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Casa di Marco Lucrezio Frontone

Domus di PompeiPagine con mappeScoperte archeologiche nel 1899
Atrio e tablino
Atrio e tablino

La casa di Marco Lucrezio Frontone è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: è una delle case ad atrio più raffinate della città. La casa di Marco Lucrezio Frontone venne costruita nel II secolo a.C., ma fu durante il periodo augusteo, nell'arco di tempo compreso tra la fine del I secolo a.C. e l'inizio del I secolo, che venne ampliata e decorata. Era probabilmente abitata da una delle famiglie più potenti di Pompei, appartenendo a Marco Lucrezio Frontone, secondo alcuni un parente di Tito Lucrezio Caro: questo era un uomo politico, candidato alle maggiori cariche pubbliche cittadine, come edile, duoviro e quinquennale; a sostegno dell'ipotesi sul proprietario diverse prove, che comunque non bastano a darne la certezza, come un graffito ritrovato in giardino inneggiante al nome di Frontone e quattro manifesti elettorali dipinti sui muri esterni della casa, tra cui uno che lo definiva: La casa venne danneggiata dal terremoto di Pompei del 62, in particolare la zona del giardino, tant'è che si dovette procedere ad un restauro quasi totale: i lavori non erano ancora terminati, come dimostrato da pitture ancora incomplete, realizzate tutte in quarto stile dalla mano dello stesso pittore, che venne sepolta sotto una coltre di ceneri e lapilli a seguito dell'eruzione del Vesuvio del 79. Durante le prime esplorazioni borboniche tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo venne solo parzialmente indagata, in quanto al suo interno sono state ritrovate intatte la maggior parte delle pitture; esplorazioni sistematiche si svolsero nel 1899, tra aprile e dicembre del 1900 e tra il 1971 e il 1974, quest'ultima eseguita da un gruppo di archeologi dei Paesi Bassi, i quali effettuarono studi stratigrafici soprattutto nell'area del giardino. A seguito del progetto Grande Pompei, la casa venne restaurata tra il 2012 e il 2014, anno delle riapertura, alla presenza del ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini. L'ingresso principale della casa di Marco Lucrezio Frontone si trova lungo una traversa di via di Nola, nel vicolo di Marco Lucrezio Frontone, in parte ancora da scavare: un secondo ingresso, di servizio, è posto lungo il vicolo dei Gladiatori. Le dimensioni della casa si aggirano intorno ai 460 metri quadrati e le principali decorazioni pittoriche interne sono in terzo e quarto stile. Le facciata è semplice. Le fauci d'ingresso presentano alle pareti decorazioni in terzo stile con zoccolatura in nero, una zona centrale rossa divisa in pannelli tramite fasce ornamentali bianche, e una parte superiore con decorazioni architettoniche e ghirlande; il pavimento in cocciopesto con pezzi di marmo sparso. Si accede all'atrio: questo è di tipo tuscanico, presenta stanze su ogni lato, eccetto lungo quello nord, e al centro ha un impluvium con vasca in marmo, bordata da un mosaico con tessere bianche e nere, mentre il resto dell'ambiente è pavimentato in lavapesta con pezzi di marmi colorati. Le pareti sono decorate con zoccolatura rossa, zona mediana con pennelli neri con al centro scene di caccia, separati da strisce gialle, e zona superiore sempre a fondo nero con motivi architettonici e geometrici. Nella stanza sono stati ritrovati un cartibulum in marmo con zampe di leone, sul quale venivano poggiate le suppellettili più pregiate, e diversi oggetti di ceramica, tra cui un vaso contenente vernice blu e un altro con ossa di uccelli, forse utilizzati per i lavori di pitturazione della casa. Sul lato ovest, accanto all'ingresso, sulla destra, si apre un cubicolo, con il segno dell'incavo per il letto e decorazioni in terzo stile con zoccolo nero, zona centrale bianca e zona superiore con raffigurazioni di ghirlande e architetture, mentre la pavimentazione è in parte a mosaico disposto a stella, con tessere in bianco e nero. e in parte a cocciopesto; dal cubicolo si accede ad un altro ambiente il quale conteneva una scala in legno per il piano superiore, con le pareti intonacate in rosa. Sul lato sinistro dell'ingresso un'altra stanza, era probabilmente adibita a deposito o utilizzata dal portiere, che fu ristrutturata a seguito del terremoto del 62, quando venne aperte anche una finestra: la parete est è semplicemente intonacata in bianco, forse per dare più luce all'ambiente, mentre quella ovest ha uno zoccolo nero e zona mediana in rosso con i pannelli separati da fasce bianche con rombi e decorazioni di cani da caccia e ornamenti miniaturistici; questa parete e quella nord avevano anche degli scaffali; la pavimentazione è in cocciopesto. Lungo il lato sud dell'altro si aprono due ambienti: il triclinio e un cubicolo. Nel triclinio si notano i resti degli incassi per i letti nelle pareti: l'intera stanza è stato ridipinta con zoccolatura in nero, zona mediana in giallo ocra, abbellita da decorazioni tipiche del quarto stile riproducenti bordi di tappeti e motivi floreali e al centro di un pannello l'affresco dell'Uccisione di Neottolemo da parte di Oreste davanti al tempio di Apollo a Delfi, e zona superiore in bianco; il pavimento è il lavapesta, disposto a quadrati, con l'inserto di tessere bianche. Il cubicolo invece era probabilmente destinato alla padrona di casa come si evince dagli affreschi in esso presenti, prevalentemente di stampo femminile: lo zoccolo è in rosso scuro con una predella nera decorata con nature morte, uccelli, maschere satiresche, rane e aironi e un hortus conclusus, la zona mediana è in giallo, con al centro, sulla parete destra Arianna che porge il filo a Teseo, mentre su quella sinistra Venere allo specchio mentre si lascia acconciare i capelli, e la parte superiore con decorazioni di sfingi dove si riconosce un affresco sopra la porta, rovinato, ritraente una scena della Battaglia di Troia. Altre tre stanze si aprono lungo il lato est dell'atrio: un cubicolo, il tablino ed un corridoio. Il cubicolo presenta un soffitto a volta ed era probabilmente destinato ai figli del proprietario, come dimostrato dall'affresco all'ingresso di due medaglioni raffiguranti ritratti di fanciulli: un ragazzo nelle vesti di Mercurio e una ragazza. Il cubicolo è stato affrescato a seguito del terremoto del 62 e presenta uno zoccolo in rosso scuro decorato con piante, una zona mediana in giallo ocra con al centro due quadretti contornati entrambi da amorini, raffiguranti da un lato Narciso che si riflette in acqua e dall'altro Perona che allatta Micone, suo padre, salvandolo dalla morte a cui era stato condannato: questo affresco presenta nel angolo superiore dei distici elegiaci che così recitano: La parte superiore è decorata con raffigurazioni di ghirlande e frutta. L'ambiente è illuminato da una finestra rotonda nella quale sono stati ritrovati pezzi di vetro, mentre il pavimento è cocciopesto con un tappeto di rombi e ottagoni; al suo interno sono state ritrovate cinque brocche e un piatto. Il tablino, da un lato aperto sull'atrio e dall'altro sul giardino, presenta affreschi in terzo stile: lo zoccolo è in nero con la raffigurazione di un hortus conclusus, con esedra e fontane tra due piante, un pluteo, uccelli e giardino spoglio, la predella con simboli cari ad Apollo, come lire e cigni, e a Dioniso, come anfore e pantere, disposte sotto una ghirlanda filiforme, la zona mediana con pannelli a fondo rosso e nero, separati tra loro da elementi architettonici fantasiosi decorati con corde di frutta e fiori, con al centro due quadretti a tema mitologico, ossia dal lato destro il Trionfo di Dioniso e Arianna, mentre su quello sinistro Venere e Marte, contornati da raffigurazioni di ville marittime sostenute da candelabri, e la parte superiore abbellita con scaenae frons. Il pavimento è in lavapesta e all'interno della camera sono stati rinvenuti alcuni oggetti in bronzo e un mortaio in marmo. Il corridoio si presenta intonacato in bianco e unisce l'atrio con la zona di servizio. Si accede quindi al giardino, il quale ha una forma irregolare ed è caratterizzato da due pareti affrescate in quarto stile: superata la zoccolatura in nero, abbellita con raffigurazioni di piante, si arriva alla zona centrale dove su un fondo rosso sono dipinti episodi di caccia tra belve, come leoni, pantere, orsi e animali domestici quali buoi, tori e cavalli; una scena di questo affresco rappresenta un leone che si avventa su un animale, probabilmente un orso, quasi irriconoscibile in quanto rovinato da un foro prodotto dagli esplorati borbonici, i quali indagavano le rovine di Pompei tramite cunicoli. L'affresco è protetto da una tettoia, ma originariamente era scoperto: le decorazioni si completano con finestroni rossi con affreschi di statue bianche su piedistalli come un satiro danzante e ninfe che reggono una fontana. Al centro del giardino è stato ritrovato un puteale, probabilmente la testa di una cisterna e numerosi vasi in terracotta, circa ventidue, cinque dei quali utilizzati come fioriere. Sul lato est del giardino si aprono diversi ambienti di servizio: una stanza, la cui funzione è ancora incerta, forse destinata a essere un cubicolo o un deposito, ha pareti affrescate in quarto stile, con zoccolatura in scomparti rossi, separati da bande verdi o nere; diversi i reperti ritrovati al suo interno come un manico d'osso, un'ascia in ferro, una brocca, una pentola in bronzo, delle lanterne e un'anfora colma di calce. Accanto a questo ambiente, con accesso dal giardino, altre tre stanze sempre di servizio: si passa attraverso un'anticamera con pavimento in terra battuta e pareti color rosa per arrivare, da un lato, alla cucina, anch'essa con pavimento in terra battuta e intonaco alle pareti con un larario ben conservato al momento dello scavo lungo la parete ovest e all'interno della quale sono stati ritrovati oggetti in ceramica e una pala in ferro, e una stanza, divisa in due, identificata nella parte meridionale come un deposito, intonacata in bianco, e in quella settentrionale come una latrina, intonacata in rosa. Un portico con tre colonne in mattoni stuccati divide il giardino da ambienti di soggiorno posti sul lato sud: oltre ad una stanza dal ruolo ancora incerto, probabilmente utilizzata come pozzo di luce o per la raccolta di acqua piovana, e priva di qualsiasi decorazione se non un intonaco grigio, si accede al triclinio o biclinio, restaurato dopo il terremoto del 62, affrescato in quarto stile con zoccolatura nera, parte superiore bianca e zona centrale con alternanza di pannelli verdi e rossi, separati da motivi architettonici dove è posto l'affresco di Dioniso poggiato ad un Sileno con lira. Segue il triclinio estivo: la stanza al momento dell'eruzione era ancora in fase di restauro come testimoniato dalla decorazione incompleta e in cattivo stato di conservazione; tuttavia questa è in quarto stile, con zoccolo nero diviso in scomparti da bande ornamentali e pannelli rossi nella parte centrale e gialli in quelli laterali, mentre la parte superiore è incompleta. Il pavimento è in cocciopesto, con parte centrale in opus sectile, e tra i reperti ritrovati due piedi in bronzo, forse appartenenti ad un divano, un vaso in vetro, una lastra in marmo colorata, oggetti in bronzo e una bacchetta di vetro utilizzata per la preparazione di prodotti da cosmesi. Successiva a questa, un'altra stanza, forse utilizzata sia come camera da pranzo che da letto, dalla decorazione incompleta nella parte superiore ma con zoccolatura in nero, abbellita con piante, e zona centrale sempre in nero con pannelli divisi da candelabri gialli: al momento dello scavo al suo interno furono ritrovati otto scheletri, cinque di adulti e tre di bambini, uccisi probabilmente dal crollo della parete est; oltre agli scheletri sono stati rinvenuti un orecchino in argento, un anello in bronzo, delle lampade in ceramica, tre monete in bronzo e due chiavi in ferro. Concludono la casa, nei pressi dell'ingresso secondario, il cui corridoio presenta zoccolo con scomparti in rosso, divisi da linee bianche e decorato con motivi floreali, e parte superiore in bianco, due stanze di servizio, poste una di fronte all'altra, una con pareti verniciate in bianco e l'altra intonacata in rosa nella parte basse e bianca in quella superiore, probabilmente utilizzata come stalla, in quanto al suo interno sono state ritrovate le ossa di un quadrupede, forse un cane, e di un pollo. La casa era dotata di un piano superiore, quasi interamente crollato, di cui rimangono solo pezzi di pavimentazione e di affreschi parietali in terzo stile su fondo nero. Guida d'Italia - Napoli e dintorni, Milano, Touring Club Italiano, 2008, ISBN 978-88-365-3893-5. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Laterza, 1982, ISBN 88-420-2001-X. Regio V degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Casa di Marco Lucrezio Frontone (IT, EN) Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Casa di Marco Lucrezio Frontone (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Casa di Marco Lucrezio Frontone
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Atrio e tablino
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Luoghi vicini

Casa dei Gladiatori
Casa dei Gladiatori

La casa dei Gladiatori (V 5, 3) si trova a Pompei. La casa fu eretta nel I secolo a.C. come abitazione privata. È costituita da un grande peristilio con stanze nei lati nord ed est. Il peristilio è ornato con otto colonne nel lato lungo e quattro nel lato corto. Nel lato est della casa si trova un ingresso. Un altro ingresso si trova nel lato meridionale in una estensione della casa, che arriva alla strada. Accanto all'estensione si trova una piccola casa, che è completamente circondata dalla casa dei gladiatori a nord e ovest e che a est e sud confina con l'incrocio tra la via di Nola e il vicolo dei Gladiatori. Questo struttura è anche nota come Casa senza Compluvium. Dopo una fase di ristrutturazione la casa fu usata come luogo di esercitazione dei gladiatori. Tra le colonne del peristilio ci sono transenne decorate con paesaggi e scene di caccia. L'uso dell'edificio come luogo di esercitazione dei gladiatori è dato dai numerosi graffiti, che i gladiatori hanno lasciato nella casa. Il triclinium nella parte posteriore della casa è decorato con raffinate pitture del terzo stile. Nel triclinio si è anche ben mantenuta la pavimentazione a mosaico. Eugenio La Rocca, Mariette de Vos Raaijmakers e Arnold des Vos, Lübbes archäologischer Führer Pompeji, Bergisch Gladbach, Gustav Lübbe Verlag, 1979, p. 320, ISBN 3-7857-0228-0. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su casa dei Gladiatori Immagini, su pompeiiinpictures.com.

Casa di Lucio Cecilio Giocondo
Casa di Lucio Cecilio Giocondo

La casa di Lucio Cecilio Giocondo è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei. La casa fu costruita tra la fine del III e l'inizio del II secolo a.C. e subì nel corso degli anni piccoli rifacimenti: rimasta danneggiata durante il terremoto di Pompei del 62, fu ristrutturata dall'allora proprietario, il banchiere Lucio Cecilio Giocondo, dal quale prende il nome; seppellita sotto una coltre di ceneri e lapilli a seguito dell'eruzione del Vesuvio nel 79, fu rinvenuta grazie agli scavi borbonici nel 1844 ed esplorata nuovamente nel 1875. Durante il corso della seconda guerra mondiale fu leggermente danneggiata dai bombardamenti americani: al termine del conflitto fu infatti necessario riposizionare le tegole del tetto, riordinare le colonne del peristilio e ripulire la pavimentazione dalla caduta di alcuni calcinacci. La Casa di Lucio Cecilio Giocondo è interamente realizzata in opera a telaio di calcare di Sarno, con l'utilizzo del tufo nelle parti decorative: la grande abilità del proprietario, Lucio Cecilio Giocondo, di saper svolgere il suo lavoro, ossia quello di banchiere, portò ad una grossa quantità di guadagni e ciò si nota nel grande sfarzo della sua casa. L'ingresso si affaccia direttamente su Via del Vesuvio e due grossi pilastri, sui quali al momento dello scavo furono rinvenute diverse iscrizioni elettorali: ai lati dell'entrata si aprono due botteghe. Superato il vestibolo nel quale è conservato un mosaico pavimentale raffigurante un cane, si accede all'atrio, con impluvium centrale contornato da un mosaico a figure geometriche mentre nel resto dell'ambiente la pavimentazione è in cocciopesto con inserti di marmi colorati; nell'angolo nord-ovest si trova un larario decorato in marmo: in particolare la parte superiore della base era caratterizzata da due bassorilievi che rappresentavo i danni provocati dal terremoto del 62, ossia il crollo di Porta Vesuvio, andato rubato, e i danneggiamenti al Tempio di Giove, conservato al museo archeologico nazionale di Napoli; tali opere furono eseguite molto probabilmente in segno di espiazione verso gli dei irati o, ipotesi meno accreditata, questi bassorilievi furono eseguiti in segno di ringraziamento verso gli dei i quali, provocando il terremoto, avevano permesso l'arricchimento di Cecilio Giocondo, che aveva speculato sulle disgrazie altrui. Intorno all'atrio si aprono diversi cubicoli, in alcuni dei quali si è conservata sia la pavimentazione con disegni a mosaico, sia decorazioni parietali, anche se alcune raffigurazioni sono andate in parte andate perdute come il dipinto di Ulisse e Penelope e una scena teatrale. Sull'atrio si apre il tablino, di notevoli dimensioni, forse utilizzato dal proprietario per esercitare la sua professione: ai lati degli stipiti d'ingresso sono presenti due colonnine sulle quali erano poste due erme, in particolare quella a sinistra sosteneva una testa in bronzo raffigurante o lo zio o il padre di Cecilio Giocondo, dono del liberto Felix, così come attestato dall'iscrizione incisa sul pilastro: Su quella destra invece era posizionata una testa in oro, andata distrutta durante le esplorazioni. Il tablino conserva intatta la pavimentazione a mosaico con al centro un disegno geometrico, mentre alle pareti sono affreschi in terzo stile che originariamente erano color cinabro, poggiati su un fondo ocra, di cui oggi rimane solo quest'ultimo colore: su ambo i lati i pannelli decorativi sono divisi in tre scomparti, simili a tappeti, ornati con elementi vegetali; la parete di destra presentava al centro di ogni scomparto quadretti raffiguranti un Satiro che abbraccia una Menade, Ifigenia in Tauride e una Menade con Cupido, tutti staccati e conservati al museo archeologico di Napoli, mentre sul lato sinistro sono ancora in loco l'affresco di un Satiro con Menade, una raffigurazione incerta, probabilmente rappresentate il ritorno di Ettore cadavere ed ancora un Satiro con Menade. Superato il tablino si accede al peristilio, che ha conservato intatto il colonnato, una fontana con vasca in marmo, diversi graffiti ed un affresco erotico ed uno di grande animale: al centro di questo ambiente è il giardino, mentre intorno si aprono diversi ambienti come il triclinio con resti delle decorazioni parietali: in particolar modo sono visibili dei medaglioni con volti di donna, un grande quadretto, rovinato dal tempo, raffigurante Paride fra tre dee, e Teseo che abbandona Arianna, in questo caso staccato dalla sua collocazione originale; anche questi pannelli presentano una parte centrale in giallo ocra e una zoccolatura in rosso. Altri ambienti conservano scarsi resti degli intonaci e degna di note è l'esedra con nicchia utilizzata come larario ed un tavolo in marmo: nei pressi di questa sala, a causa del crollo durante l'eruzione del piano superiore fu ritrovato, tra il 3 ed il 5 luglio 1875, un piccolo forziere contenente centocinquantaquattro tavolette cerate, che riportavano la somma degli affitti riscossi e le quote versate per l'acquisto di proprietà: la datazione di questi documenti va dal 52 al 62, dopodiché si pensa che il banchiere si ritirò a vita privata dedicandosi ad opere religiose. Una scala conduceva ad una cantina sotterranea, nella quale si riconoscono degli affreschi con disegni di elementi naturali. Maria Antonietta Bonaventura e Andrea Tosolini, Pompei ricostruita, Roma, Archeolibri, 2007, ISBN 978-88-95512-22-8. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Editori Laterza, 1982, ISBN non esistente. Amedeo Maiuri, Pompei ed Ercolano: fra case e abitanti, Milano, Giunti Editore, 1998, ISBN 978-88-09213-95-1. Regio V degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa di Lucio Cecilio Giocondo (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa di Orfeo
Casa di Orfeo

La casa di Orfeo è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: è così chiamata perché al suo interno si conserva un affresco raffigurante Orfeo. Così come il resto degli edifici di Pompei, anche la casa di Orfeo fu sepolta sotto una coltre di ceneri e lapilli durante l'eruzione vesuviana del 79; venne riportata alla luce durante gli scavi di epoca borbonica nel 1834 ed esplorata poi nuovamente nel 1874. La casa presentava al momento dello scavo, sulle mura esterne, diverse iscrizioni elettorali, che riportavano il nome del proprietario, Vesonius Primus, a cui apparteneva anche una vicina fullonica; superato l'ingresso si accede all'atrio, con impluvium in marmo e fontana e resti di stucco alle pareti, in larga parte andati perduti a seguito delle vibrazioni causate dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale: in questo ambiente, tra l'apertura del tablino e del corridoio, venne anche ritrovata un'erma in marmo, raffigurante Vesonius Primus, conservata all'antiquarium di Pompei. Nell'atrio fu inoltre realizzato il calco di un cane, conservato anch'esso all'antiquarium, rimasto intrappolato durante l'eruzione poiché legato al guinzaglio e morto soffocato: la colata di gesso, oltre alla drammaticità dell'espressione dell'animale, ha permesso di accertare la presenza di un collare in cuoio con due anelli in bronzo. Intorno all'atrio si aprono diversi cubicoli, dove anche in questo caso si conservano diverse decorazioni parietali in stucco: in particolare in uno è stato rinvenuto, il 23 febbraio 1875, un mosaico pavimentale raffigurante un cane, staccato e conservato al museo archeologico nazionale di Napoli; opera simile fu scoperta in una stanza attigua. Segue quindi il tablino, con tracce di pavimentazione a mosaico a forme geometriche con tessere in bianco e nero e poi il peristilio, formato da otto colonne stuccate e scanalate nella parte alta, disposte su due lati: nel giardino, oltre ad una nicchia, all'interno della quale venne ritrovata una statuetta in bronzo rappresentante Giove con in mano un fulmine, si conserva, ad una parete, l'affresco che dà il nome alla casa, rinvenuto il 20 novembre 1874, l'unico con tale soggetto conservato a Pompei, ossia quello di Orfeo mentre suona la lira circondato da diversi animali come un leone, una pantera, un cinghiale, una lepre, diversi uccelli e anche dei medaglioni con all'interno delle figure umane. Sul giardino affacciano diversi ambienti tra cui due triclini, uno con un affresco di un paesaggio, con intorno figure naturali e animali e l'altro con un affresco di un paesaggio di montagna, ancora visibile al momento dello scavo, ma poi quasi del tutto scomparso a causa del cattivo stato di conservazione ed una stanza, con pavimento a mosaico a motivi geometrici, che su una parete presenta un affresco tripartito con ai lati elementi architettonici ed al centro la raffigurazione di Cupido: nella stessa sala, sull'architrave, si osserva un uccello che mangia frutta. La casa era dotata anche di un piano superiore, crollato a seguito dell'eruzione e di cui resta solo la base della scala d'accesso. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Editori Laterza, 1982, ISBN non esistente. Regio VI degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa di Orfeo (IT, EN) Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Napoli e Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa dell'Ara Massima
Casa dell'Ara Massima

La casa dell'Ara Massima è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: viene anche chiamata casa di Narciso o casa di Pinario. Non si conosce con esattezza la data di costruzione della casa dell'Ara Massima, anche se alcune murature sono datate intorno al III secolo a.C.: dalle tracce di restauri in alcune decorazioni degli ambienti si deduce che questa venne ristrutturata a seguito del terremoto di Pompei del 62, anche se dalla realizzazione degli affreschi si denotava la decadenza economica del proprietario, di cui non si conosce il nome né tantomeno il mestiere, nonostante il ritrovamento di numerosi reperti, come oggetti in bronzo, attrezzatura per la pesca, lampade e un tavolo con piedistallo raffigurante una sfinge, conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli. Sepolta sotto una coltre di ceneri e lapilli durante l'eruzione del Vesuvio del 79 è stata riportata alla luce tra il 1903 ed il 1904, oltre ad indagini svolte nella strada antistante nel 1905: sebbene il materiale vulcanico nei pressi dell'ingresso fosse stato rimosso, all'interno non sono stati trovati segni di una precedente esplorazione. La casa dell'Ara Massima è situata lungo via del Vesuvio ed ha un'estensione pari a centottantasette metri quadrati: segue uno schema irregolare in quanto tutta la struttura è organizzata intorno all'atrio, manca di peristilio ed è dotata di un piano superiore, dal quale sono stati recuperati numerosi reperti ma di cui è stato impossibile ricostruirne l'esatta planimetria. Superate le fauci d'ingresso, che presentano un'alta zoccolatura in rosso ed un intonaco bianco, oltre a pavimento in cocciopesto, che si ritrova poi in tutto il resto dell'abitazione, si accede direttamente all'atrio, di tipo tuscanico, con impluvium centrale, dotato di due canaletti di scolo che permettevano il deflusso delle acque direttamente in strada: l'ambiente ha la parete sud e quella ovest con zoccolatura in rosso e zona mediana bianca, e la parte nord ed ovest, con zoccolatura in nero; inoltre la parete ovest presenta una grossa nicchia con un pannello centrale giallo arricchito con figure umane ed una nicchia con pannelli bianchi incorniciati in rosso con quadretto centrale raffigurante Narciso che si specchia, caratteristico in quanto viene riprodotta la figura dell'uomo riflessa nell'acqua, adornato da creature fantastiche, mentre nella parete nord, tra due porte, è stata ricavata una piccola nicchia adibita a larario, con sotto una rappresentazione di due serpenti intrecciati; nei pressi della parete ovest è stato rinvenuto un vaso in bronzo, probabilmente utilizzato come base di una statua. Ai lati delle fauci si aprono due stanze: sulla destra una sorta di ripostiglio nel quale sono stati ritrovati numerosi oggetti da cucina, che aveva la funzione sia di secondo ingresso alla casa sia di accesso al piano superiore tramite una scala e la decorazione si riduce ad una zoccolatura in rosa, zona superiore in bianco e pavimento in terra battuta; sulla sinistra invece è un cubicolo con pitture in quarto stile, che si ritrovano anche negli altri ambienti, caratterizzati da pannelli in rosso e gialli separati da strisce nere, stesso colore della zoccolatura, a cui si aggiungono riproduzioni di uccelli. Lungo la parete sud si trova il tablino ed il triclinio: la prima stanza ha perso nella parete sud la decorazione, mentre nel resto nell'ambiente si ritrova una zoccolatura nera ed una zona mediana in rosso, arricchita con pannelli centrali in giallo nei quali sono affrescati Selene e Endimione dormiente, La scoperta di Arianna, Marte e Venere e Ercole all'Ara Massima, affresco da cui la casa prende il nome, il tutto arricchito con medaglioni con ritratto di donna; completano il tablino delle mensole sulle quali erano probabilmente poggiati statue e quadri ed al suo interno, al momento dello scavo, sono state rinvenute centotré perle in vetro ed un orecchino in oro, oltre ad un gran numero di lampade. Il triclinio è affrescato con uno zoccolo nero nel quale sono dipinti flora e fauna tipica delle paludi, mentre la zona mediana è tripartita con ai lati raffigurazioni di elementi architettonici e cibo ed al centro i quadretti di Arianna scoperta da una Menade e Endimione disteso nel sonno sotto lo sguardo di Selene: da questo ambiente doveva partire una scala provvisoria per il piano superiore. Lungo il lato ovest dell'atrio si apre un piccolo peristilio intonacato in grigio, mentre lungo il lato nord si trovano gli ambienti di servizio: seguono infatti nell'ordine una grande sala affrescata in rosso, una cucina con focolare, una latrina ed un negozio che dà accesso anche alla strada. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Editori Laterza, 1982, ISBN non esistente. Regio VI degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa dell'Ara Massima (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa dell'Efebo
Casa dell'Efebo

La casa dell'Efebo è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: chiamata anche casa di Publio Cornelio Tegeste, dal nome del proprietario, deve la sua denominazione al ritrovamento di una statua raffigurante un efebo. La casa appartenne a un Publio Cornelio Tegeste, probabilmente un mercante del ceto medio pompeiano, che si era arricchito tramite i traffici commerciali: visto anche i numerosi ritrovamenti di oggetti, l'uomo doveva essere un cultore o collezionista di opere d'arte. Frutto dell'unione di due o tre abitazioni, la casa nel periodo precedente all'eruzione era in uso, come dimostrato anche dal rinvenimento di tre scheletri, tuttavia era in fase di restauro come testimoniano i calcinacci nel giardino, che non era utilizzato quindi come luogo di svago, la mancanza di utensili da cucina, un letto posto in un ambiente non adibito a tale funzione e alle decorazioni in quarto stile del tutto complete. Probabilmente i proprietari, durante il restauro o prima del terremoto del 62, erano partiti da Pompei e lasciato la casa alla gestione del personale di servizio. Venne seppellita quindi sotto una coltre di ceneri e lapilli durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e fu esplorata e riportata alla luce in più fasi: la prima nel 1912 e poi tra marzo e settembre del 1925, anche se i lavori si protrassero fino al 1927. La casa si trovava ad una profondità di tre metri dal suolo di calpestio e le indagini iniziarono praticando un tunnel dalla casa del Sacerdote Amando: tuttavia varchi nelle mura evidenziarono che questa già era stata esplorata precedentemente. Negli anni 10 del XXI secolo l'abitazione venne sottoposta a restauro, riaprendo al pubblico nel dicembre 2015. L'accesso alla casa, che ha una superficie di circa seicentocinquanta metri quadrati, è posto in una traversa di via dell'Abbondanza, nel cosiddetto vicolo dell'Efebo: al momento dello scavo, lungo la strada sono stati ritrovati diversi oggetti, probabilmente prelevati dalla casa stessa durante l'eruzione. L'abitazione ha tre ingressi, frutto dell'unione di più case: probabilmente l'ingresso nella parte alta era utilizzato dalla famiglia, quello mediano dagli ospiti, mentre quello in basso consentiva l'accesso alla zona del giardino. L'ingresso posto nella parte superiore si presenta esternamente decorato con semicolonne sormontato da capitelli cubici; è stato ricavato il calco del portone a due battenti, internamente sbarrato: Amedeo Maiuri ha ipotizzato che questo poteva o non essere più in uso o chiuso durante l'eruzione per evitare l'ingresso all'interno sia di materiali vulcanici che di intrusi. Il corridoio d'ingresso ha pareti affrescate in bianco con l'aggiunta di candelabri e bordi ornamentali, tipico del quarto stile che si ritrova in tutta la casa, mentre il pavimento è in lavapesta. Si accede quindi all'atrio, completamente coperto e senza impluvium: le pareti nord e sud hanno pareti bianche con disegni di piante nella zoccolatura e nature morte e bordi ornamenti nella parte mediana, mentre la parete est ha zoccolo e parte mediana in nero; il pavimento è in cocciopesto, come in quasi tutto il resto della casa. Una scala conduceva al piano superiore: nel sottoscala era posto una sorta di armadio contenente vasi in vetro e bronzo e un braccio appartenente alla statua dell'Efebo ritrovata in giardino. A completare l'ambiente una nicchia che fungeva da larario decorata con l'affresco di un Genio che offriva libagioni, una flautista, un inserviente, lari che danzano, e nella parte sottostante dovevano esserci due serpenti, di cui uno con barba e cresta rossa, contornati da piante. Nell'atrio, posti ai lati dell'ingresso, due cubicoli affrescati in giallo, con zoccolo decorato con Menadi, amorini, ghirlande, sfingi e colombe e zona mediana con nature morte e elementi architettonici. Dal lato opposto dell'atrio invece si accede a un'esedra, originariamente adibito a tablino: al momento dello scavo, al suo interno, sono stati ritrovati resti di un letto, indicando che poteva fungere o come camera da letto o camera da pranzo; la pavimentazione è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche, mentre le pareti sono tinteggiate in bianco con l'aggiunta di elementi vegetali nella parte inferiore e medaglioni ed elementi architettonici in quella superiore. Sullo stesso lato dell'esedra è un bagno, fornito di un lavabo in bronzo, un foro nella parete a circa un metro e mezzo di altezza che ospitava uno specchio e, nel pavimento, un foro collegato direttamente al forno del cortile, testimonianza che in casa era presente l'acqua calda; la stanza ha una zoccolatura in nero con scomparti bordati in rosso e parte mediana bianca con disegni di candelabri, ghirlande e uccelli. Dall'esedra di accede a un piccolo cortile affrescato in rosso scuro nella zoccolatura: si tratta di un locale per la raccolta e il riscaldamento dell'acqua, anche se in un primo momento lo si riteneva essere un ripostiglio per la quantità di materiale ritrovato, fino a quando non si è intuito che proveniva dal piano superiore. Si passa quindi al triclinio rustico con resti di un focolare e pareti in rosso nella parte inferiore e in bianco in quella superiore. Il secondo ingresso era quello probabilmente in uso al momento dell'eruzione: esternamente era dotato di sedili, mentre il corridoio appare dipinto con zoccolo nero e parte mediana in giallo e rosso con riquadri bianchi; lungo il corridoio sono stati ritrovati oggetti da gioco, un martello, vasi in ceramica e bronzo e una moneta: tali oggetti erano o contenuti in un armadio, di cui sono state recuperate le cerniere, o provenienti dal piano superiore crollato. Si accede al secondo atrio, di tipo tuscanico, con impluvium, scala per il piano superiore e collegato al primo atrio tramite un'apertura nella parete nord: le pareti sono intonacate grossolanamente e in una di questa è incastonato un pezzo di vetro, tipico elemento decorativo; accanto all'impluvium sono stati rinvenuti due gambe di un tavolo in marmo e due recipienti metallici di cui uno contenente una sostanza gialla, l'altro pezzi di vetro. Lungo il lato verso l'ingresso si aprono tre ambienti, due dei quali ai lati del corridoio d'ingresso: uno, intonacato in bianco, poteva essere in origine l'accesso al piano superiore, tramutato poi in cucina, visto il ritrovamento di vasi e casseruole e munito di latrina, mentre l'altro un cubicolo con pitture parietali che tendono a riprodurre l'effetto del marmo, con zona inferiore in rosso e giallo e parte superiore in bianco, entrambi con quadretto centrale in bianco e bordi ornamentali. Accanto al cubicolo è posto un oecus che fungeva anche o da biclinio oppure da stanza da pranzo invernale: contrariamente al resto della casa, le pareti sono decorate in secondo stile, con zoccolo nero in cornice gialla e zona centrale nera con bordi rossi. Come l'ambiente accanto anche in questo sono stati ritrovati resti di anfore e una breccia nel muro segno di un'esplorazione precedente a quelle ufficiali. Con ingresso sia dall'atrio che dal biclinio è un ulteriore ambiente a servizio di quest'ultimo e presenta le parati con zoccolo bianco, arricchito con disegni di piante e elementi architettonici, e zona superiore bianca con quadretto centrale raffiguranti uccelli, pesci, animali selvatici e ghirlande: al suo interno è stata ritrovata una cassa contenente oggetti in vetro e ceramica decorati, forse utensili da toelettatura, una pentola in bronzo, un coltello e un pettine per la cardatura. Sul lato dell'atrio di fronte all'ingresso si aprono tre ambienti: quello centrale è o il tablino oppure un magazzino in quanto si presenta con pareti intonacate in grigio, anche se probabilmente al momento dell'eruzione la decorazione pittorica non era ancora stata terminata; all'interno della sala, oltre a vasi di ceramica e vetro, tazze, attrezzatura per il cucito e strumenti in ferro per il giardinaggio, forse provenienti dal piano superiore crollato, è stata ritrovata una cassa carbonizzata con all'interno quattro statuette in bronzo dorato, ognuna delle quali reca in mano un vassoio, sul quale venivano poggiati dolci, conservate al Museo archeologico nazionale di Napoli. I due ambienti laterali invece sono un piccolo cubicolo con soffitto a volta e pareti affrescate con quadretti centrali di scene mitologiche come Eco e Narciso nella parete nord, Apollo e Dafne in quella sud e l'Afrodite pescatrice in quella est, anche in cattivo stato di conservazione, e un ripostiglio, con pareti intonacate in bianco sulle quali sono presenti scaffali contenenti vasi, lampade, resti di gioielli in vetro e una maschera in terracotta. La parete sud del secondo atrio si apre verso la zona del giardino. Si supera una sorta d'ingresso con pareti bianche con bande rosse, gialli e verdi e pavimento in cocciopesto con file di tessere bianche e al suo interno sono stati ritrovati uno sgabello in bronzo, quattro gambe di un mobile e, avvolto in un panno di lino per evitare per si danneggiasse durante i lavori di restauro della casa, la statua raffigurante un Efebo in bronzo, copia di un'opera greca del V secolo a.C. e custodito al Museo archeologico nazionale di Napoli: la funzione della statua era probabilmente quella di essere una lampada, in quanto doveva portare nelle mani dei candelabri; al momento del ritrovamento la statua mancava del braccio destro, rinvenuto in un altro ambiente della casa. Si passa quindi a un'esedra o sala da pranzo con pareti con zoccolo bianco decorate con uccelli e piante e zona mediana bianca con disegni architettonici; il pavimento è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche, le quali formano delle croci, e al centro un mosaico policromo a raffigurare uccelli e fiori. Queste ultime due camere danno accesso al triclinio: le pareti si presentano sia nella zoccolatura che nella parte mediana affrescate in bianco con l'aggiunta di figure volanti e piante; nella parete est, in parte danneggiata da una breccia frutto delle esplorazioni, è un quadretto raffigurante Elena e Menelao. Il soffitto era decorato a cassettoni con l'aggiunta di figure e medaglioni, mentre il pavimento è in cocciopesto eccetto al centro e lungo il lato sud che in opus sectile, realizzato con quadrati e triangoli in marmo colorato e vetro millefiori. Nel triclinio sono stati ritrovati resti di divani lungo le pareti, poi ricostruiti, e resti di statuette, probabilmente provenienti dal giardino, in particolare una statua di Pan, di un Capra con un capretto e un bassorilievo con un amorino. Esternamente al triclinio, che era probabilmente protetto dalla pioggia, dal vento e dal sole o da vetrate poste in cornici di legno o da persiane in legno, sulla parete ovest, è posto una nicchia per un larario, decorato con l'affresco di due serpenti, quello a sinistra più grande con cresta rossa e barba, mentre l'altro piccolo, e al centro, sotto la nicchia, la raffigurazione di un braciere con sopra delle uova. Tra il triclinio e il larario è l'accesso a una dispensa o ripostiglio, nel quale sono stati ritrovati un braciere e un'anfora. Il terzo ingresso è posto nei pressi del giardino: l'ingresso ha la parete nord intonacata in bianco e quella sud con zoccolo rosa e parte mediana in bianco. Intorno all'ingresso si aprono tre ambienti di servizio: uno, nel quale sono stati ritrovati tre anelli, aveva una scala in legno per accedere al piano superiore, una cucina con latrina, probabilmente inutilizzata al momento dell'eruzione poiché senza reperti al suo interno, e un altro, con pareti bianche e l'aggiunta di ghirlande, candelabri, pianti e animali, dalla funzione sconosciuta e nel quale sono stati scoperti una brocca in ceramica e un manico di ferro attaccato a del legno. Dall'ingresso si passa all'ambulacro che divide la zona residenziale della casa dal giardino: le pareti sono dipinte in bianco con l'aggiunta nella parte inferiore di piante e in quella superiore di candelabri, ghirlande, uccelli e delfini; sul fondo del deambulatorio, nelle vicinanze di un larario a tempio, si trova un castellum aquae che riusciva a contenere circa tre metri cubi di acqua, collegato direttamente alla fontana del giardino, decorato con l'affresco di Marte e Venere. Il giardino, che al momento dell'eruzione era in disuso come testimoniato sia dalle decorazioni incomplete sia per il materiale di risulta ritrovato, è posto nella parte meridionale della casa ed è diviso in due parti da lastre di marmo: la decorazione delle pareti è in una parte in zoccolo rosso con piante e zona mediana con scene di caccia, mentre nelle altre parti è intonacato in bianco. La parte ovest del giardino ha nel centro una sorta di divano in muratura a tre lati, coperto da un pergolato che si sorreggeva su quattro colonne stuccate; il divano è decorato con affreschi di scene nilotiche con pigmei: il fiume viene raffigurato nel momento della piena, con l'acqua che circonda i recinti sacri e particolare è una scena erotica sulla parte frontale che si svolge alla presenza di terzi intenti a suonare il flauto o urlare. Completano la zona un tavolo in marmo posto nel centro del divano e diverse basi in muratura su cui erano posate delle statue. Lungo la parete sud è una fontana a forma di tempio con ninfeo: come decorazione era posta una statua in bronzo di una figura femminile, Pomona, ritrovata al momento dello scavo su un mucchio di piastrelle, da cui fuoriusciva l'acqua che poi defluiva attraverso una fistula per scomparire nel muro perimetrale e ricomparire a ridosso del peristilio della casa confinante, segno che anche questa apparteneva allo stesso proprietario della casa dell'Efebo. Nella parte est del giardino è posta una grande vasca all'interno della quale sono state ritrovate anfore e vasi in ceramica; al centro un tavolo, una sedia a semicerchio e un altare in terracotta, mentre nel muro perimetrale si trova un ingresso con scala per la casa vicina. La casa aveva anche stanze al piano superiore, crollate. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Laterza, 1982, ISBN 88-420-2001-X. Touring Club Italiano, Guida d'Italia - Napoli e dintorni, Milano, Touring Club Editore, 2007, ISBN 978-88-365-3893-5. Regio I degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa dell'Efebo (IT, EN) Soprintendenza Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa dei Ceii
Casa dei Ceii

La casa dei Ceii è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: chiamata anche casa della Caccia, casa di Fabia e Tiranno o casa della Regina Elena, deve il suo nome alla famiglia che l'abitava, quella dei Ceii. La casa dei Ceii fu edificata alla fine del II secolo a.C., al termine del periodo sannitico, come testimoniato dall'utilizzo di metodi architettonici, classici di quella popolazione: all'inizio del I secolo, quando presumibilmente apparteneva a Lucius Ceius Secundus, edile nel 76 e duoviro nel 78, subì una pesante ristrutturazione che portò al rifacimento di tutte le pitture interne in terzo stile. I lavori di ammodernamento, come la costruzione di un piano superiore, non erano ancora completati, anche se il ritrovamento di oggetti di uso quotidiano ha confermato che l'abitazione era normalmente utilizzata, quando nel 79, venne seppellita sotto una colte di ceneri e lapilli, a seguito dell'eruzione del Vesuvio. Saccheggiata già probabilmente al termine del fenomeno eruttivo, venne riportata alla luce tra il marzo 1913 e l'agosto 1914, con altre campagne di scavo effettuate nel 1982. La casa, che si affacciata sul vicolo del Menandro, ha un'estensione di duecentoottantotto metri quadrati ed ha l'architettura delle tipiche abitazioni a schiera del quartiere; la facciata presenta elementi architettonici tipici dell'architettura sannitica, come le due lesene che inquadrano il portale d'ingresso che terminano con capitelli cubici, i quali sorreggono un architrave con cornice dentellata, il tutto sormontato da una tettoia: il resto della facciata, nella quale si aprono due finestre, conserva la rifinitura a stucco disposta a finto opus quadratum e su di essa, al momento dello scavo, erano dipinte nove iscrizioni elettorali, e da una, quella inneggiante a L. Ceius, ne è derivato il nome. Superato il portale d'ingresso, di cui è stato possibile ricavare il calco in cemento, a due battenti e con l'aggiunta di elementi in ferro originali, si accede alle fauci, con pareti affrescate in terzo stile, così come nel resto dell'abitazione, con pannelli rossi su fondo bianco e zona superiore in bianco arricchita con raffigurazioni di elementi architettonici; anche il soffitto presenta degli affreschi. Una probabile porta a tre ante, divideva le fauci dall'ambiente successivo, ossia l'atrio: questo è di tipo tetrastilo, con impluvium centrale realizzato con pezzi di anfora e arricchito, a seguito del restauro del I secolo, da bordi in marmo; il pavimento, uguale poi nel resto della casa, è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche, mentre le pareti hanno affreschi in rosso e nero e zona superiore in bianco, sempre con la presenza di elementi architettonici: nell'ambiente sono stati ritrovati un tavolo circolare in marmo, un puteale, doveva esserci un armadio in legno e, sotto una scala, posta lungo parete sinistra, che permetteva di raggiungere il costruendo piano superiore in opus craticium, erano conservate undici lucerne in terracotta, una in ferro ed una lanterna in bronzo. Le camere che si affacciano sull'atrio sono presenti solo sul lato sud e su quello nord: lungo il lato sud, sulla destra, si apre un cubicolo, illuminato da due finestre, con zoccolatura nera, pannelli centrali verdi e rossi e zona superiore gialla con disegni di elementi architettonici ed in particolar modo spicca un quadretto raffigurante una Poetessa che istruisce una suonatrice di cetra, mentre l'ambiente sulla sinistra si ritiene essere una cucina con una latrina, nel quale sono stati ritrovati resti di una statua a grandezza naturale, una colomba in marmo con piedi in ferro, ma mancante di testa, e vasi in ceramica. Le camere sul lato nord sono invece il tablino ed il triclinio: il tablino, che si affaccia direttamente sul giardino, non presenta decorazioni, in quanto a seguito dei lavori per la costruzione del piano superiore, era in attesa di essere affrescato, anche se presenta una pavimentazione in cocciopesto la cui parte centrale è decorata con un mosaico riproducente motivi geometrici che incorniciano piastrelle romboidali in marmo policromo; il triclinio invece presenta una pavimentazione simile a quella del tablino, ma al centro è in opus sectile, mentre le pareti sono affrescate con zoccolatura nera, pannelli centrali in rosso e nero e zona superiore in bianco: in particolare, nella parte centrale delle quattro pareti erano affrescati quattro quadretti di scene mitologiche, di cui solo due conservati: quello sul lato ovest raffigura Dioniso che versa del vino ad una tigre e sul lato est una Menade. Tra il triclinio ed il tablino, un breve corridoio, le cui pareti sono in nero con affreschi di nature morte, congiunge l'atrio con il giardino: questo è preceduto da un ambulacro decorato con pannelli neri arricchiti con raffigurazioni di elementi vegetali; sul suo lato sinistro si apre un piccolo ambiente utilizzato come ripostiglio, mentre sul lato destro, sono presenti altre tre stanze, una adibita ad oecus, con pareti affrescate con zoccolatura in nero, zona mediana in bianco e rosso e parte superiore bianca con elementi architettonici, ghirlande e fasce ornamentali, e le altre due, semplicemente intonacate, erano anch'esse adibite a ripostiglio. Il giardino, al cui interno è stato ritrovato lo scheletro di una tartaruga, è caratterizzato da un canale con alle estremità due fontane, una raffigurante una ninfa, l'altra una sfinge: lungo la parete di fondo sono affrescate scene di caccia, mentre lungo le due pareti laterali paesaggi nilotici, in particolare quella sinistra con pigmei con combattono contro ippopotami e coccodrilli e il trasporto di anfore su una nave e quella a destra con edifici sacri dalla classica architettura egizia; nei pressi di una finestra è ritratto sulla destra una viandante con cappuccio e sulla sinistra un quadretto con uva e mele, mentre vicino ad una finestra più piccola un Priapo itifallico: sparsi per l'ambiente sono stati ritrovati numerosi graffiti. La casa disponeva anche di un piano superiore, che si sviluppava lungo la facciata ed in parte crollato a seguito dell'eruzione: questo era adibito al personale. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Editori Laterza, 1982, ISBN non esistente. Regio I degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa dei Cei (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.