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Fullonica di Stephanus

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Fullonica Stephanus Pompeya 07
Fullonica Stephanus Pompeya 07

La fullonica di Stephanus è una fullonica di epoca romana dell'antica Pompei, ubicata nella Regio VI, sepolta dall'eruzione del Vesuvio del 79.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Fullonica di Stephanus (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Fullonica di Stephanus
Via Plinio,

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Latitudine Longitudine
N 40.750311 ° E 14.489139 °
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Regio I

Via Plinio
80045
Campania, Italia
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Fullonica Stephanus Pompeya 07
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Luoghi vicini

Casa dei Ceii
Casa dei Ceii

La casa dei Ceii è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: chiamata anche casa della Caccia, casa di Fabia e Tiranno o casa della Regina Elena, deve il suo nome alla famiglia che l'abitava, quella dei Ceii. La casa dei Ceii fu edificata alla fine del II secolo a.C., al termine del periodo sannitico, come testimoniato dall'utilizzo di metodi architettonici, classici di quella popolazione: all'inizio del I secolo, quando presumibilmente apparteneva a Lucius Ceius Secundus, edile nel 76 e duoviro nel 78, subì una pesante ristrutturazione che portò al rifacimento di tutte le pitture interne in terzo stile. I lavori di ammodernamento, come la costruzione di un piano superiore, non erano ancora completati, anche se il ritrovamento di oggetti di uso quotidiano ha confermato che l'abitazione era normalmente utilizzata, quando nel 79, venne seppellita sotto una colte di ceneri e lapilli, a seguito dell'eruzione del Vesuvio. Saccheggiata già probabilmente al termine del fenomeno eruttivo, venne riportata alla luce tra il marzo 1913 e l'agosto 1914, con altre campagne di scavo effettuate nel 1982. La casa, che si affacciata sul vicolo del Menandro, ha un'estensione di duecentoottantotto metri quadrati ed ha l'architettura delle tipiche abitazioni a schiera del quartiere; la facciata presenta elementi architettonici tipici dell'architettura sannitica, come le due lesene che inquadrano il portale d'ingresso che terminano con capitelli cubici, i quali sorreggono un architrave con cornice dentellata, il tutto sormontato da una tettoia: il resto della facciata, nella quale si aprono due finestre, conserva la rifinitura a stucco disposta a finto opus quadratum e su di essa, al momento dello scavo, erano dipinte nove iscrizioni elettorali, e da una, quella inneggiante a L. Ceius, ne è derivato il nome. Superato il portale d'ingresso, di cui è stato possibile ricavare il calco in cemento, a due battenti e con l'aggiunta di elementi in ferro originali, si accede alle fauci, con pareti affrescate in terzo stile, così come nel resto dell'abitazione, con pannelli rossi su fondo bianco e zona superiore in bianco arricchita con raffigurazioni di elementi architettonici; anche il soffitto presenta degli affreschi. Una probabile porta a tre ante, divideva le fauci dall'ambiente successivo, ossia l'atrio: questo è di tipo tetrastilo, con impluvium centrale realizzato con pezzi di anfora e arricchito, a seguito del restauro del I secolo, da bordi in marmo; il pavimento, uguale poi nel resto della casa, è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche, mentre le pareti hanno affreschi in rosso e nero e zona superiore in bianco, sempre con la presenza di elementi architettonici: nell'ambiente sono stati ritrovati un tavolo circolare in marmo, un puteale, doveva esserci un armadio in legno e, sotto una scala, posta lungo parete sinistra, che permetteva di raggiungere il costruendo piano superiore in opus craticium, erano conservate undici lucerne in terracotta, una in ferro ed una lanterna in bronzo. Le camere che si affacciano sull'atrio sono presenti solo sul lato sud e su quello nord: lungo il lato sud, sulla destra, si apre un cubicolo, illuminato da due finestre, con zoccolatura nera, pannelli centrali verdi e rossi e zona superiore gialla con disegni di elementi architettonici ed in particolar modo spicca un quadretto raffigurante una Poetessa che istruisce una suonatrice di cetra, mentre l'ambiente sulla sinistra si ritiene essere una cucina con una latrina, nel quale sono stati ritrovati resti di una statua a grandezza naturale, una colomba in marmo con piedi in ferro, ma mancante di testa, e vasi in ceramica. Le camere sul lato nord sono invece il tablino ed il triclinio: il tablino, che si affaccia direttamente sul giardino, non presenta decorazioni, in quanto a seguito dei lavori per la costruzione del piano superiore, era in attesa di essere affrescato, anche se presenta una pavimentazione in cocciopesto la cui parte centrale è decorata con un mosaico riproducente motivi geometrici che incorniciano piastrelle romboidali in marmo policromo; il triclinio invece presenta una pavimentazione simile a quella del tablino, ma al centro è in opus sectile, mentre le pareti sono affrescate con zoccolatura nera, pannelli centrali in rosso e nero e zona superiore in bianco: in particolare, nella parte centrale delle quattro pareti erano affrescati quattro quadretti di scene mitologiche, di cui solo due conservati: quello sul lato ovest raffigura Dioniso che versa del vino ad una tigre e sul lato est una Menade. Tra il triclinio ed il tablino, un breve corridoio, le cui pareti sono in nero con affreschi di nature morte, congiunge l'atrio con il giardino: questo è preceduto da un ambulacro decorato con pannelli neri arricchiti con raffigurazioni di elementi vegetali; sul suo lato sinistro si apre un piccolo ambiente utilizzato come ripostiglio, mentre sul lato destro, sono presenti altre tre stanze, una adibita ad oecus, con pareti affrescate con zoccolatura in nero, zona mediana in bianco e rosso e parte superiore bianca con elementi architettonici, ghirlande e fasce ornamentali, e le altre due, semplicemente intonacate, erano anch'esse adibite a ripostiglio. Il giardino, al cui interno è stato ritrovato lo scheletro di una tartaruga, è caratterizzato da un canale con alle estremità due fontane, una raffigurante una ninfa, l'altra una sfinge: lungo la parete di fondo sono affrescate scene di caccia, mentre lungo le due pareti laterali paesaggi nilotici, in particolare quella sinistra con pigmei con combattono contro ippopotami e coccodrilli e il trasporto di anfore su una nave e quella a destra con edifici sacri dalla classica architettura egizia; nei pressi di una finestra è ritratto sulla destra una viandante con cappuccio e sulla sinistra un quadretto con uva e mele, mentre vicino ad una finestra più piccola un Priapo itifallico: sparsi per l'ambiente sono stati ritrovati numerosi graffiti. La casa disponeva anche di un piano superiore, che si sviluppava lungo la facciata ed in parte crollato a seguito dell'eruzione: questo era adibito al personale. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Editori Laterza, 1982, ISBN non esistente. Regio I degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa dei Cei (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa dell'Efebo
Casa dell'Efebo

La casa dell'Efebo è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: chiamata anche casa di Publio Cornelio Tegeste, dal nome del proprietario, deve la sua denominazione al ritrovamento di una statua raffigurante un efebo. La casa appartenne a un Publio Cornelio Tegeste, probabilmente un mercante del ceto medio pompeiano, che si era arricchito tramite i traffici commerciali: visto anche i numerosi ritrovamenti di oggetti, l'uomo doveva essere un cultore o collezionista di opere d'arte. Frutto dell'unione di due o tre abitazioni, la casa nel periodo precedente all'eruzione era in uso, come dimostrato anche dal rinvenimento di tre scheletri, tuttavia era in fase di restauro come testimoniano i calcinacci nel giardino, che non era utilizzato quindi come luogo di svago, la mancanza di utensili da cucina, un letto posto in un ambiente non adibito a tale funzione e alle decorazioni in quarto stile del tutto complete. Probabilmente i proprietari, durante il restauro o prima del terremoto del 62, erano partiti da Pompei e lasciato la casa alla gestione del personale di servizio. Venne seppellita quindi sotto una coltre di ceneri e lapilli durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e fu esplorata e riportata alla luce in più fasi: la prima nel 1912 e poi tra marzo e settembre del 1925, anche se i lavori si protrassero fino al 1927. La casa si trovava ad una profondità di tre metri dal suolo di calpestio e le indagini iniziarono praticando un tunnel dalla casa del Sacerdote Amando: tuttavia varchi nelle mura evidenziarono che questa già era stata esplorata precedentemente. Negli anni 10 del XXI secolo l'abitazione venne sottoposta a restauro, riaprendo al pubblico nel dicembre 2015. L'accesso alla casa, che ha una superficie di circa seicentocinquanta metri quadrati, è posto in una traversa di via dell'Abbondanza, nel cosiddetto vicolo dell'Efebo: al momento dello scavo, lungo la strada sono stati ritrovati diversi oggetti, probabilmente prelevati dalla casa stessa durante l'eruzione. L'abitazione ha tre ingressi, frutto dell'unione di più case: probabilmente l'ingresso nella parte alta era utilizzato dalla famiglia, quello mediano dagli ospiti, mentre quello in basso consentiva l'accesso alla zona del giardino. L'ingresso posto nella parte superiore si presenta esternamente decorato con semicolonne sormontato da capitelli cubici; è stato ricavato il calco del portone a due battenti, internamente sbarrato: Amedeo Maiuri ha ipotizzato che questo poteva o non essere più in uso o chiuso durante l'eruzione per evitare l'ingresso all'interno sia di materiali vulcanici che di intrusi. Il corridoio d'ingresso ha pareti affrescate in bianco con l'aggiunta di candelabri e bordi ornamentali, tipico del quarto stile che si ritrova in tutta la casa, mentre il pavimento è in lavapesta. Si accede quindi all'atrio, completamente coperto e senza impluvium: le pareti nord e sud hanno pareti bianche con disegni di piante nella zoccolatura e nature morte e bordi ornamenti nella parte mediana, mentre la parete est ha zoccolo e parte mediana in nero; il pavimento è in cocciopesto, come in quasi tutto il resto della casa. Una scala conduceva al piano superiore: nel sottoscala era posto una sorta di armadio contenente vasi in vetro e bronzo e un braccio appartenente alla statua dell'Efebo ritrovata in giardino. A completare l'ambiente una nicchia che fungeva da larario decorata con l'affresco di un Genio che offriva libagioni, una flautista, un inserviente, lari che danzano, e nella parte sottostante dovevano esserci due serpenti, di cui uno con barba e cresta rossa, contornati da piante. Nell'atrio, posti ai lati dell'ingresso, due cubicoli affrescati in giallo, con zoccolo decorato con Menadi, amorini, ghirlande, sfingi e colombe e zona mediana con nature morte e elementi architettonici. Dal lato opposto dell'atrio invece si accede a un'esedra, originariamente adibito a tablino: al momento dello scavo, al suo interno, sono stati ritrovati resti di un letto, indicando che poteva fungere o come camera da letto o camera da pranzo; la pavimentazione è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche, mentre le pareti sono tinteggiate in bianco con l'aggiunta di elementi vegetali nella parte inferiore e medaglioni ed elementi architettonici in quella superiore. Sullo stesso lato dell'esedra è un bagno, fornito di un lavabo in bronzo, un foro nella parete a circa un metro e mezzo di altezza che ospitava uno specchio e, nel pavimento, un foro collegato direttamente al forno del cortile, testimonianza che in casa era presente l'acqua calda; la stanza ha una zoccolatura in nero con scomparti bordati in rosso e parte mediana bianca con disegni di candelabri, ghirlande e uccelli. Dall'esedra di accede a un piccolo cortile affrescato in rosso scuro nella zoccolatura: si tratta di un locale per la raccolta e il riscaldamento dell'acqua, anche se in un primo momento lo si riteneva essere un ripostiglio per la quantità di materiale ritrovato, fino a quando non si è intuito che proveniva dal piano superiore. Si passa quindi al triclinio rustico con resti di un focolare e pareti in rosso nella parte inferiore e in bianco in quella superiore. Il secondo ingresso era quello probabilmente in uso al momento dell'eruzione: esternamente era dotato di sedili, mentre il corridoio appare dipinto con zoccolo nero e parte mediana in giallo e rosso con riquadri bianchi; lungo il corridoio sono stati ritrovati oggetti da gioco, un martello, vasi in ceramica e bronzo e una moneta: tali oggetti erano o contenuti in un armadio, di cui sono state recuperate le cerniere, o provenienti dal piano superiore crollato. Si accede al secondo atrio, di tipo tuscanico, con impluvium, scala per il piano superiore e collegato al primo atrio tramite un'apertura nella parete nord: le pareti sono intonacate grossolanamente e in una di questa è incastonato un pezzo di vetro, tipico elemento decorativo; accanto all'impluvium sono stati rinvenuti due gambe di un tavolo in marmo e due recipienti metallici di cui uno contenente una sostanza gialla, l'altro pezzi di vetro. Lungo il lato verso l'ingresso si aprono tre ambienti, due dei quali ai lati del corridoio d'ingresso: uno, intonacato in bianco, poteva essere in origine l'accesso al piano superiore, tramutato poi in cucina, visto il ritrovamento di vasi e casseruole e munito di latrina, mentre l'altro un cubicolo con pitture parietali che tendono a riprodurre l'effetto del marmo, con zona inferiore in rosso e giallo e parte superiore in bianco, entrambi con quadretto centrale in bianco e bordi ornamentali. Accanto al cubicolo è posto un oecus che fungeva anche o da biclinio oppure da stanza da pranzo invernale: contrariamente al resto della casa, le pareti sono decorate in secondo stile, con zoccolo nero in cornice gialla e zona centrale nera con bordi rossi. Come l'ambiente accanto anche in questo sono stati ritrovati resti di anfore e una breccia nel muro segno di un'esplorazione precedente a quelle ufficiali. Con ingresso sia dall'atrio che dal biclinio è un ulteriore ambiente a servizio di quest'ultimo e presenta le parati con zoccolo bianco, arricchito con disegni di piante e elementi architettonici, e zona superiore bianca con quadretto centrale raffiguranti uccelli, pesci, animali selvatici e ghirlande: al suo interno è stata ritrovata una cassa contenente oggetti in vetro e ceramica decorati, forse utensili da toelettatura, una pentola in bronzo, un coltello e un pettine per la cardatura. Sul lato dell'atrio di fronte all'ingresso si aprono tre ambienti: quello centrale è o il tablino oppure un magazzino in quanto si presenta con pareti intonacate in grigio, anche se probabilmente al momento dell'eruzione la decorazione pittorica non era ancora stata terminata; all'interno della sala, oltre a vasi di ceramica e vetro, tazze, attrezzatura per il cucito e strumenti in ferro per il giardinaggio, forse provenienti dal piano superiore crollato, è stata ritrovata una cassa carbonizzata con all'interno quattro statuette in bronzo dorato, ognuna delle quali reca in mano un vassoio, sul quale venivano poggiati dolci, conservate al Museo archeologico nazionale di Napoli. I due ambienti laterali invece sono un piccolo cubicolo con soffitto a volta e pareti affrescate con quadretti centrali di scene mitologiche come Eco e Narciso nella parete nord, Apollo e Dafne in quella sud e l'Afrodite pescatrice in quella est, anche in cattivo stato di conservazione, e un ripostiglio, con pareti intonacate in bianco sulle quali sono presenti scaffali contenenti vasi, lampade, resti di gioielli in vetro e una maschera in terracotta. La parete sud del secondo atrio si apre verso la zona del giardino. Si supera una sorta d'ingresso con pareti bianche con bande rosse, gialli e verdi e pavimento in cocciopesto con file di tessere bianche e al suo interno sono stati ritrovati uno sgabello in bronzo, quattro gambe di un mobile e, avvolto in un panno di lino per evitare per si danneggiasse durante i lavori di restauro della casa, la statua raffigurante un Efebo in bronzo, copia di un'opera greca del V secolo a.C. e custodito al Museo archeologico nazionale di Napoli: la funzione della statua era probabilmente quella di essere una lampada, in quanto doveva portare nelle mani dei candelabri; al momento del ritrovamento la statua mancava del braccio destro, rinvenuto in un altro ambiente della casa. Si passa quindi a un'esedra o sala da pranzo con pareti con zoccolo bianco decorate con uccelli e piante e zona mediana bianca con disegni architettonici; il pavimento è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche, le quali formano delle croci, e al centro un mosaico policromo a raffigurare uccelli e fiori. Queste ultime due camere danno accesso al triclinio: le pareti si presentano sia nella zoccolatura che nella parte mediana affrescate in bianco con l'aggiunta di figure volanti e piante; nella parete est, in parte danneggiata da una breccia frutto delle esplorazioni, è un quadretto raffigurante Elena e Menelao. Il soffitto era decorato a cassettoni con l'aggiunta di figure e medaglioni, mentre il pavimento è in cocciopesto eccetto al centro e lungo il lato sud che in opus sectile, realizzato con quadrati e triangoli in marmo colorato e vetro millefiori. Nel triclinio sono stati ritrovati resti di divani lungo le pareti, poi ricostruiti, e resti di statuette, probabilmente provenienti dal giardino, in particolare una statua di Pan, di un Capra con un capretto e un bassorilievo con un amorino. Esternamente al triclinio, che era probabilmente protetto dalla pioggia, dal vento e dal sole o da vetrate poste in cornici di legno o da persiane in legno, sulla parete ovest, è posto una nicchia per un larario, decorato con l'affresco di due serpenti, quello a sinistra più grande con cresta rossa e barba, mentre l'altro piccolo, e al centro, sotto la nicchia, la raffigurazione di un braciere con sopra delle uova. Tra il triclinio e il larario è l'accesso a una dispensa o ripostiglio, nel quale sono stati ritrovati un braciere e un'anfora. Il terzo ingresso è posto nei pressi del giardino: l'ingresso ha la parete nord intonacata in bianco e quella sud con zoccolo rosa e parte mediana in bianco. Intorno all'ingresso si aprono tre ambienti di servizio: uno, nel quale sono stati ritrovati tre anelli, aveva una scala in legno per accedere al piano superiore, una cucina con latrina, probabilmente inutilizzata al momento dell'eruzione poiché senza reperti al suo interno, e un altro, con pareti bianche e l'aggiunta di ghirlande, candelabri, pianti e animali, dalla funzione sconosciuta e nel quale sono stati scoperti una brocca in ceramica e un manico di ferro attaccato a del legno. Dall'ingresso si passa all'ambulacro che divide la zona residenziale della casa dal giardino: le pareti sono dipinte in bianco con l'aggiunta nella parte inferiore di piante e in quella superiore di candelabri, ghirlande, uccelli e delfini; sul fondo del deambulatorio, nelle vicinanze di un larario a tempio, si trova un castellum aquae che riusciva a contenere circa tre metri cubi di acqua, collegato direttamente alla fontana del giardino, decorato con l'affresco di Marte e Venere. Il giardino, che al momento dell'eruzione era in disuso come testimoniato sia dalle decorazioni incomplete sia per il materiale di risulta ritrovato, è posto nella parte meridionale della casa ed è diviso in due parti da lastre di marmo: la decorazione delle pareti è in una parte in zoccolo rosso con piante e zona mediana con scene di caccia, mentre nelle altre parti è intonacato in bianco. La parte ovest del giardino ha nel centro una sorta di divano in muratura a tre lati, coperto da un pergolato che si sorreggeva su quattro colonne stuccate; il divano è decorato con affreschi di scene nilotiche con pigmei: il fiume viene raffigurato nel momento della piena, con l'acqua che circonda i recinti sacri e particolare è una scena erotica sulla parte frontale che si svolge alla presenza di terzi intenti a suonare il flauto o urlare. Completano la zona un tavolo in marmo posto nel centro del divano e diverse basi in muratura su cui erano posate delle statue. Lungo la parete sud è una fontana a forma di tempio con ninfeo: come decorazione era posta una statua in bronzo di una figura femminile, Pomona, ritrovata al momento dello scavo su un mucchio di piastrelle, da cui fuoriusciva l'acqua che poi defluiva attraverso una fistula per scomparire nel muro perimetrale e ricomparire a ridosso del peristilio della casa confinante, segno che anche questa apparteneva allo stesso proprietario della casa dell'Efebo. Nella parte est del giardino è posta una grande vasca all'interno della quale sono state ritrovate anfore e vasi in ceramica; al centro un tavolo, una sedia a semicerchio e un altare in terracotta, mentre nel muro perimetrale si trova un ingresso con scala per la casa vicina. La casa aveva anche stanze al piano superiore, crollate. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Laterza, 1982, ISBN 88-420-2001-X. Touring Club Italiano, Guida d'Italia - Napoli e dintorni, Milano, Touring Club Editore, 2007, ISBN 978-88-365-3893-5. Regio I degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa dell'Efebo (IT, EN) Soprintendenza Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa del Menandro
Casa del Menandro

La casa del Menandro (I 10, 4) è una grande domus urbana dell'antica Pompei di quasi 1800 m². È stata scavata negli anni 1926–1932 ed è un buon esempio di una domus di una famiglia benestante dell'antica Pompei. Prende il nome non dal proprietario della casa, ma dall'immagine del poeta greco Menandro, ritrovata lì. La parte più vecchia della casa è composta da un atrio costruito nel 250 a.C. con gli spazi immediatamente circostanti ed è relativamente modesta. Circa 100 anni più tardi la domus fu modernizzata. Per la porta d'ingresso e per il tablinum furono usati capitelli di tufo. In periodo augusteo la domus fu modificata sostanzialmente; in primo luogo fu edificato un peristilio, utilizzando lo spazio ricavato dall'abbattimento degli edifici residenziali adiacenti. Nello spazio a ponente furono ricavate delle terme. A levante si trova la parte economica della domus. Poco prima dell'eruzione furono eseguite in vari posti della casa ulteriori opere di ammodernamento. Si trovano delle anfore riempite di stucco e un forno provvisorio. Il nome dell'ultimo abitante della casa è Quinto Poppeo. Il suo nome è stato trovato in un sigillo di bronzo negli alloggi per la servitù. La casa è decorata con pitture del quarto stile. La parete posteriore del peristilio mostra una sequenza di nicchie, e in quella centrale si trova una immagine di Menandro, che dà il nome alla casa. Nel calidarium si trova un grande mosaico con al centro un grande acanto circondato da pesci, delfini e altri animali marini. In un corridoio sotto il piccolo atrio delle terme private si trovava un tesoro di 118 vasi d'argento, che erano stati accuratamente avvolti in drappi di stoffa e sistemati in un alto armadio di legno durante i lavori di restauro della casa. In un altro cofanetto in legno, e quindi decomposto, si trovavano anche oggetti in oro e monete per un valore di 1432 sesterzi. Amedeo Maiuri: La Casa del Menandro e il suo tesoro di argenteria, Rom 1933 Eugenio La Rocca, M. de Vos Raaijmakers, A. des Vos: Pompeji. Lübbes archäologischer Führer. Gustav Lübbe Verlag, Bergisch Gladbach 1979, ISBN 3-7857-0228-0, S. 175-86 Penelope M. Allison, The Insula of the Menander at Pompeii, volumi primo, secondo e terzo, 0199263124, 9780199263127, Clarendon Press, 2006 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa del Menandro Casa del Menandro, su pompeiisites.org. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 7 gennaio 2014). (EN) Casa del Menandro, su stoa.org. URL consultato l'8 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale l'8 gennaio 2014).

Teatro Grande (Pompei)
Teatro Grande (Pompei)

Il Teatro Grande è un teatro di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei: al suo interno venivano rappresentate commedie, mimi e pantomimi, oltre che le atellane. Il Teatro Grande fu edificato in età sannitica ma completamente rifatto nel II secolo a.C. ed in seguito più volte restaurato: intorno all'80 a.C., in contemporanea con la costruzione del Teatro Piccolo, diversi lavori interessarono principalmente la zona della cavea, ampliata di circa dieci metri, mentre, durante l'epoca augustea, ci fu una ristrutturazione totale, grazie alle sovvenzioni della gens Holconia, una delle famiglie più importanti di Pompei, impegnata nelle coltivazioni di viti; tale evento è ricordato con una targa che riporta la scritta: Inoltre, grazie ai nomi dei benefattori, si è potuto risalire a una data precisa del restauro, probabilmente intorno al 2 o 3 a.C., anni in cui Marco Holconio Rufo era duoviro di Pompei, quando gli venne dedicata una statua, oltre a un bisellio, ossia un posto riservato, all'interno del teatro; il restauro fu affidato a un liberto chiamato Marco Artorio Primo: era infatti consuetudine tra i romani affidare i lavori manuali a tale genere sociale, in quanto era un'attività ritenuta non degna per un uomo libero. A seguito del terremoto di Pompei del 62, che danneggiò parzialmente la struttura, venne rifatta completamente la scena; fu quindi sepolto, con il resto della città, sotto una coltre di ceneri e lapilli nel 79, a seguito dell'eruzione del Vesuvio ed esplorato a seguito delle indagini archeologiche volute dalla dinastia borbonica: a seguito di un accurato restauro viene utilizzato nei mesi estivi per rappresentazioni teatrali e musicali. Il teatro fu edificato sulle pendici di una collina, di cui sfrutta il costone per la gradinata: si trova nei pressi del Tempio Dorico ed ha uno stampo prettamente ellenistico, così come era abitudine dell'antica Grecia costruire i teatri nelle vicinanze di un'area sacra; si apriva inoltre su di uno splendido panorama, dominato dalla valle del Sarno e dai monti Lattari. Il Teatro Grande ha una forma a ferro di cavallo, distinguendosi dal modello tradizionale romano ad emiciclo, e fu realizzato interamente in opera incerta. La parte riservata al pubblico era la cavea e poteva accogliere circa cinquemila spettatori; questa è divisa in tre parti: l'ima cavea, rivestita in marmo, era riservata ai decurioni, la media cavea, la più ampia e la meglio disposta per la visione dello spettacolo, era destinata alle corporazioni e la summa cavea, con posti limitati; a loro volta, sia la media che la summa cavea si dividono in cinque zone: della summa cavea tuttavia rimane solo un piccolo tratto, in quanto crollata a seguito del terremoto del 62. Doveva inoltre essere presenta una gradinata che poggiava su un corridoio con volte a botte, così come altre gradinate sono presenti sui parodi, caratteristica inusuale per questo tipo di edifici, in quanto erano sempre scoperti e quindi sicuramente aggiunte in secondo momento. La parte dedicata al pubblico si completava con dei palchetti, chiamati tribunalia, riservati ad ospiti d'onore, i quali godevano di una perfetta visione sulla scena. Alla zona dell'orchestra si accede tramite due parodos coperti: quello di destra conduceva a un cortile posto dietro la scena, da cui, tramite una scala, si arrivava al Foro Triangolare: sul suo ingresso fu ritrovata una testa maschile d'epoca sillana. Il parodos della parte sinistra invece è raggiungibile da Via Stabia e conduce poi allo stesso cortile del precedente: entrambi i corridoio sono costruiti in opera incerta. La zona del palcoscenico, in opera laterizia, è alta circa un metro e mezzo e presenta due scalette, tramite le quali gli attori accedevano alla scena, mentre ai lati alcune nicchie dovevano ospitare gli addetti all'ordine pubblico. La scena, protetta da un sipario che si alzava dal basso verso l'alto, era limitata da un'imitazione di un palazzo principesco, con tre porte e a due piani, ornato con molte statue; al lato del palco un piccolo spogliatoio che fungeva anche d'accesso a un cortile. Tutta la zona del Teatro, probabilmente, era decorata con fontane e ninfei, ritrovati al momento degli scavi, mentre diversi blocchi forati indicano che nei mesi più caldi l'intera struttura veniva coperta con un velarium. Teatro romano (architettura) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Teatro Grande (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Casa della Venere in Bikini
Casa della Venere in Bikini

La casa della Venere in Bikini, conosciuta anche con il nome di casa di Maximus, è una casa di epoca romana, sepolta durante l'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovata a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei. Costruita nel II secolo a.C., durante il I secolo a.C. la proprietà venne divisa dando origine alla casa nella sua forma definitiva. Fu danneggiata dal terremoto del 62: iniziarono i lavori di restauro, come testimoniato dalla chiusura di una porta che la collegava alla vicina casa di Lucius Habonius Primus e dalle decorazioni in quarto stile, ma, ancora non completati o presumibilmente interrotti, ipotesi avvalorata da un graffito ritrovato su un affresco e due statue spezzate, venne ricoperta sotto una coltre di ceneri e lapilli durante l'eruzione del Vesuvio nel 79: ritrovamenti di oggetti da cucina e di scheletri fanno supporre che la casa fosse abitata al momento dell'eruzione. Fu scoperta nel 1913 a seguito degli scavi archeologici promossi da Vittorio Spinazzola: in questo caso venne riportata alla luce la facciata, sulla quale campeggiavano alcuni manifesti elettorali, tra cui uno dove veniva citato un certo Maximus, da cui la casa prese il nome. Una seconda fase di esplorazioni si ebbe tra il 1952 e il 1954 condotte dal team di Amedeo Maiuri: l'abitazione venne completamente esplorata ma si hanno notizie frammentarie sui ritrovamenti in quanto i reperti furono catalogati come se si trattasse di un inventario; fu a seguito di queste indagini che venne ritrovata la statua della Venere in bikini che diede il nome definitivo alla casa. Altre esplorazioni ci furono tra il 1955 e il settembre del 1961, ma mancano i rapporti dello scavo: in questo periodo le indagini erano abbastanza veloci, pensando per lo più a rimuovere il materiale piroclastico; in alcuni punti il materiale vulcanico risultava essere intaccato, segno di una precedente manomissione, prima degli scavi ufficiali. La casa si trova nella regio I, lungo via dell'Abbondanza e ha un'estensione di circa duecento metri quadrati. Sono diverse le ipotesi sul proprietario: secondo Matteo Della Corte potrebbe trattarsi di un centro Maximus, come testimonia un'iscrizione elettorale ritrovata sulla facciata, sulla quale campeggiavano altri manifesti sia in rosso che in nero, mentre secondo Melinda Armitt sarebbe potuta appartenere a un liberto della famiglia di Poppea, da due sigilli ritrovati in un armadio; l'identificazione del proprietario rimane tuttavia incerta perché tali nomi si ritrovano anche in altre abitazioni di Pompei. Il marciapiede che corre nei pressi dell'ingresso è in malta grezza su uno strato di malta grigia. La porta d'ingresso fu puntellata non appena il materiale piroclastico iniziò a depositarsi. Il corridoio d'ingresso ha una decorazione parietale incompiuta: lo zoccolo è in nero diviso in scomparti, mentre la zona centrale è in giallo delimitati in scomparti con disegni di candelabri e bordi ornamentali: al centro sono posti medaglioni con teste femminili. Presente anche un graffito che recita "Venite amantes": secondo Della Corte la casa poteva essere un lupanare. Nel corridoio non è stato ritrovato alcun reperto. Si accede quindi all'atrio. Nella parete nord è presente un accesso secondario, mentre le pareti sud e est sono rivestite con intonaco grigio scuro. Al centro della stanza è l'impluvium con base in cocciopesto e l'aggiunta di pezzi di marmi colorati: nei pressi dell'impluvio tre colonne, posizionate in modo tale da poter essere viste dall'esterno, che fungevano da piedistallo, su cui per poggiata una statua, ossia la cosiddetta Venere in bikini che dà il nome alla casa. La statua, conservata al Museo archeologico nazionale di Napoli, venne ritrovata nel gennaio 1954, mancante di un braccio: raffigura Venere con mamillare dorato nell'atto di allacciarsi un sandalo dopo aver fatto un bagno, poggiandosi a un amorino; talvolta, erroneamente, viene indicata come ritrovata o nella villa di Giulia Felice o di una casa che non esiste, questo perché la casa della Venere in Bikini, nel corso degli anni, subì il cambio delle coordinate. Sul lato sud dell'ambiente sono state ritrovate numerose cerniere: in un primo momento si era supposto potessero essere di una cassaforte, mentre successivamente si è arrivati alla conclusione che si tratta di un mobile. Tra gli oggetti contenuti: otto recipienti in bronzo come brocche e piatti, una lanterna, bottiglie in vetro, una bussola e un calamaio in bronzo, gioielli in oro, bronzo e vetro, pietre preziose, oggetti in marmo, dadi e oggetti da gioco, due denti di cinghiale, monete in bronzo, oro e argento una brocca decorata in argento, una statua in terracotta di Cupido, oggetti da toeletta in bronzo e due sigilli con i nomi C. Poppaei Idrus e Cissus Pithius Communis; se da un lato restano dubbi sulla reale provenienza di questi oggetti, dall'altro una quantità così elevata lascia presupporre che la casa fosse abitata al momento dell'eruzione. L'ambiente, ancora in fase di restauro come dimostra il programma decorativo delle pareti abbandonato dopo una prima verniciatura, non presenta pavimentazione. Lungo il lato nord dell'atrio, ai lati del corridoio d'ingresso, si aprono due stanze: una, probabilmente inutilizzata al momento dell'eruzione e in attesa di restauro, come comprovato anche dalla mancanza di reperti al suo interno, mostra delle pareti prive di intonaco e pavimentazione che poteva essere in malta o lavapesta. L'altra stanza invece era un negozio, con accesso, oltre che dall'atrio anche da un cubicolo e dalla strada: ha decorazioni in quarto stile, con pannelli rossi e gialli divisi da bordi ornamentali e zoccolatura rossa. Nella parete ovest una nicchia quadrata: al suo interno furono ritrovati tre tegole in terracotta e pezzi di mattonelle rotte, verosimilmente parte di uno scaffale. Nell'angolo sud-est è un podio: in un primo momento si era ritenuto essere parte di una scala, ipotesi successivamente quasi del tutto accantonata per via della forma insolita. L'assenza di merci ritrovate fa supporre che il negozio fosse inattivo al momento dell'eruzione. Sul lato est dell'atrio sono presenti tre ingressi per altrettante stanze: la prima ha pareti in quarto stile con zoccolatura rossa e disegni geometrici mentre la parte mediana è bianca divisa in pannelli con al centro architetture fantastiche, figure fluttuanti, motivi grotteschi e temi mitologici come Piramo e Tisbe. La pavimentazione, ancora incompiuta, è in pietra mescolata a malta. All'interno dell'ambiente, così come nei due successivi, non sono stati ritrovati reperti, forse, come dimostrato da alcune brecce nei muri, indagata subito dopo l'eruzione: in questa stanza, l'unico elemento ritrovato, è stato un oggetto in ferro a forma di T, probabilmente resti di un mobile. Segue quindi un cubicolo, anche se di dimensioni troppo ridotte per ospitare due letti o un letto e un armadio; le decorazioni sono in quarto stile: base in giallo con l'aggiunta di disegni di piante e zona centrale e superiore bianca, con pannelli divisi tra loro da linee gialle e rosse e l'aggiunta di uccelli. Il pavimento è in malta e cocciopesto. Il terzo ambiente, con apertura sia sull'atrio che sul negozio, di cui forse era un deposito (se si fosse trattato di un deposito avrebbe dovuto avere un intonaco in bianco e rosa) oppure un cubicolo, ha pareti con intonaco grezzo grigio: la decorazione è incompiuta. A sud dell'atrio si apre il tablino o un deposito: dalla stanza una porta e una finestra danno direttamente sul giardino, mentre una scala nell'angolo nord-ovest, di cui rimangono le tracce, conduceva al piano superiore. Le pitture si riscontrano nel muro sud e nell'area sotto la scala: la zoccolatura è rossa e la parte mediana è gialla divisa in scomparti da fasce bianche con al centro, in uno, una testa femminile, e, in un altro, Dioniso e un sileno; al di sopra della scala intonaco bianco grezzo. Il pavimento è in cocciopesto con l'inserto di tessere bianche e nere. Dal numero di cerniere ritrovate nella stanza, era ospitato un armadio e una cassapanca che contenevano diverse anfore, una fibbia, un secchio e un vaso in bronzo, una statua in marmo di Ermafrodito e fiaschi in vetro. Dal tablino si accede al giardino: la parete nord è intonacata in bianco mentre le pareti sud e ovest presentano una decorazioni in quarto stile con scene tipiche da giardino, in particolar modo zoccolatura di colore chiaro con l'aggiunta di sfingi e parte mediana con disegni di alberi, fiori e uccelli, oltre a una figura femminile che regge un catino. Nell'angolo della parete sud-est è presente una nicchia: la parte sottostante è affrescata in linea con il resto dell'ambiente, mentre l'interno è di fattura più antica. Nei pressi della bocca di una cisterna è stato ritrovato un puteale; anche se mai rinvenuta, secondo gli archeologi, nel giardino poteva esserci una meridiana. Il pavimento è in calce. Dal giardino si accede al triclinio o, dai reperti ritrovati, a una sala polifunzionale. La decorazione è in quarto stile, con zona basale in rosso, adornata con delfini e creature marine e parte mediana e superiore in fondo bianco con l'aggiunta di architetture fantastiche e motivi ornamentali; al centro dei pannelli della parte mediana, suddivisi tramite bordi ornamentali e amorini, gli affreschi di Artemide e Atteone e il Giudizio di Paride. La pavimentazione, forse incompleta, è in pietra. Nella stanza sono state ritrovate cerniere che potevano appartenere a un baule o un armadio; tra i reperti: due boccette e una tazza in vetro, pentole, fibbie e gioielli in bronzo e altri oggetti in vetro e pietra. Ad angolo tra il giardino e il triclinio è presente un ambiente che alcune mappe attribuiscono alla casa, mentre altre no: potrebbe trattarsi della cucina. Le pareti sono intonacate, mentre il pavimento è in cocciopesto. Una panchina, quasi del tutto distrutta, era posta lungo il lato sud e una latrina era nell'angolo sud-est. Nessun reperto è stato ritrovato, anche se secondo Armitt dalla cucina provenivano diversi oggetti in bronzo, ceramica e vetro. La casa aveva un piano superiore a cui si accedeva dal tablino, crollato a seguito dell'eruzione. Nella parte anteriore della casa, a un'altezza di quattro metri sul piano del calpestio, sono stati ritrovati due scheletri, uno dei quali con una borsa contenti oggetti in bronzo. Altri elementi in bronzo sono stati ritrovati nelle parti superiori dei materiali vulcanici ma non è possibile stabilire con certezza se provenissero dalla casa: si tratta di una lampada in argilla e una cerniera, un piede di leone e un anello in bronzo. Arnold De Vos e Mariette De Vos, Pompei, Ercolano, Stabia, Roma, Laterza, 1982, ISBN 88-420-2001-X. Luisa Franchi dell'Orto, Ercolano 1738-1988: 250 anni di ricerca archeologica: atti del convegno internazionale, Ravello-Ercolano-Napoli-Pompei: 30 ottobre-5 novembre 1988, Roma, L'Erma di Bretschneider, 1993, ISBN 88-706-2807-8. Regio I degli scavi archeologici di Pompei Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla casa della Venere in Bikini (I.11.6) (IT, EN) Soprintendenza Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.

Foro Triangolare
Foro Triangolare

Il Foro Triangolare è un foro di epoca romana, sepolto dall'eruzione del Vesuvio del 79 e ritrovato a seguito degli scavi archeologici dell'antica Pompei; la piazza era utilizzata principalmente per le corse equestri e come luogo di svago in attesa di assistere alle rappresentazione dei vicini teatri. Il Foro Triangolare, così chiamato per la sua forma geometrica a triangolo, fu edificato intorno al II secolo a.C., sulla parte meridionale della collina sulla quale sorgeva Pompei, a seguito della decisione di attuare una sistemazione urbana dell'intera zona dei teatri: nello stesso periodo fu anche ampliato il foro principale. Sepolto sotto una colte di lapilli e ceneri dall'eruzione del 79 del Vesuvio, fu riportato alla luce nel corso degli scavi archeologici alla fine del XVIII secolo. L'ingresso al Foro Triangolare, situato sul vertice più corto del triangolo, è preceduto da un propileo con sei colonne di tipo ionico, due semicolonne ed un architrave, tutto realizzato in tufo. L'ingresso è dato da due porte che si aprono in un muro in opera incerta: originariamente era presente una sola porta, mentre la seconda, più grande, fu aperta a seguito dei lavori di ristrutturazione dopo il terremoto di Pompei del 62. Nella zona dell'ingresso era presente una piccola fontana pubblica. L'interno del Foro Triangolare è caratterizzato su tre lati da un colonnato, eccetto sul lato sud per non impedire la vista del panorama: le colonne erano novantacinque, in ordine dorico, sovrastate da un architrave, ma dalla forma longilinea, in quanto non dovevano sopportare il peso di un secondo ordine superiore; nella parte centrale del colonnato nord era presenta una fontana, di cui rimane solo un supporto in marmo e un piedistallo sul quale poggiava la statua di Marco Claudio Marcello, mentre lungo il lato est è un muretto che delimitava la zona dove si svolgevano probabilmente corse di cavalli o atletiche. Nella parte sud del foro è presente il Tempio Dorico e un thòlos: questo è costruito intorno ad un pozzo sacro, con sette colonne doriche in tufo, ricoperte da un tetto conico ed edificato per volere del magistrato Numerius Trebius, come riportato sull'architrave. Nei pressi del tempio è inoltre presenta una costruzione a forma di quadrilatero, con apertura sulla struttura sacra, all'interno della quale si trova un piccolo recinto: probabilmente si trattava della tomba del fondatore di Pompei. Nell'angolo destro del foro sono posti tre altari in tufo, mentre nell'angolo nord è una meridiana voluta da Lucius Sepunius Sandilianus e Marcus Herennius Epidianus. Sulla parete est si aprivano tre piccole uscite che conducevano al Teatro Grande, all'Odeion e alla Palestra Sannitica. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Foro Triangolare (IT, EN) Soprintendenza archeologica di Pompei - Sito ufficiale, su pompeiisites.org.