ordini: la parte inferiore è ad archi ciechi, in pietra, con pareti realizzate in opus incertum, sotto i quali, durante gli spettacoli, i mercanti vendevano le loro mercanzie, mentre l'ordine superiore presenta archi a tutto sesto; tra i due ordini è posto un ambulacro e per permettere agli spettatori di raggiungere le gradinate più alte furono costruite due grandi scalinate. L'accesso all'anfiteatro avveniva tramite una galleria, chiamata anche crypta, che possedeva quattro ingressi, due dei quali davano direttamente sull'arena: si pensa inoltre che un passaggio fosse esclusivamente riservato ai magistrati, che godevano di palchi d'onore, divisi dal resto della platea da uno scomparto in muratura; inoltre uno di questi palchi era collegato direttamente all'arena, probabilmente utilizzato dai gladiatori durante le cerimonie di premiazione. Prima di giungere all'arena sono posti, lungo lo stesso asse, due spoliarii, utilizzati uno per prestare i primi soccorsi ai combattenti feriti, l'altro, con arco trionfale, per l'accesso dei gladiatori; l'arena vera e propria è in terra battuta e contrariamente ad altri edifici dello stesso genere non presenta un'area sotterranea; l'intera circonferenza dell'arena è delimitata da un parapetto, alto circa due metri, che era decorato con affreschi, oggi andati perduti, che raffiguravano duelli tra gladiatori ed in particolare uno che rappresentava l'inizio di una lotta. L'anfiteatro pompeiano dispone di una cavea, spartita in tre zone: l'ima cavea, divisa in sei settori, riservata alle personalità di spicco della città e da dove si godeva della migliore vista, la media cavea, ossia la zona centrale, riservata al popolo e la summa cavea, gli ultimi ordini di spalti riservati alle donne; le ultime due zone della cavea erano entrambe divise in circa venti settori ed i sedili erano in parte in tufo, realizzati dopo il 62 ed in parte in legno, così come erano fatti in origine. Per proteggere gli spettatori dai raggi del sole estivo o dalla pioggia, l'anfiteatro era predisposto per l'uso del velarium ossia una sorta di grosso tendone, solitamente in lino, che ricopriva tutta l'area della struttura. Pink Floyd: Live at Pompeii Live at Pompeii (David Gilmour) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sull'anfiteatro romano di Pompei (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Palestra Grande
Palestra Grande

La Palestra Grande, ubicata nella Regio II, è una palestra di epoca romana, sepolta dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: il suo nome deriva dal fatto che si trattava del maggior impianto ginnico della città. La Palestra Grande è stata edificata alla fine del I secolo a.C. poiché le altre palestre presenti in città, principalmente quella Sannitica, riservata ad una corporazione aristocratica e militare, e quella delle Terme Stabiane, non rispondevano più alle esigenze dei fruitori, in particolare dei collegia iuvenum, ossia quelle associazioni di giovani volute da Augusto, il quale vedeva nell'edificazione di questi monumenti la propria propaganda imperiale. La struttura viene duramente danneggiata durante il terremoto di Pompei del 62, tant'è che devono essere completamente ricostruiti le mura di cinta, per poi essere seppellita sotto una coltre di ceneri e lapilli, mentre i lavori di restauro ancora devono terminare, a seguito dell'eruzione del Vesuvio del 79. in seguito è stata riportata gradatamente alla luce con diverse campagne di scavo, come quella svoltesi tra il 1814 ed il 1816, quella del 1933 e quella dal 1935 al 1939. Dopo sette anni di chiusura, viene riaperta al pubblico, a seguito di un restauro, il 3 agosto 2015: al suo interno hanno trovato collocazione gli affreschi ritrovati nel 1959 in alcuni ambienti della cosiddetta casa dei Triclini in località Moregine, a pochi centinaia di metri dalle mura dell'antica città. La Palestra Grande sorge nei pressi dell'Anfiteatro, in una zona, al tempo della sua costruzione, scarsamente edificata, come dimostrato dalle case circostanti, le quali possedevano ampi giardini; l'intera struttura ha una pianta rettangolare, lunga centoquarantuno metri e larga centosette ed è circondata da un muro di cinta, in opus incertum, arricchito sia nella sua parte esterna, che quella interna da semicolonne. Nel muro si aprono dieci porte che consentono l'accesso alla palestra: alcune di queste, quelle superstiti al terremoto del 62 sono in tufo, mentre quelle restaurate sono in opera laterizia, e sono strutturate tutte allo stesso modo ossia con lesene o semicolonne laterali, sormontati da un architrave ed un frontone. Internamente, lungo il muro perimetrale, su tre lati, corre per oltre trecentocinquanta metri un porticato sorretto da colonne, trentacinque sui lati brevi, quarantotto su quello di fondo sud-ovest: questo sono realizzate in laterizi, rivestite in stucco bianco, con base attica, rinforzata mediante una colata di piombo e seguito del terremoto del 62, e capitelli ionici in tufo decorati con fogli d'acanto. Nella corte dove si svolgevano le attività sportive, tra l'altro utilizzate anche dai frequentatori dell'Anfiteatro per riposarsi e mangiare, lungo i tre lati del colonnato, era posta una doppia fila di platani, al momento dell'eruzione quasi centenari, di cui è stato possibile ricavare i calchi delle radici e che avevano la funzione di creare una zona d'ombra, come suggerito dei modelli architettonici di Marco Vitruvio Pollione. Al centro della corte inoltre è posta una piscina, lunga trentaquattro metri e larga ventidue, con fondale inclinato in modo tale da avere una profondità che varia da un metro fino ad un massimo di due. Due gli ambienti principali della Palestra Grande: una sala a forma di esedra, preceduta da due semicolonne in marmo addossate alla parete, dedicata al culto di Augusto, con all'interno un piedistallo marmoreo dove era posta o una statua dell'imperatore o quelle del dio a cui era dedicata la struttura, e una latrina, la quale aveva inizialmente anche un accesso esterno, poi murato, per essere utilizzata anche da coloro che assistevano agli spettacoli nell'Anfiteatro, nella quale restano blocchi di pietra lavica, usata come base su cui poggiava il ripiano con i fori; sia la latrina che la piscina risultano essere collegati ad una fognatura. Pochissime le tracce di pitture rimaste: probabilmente la parte interna dei muri perimetrale doveva avere affreschi in terzo stile, di cui ne rimane solo una parte della parete nord ovest; numerosi inoltre i graffiti, alcuni di tipo politico, altri erotici, fino ad arrivare a quelli amorosi, come uno che recita: All'interno della Palestra Grande sono stati inoltre rinvenuti gli scheletri di diciassette persone, mentre altre diciotto erano ammassate all'interno della latrina e quattordici, molte dei quali con oggetti personali tra cui monili in oro, argento e bronzo, due bicchieri in argento con figure isiache ed una cassetta con strumenti chirurgici, esternamente, nei pressi del muro perimetrale; è stato inoltre rinvenuto lo scheletro di un cavallo con un cisium, un leggero calesse, mentre di un uomo si è ricavato il calco, visibile nei granai del Foro, di cui si è compreso che al momento dell'eruzione indossava stivali e con il mantello cercava di coprirsi la bocca dai gas tossici. Nel novembre del 1936 fu trovato inciso su una colonna della palestra il quadrato magico identico a quello rinvenuto nel 1925 su una colonna della casa di Paquio Proculo: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS Rino Cammilleri, Il quadrato magico, Milano, Rizzoli editore, 1999, ISBN 88-17-86066-2. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Editori Laterza, 1982, ISBN non esistente. Regio II degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Palestra Grande (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa del Moralista
Casa del Moralista

La casa del Moralista (anche casa di C. Arrius Crescens e di M. Epidius Hymenaeus) (III 4, 2–3) si trova nell'antica Pompei. Si tratta più esattamente di due abitazioni collegate tra loro. Sono state scavate nel 1916 e nel 1917. Nel novembre 2011, parte del muro perimetrale è stato interessato da un crollo. La casa piccola (III 4, 2) ha un atrio e diverse stanze intorno. Un bombardamento nel 1943 causò danneggiamenti a varie parti della casa, tra cui un soffitto dipinto. Al contrario della maggior parte delle case con atrio non c'è un impluvium, che serviva per la raccolta dell'acqua piovana. La casa III 4, 3, notevolmente più grande, non era stata restaurata – con gli scavi fu trovata ancora una quantità di calce necessaria per il restauro, quando Pompeii nel 79 d.C. rimase sepolta. La maggior parte delle stanze sono non rintonacate. Da notare che, al momento della distruzione, l'unica camera restaurata era il triclinio, con la sua semplice decorazione pittorica. Tre distici moralistici, che danno il nome alla casa, decorano le pareti. Non è chiaro fino a che punto siano ironici. Poiché nel pavimento non sono stati trovati resti di una copertura, si può supporre che il soffitto fosse costituito da tessuto e che si trattasse di un triclinium estivo. Si apriva a un ampio giardino nel cui centro sorgeva una statua di Diana. Il nome di M. Epidius Hymenaeus appare su cinque manifesti elettorali sulla facciata della casa. Il nome si trova anche su sei anfore vinarie che si trovano nella casa, ed è noto da una tavoletta di cera di Caecilius Iucundus, databile al 56 d.C.; M. Epidius Hymenaeus era dunque un commerciante di vini e probabilmente uno dei proprietari della casa. Altri nomi che appaiono nella casa sono C. Arrius Crescens e T. Arrius Polites. Tutti furono commercianti di vini e forse abitavano insieme entrambe queste unità immobiliari. Distico sulla parete destra: Abluat unda pedes, puer et detergeat udos Mappa torum velet, lintea nostra cave! „L'acqua lavi i piedi e lo schiavo le deterga bagnati; il tovagliolo stia sopra il cuscino, e cura la nostra biancheria” Distico sulla parete sinistra: (Insanas) lites odiosaque iurgia differ Si potes aut gressus ad tua tecta refer! „Rimanda le insane (?) liti e gli odiosi contrasti, se puoi o, uscito, torna a casa.“ Distico sulla parete di fondo: Lascivos voltus et blandos aufer ocellos Coniuge ab alterius sit tibi in ore pudor! „Tieni lontani sguardi lascivi e occhi dolci dalla moglie di un altro: abbia tu pudore nel volto.“ Eugenio La Rocca, M. de Vos Raaijmakers, A. des Vos: Lübbes archäologischer Führer Pompeji. Gustav Lübbe Verlag, Bergisch Gladbach 1979, ISBN 3-7857-0228-0, pp. 236–238. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su casa del Moralista Casa del moralista, su pompeisepolta.com. URL consultato il 13 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 14 gennaio 2014).

Casa della Venere in Bikini
Casa della Venere in Bikini

La casa della Venere in Bikini, conosciuta anche con il nome di casa di Maximus, è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei. Costruita nel II secolo a.C., durante il I secolo a.C. la proprietà venne divisa dando origine alla casa nella sua forma definitiva. Fu danneggiata dal terremoto del 62: iniziarono i lavori di restauro, come testimoniato dalla chiusura di una porta che la collegava alla vicina casa di Lucius Habonius Primus e dalle decorazioni in quarto stile, ma, ancora non completati o presumibilmente interrotti, ipotesi avvalorata da un graffito ritrovato su un affresco e due statue spezzate, venne ricoperta sotto una coltre di ceneri e lapilli durante l'eruzione del Vesuvio nel 79: ritrovamenti di oggetti da cucina e di scheletri fanno supporre che la casa fosse abitata al momento dell'eruzione. Fu scoperta nel 1913 a seguito degli scavi archeologici promossi da Vittorio Spinazzola: in questo caso venne riportata alla luce la facciata, sulla quale campeggiavano alcuni manifesti elettorali, tra cui uno dove veniva citato un certo Maximus, da cui la casa prese il nome. Una seconda fase di esplorazioni si ebbe tra il 1952 e il 1954 condotte dal team di Amedeo Maiuri: l'abitazione venne completamente esplorata ma si hanno notizie frammentarie sui ritrovamenti in quanto i reperti furono catalogati come se si trattasse di un inventario; fu a seguito di queste indagini che venne ritrovata la statua della Venere in bikini che diede il nome definitivo alla casa. Altre esplorazioni ci furono tra il 1955 e il settembre del 1961, ma mancano i rapporti dello scavo: in questo periodo le indagini erano abbastanza veloci, pensando per lo più a rimuovere il materiale piroclastico; in alcuni punti il materiale vulcanico risultava essere intaccato, segno di una precedente manomissione, prima degli scavi ufficiali. La casa si trova nella regio I, lungo via dell'Abbondanza e ha un'estensione di circa duecento metri quadrati. Sono diverse le ipotesi sul proprietario: secondo Matteo Della Corte potrebbe trattarsi di un centro Maximus, come testimonia un'iscrizione elettorale ritrovata sulla facciata, sulla quale campeggiavano altri manifesti sia in rosso che in nero, mentre secondo Melinda Armitt sarebbe potuta appartenere a un liberto della famiglia di Poppea, da due sigilli ritrovati in un armadio; l'identificazione del proprietario rimane tuttavia incerta perché tali nomi si ritrovano anche in altre abitazioni di Pompei. Il marciapiede che corre nei pressi dell'ingresso è in malta grezza su uno strato di malta grigia. La porta d'ingresso fu puntellata non appena il materiale piroclastico iniziò a depositarsi. Il corridoio d'ingresso ha una decorazione parietale incompiuta: lo zoccolo è in nero diviso in scomparti, mentre la zona centrale è in giallo delimitati in scomparti con disegni di candelabri e bordi ornamentali: al centro sono posti medaglioni con teste femminili. Presente anche un graffito che recita "Venite amantes": secondo Della Corte la casa poteva essere un lupanare. Nel corridoio non è stato ritrovato alcun reperto. Si accede quindi all'atrio. Nella parete nord è presente un accesso secondario, mentre le pareti sud e est sono rivestite con intonaco grigio scuro. Al centro della stanza è l'impluvium con base in cocciopesto e l'aggiunta di pezzi di marmi colorati: nei pressi dell'impluvio tre colonne, posizionate in modo tale da poter essere viste dall'esterno, che fungevano da piedistallo, su cui per poggiata una statua, ossia la cosiddetta Venere in bikini che dà il nome alla casa. La statua, conservata al Museo archeologico nazionale di Napoli, venne ritrovata nel gennaio 1954, mancante di un braccio: raffigura Venere con mamillare dorato nell'atto di allacciarsi un sandalo dopo aver fatto un bagno, poggiandosi a un amorino; talvolta, erroneamente, viene indicata come ritrovata o nella villa di Giulia Felice o di una casa che non esiste, questo perché la casa della Venere in Bikini, nel corso degli anni, subì il cambio delle coordinate. Sul lato sud dell'ambiente sono state ritrovate numerose cerniere: in un primo momento si era supposto potessero essere di una cassaforte, mentre successivamente si è arrivati alla conclusione che si tratta di un mobile. Tra gli oggetti contenuti: otto recipienti in bronzo come brocche e piatti, una lanterna, bottiglie in vetro, una bussola e un calamaio in bronzo, gioielli in oro, bronzo e vetro, pietre preziose, oggetti in marmo, dadi e oggetti da gioco, due denti di cinghiale, monete in bronzo, oro e argento una brocca decorata in argento, una statua in terracotta di Cupido, oggetti da toeletta in bronzo e due sigilli con i nomi C. Poppaei Idrus e Cissus Pithius Communis; se da un lato restano dubbi sulla reale provenienza di questi oggetti, dall'altro una quantità così elevata lascia presupporre che la casa fosse abitata al momento dell'eruzione. L'ambiente, ancora in fase di restauro come dimostra il programma decorativo delle pareti abbandonato dopo una prima verniciatura, non presenta pavimentazione. Lungo il lato nord dell'atrio, ai lati del corridoio d'ingresso, si aprono due stanze: una, probabilmente inutilizzata al momento dell'eruzione e in attesa di restauro, come comprovato anche dalla mancanza di reperti al suo interno, mostra delle pareti prive di intonaco e pavimentazione che poteva essere in malta o lavapesta. L'altra stanza invece era un negozio, con accesso, oltre che dall'atrio anche da un cubicolo e dalla strada: ha decorazioni in quarto stile, con pannelli rossi e gialli divisi da bordi ornamentali e zoccolatura rossa. Nella parete ovest una nicchia quadrata: al suo interno furono ritrovati tre tegole in terracotta e pezzi di mattonelle rotte, verosimilmente parte di uno scaffale. Nell'angolo sud-est è un podio: in un primo momento si era ritenuto essere parte di una scala, ipotesi successivamente quasi del tutto accantonata per via della forma insolita. L'assenza di merci ritrovate fa supporre che il negozio fosse inattivo al momento dell'eruzione. Sul lato est dell'atrio sono presenti tre ingressi per altrettante stanze: la prima ha pareti in quarto stile con zoccolatura rossa e disegni geometrici mentre la parte mediana è bianca divisa in pannelli con al centro architetture fantastiche, figure fluttuanti, motivi grotteschi e temi mitologici come Piramo e Tisbe. La pavimentazione, ancora incompiuta, è in pietra mescolata a malta. All'interno dell'ambiente, così come nei due successivi, non sono stati ritrovati reperti, forse, come dimostrato da alcune brecce nei muri, indagata subito dopo l'eruzione: in questa stanza, l'unico elemento ritrovato, è stato un oggetto in ferro a forma di T, probabilmente resti di un mobile. Segue quindi un cubicolo, anche se di dimensioni troppo ridotte per ospitare due letti o un letto e un armadio; le decorazioni sono in quarto stile: base in giallo con l'aggiunta di disegni di piante e zona centrale e superiore bianca, con pannelli divisi tra loro da linee gialle e rosse e l'aggiunta di uccelli. Il pavimento è in malta e cocciopesto. Il terzo ambiente, con apertura sia sull'atrio che sul negozio, di cui forse era un deposito (se si fosse trattato di un deposito avrebbe dovuto avere un intonaco in bianco e rosa) oppure un cubicolo, ha pareti con intonaco grezzo grigio: la decorazione è incompiuta. A sud dell'atrio si apre il tablino o un deposito: dalla stanza una porta e una finestra danno direttamente sul giardino, mentre una scala nell'angolo nord-ovest, di cui rimangono le tracce, conduceva al piano superiore. Le pitture si riscontrano nel muro sud e nell'area sotto la scala: la zoccolatura è rossa e la parte mediana è gialla divisa in scomparti da fasce bianche con al centro, in uno, una testa femminile, e, in un altro, Dioniso e un sileno; al di sopra della scala intonaco bianco grezzo. Il pavimento è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche e nere. Dal numero di cerniere ritrovate nella stanza, era ospitato un armadio e una cassapanca che contenevano diverse anfore, una fibbia, un secchio e un vaso in bronzo, una statua in marmo di Ermafrodito e fiaschi in vetro. Dal tablino si accede al giardino: la parete nord è intonacata in bianco mentre le pareti sud e ovest presentano una decorazioni in quarto stile con scene tipiche da giardino, in particolar modo zoccolatura di colore chiaro con l'aggiunta di sfingi e parte mediana con disegni di alberi, fiori e uccelli, oltre a una figura femminile che regge un catino. Nell'angolo della parete sud-est è presente una nicchia: la parte sottostante è affrescata in linea con il resto dell'ambiente, mentre l'interno è di fattura più antica. Nei pressi della bocca di una cisterna è stato ritrovato un puteale; anche se mai rinvenuta, secondo gli archeologi, nel giardino poteva esserci una meridiana. Il pavimento è in calce. Dal giardino si accede al triclinio o, dai reperti ritrovati, a una sala polifunzionale. La decorazione è in quarto stile, con zona basale in rosso, adornata con delfini e creature marine e parte mediana e superiore in fondo bianco con l'aggiunta di architetture fantastiche e motivi ornamentali; al centro dei pannelli della parte mediana, suddivisi tramite bordi ornamentali e amorini, gli affreschi di Artemide e Atteone e il Giudizio di Paride. La pavimentazione, forse incompleta, è in pietra. Nella stanza sono state ritrovate cerniere che potevano appartenere a un baule o un armadio; tra i reperti: due boccette e una tazza in vetro, pentole, fibbie e gioielli in bronzo e altri oggetti in vetro e pietra. Ad angolo tra il giardino e il triclinio è presente un ambiente che alcune mappe attribuiscono alla casa, mentre altre no: potrebbe trattarsi della cucina. Le pareti sono intonacate, mentre il pavimento è in cocciopesto. Una panchina, quasi del tutto distrutta, era posta lungo il lato sud e una latrina era nell'angolo sud-est. Nessun reperto è stato ritrovato, anche se secondo Armitt dalla cucina provenivano diversi oggetti in bronzo, ceramica e vetro. La casa aveva un piano superiore a cui si accedeva dal tablino, crollato a seguito dell'eruzione. Nella parte anteriore della casa, a un'altezza di quattro metri sul piano del calpestio, sono stati ritrovati due scheletri, uno dei quali con una borsa contenti oggetti in bronzo. Altri elementi in bronzo sono stati ritrovati nelle parti superiori dei materiali vulcanici ma non è possibile stabilire con certezza se provenissero dalla casa: si tratta di una lampada in argilla e una cerniera, un piede di leone e un anello in bronzo. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Laterza, 1982, ISBN 88-420-2001-X. Luisa Franchi dell'Orto, Ercolano 1738-1988: 250 anni di ricerca archeologica: atti del convegno internazionale, Ravello-Ercolano-Napoli-Pompei: 30 ottobre-5 novembre 1988, Roma, L'Erma di Bretschneider, 1993, ISBN 88-706-2807-8. Regio I degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa della Venere in Bikini (I.11.6) (IT, EN) Soprintendenza Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.