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Casa del Moralista

Domus di PompeiPagine che utilizzano collegamenti magici ISBNPagine con mappeScoperte archeologiche nel 1916Voci con codice GND
Voci con codice VIAFVoci non biografiche con codici di controllo di autorità
Viejos grafitis en Pompeya, Italia, 2016 05
Viejos grafitis en Pompeya, Italia, 2016 05

La casa del Moralista (anche casa di C. Arrius Crescens e di M. Epidius Hymenaeus) (III 4, 2–3) si trova nell'antica Pompei. Si tratta più esattamente di due abitazioni collegate tra loro. Sono state scavate nel 1916 e nel 1917. Nel novembre 2011, parte del muro perimetrale è stato interessato da un crollo. La casa piccola (III 4, 2) ha un atrio e diverse stanze intorno. Un bombardamento nel 1943 causò danneggiamenti a varie parti della casa, tra cui un soffitto dipinto. Al contrario della maggior parte delle case con atrio non c'è un impluvium, che serviva per la raccolta dell'acqua piovana. La casa III 4, 3, notevolmente più grande, non era stata restaurata – con gli scavi fu trovata ancora una quantità di calce necessaria per il restauro, quando Pompeii nel 79 d.C. rimase sepolta. La maggior parte delle stanze sono non rintonacate. Da notare che, al momento della distruzione, l'unica camera restaurata era il triclinio, con la sua semplice decorazione pittorica. Tre distici moralistici, che danno il nome alla casa, decorano le pareti. Non è chiaro fino a che punto siano ironici. Poiché nel pavimento non sono stati trovati resti di una copertura, si può supporre che il soffitto fosse costituito da tessuto e che si trattasse di un triclinium estivo. Si apriva a un ampio giardino nel cui centro sorgeva una statua di Diana. Il nome di M. Epidius Hymenaeus appare su cinque manifesti elettorali sulla facciata della casa. Il nome si trova anche su sei anfore vinarie che si trovano nella casa, ed è noto da una tavoletta di cera di Caecilius Iucundus, databile al 56 d.C.; M. Epidius Hymenaeus era dunque un commerciante di vini e probabilmente uno dei proprietari della casa. Altri nomi che appaiono nella casa sono C. Arrius Crescens e T. Arrius Polites. Tutti furono commercianti di vini e forse abitavano insieme entrambe queste unità immobiliari. Distico sulla parete destra: Abluat unda pedes, puer et detergeat udos Mappa torum velet, lintea nostra cave! „L'acqua lavi i piedi e lo schiavo le deterga bagnati; il tovagliolo stia sopra il cuscino, e cura la nostra biancheria” Distico sulla parete sinistra: (Insanas) lites odiosaque iurgia differ Si potes aut gressus ad tua tecta refer! „Rimanda le insane (?) liti e gli odiosi contrasti, se puoi o, uscito, torna a casa.“ Distico sulla parete di fondo: Lascivos voltus et blandos aufer ocellos Coniuge ab alterius sit tibi in ore pudor! „Tieni lontani sguardi lascivi e occhi dolci dalla moglie di un altro: abbia tu pudore nel volto.“ Eugenio La Rocca, M. de Vos Raaijmakers, A. des Vos: Lübbes archäologischer Führer Pompeji. Gustav Lübbe Verlag, Bergisch Gladbach 1979, ISBN 3-7857-0228-0, pp. 236–238. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su casa del Moralista Casa del moralista, su pompeisepolta.com. URL consultato il 13 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 14 gennaio 2014).

Estratto dall'articolo di Wikipedia Casa del Moralista (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Casa del Moralista
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Viejos grafitis en Pompeya, Italia, 2016 05
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Casa della Venere in Bikini
Casa della Venere in Bikini

La casa della Venere in Bikini, conosciuta anche con il nome di casa di Maximus, è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei. Costruita nel II secolo a.C., durante il I secolo a.C. la proprietà venne divisa dando origine alla casa nella sua forma definitiva. Fu danneggiata dal terremoto del 62: iniziarono i lavori di restauro, come testimoniato dalla chiusura di una porta che la collegava alla vicina casa di Lucius Habonius Primus e dalle decorazioni in quarto stile, ma, ancora non completati o presumibilmente interrotti, ipotesi avvalorata da un graffito ritrovato su un affresco e due statue spezzate, venne ricoperta sotto una coltre di ceneri e lapilli durante l'eruzione del Vesuvio nel 79: ritrovamenti di oggetti da cucina e di scheletri fanno supporre che la casa fosse abitata al momento dell'eruzione. Fu scoperta nel 1913 a seguito degli scavi archeologici promossi da Vittorio Spinazzola: in questo caso venne riportata alla luce la facciata, sulla quale campeggiavano alcuni manifesti elettorali, tra cui uno dove veniva citato un certo Maximus, da cui la casa prese il nome. Una seconda fase di esplorazioni si ebbe tra il 1952 e il 1954 condotte dal team di Amedeo Maiuri: l'abitazione venne completamente esplorata ma si hanno notizie frammentarie sui ritrovamenti in quanto i reperti furono catalogati come se si trattasse di un inventario; fu a seguito di queste indagini che venne ritrovata la statua della Venere in bikini che diede il nome definitivo alla casa. Altre esplorazioni ci furono tra il 1955 e il settembre del 1961, ma mancano i rapporti dello scavo: in questo periodo le indagini erano abbastanza veloci, pensando per lo più a rimuovere il materiale piroclastico; in alcuni punti il materiale vulcanico risultava essere intaccato, segno di una precedente manomissione, prima degli scavi ufficiali. La casa si trova nella regio I, lungo via dell'Abbondanza e ha un'estensione di circa duecento metri quadrati. Sono diverse le ipotesi sul proprietario: secondo Matteo Della Corte potrebbe trattarsi di un centro Maximus, come testimonia un'iscrizione elettorale ritrovata sulla facciata, sulla quale campeggiavano altri manifesti sia in rosso che in nero, mentre secondo Melinda Armitt sarebbe potuta appartenere a un liberto della famiglia di Poppea, da due sigilli ritrovati in un armadio; l'identificazione del proprietario rimane tuttavia incerta perché tali nomi si ritrovano anche in altre abitazioni di Pompei. Il marciapiede che corre nei pressi dell'ingresso è in malta grezza su uno strato di malta grigia. La porta d'ingresso fu puntellata non appena il materiale piroclastico iniziò a depositarsi. Il corridoio d'ingresso ha una decorazione parietale incompiuta: lo zoccolo è in nero diviso in scomparti, mentre la zona centrale è in giallo delimitati in scomparti con disegni di candelabri e bordi ornamentali: al centro sono posti medaglioni con teste femminili. Presente anche un graffito che recita "Venite amantes": secondo Della Corte la casa poteva essere un lupanare. Nel corridoio non è stato ritrovato alcun reperto. Si accede quindi all'atrio. Nella parete nord è presente un accesso secondario, mentre le pareti sud e est sono rivestite con intonaco grigio scuro. Al centro della stanza è l'impluvium con base in cocciopesto e l'aggiunta di pezzi di marmi colorati: nei pressi dell'impluvio tre colonne, posizionate in modo tale da poter essere viste dall'esterno, che fungevano da piedistallo, su cui per poggiata una statua, ossia la cosiddetta Venere in bikini che dà il nome alla casa. La statua, conservata al Museo archeologico nazionale di Napoli, venne ritrovata nel gennaio 1954, mancante di un braccio: raffigura Venere con mamillare dorato nell'atto di allacciarsi un sandalo dopo aver fatto un bagno, poggiandosi a un amorino; talvolta, erroneamente, viene indicata come ritrovata o nella villa di Giulia Felice o di una casa che non esiste, questo perché la casa della Venere in Bikini, nel corso degli anni, subì il cambio delle coordinate. Sul lato sud dell'ambiente sono state ritrovate numerose cerniere: in un primo momento si era supposto potessero essere di una cassaforte, mentre successivamente si è arrivati alla conclusione che si tratta di un mobile. Tra gli oggetti contenuti: otto recipienti in bronzo come brocche e piatti, una lanterna, bottiglie in vetro, una bussola e un calamaio in bronzo, gioielli in oro, bronzo e vetro, pietre preziose, oggetti in marmo, dadi e oggetti da gioco, due denti di cinghiale, monete in bronzo, oro e argento una brocca decorata in argento, una statua in terracotta di Cupido, oggetti da toeletta in bronzo e due sigilli con i nomi C. Poppaei Idrus e Cissus Pithius Communis; se da un lato restano dubbi sulla reale provenienza di questi oggetti, dall'altro una quantità così elevata lascia presupporre che la casa fosse abitata al momento dell'eruzione. L'ambiente, ancora in fase di restauro come dimostra il programma decorativo delle pareti abbandonato dopo una prima verniciatura, non presenta pavimentazione. Lungo il lato nord dell'atrio, ai lati del corridoio d'ingresso, si aprono due stanze: una, probabilmente inutilizzata al momento dell'eruzione e in attesa di restauro, come comprovato anche dalla mancanza di reperti al suo interno, mostra delle pareti prive di intonaco e pavimentazione che poteva essere in malta o lavapesta. L'altra stanza invece era un negozio, con accesso, oltre che dall'atrio anche da un cubicolo e dalla strada: ha decorazioni in quarto stile, con pannelli rossi e gialli divisi da bordi ornamentali e zoccolatura rossa. Nella parete ovest una nicchia quadrata: al suo interno furono ritrovati tre tegole in terracotta e pezzi di mattonelle rotte, verosimilmente parte di uno scaffale. Nell'angolo sud-est è un podio: in un primo momento si era ritenuto essere parte di una scala, ipotesi successivamente quasi del tutto accantonata per via della forma insolita. L'assenza di merci ritrovate fa supporre che il negozio fosse inattivo al momento dell'eruzione. Sul lato est dell'atrio sono presenti tre ingressi per altrettante stanze: la prima ha pareti in quarto stile con zoccolatura rossa e disegni geometrici mentre la parte mediana è bianca divisa in pannelli con al centro architetture fantastiche, figure fluttuanti, motivi grotteschi e temi mitologici come Piramo e Tisbe. La pavimentazione, ancora incompiuta, è in pietra mescolata a malta. All'interno dell'ambiente, così come nei due successivi, non sono stati ritrovati reperti, forse, come dimostrato da alcune brecce nei muri, indagata subito dopo l'eruzione: in questa stanza, l'unico elemento ritrovato, è stato un oggetto in ferro a forma di T, probabilmente resti di un mobile. Segue quindi un cubicolo, anche se di dimensioni troppo ridotte per ospitare due letti o un letto e un armadio; le decorazioni sono in quarto stile: base in giallo con l'aggiunta di disegni di piante e zona centrale e superiore bianca, con pannelli divisi tra loro da linee gialle e rosse e l'aggiunta di uccelli. Il pavimento è in malta e cocciopesto. Il terzo ambiente, con apertura sia sull'atrio che sul negozio, di cui forse era un deposito (se si fosse trattato di un deposito avrebbe dovuto avere un intonaco in bianco e rosa) oppure un cubicolo, ha pareti con intonaco grezzo grigio: la decorazione è incompiuta. A sud dell'atrio si apre il tablino o un deposito: dalla stanza una porta e una finestra danno direttamente sul giardino, mentre una scala nell'angolo nord-ovest, di cui rimangono le tracce, conduceva al piano superiore. Le pitture si riscontrano nel muro sud e nell'area sotto la scala: la zoccolatura è rossa e la parte mediana è gialla divisa in scomparti da fasce bianche con al centro, in uno, una testa femminile, e, in un altro, Dioniso e un sileno; al di sopra della scala intonaco bianco grezzo. Il pavimento è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche e nere. Dal numero di cerniere ritrovate nella stanza, era ospitato un armadio e una cassapanca che contenevano diverse anfore, una fibbia, un secchio e un vaso in bronzo, una statua in marmo di Ermafrodito e fiaschi in vetro. Dal tablino si accede al giardino: la parete nord è intonacata in bianco mentre le pareti sud e ovest presentano una decorazioni in quarto stile con scene tipiche da giardino, in particolar modo zoccolatura di colore chiaro con l'aggiunta di sfingi e parte mediana con disegni di alberi, fiori e uccelli, oltre a una figura femminile che regge un catino. Nell'angolo della parete sud-est è presente una nicchia: la parte sottostante è affrescata in linea con il resto dell'ambiente, mentre l'interno è di fattura più antica. Nei pressi della bocca di una cisterna è stato ritrovato un puteale; anche se mai rinvenuta, secondo gli archeologi, nel giardino poteva esserci una meridiana. Il pavimento è in calce. Dal giardino si accede al triclinio o, dai reperti ritrovati, a una sala polifunzionale. La decorazione è in quarto stile, con zona basale in rosso, adornata con delfini e creature marine e parte mediana e superiore in fondo bianco con l'aggiunta di architetture fantastiche e motivi ornamentali; al centro dei pannelli della parte mediana, suddivisi tramite bordi ornamentali e amorini, gli affreschi di Artemide e Atteone e il Giudizio di Paride. La pavimentazione, forse incompleta, è in pietra. Nella stanza sono state ritrovate cerniere che potevano appartenere a un baule o un armadio; tra i reperti: due boccette e una tazza in vetro, pentole, fibbie e gioielli in bronzo e altri oggetti in vetro e pietra. Ad angolo tra il giardino e il triclinio è presente un ambiente che alcune mappe attribuiscono alla casa, mentre altre no: potrebbe trattarsi della cucina. Le pareti sono intonacate, mentre il pavimento è in cocciopesto. Una panchina, quasi del tutto distrutta, era posta lungo il lato sud e una latrina era nell'angolo sud-est. Nessun reperto è stato ritrovato, anche se secondo Armitt dalla cucina provenivano diversi oggetti in bronzo, ceramica e vetro. La casa aveva un piano superiore a cui si accedeva dal tablino, crollato a seguito dell'eruzione. Nella parte anteriore della casa, a un'altezza di quattro metri sul piano del calpestio, sono stati ritrovati due scheletri, uno dei quali con una borsa contenti oggetti in bronzo. Altri elementi in bronzo sono stati ritrovati nelle parti superiori dei materiali vulcanici ma non è possibile stabilire con certezza se provenissero dalla casa: si tratta di una lampada in argilla e una cerniera, un piede di leone e un anello in bronzo. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Laterza, 1982, ISBN 88-420-2001-X. Luisa Franchi dell'Orto, Ercolano 1738-1988: 250 anni di ricerca archeologica: atti del convegno internazionale, Ravello-Ercolano-Napoli-Pompei: 30 ottobre-5 novembre 1988, Roma, L'Erma di Bretschneider, 1993, ISBN 88-706-2807-8. Regio I degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa della Venere in Bikini (I.11.6) (IT, EN) Soprintendenza Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Palestra Grande
Palestra Grande

La Palestra Grande, ubicata nella Regio II, è una palestra di epoca romana, sepolta dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: il suo nome deriva dal fatto che si trattava del maggior impianto ginnico della città. La Palestra Grande è stata edificata alla fine del I secolo a.C. poiché le altre palestre presenti in città, principalmente quella Sannitica, riservata ad una corporazione aristocratica e militare, e quella delle Terme Stabiane, non rispondevano più alle esigenze dei fruitori, in particolare dei collegia iuvenum, ossia quelle associazioni di giovani volute da Augusto, il quale vedeva nell'edificazione di questi monumenti la propria propaganda imperiale. La struttura viene duramente danneggiata durante il terremoto di Pompei del 62, tant'è che devono essere completamente ricostruiti le mura di cinta, per poi essere seppellita sotto una coltre di ceneri e lapilli, mentre i lavori di restauro ancora devono terminare, a seguito dell'eruzione del Vesuvio del 79. in seguito è stata riportata gradatamente alla luce con diverse campagne di scavo, come quella svoltesi tra il 1814 ed il 1816, quella del 1933 e quella dal 1935 al 1939. Dopo sette anni di chiusura, viene riaperta al pubblico, a seguito di un restauro, il 3 agosto 2015: al suo interno hanno trovato collocazione gli affreschi ritrovati nel 1959 in alcuni ambienti della cosiddetta casa dei Triclini in località Moregine, a pochi centinaia di metri dalle mura dell'antica città. La Palestra Grande sorge nei pressi dell'Anfiteatro, in una zona, al tempo della sua costruzione, scarsamente edificata, come dimostrato dalle case circostanti, le quali possedevano ampi giardini; l'intera struttura ha una pianta rettangolare, lunga centoquarantuno metri e larga centosette ed è circondata da un muro di cinta, in opus incertum, arricchito sia nella sua parte esterna, che quella interna da semicolonne. Nel muro si aprono dieci porte che consentono l'accesso alla palestra: alcune di queste, quelle superstiti al terremoto del 62 sono in tufo, mentre quelle restaurate sono in opera laterizia, e sono strutturate tutte allo stesso modo ossia con lesene o semicolonne laterali, sormontati da un architrave ed un frontone. Internamente, lungo il muro perimetrale, su tre lati, corre per oltre trecentocinquanta metri un porticato sorretto da colonne, trentacinque sui lati brevi, quarantotto su quello di fondo sud-ovest: questo sono realizzate in laterizi, rivestite in stucco bianco, con base attica, rinforzata mediante una colata di piombo e seguito del terremoto del 62, e capitelli ionici in tufo decorati con fogli d'acanto. Nella corte dove si svolgevano le attività sportive, tra l'altro utilizzate anche dai frequentatori dell'Anfiteatro per riposarsi e mangiare, lungo i tre lati del colonnato, era posta una doppia fila di platani, al momento dell'eruzione quasi centenari, di cui è stato possibile ricavare i calchi delle radici e che avevano la funzione di creare una zona d'ombra, come suggerito dei modelli architettonici di Marco Vitruvio Pollione. Al centro della corte inoltre è posta una piscina, lunga trentaquattro metri e larga ventidue, con fondale inclinato in modo tale da avere una profondità che varia da un metro fino ad un massimo di due. Due gli ambienti principali della Palestra Grande: una sala a forma di esedra, preceduta da due semicolonne in marmo addossate alla parete, dedicata al culto di Augusto, con all'interno un piedistallo marmoreo dove era posta o una statua dell'imperatore o quelle del dio a cui era dedicata la struttura, e una latrina, la quale aveva inizialmente anche un accesso esterno, poi murato, per essere utilizzata anche da coloro che assistevano agli spettacoli nell'Anfiteatro, nella quale restano blocchi di pietra lavica, usata come base su cui poggiava il ripiano con i fori; sia la latrina che la piscina risultano essere collegati ad una fognatura. Pochissime le tracce di pitture rimaste: probabilmente la parte interna dei muri perimetrale doveva avere affreschi in terzo stile, di cui ne rimane solo una parte della parete nord ovest; numerosi inoltre i graffiti, alcuni di tipo politico, altri erotici, fino ad arrivare a quelli amorosi, come uno che recita: All'interno della Palestra Grande sono stati inoltre rinvenuti gli scheletri di diciassette persone, mentre altre diciotto erano ammassate all'interno della latrina e quattordici, molte dei quali con oggetti personali tra cui monili in oro, argento e bronzo, due bicchieri in argento con figure isiache ed una cassetta con strumenti chirurgici, esternamente, nei pressi del muro perimetrale; è stato inoltre rinvenuto lo scheletro di un cavallo con un cisium, un leggero calesse, mentre di un uomo si è ricavato il calco, visibile nei granai del Foro, di cui si è compreso che al momento dell'eruzione indossava stivali e con il mantello cercava di coprirsi la bocca dai gas tossici. Nel novembre del 1936 fu trovato inciso su una colonna della palestra il quadrato magico identico a quello rinvenuto nel 1925 su una colonna della casa di Paquio Proculo: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS Rino Cammilleri, Il quadrato magico, Milano, Rizzoli editore, 1999, ISBN 88-17-86066-2. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Editori Laterza, 1982, ISBN non esistente. Regio II degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Palestra Grande (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa dell'Efebo
Casa dell'Efebo

La casa dell'Efebo è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: chiamata anche casa di Publio Cornelio Tegeste, dal nome del proprietario, deve la sua denominazione al ritrovamento di una statua raffigurante un efebo. La casa appartenne a un Publio Cornelio Tegeste, probabilmente un mercante del ceto medio pompeiano, che si era arricchito tramite i traffici commerciali: visto anche i numerosi ritrovamenti di oggetti, l'uomo doveva essere un cultore o collezionista di opere d'arte. Frutto dell'unione di due o tre abitazioni, la casa nel periodo precedente all'eruzione era in uso, come dimostrato anche dal rinvenimento di tre scheletri, tuttavia era in fase di restauro come testimoniano i calcinacci nel giardino, che non era utilizzato quindi come luogo di svago, la mancanza di utensili da cucina, un letto posto in un ambiente non adibito a tale funzione e alle decorazioni in quarto stile del tutto complete. Probabilmente i proprietari, durante il restauro o prima del terremoto del 62, erano partiti da Pompei e lasciato la casa alla gestione del personale di servizio. Venne seppellita quindi sotto una coltre di ceneri e lapilli durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e fu esplorata e riportata alla luce in più fasi: la prima nel 1912 e poi tra marzo e settembre del 1925, anche se i lavori si protrassero fino al 1927. La casa si trovava ad una profondità di tre metri dal suolo di calpestio e le indagini iniziarono praticando un tunnel dalla casa del Sacerdote Amando: tuttavia varchi nelle mura evidenziarono che questa già era stata esplorata precedentemente. Negli anni 10 del XXI secolo l'abitazione venne sottoposta a restauro, riaprendo al pubblico nel dicembre 2015. L'accesso alla casa, che ha una superficie di circa seicentocinquanta metri quadrati, è posto in una traversa di via dell'Abbondanza, nel cosiddetto vicolo dell'Efebo: al momento dello scavo, lungo la strada sono stati ritrovati diversi oggetti, probabilmente prelevati dalla casa stessa durante l'eruzione. L'abitazione ha tre ingressi, frutto dell'unione di più case: probabilmente l'ingresso nella parte alta era utilizzato dalla famiglia, quello mediano dagli ospiti, mentre quello in basso consentiva l'accesso alla zona del giardino. L'ingresso posto nella parte superiore si presenta esternamente decorato con semicolonne sormontato da capitelli cubici; è stato ricavato il calco del portone a due battenti, internamente sbarrato: Amedeo Maiuri ha ipotizzato che questo poteva o non essere più in uso o chiuso durante l'eruzione per evitare l'ingresso all'interno sia di materiali vulcanici che di intrusi. Il corridoio d'ingresso ha pareti affrescate in bianco con l'aggiunta di candelabri e bordi ornamentali, tipico del quarto stile che si ritrova in tutta la casa, mentre il pavimento è in lavapesta. Si accede quindi all'atrio, completamente coperto e senza impluvium: le pareti nord e sud hanno pareti bianche con disegni di piante nella zoccolatura e nature morte e bordi ornamenti nella parte mediana, mentre la parete est ha zoccolo e parte mediana in nero; il pavimento è in cocciopesto, come in quasi tutto il resto della casa. Una scala conduceva al piano superiore: nel sottoscala era posto una sorta di armadio contenente vasi in vetro e bronzo e un braccio appartenente alla statua dell'Efebo ritrovata in giardino. A completare l'ambiente una nicchia che fungeva da larario decorata con l'affresco di un Genio che offriva libagioni, una flautista, un inserviente, lari che danzano, e nella parte sottostante dovevano esserci due serpenti, di cui uno con barba e cresta rossa, contornati da piante. Nell'atrio, posti ai lati dell'ingresso, due cubicoli affrescati in giallo, con zoccolo decorato con Menadi, amorini, ghirlande, sfingi e colombe e zona mediana con nature morte e elementi architettonici. Dal lato opposto dell'atrio invece si accede a un'esedra, originariamente adibito a tablino: al momento dello scavo, al suo interno, sono stati ritrovati resti di un letto, indicando che poteva fungere o come camera da letto o camera da pranzo; la pavimentazione è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche, mentre le pareti sono tinteggiate in bianco con l'aggiunta di elementi vegetali nella parte inferiore e medaglioni ed elementi architettonici in quella superiore. Sullo stesso lato dell'esedra è un bagno, fornito di un lavabo in bronzo, un foro nella parete a circa un metro e mezzo di altezza che ospitava uno specchio e, nel pavimento, un foro collegato direttamente al forno del cortile, testimonianza che in casa era presente l'acqua calda; la stanza ha una zoccolatura in nero con scomparti bordati in rosso e parte mediana bianca con disegni di candelabri, ghirlande e uccelli. Dall'esedra di accede a un piccolo cortile affrescato in rosso scuro nella zoccolatura: si tratta di un locale per la raccolta e il riscaldamento dell'acqua, anche se in un primo momento lo si riteneva essere un ripostiglio per la quantità di materiale ritrovato, fino a quando non si è intuito che proveniva dal piano superiore. Si passa quindi al triclinio rustico con resti di un focolare e pareti in rosso nella parte inferiore e in bianco in quella superiore. Il secondo ingresso era quello probabilmente in uso al momento dell'eruzione: esternamente era dotato di sedili, mentre il corridoio appare dipinto con zoccolo nero e parte mediana in giallo e rosso con riquadri bianchi; lungo il corridoio sono stati ritrovati oggetti da gioco, un martello, vasi in ceramica e bronzo e una moneta: tali oggetti erano o contenuti in un armadio, di cui sono state recuperate le cerniere, o provenienti dal piano superiore crollato. Si accede al secondo atrio, di tipo tuscanico, con impluvium, scala per il piano superiore e collegato al primo atrio tramite un'apertura nella parete nord: le pareti sono intonacate grossolanamente e in una di questa è incastonato un pezzo di vetro, tipico elemento decorativo; accanto all'impluvium sono stati rinvenuti due gambe di un tavolo in marmo e due recipienti metallici di cui uno contenente una sostanza gialla, l'altro pezzi di vetro. Lungo il lato verso l'ingresso si aprono tre ambienti, due dei quali ai lati del corridoio d'ingresso: uno, intonacato in bianco, poteva essere in origine l'accesso al piano superiore, tramutato poi in cucina, visto il ritrovamento di vasi e casseruole e munito di latrina, mentre l'altro un cubicolo con pitture parietali che tendono a riprodurre l'effetto del marmo, con zona inferiore in rosso e giallo e parte superiore in bianco, entrambi con quadretto centrale in bianco e bordi ornamentali. Accanto al cubicolo è posto un oecus che fungeva anche o da biclinio oppure da stanza da pranzo invernale: contrariamente al resto della casa, le pareti sono decorate in secondo stile, con zoccolo nero in cornice gialla e zona centrale nera con bordi rossi. Come l'ambiente accanto anche in questo sono stati ritrovati resti di anfore e una breccia nel muro segno di un'esplorazione precedente a quelle ufficiali. Con ingresso sia dall'atrio che dal biclinio è un ulteriore ambiente a servizio di quest'ultimo e presenta le parati con zoccolo bianco, arricchito con disegni di piante e elementi architettonici, e zona superiore bianca con quadretto centrale raffiguranti uccelli, pesci, animali selvatici e ghirlande: al suo interno è stata ritrovata una cassa contenente oggetti in vetro e ceramica decorati, forse utensili da toelettatura, una pentola in bronzo, un coltello e un pettine per la cardatura. Sul lato dell'atrio di fronte all'ingresso si aprono tre ambienti: quello centrale è o il tablino oppure un magazzino in quanto si presenta con pareti intonacate in grigio, anche se probabilmente al momento dell'eruzione la decorazione pittorica non era ancora stata terminata; all'interno della sala, oltre a vasi di ceramica e vetro, tazze, attrezzatura per il cucito e strumenti in ferro per il giardinaggio, forse provenienti dal piano superiore crollato, è stata ritrovata una cassa carbonizzata con all'interno quattro statuette in bronzo dorato, ognuna delle quali reca in mano un vassoio, sul quale venivano poggiati dolci, conservate al Museo archeologico nazionale di Napoli. I due ambienti laterali invece sono un piccolo cubicolo con soffitto a volta e pareti affrescate con quadretti centrali di scene mitologiche come Eco e Narciso nella parete nord, Apollo e Dafne in quella sud e l'Afrodite pescatrice in quella est, anche in cattivo stato di conservazione, e un ripostiglio, con pareti intonacate in bianco sulle quali sono presenti scaffali contenenti vasi, lampade, resti di gioielli in vetro e una maschera in terracotta. La parete sud del secondo atrio si apre verso la zona del giardino. Si supera una sorta d'ingresso con pareti bianche con bande rosse, gialli e verdi e pavimento in cocciopesto con file di tessere bianche e al suo interno sono stati ritrovati uno sgabello in bronzo, quattro gambe di un mobile e, avvolto in un panno di lino per evitare per si danneggiasse durante i lavori di restauro della casa, la statua raffigurante un Efebo in bronzo, copia di un'opera greca del V secolo a.C. e custodito al Museo archeologico nazionale di Napoli: la funzione della statua era probabilmente quella di essere una lampada, in quanto doveva portare nelle mani dei candelabri; al momento del ritrovamento la statua mancava del braccio destro, rinvenuto in un altro ambiente della casa. Si passa quindi a un'esedra o sala da pranzo con pareti con zoccolo bianco decorate con uccelli e piante e zona mediana bianca con disegni architettonici; il pavimento è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche, le quali formano delle croci, e al centro un mosaico policromo a raffigurare uccelli e fiori. Queste ultime due camere danno accesso al triclinio: le pareti si presentano sia nella zoccolatura che nella parte mediana affrescate in bianco con l'aggiunta di figure volanti e piante; nella parete est, in parte danneggiata da una breccia frutto delle esplorazioni, è un quadretto raffigurante Elena e Menelao. Il soffitto era decorato a cassettoni con l'aggiunta di figure e medaglioni, mentre il pavimento è in cocciopesto eccetto al centro e lungo il lato sud che in opus sectile, realizzato con quadrati e triangoli in marmo colorato e vetro millefiori. Nel triclinio sono stati ritrovati resti di divani lungo le pareti, poi ricostruiti, e resti di statuette, probabilmente provenienti dal giardino, in particolare una statua di Pan, di un Capra con un capretto e un bassorilievo con un amorino. Esternamente al triclinio, che era probabilmente protetto dalla pioggia, dal vento e dal sole o da vetrate poste in cornici di legno o da persiane in legno, sulla parete ovest, è posto una nicchia per un larario, decorato con l'affresco di due serpenti, quello a sinistra più grande con cresta rossa e barba, mentre l'altro piccolo, e al centro, sotto la nicchia, la raffigurazione di un braciere con sopra delle uova. Tra il triclinio e il larario è l'accesso a una dispensa o ripostiglio, nel quale sono stati ritrovati un braciere e un'anfora. Il terzo ingresso è posto nei pressi del giardino: l'ingresso ha la parete nord intonacata in bianco e quella sud con zoccolo rosa e parte mediana in bianco. Intorno all'ingresso si aprono tre ambienti di servizio: uno, nel quale sono stati ritrovati tre anelli, aveva una scala in legno per accedere al piano superiore, una cucina con latrina, probabilmente inutilizzata al momento dell'eruzione poiché senza reperti al suo interno, e un altro, con pareti bianche e l'aggiunta di ghirlande, candelabri, pianti e animali, dalla funzione sconosciuta e nel quale sono stati scoperti una brocca in ceramica e un manico di ferro attaccato a del legno. Dall'ingresso si passa all'ambulacro che divide la zona residenziale della casa dal giardino: le pareti sono dipinte in bianco con l'aggiunta nella parte inferiore di piante e in quella superiore di candelabri, ghirlande, uccelli e delfini; sul fondo del deambulatorio, nelle vicinanze di un larario a tempio, si trova un castellum aquae che riusciva a contenere circa tre metri cubi di acqua, collegato direttamente alla fontana del giardino, decorato con l'affresco di Marte e Venere. Il giardino, che al momento dell'eruzione era in disuso come testimoniato sia dalle decorazioni incomplete sia per il materiale di risulta ritrovato, è posto nella parte meridionale della casa ed è diviso in due parti da lastre di marmo: la decorazione delle pareti è in una parte in zoccolo rosso con piante e zona mediana con scene di caccia, mentre nelle altre parti è intonacato in bianco. La parte ovest del giardino ha nel centro una sorta di divano in muratura a tre lati, coperto da un pergolato che si sorreggeva su quattro colonne stuccate; il divano è decorato con affreschi di scene nilotiche con pigmei: il fiume viene raffigurato nel momento della piena, con l'acqua che circonda i recinti sacri e particolare è una scena erotica sulla parte frontale che si svolge alla presenza di terzi intenti a suonare il flauto o urlare. Completano la zona un tavolo in marmo posto nel centro del divano e diverse basi in muratura su cui erano posate delle statue. Lungo la parete sud è una fontana a forma di tempio con ninfeo: come decorazione era posta una statua in bronzo di una figura femminile, Pomona, ritrovata al momento dello scavo su un mucchio di piastrelle, da cui fuoriusciva l'acqua che poi defluiva attraverso una fistula per scomparire nel muro perimetrale e ricomparire a ridosso del peristilio della casa confinante, segno che anche questa apparteneva allo stesso proprietario della casa dell'Efebo. Nella parte est del giardino è posta una grande vasca all'interno della quale sono state ritrovate anfore e vasi in ceramica; al centro un tavolo, una sedia a semicerchio e un altare in terracotta, mentre nel muro perimetrale si trova un ingresso con scala per la casa vicina. La casa aveva anche stanze al piano superiore, crollate. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Laterza, 1982, ISBN 88-420-2001-X. Touring Club Italiano, Guida d'Italia - Napoli e dintorni, Milano, Touring Club Editore, 2007, ISBN 978-88-365-3893-5. Regio I degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa dell'Efebo (IT, EN) Soprintendenza Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa del Menandro
Casa del Menandro

La casa del Menandro (I 10, 4) è una grande domus urbana dell'antica Pompei di quasi 1800 m². È stata scavata negli anni 1926–1932 ed è un buon esempio di una domus di una famiglia benestante dell'antica Pompei. Prende il nome non dal proprietario della casa, ma dall'immagine del poeta greco Menandro, ritrovata lì. La parte più vecchia della casa è composta da un atrio costruito nel 250 a.C. con gli spazi immediatamente circostanti ed è relativamente modesta. Circa 100 anni più tardi la domus fu modernizzata. Per la porta d'ingresso e per il tablinum furono usati capitelli di tufo. In periodo augusteo la domus fu modificata sostanzialmente; in primo luogo fu edificato un peristilio, utilizzando lo spazio ricavato dall'abbattimento degli edifici residenziali adiacenti. Nello spazio a ponente furono ricavate delle terme. A levante si trova la parte economica della domus. Poco prima dell'eruzione furono eseguite in vari posti della casa ulteriori opere di ammodernamento. Si trovano delle anfore riempite di stucco e un forno provvisorio. Il nome dell'ultimo abitante della casa è Quinto Poppeo. Il suo nome è stato trovato in un sigillo di bronzo negli alloggi per la servitù. La casa è decorata con pitture del quarto stile. La parete posteriore del peristilio mostra una sequenza di nicchie, e in quella centrale si trova una immagine di Menandro, che dà il nome alla casa. Nel calidarium si trova un grande mosaico con al centro un grande acanto circondato da pesci, delfini e altri animali marini. In un corridoio sotto il piccolo atrio delle terme private si trovava un tesoro di 118 vasi d'argento, che erano stati accuratamente avvolti in drappi di stoffa e sistemati in un alto armadio di legno durante i lavori di restauro della casa. In un altro cofanetto in legno, e quindi decomposto, si trovavano anche oggetti in oro e monete per un valore di 1432 sesterzi. Amedeo Maiuri: La Casa del Menandro e il suo tesoro di argenteria, Rom 1933 Eugenio La Rocca, M. de Vos Raaijmakers, A. des Vos: Pompeji. Lübbes archäologischer Führer. Gustav Lübbe Verlag, Bergisch Gladbach 1979, ISBN 3-7857-0228-0, S. 175-86 Penelope M. Allison, The Insula of the Menander at Pompeii, volumi primo, secondo e terzo, 0199263124, 9780199263127, Clarendon Press, 2006 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa del Menandro Casa del Menandro, su pompeiisites.org. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 7 gennaio 2014). (EN) Casa del Menandro, su stoa.org. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale l'8 gennaio 2014).

Anfiteatro romano di Pompei
Anfiteatro romano di Pompei

L'anfiteatro romano di Pompei è un anfiteatro di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: è uno degli edifici, nel suo genere, meglio conservato, nonché uno dei più antichi al mondo. L'anfiteatro fu costruito intorno al 70 a.C. dai duoviri Gaio Quinzio Valgo e Marco Porcio ed era utilizzato per giochi circensi e combattimenti tra i gladiatori; queste parate, talvolta pubblicizzate con graffiti sulle facciate delle case, avvenivano in forma grandiosa, come è testimoniato da un'iscrizione che recita: Fu proprio durante uno di questi spettacoli che nel 59 ebbe luogo una violenta rissa tra pompeiani e nocerini, la quale provocò numerosi feriti e anche diversi morti: a seguito di tale evento il senato romano decise la chiusura dell'anfiteatro per dieci anni e condannò all'esilio l'organizzatore dell'evento, Livineio Regolo. La rissa fu inoltre ricordata da Tacito, che così scriveva: Il motivo della lite è probabilmente da attribuirsi al fatto che Nuceria Alfaterna era diventata nel 57 una colonia romana e ciò aveva permesso ai nocerini di accaparrarsi territori precedentemente appartenuti ai pompeiani. A seguito del terremoto di Pompei del 62 l'edificio subì notevoli danni ed al contempo il provvedimento decennale venne annullato: l'intera struttura fu completamente rinnovata, come testimoniano due iscrizioni che si trovano nel passaggio d'ingresso, dai duoviri Caio e Cuspio Pensa, padre e figlio. Durante l'eruzione del Vesuvio del 79, fu completamente sepolto sotto una fitta coltre di ceneri e lapilli e fu uno dei primi edifici ad essere riportato alla luce nella campagna di scavi promossa dalla dinastia borbonica nel 1748. L'anfiteatro sorge nella parte sud-est dell'antica Pompei e questa scelta fu dettata da due motivi: il primo, in quanto la zona era poco abitata e quindi di minore intralcio alla vita quotidiana della città, considerando il gran numero di persone che visionava gli spettacoli; il secondo, fu una scelta economica, in quanto la struttura venne addossata alla cinta muraria, ormai in disuso, utilizzando un terrapieno preesistente e costruendone uno nuovo sul lato rimasto scoperto, utilizzando il terreno di risulta dello scavo: in tal modo la struttura è posta a circa sei metri di profondità ed assume una forma ellittica; ha inoltre una lunghezza di centotrentacinque metri e una larghezza di centoquattro metri, per una capienza di ventimila spettatori. Esternamente si presenta in due ordini: la parte inferiore è ad archi ciechi, in pietra, con pareti realizzate in opus incertum, sotto i quali, durante gli spettacoli, i mercanti vendevano le loro mercanzie, mentre l'ordine superiore presenta archi a tutto sesto; tra i due ordini è posto un ambulacro e per permettere agli spettatori di raggiungere le gradinate più alte furono costruite due grandi scalinate. L'accesso all'anfiteatro avveniva tramite una galleria, chiamata anche crypta, che possedeva quattro ingressi, due dei quali davano direttamente sull'arena: si pensa inoltre che un passaggio fosse esclusivamente riservato ai magistrati, che godevano di palchi d'onore, divisi dal resto della platea da uno scomparto in muratura; inoltre uno di questi palchi era collegato direttamente all'arena, probabilmente utilizzato dai gladiatori durante le cerimonie di premiazione. Prima di giungere all'arena sono posti, lungo lo stesso asse, due spoliarii, utilizzati uno per prestare i primi soccorsi ai combattenti feriti, l'altro, con arco trionfale, per l'accesso dei gladiatori; l'arena vera e propria è in terra battuta e contrariamente ad altri edifici dello stesso genere non presenta un'area sotterranea; l'intera circonferenza dell'arena è delimitata da un parapetto, alto circa due metri, che era decorato con affreschi, oggi andati perduti, che raffiguravano duelli tra gladiatori ed in particolare uno che rappresentava l'inizio di una lotta. L'anfiteatro pompeiano dispone di una cavea, spartita in tre zone: l'ima cavea, divisa in sei settori, riservata alle personalità di spicco della città e da dove si godeva della migliore vista, la media cavea, ossia la zona centrale, riservata al popolo e la summa cavea, gli ultimi ordini di spalti riservati alle donne; le ultime due zone della cavea erano entrambe divise in circa venti settori ed i sedili erano in parte in tufo, realizzati dopo il 62 ed in parte in legno, così come erano fatti in origine. Per proteggere gli spettatori dai raggi del sole estivo o dalla pioggia, l'anfiteatro era predisposto per l'uso del velarium ossia una sorta di grosso tendone, solitamente in lino, che ricopriva tutta l'area della struttura. Pink Floyd: Live at Pompeii Live at Pompeii (David Gilmour) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sull'anfiteatro romano di Pompei (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa dei Ceii
Casa dei Ceii

La casa dei Ceii è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: chiamata anche casa della Caccia, casa di Fabia e Tiranno o casa della Regina Elena, deve il suo nome alla famiglia che l'abitava, quella dei Ceii. La casa dei Ceii fu edificata alla fine del II secolo a.C., al termine del periodo sannitico, come testimoniato dall'utilizzo di metodi architettonici, classici di quella popolazione: all'inizio del I secolo, quando presumibilmente apparteneva a Lucius Ceius Secundus, edile nel 76 e duoviro nel 78, subì una pesante ristrutturazione che portò al rifacimento di tutte le pitture interne in terzo stile. I lavori di ammodernamento, come la costruzione di un piano superiore, non erano ancora completati, anche se il ritrovamento di oggetti di uso quotidiano ha confermato che l'abitazione era normalmente utilizzata, quando nel 79, venne seppellita sotto una colte di ceneri e lapilli, a seguito dell'eruzione del Vesuvio. Saccheggiata già probabilmente al termine del fenomeno eruttivo, venne riportata alla luce tra il marzo 1913 e l'agosto 1914, con altre campagne di scavo effettuate nel 1982. La casa, che si affacciata sul vicolo del Menandro, ha un'estensione di duecentoottantotto metri quadrati ed ha l'architettura delle tipiche abitazioni a schiera del quartiere; la facciata presenta elementi architettonici tipici dell'architettura sannitica, come le due lesene che inquadrano il portale d'ingresso che terminano con capitelli cubici, i quali sorreggono un architrave con cornice dentellata, il tutto sormontato da una tettoia: il resto della facciata, nella quale si aprono due finestre, conserva la rifinitura a stucco disposta a finto opus quadratum e su di essa, al momento dello scavo, erano dipinte nove iscrizioni elettorali, e da una, quella inneggiante a L. Ceius, ne è derivato il nome. Superato il portale d'ingresso, di cui è stato possibile ricavare il calco in cemento, a due battenti e con l'aggiunta di elementi in ferro originali, si accede alle fauci, con pareti affrescate in terzo stile, così come nel resto dell'abitazione, con pannelli rossi su fondo bianco e zona superiore in bianco arricchita con raffigurazioni di elementi architettonici; anche il soffitto presenta degli affreschi. Una probabile porta a tre ante, divideva le fauci dall'ambiente successivo, ossia l'atrio: questo è di tipo tetrastilo, con impluvium centrale realizzato con pezzi di anfora e arricchito, a seguito del restauro del I secolo, da bordi in marmo; il pavimento, uguale poi nel resto della casa, è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche, mentre le pareti hanno affreschi in rosso e nero e zona superiore in bianco, sempre con la presenza di elementi architettonici: nell'ambiente sono stati ritrovati un tavolo circolare in marmo, un puteale, doveva esserci un armadio in legno e, sotto una scala, posta lungo parete sinistra, che permetteva di raggiungere il costruendo piano superiore in opus craticium, erano conservate undici lucerne in terracotta, una in ferro ed una lanterna in bronzo. Le camere che si affacciano sull'atrio sono presenti solo sul lato sud e su quello nord: lungo il lato sud, sulla destra, si apre un cubicolo, illuminato da due finestre, con zoccolatura nera, pannelli centrali verdi e rossi e zona superiore gialla con disegni di elementi architettonici ed in particolar modo spicca un quadretto raffigurante una Poetessa che istruisce una suonatrice di cetra, mentre l'ambiente sulla sinistra si ritiene essere una cucina con una latrina, nel quale sono stati ritrovati resti di una statua a grandezza naturale, una colomba in marmo con piedi in ferro, ma mancante di testa, e vasi in ceramica. Le camere sul lato nord sono invece il tablino ed il triclinio: il tablino, che si affaccia direttamente sul giardino, non presenta decorazioni, in quanto a seguito dei lavori per la costruzione del piano superiore, era in attesa di essere affrescato, anche se presenta una pavimentazione in cocciopesto la cui parte centrale è decorata con un mosaico riproducente motivi geometrici che incorniciano piastrelle romboidali in marmo policromo; il triclinio invece presenta una pavimentazione simile a quella del tablino, ma al centro è in opus sectile, mentre le pareti sono affrescate con zoccolatura nera, pannelli centrali in rosso e nero e zona superiore in bianco: in particolare, nella parte centrale delle quattro pareti erano affrescati quattro quadretti di scene mitologiche, di cui solo due conservati: quello sul lato ovest raffigura Dioniso che versa del vino ad una tigre e sul lato est una Menade. Tra il triclinio ed il tablino, un breve corridoio, le cui pareti sono in nero con affreschi di nature morte, congiunge l'atrio con il giardino: questo è preceduto da un ambulacro decorato con pannelli neri arricchiti con raffigurazioni di elementi vegetali; sul suo lato sinistro si apre un piccolo ambiente utilizzato come ripostiglio, mentre sul lato destro, sono presenti altre tre stanze, una adibita ad oecus, con pareti affrescate con zoccolatura in nero, zona mediana in bianco e rosso e parte superiore bianca con elementi architettonici, ghirlande e fasce ornamentali, e le altre due, semplicemente intonacate, erano anch'esse adibite a ripostiglio. Il giardino, al cui interno è stato ritrovato lo scheletro di una tartaruga, è caratterizzato da un canale con alle estremità due fontane, una raffigurante una ninfa, l'altra una sfinge: lungo la parete di fondo sono affrescate scene di caccia, mentre lungo le due pareti laterali paesaggi nilotici, in particolare quella sinistra con pigmei con combattono contro ippopotami e coccodrilli e il trasporto di anfore su una nave e quella a destra con edifici sacri dalla classica architettura egizia; nei pressi di una finestra è ritratto sulla destra una viandante con cappuccio e sulla sinistra un quadretto con uva e mele, mentre vicino ad una finestra più piccola un Priapo itifallico: sparsi per l'ambiente sono stati ritrovati numerosi graffiti. La casa disponeva anche di un piano superiore, che si sviluppava lungo la facciata ed in parte crollato a seguito dell'eruzione: questo era adibito al personale. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Editori Laterza, 1982, ISBN non esistente. Regio I degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa dei Cei (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa dei Gladiatori
Casa dei Gladiatori

La casa dei Gladiatori (V 5, 3) si trova a Pompei. La casa fu eretta nel I secolo a.C. come abitazione privata. È costituita da un grande peristilio con stanze nei lati nord ed est. Il peristilio è ornato con otto colonne nel lato lungo e quattro nel lato corto. Nel lato est della casa si trova un ingresso. Un altro ingresso si trova nel lato meridionale in una estensione della casa, che arriva alla strada. Accanto all'estensione si trova una piccola casa, che è completamente circondata dalla casa dei gladiatori a nord e ovest e che a est e sud confina con l'incrocio tra la via di Nola e il vicolo dei Gladiatori. Questo struttura è anche nota come Casa senza Compluvium. Dopo una fase di ristrutturazione la casa fu usata come luogo di esercitazione dei gladiatori. Tra le colonne del peristilio ci sono transenne decorate con paesaggi e scene di caccia. L'uso dell'edificio come luogo di esercitazione dei gladiatori è dato dai numerosi graffiti, che i gladiatori hanno lasciato nella casa. Il triclinium nella parte posteriore della casa è decorato con raffinate pitture del terzo stile. Nel triclinio si è anche ben mantenuta la pavimentazione a mosaico. Eugenio La Rocca, Mariette de Vos Raaijmakers e Arnold des Vos, Lübbes archäologischer Führer Pompeji, Bergisch Gladbach, Gustav Lübbe Verlag, 1979, p. 320, ISBN 3-7857-0228-0. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su casa dei Gladiatori Immagini, su pompeiiinpictures.com.

Casa di Marco Lucrezio Frontone
Casa di Marco Lucrezio Frontone

La casa di Marco Lucrezio Frontone è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: è una delle case ad atrio più raffinate della città. La casa di Marco Lucrezio Frontone venne costruita nel II secolo a.C., ma fu durante il periodo augusteo, nell'arco di tempo compreso tra la fine del I secolo a.C. e l'inizio del I secolo, che venne ampliata e decorata. Era probabilmente abitata da una delle famiglie più potenti di Pompei, appartenendo a Marco Lucrezio Frontone, secondo alcuni un parente di Tito Lucrezio Caro: questo era un uomo politico, candidato alle maggiori cariche pubbliche cittadine, come edile, duoviro e quinquennale; a sostegno dell'ipotesi sul proprietario diverse prove, che comunque non bastano a darne la certezza, come un graffito ritrovato in giardino inneggiante al nome di Frontone e quattro manifesti elettorali dipinti sui muri esterni della casa, tra cui uno che lo definiva: La casa venne danneggiata dal terremoto di Pompei del 62, in particolare la zona del giardino, tant'è che si dovette procedere ad un restauro quasi totale: i lavori non erano ancora terminati, come dimostrato da pitture ancora incomplete, realizzate tutte in quarto stile dalla mano dello stesso pittore, che venne sepolta sotto una coltre di ceneri e lapilli a seguito dell'eruzione del Vesuvio del 79. Durante le prime esplorazioni borboniche tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo venne solo parzialmente indagata, in quanto al suo interno sono state ritrovate intatte la maggior parte delle pitture; esplorazioni sistematiche si svolsero nel 1899, tra aprile e dicembre del 1900 e tra il 1971 e il 1974, quest'ultima eseguita da un gruppo di archeologi dei Paesi Bassi, i quali effettuarono studi stratigrafici soprattutto nell'area del giardino. A seguito del progetto Grande Pompei, la casa venne restaurata tra il 2012 e il 2014, anno delle riapertura, alla presenza del ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini. L'ingresso principale della casa di Marco Lucrezio Frontone si trova lungo una traversa di via di Nola, nel vicolo di Marco Lucrezio Frontone, in parte ancora da scavare: un secondo ingresso, di servizio, è posto lungo il vicolo dei Gladiatori. Le dimensioni della casa si aggirano intorno ai 460 metri quadrati e le principali decorazioni pittoriche interne sono in terzo e quarto stile. Le facciata è semplice. Le fauci d'ingresso presentano alle pareti decorazioni in terzo stile con zoccolatura in nero, una zona centrale rossa divisa in pannelli tramite fasce ornamentali bianche, e una parte superiore con decorazioni architettoniche e ghirlande; il pavimento in cocciopesto con pezzi di marmo sparso. Si accede all'atrio: questo è di tipo tuscanico, presenta stanze su ogni lato, eccetto lungo quello nord, e al centro ha un impluvium con vasca in marmo, bordata da un mosaico con tessere bianche e nere, mentre il resto dell'ambiente è pavimentato in lavapesta con pezzi di marmi colorati. Le pareti sono decorate con zoccolatura rossa, zona mediana con pennelli neri con al centro scene di caccia, separati da strisce gialle, e zona superiore sempre a fondo nero con motivi architettonici e geometrici. Nella stanza sono stati ritrovati un cartibulum in marmo con zampe di leone, sul quale venivano poggiate le suppellettili più pregiate, e diversi oggetti di ceramica, tra cui un vaso contenente vernice blu e un altro con ossa di uccelli, forse utilizzati per i lavori di pitturazione della casa. Sul lato ovest, accanto all'ingresso, sulla destra, si apre un cubicolo, con il segno dell'incavo per il letto e decorazioni in terzo stile con zoccolo nero, zona centrale bianca e zona superiore con raffigurazioni di ghirlande e architetture, mentre la pavimentazione è in parte a mosaico disposto a stella, con tessere in bianco e nero. e in parte a cocciopesto; dal cubicolo si accede ad un altro ambiente il quale conteneva una scala in legno per il piano superiore, con le pareti intonacate in rosa. Sul lato sinistro dell'ingresso un'altra stanza, era probabilmente adibita a deposito o utilizzata dal portiere, che fu ristrutturata a seguito del terremoto del 62, quando venne aperte anche una finestra: la parete est è semplicemente intonacata in bianco, forse per dare più luce all'ambiente, mentre quella ovest ha uno zoccolo nero e zona mediana in rosso con i pannelli separati da fasce bianche con rombi e decorazioni di cani da caccia e ornamenti miniaturistici; questa parete e quella nord avevano anche degli scaffali; la pavimentazione è in cocciopesto. Lungo il lato sud dell'altro si aprono due ambienti: il triclinio e un cubicolo. Nel triclinio si notano i resti degli incassi per i letti nelle pareti: l'intera stanza è stato ridipinta con zoccolatura in nero, zona mediana in giallo ocra, abbellita da decorazioni tipiche del quarto stile riproducenti bordi di tappeti e motivi floreali e al centro di un pannello l'affresco dell'Uccisione di Neottolemo da parte di Oreste davanti al tempio di Apollo a Delfi, e zona superiore in bianco; il pavimento è il lavapesta, disposto a quadrati, con l'inserto di tessere bianche. Il cubicolo invece era probabilmente destinato alla padrona di casa come si evince dagli affreschi in esso presenti, prevalentemente di stampo femminile: lo zoccolo è in rosso scuro con una predella nera decorata con nature morte, uccelli, maschere satiresche, rane e aironi e un hortus conclusus, la zona mediana è in giallo, con al centro, sulla parete destra Arianna che porge il filo a Teseo, mentre su quella sinistra Venere allo specchio mentre si lascia acconciare i capelli, e la parte superiore con decorazioni di sfingi dove si riconosce un affresco sopra la porta, rovinato, ritraente una scena della Battaglia di Troia. Altre tre stanze si aprono lungo il lato est dell'atrio: un cubicolo, il tablino ed un corridoio. Il cubicolo presenta un soffitto a volta ed era probabilmente destinato ai figli del proprietario, come dimostrato dall'affresco all'ingresso di due medaglioni raffiguranti ritratti di fanciulli: un ragazzo nelle vesti di Mercurio e una ragazza. Il cubicolo è stato affrescato a seguito del terremoto del 62 e presenta uno zoccolo in rosso scuro decorato con piante, una zona mediana in giallo ocra con al centro due quadretti contornati entrambi da amorini, raffiguranti da un lato Narciso che si riflette in acqua e dall'altro Perona che allatta Micone, suo padre, salvandolo dalla morte a cui era stato condannato: questo affresco presenta nel angolo superiore dei distici elegiaci che così recitano: La parte superiore è decorata con raffigurazioni di ghirlande e frutta. L'ambiente è illuminato da una finestra rotonda nella quale sono stati ritrovati pezzi di vetro, mentre il pavimento è cocciopesto con un tappeto di rombi e ottagoni; al suo interno sono state ritrovate cinque brocche e un piatto. Il tablino, da un lato aperto sull'atrio e dall'altro sul giardino, presenta affreschi in terzo stile: lo zoccolo è in nero con la raffigurazione di un hortus conclusus, con esedra e fontane tra due piante, un pluteo, uccelli e giardino spoglio, la predella con simboli cari ad Apollo, come lire e cigni, e a Dioniso, come anfore e pantere, disposte sotto una ghirlanda filiforme, la zona mediana con pannelli a fondo rosso e nero, separati tra loro da elementi architettonici fantasiosi decorati con corde di frutta e fiori, con al centro due quadretti a tema mitologico, ossia dal lato destro il Trionfo di Dioniso e Arianna, mentre su quello sinistro Venere e Marte, contornati da raffigurazioni di ville marittime sostenute da candelabri, e la parte superiore abbellita con scaenae frons. Il pavimento è in lavapesta e all'interno della camera sono stati rinvenuti alcuni oggetti in bronzo e un mortaio in marmo. Il corridoio si presenta intonacato in bianco e unisce l'atrio con la zona di servizio. Si accede quindi al giardino, il quale ha una forma irregolare ed è caratterizzato da due pareti affrescate in quarto stile: superata la zoccolatura in nero, abbellita con raffigurazioni di piante, si arriva alla zona centrale dove su un fondo rosso sono dipinti episodi di caccia tra belve, come leoni, pantere, orsi e animali domestici quali buoi, tori e cavalli; una scena di questo affresco rappresenta un leone che si avventa su un animale, probabilmente un orso, quasi irriconoscibile in quanto rovinato da un foro prodotto dagli esplorati borbonici, i quali indagavano le rovine di Pompei tramite cunicoli. L'affresco è protetto da una tettoia, ma originariamente era scoperto: le decorazioni si completano con finestroni rossi con affreschi di statue bianche su piedistalli come un satiro danzante e ninfe che reggono una fontana. Al centro del giardino è stato ritrovato un puteale, probabilmente la testa di una cisterna e numerosi vasi in terracotta, circa ventidue, cinque dei quali utilizzati come fioriere. Sul lato est del giardino si aprono diversi ambienti di servizio: una stanza, la cui funzione è ancora incerta, forse destinata a essere un cubicolo o un deposito, ha pareti affrescate in quarto stile, con zoccolatura in scomparti rossi, separati da bande verdi o nere; diversi i reperti ritrovati al suo interno come un manico d'osso, un'ascia in ferro, una brocca, una pentola in bronzo, delle lanterne e un'anfora colma di calce. Accanto a questo ambiente, con accesso dal giardino, altre tre stanze sempre di servizio: si passa attraverso un'anticamera con pavimento in terra battuta e pareti color rosa per arrivare, da un lato, alla cucina, anch'essa con pavimento in terra battuta e intonaco alle pareti con un larario ben conservato al momento dello scavo lungo la parete ovest e all'interno della quale sono stati ritrovati oggetti in ceramica e una pala in ferro, e una stanza, divisa in due, identificata nella parte meridionale come un deposito, intonacata in bianco, e in quella settentrionale come una latrina, intonacata in rosa. Un portico con tre colonne in mattoni stuccati divide il giardino da ambienti di soggiorno posti sul lato sud: oltre ad una stanza dal ruolo ancora incerto, probabilmente utilizzata come pozzo di luce o per la raccolta di acqua piovana, e priva di qualsiasi decorazione se non un intonaco grigio, si accede al triclinio o biclinio, restaurato dopo il terremoto del 62, affrescato in quarto stile con zoccolatura nera, parte superiore bianca e zona centrale con alternanza di pannelli verdi e rossi, separati da motivi architettonici dove è posto l'affresco di Dioniso poggiato ad un Sileno con lira. Segue il triclinio estivo: la stanza al momento dell'eruzione era ancora in fase di restauro come testimoniato dalla decorazione incompleta e in cattivo stato di conservazione; tuttavia questa è in quarto stile, con zoccolo nero diviso in scomparti da bande ornamentali e pannelli rossi nella parte centrale e gialli in quelli laterali, mentre la parte superiore è incompleta. Il pavimento è in cocciopesto, con parte centrale in opus sectile, e tra i reperti ritrovati due piedi in bronzo, forse appartenenti ad un divano, un vaso in vetro, una lastra in marmo colorata, oggetti in bronzo e una bacchetta di vetro utilizzata per la preparazione di prodotti da cosmesi. Successiva a questa, un'altra stanza, forse utilizzata sia come camera da pranzo che da letto, dalla decorazione incompleta nella parte superiore ma con zoccolatura in nero, abbellita con piante, e zona centrale sempre in nero con pannelli divisi da candelabri gialli: al momento dello scavo al suo interno furono ritrovati otto scheletri, cinque di adulti e tre di bambini, uccisi probabilmente dal crollo della parete est; oltre agli scheletri sono stati rinvenuti un orecchino in argento, un anello in bronzo, delle lampade in ceramica, tre monete in bronzo e due chiavi in ferro. Concludono la casa, nei pressi dell'ingresso secondario, il cui corridoio presenta zoccolo con scomparti in rosso, divisi da linee bianche e decorato con motivi floreali, e parte superiore in bianco, due stanze di servizio, poste una di fronte all'altra, una con pareti verniciate in bianco e l'altra intonacata in rosa nella parte basse e bianca in quella superiore, probabilmente utilizzata come stalla, in quanto al suo interno sono state ritrovate le ossa di un quadrupede, forse un cane, e di un pollo. La casa era dotata di un piano superiore, quasi interamente crollato, di cui rimangono solo pezzi di pavimentazione e di affreschi parietali in terzo stile su fondo nero. Guida d'Italia - Napoli e dintorni, Milano, Touring Club Italiano, 2008, ISBN 978-88-365-3893-5. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Laterza, 1982, ISBN 88-420-2001-X. Regio V degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Casa di Marco Lucrezio Frontone (IT, EN) Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.