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Chiesa di San Pietro Apostolo (Zevio)

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Zevio
San Pietro e Oratorio (Zevio)
San Pietro e Oratorio (Zevio)

La chiesa di San Pietro Apostolo, talvolta indicata come pieve, è la parrocchiale di Zevio, in provincia e diocesi di Verona; fa parte del vicariato dell'Est Veronese.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Chiesa di San Pietro Apostolo (Zevio) (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Chiesa di San Pietro Apostolo (Zevio)
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San Pietro e Oratorio (Zevio)
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Zevio
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Zevio (Dévio o Zevio in veneto) è un comune italiano di 15 075 abitanti della provincia di Verona in Veneto. Zevio si trova circa 19 chilometri a sud-est dal centro di Verona, lambito a nord dal fiume Adige. Il territorio comunale è di medie dimensioni e si estende nell'area conosciuta come Bassa Veronese. Nonostante sia completamente pianeggiante, già a una quindicina di km più a nord si possono incontrare i primi rilievi collinari che marcano l'inizio dei Monti Lessini. Oltre a Verona, le cittadine più vicine sono San Giovanni Lupatoto, San Martino Buon Albergo e San Bonifacio, distanti solo pochi chilometri. Sulla base dei numerosi ritrovamenti, all'interno del territorio zeviano, di resti di epoca romana, nella seconda metà dell'Ottocento fu avanzata dal mons. Luigi Gaiter l'ipotesi che il nome del paese potesse derivare dall'aggettivo latino devius, col significato di "paese fuori della via", in riferimento alla collocazione dell'insediamento a breve distanza (circa 4,5 km) dal tracciato della via Postumia. Tale ipotesi non appare, però, sufficientemente supportata da riscontri documentali. Risulta invece più probabile la derivazione da Jébetum, giungendo all'attuale denominazione attraverso successive modificazioni fonetiche (Gébitum, Gébeto, Gébeo, Zéveo), che trovano riscontro all'interno di documenti tardomedievali, atti ufficiali e mappe della Repubblica di Venezia. Il toponimo originale Jébetum o Gébetum discenderebbe dalla popolazione dei Gepidi, cui fu permesso, dopo la definitiva sconfitta subita nel 567 da parte del re longobardo Alboino, di stabilirsi in questo territorio, che per tale motivo fu in seguito conosciuto come "Terra dei Gepidi" (fines Gepidana). La più antica attestazione nota del nome Gebitus risale all'anno 846, all'interno del testamento di tale Engelberto da Erbé, proprietario di una masseria nella campagna zeviana (in loco et fundo Gebitus). Si hanno notizie di insediamenti a Zevio dal V secolo, periodo in cui svolgeva un ruolo difensivo per Verona, con un fortilizio che si trovava sul sito dell'odierna villa Sagramoso, nota anche come il castello proprio per la sua origine. Con lo stanziamento dei Gepidi, dopo il 567, comincia a crescere il villaggio di Zevio. Da allora si apre un periodo burrascoso per il paese che, insieme a Verona, vede passare diverse dominazioni straniere. Oltre al fortilizio, importante è la storia della chiesa locale, presente già dal X sec. con una collegiata; oltre alla pieve e agli oratori del capoluogo, hanno una storia secolare le chiese e gli oratori delle frazioni. In età scaligera a Zevio nacque Santa Toscana. In età rinascimentale fu arciprete di Zevio l'umanista Girolamo Avanzi, autore di un'ode saffica in latino in onore della Santa. Molto attive furono le confraternite, di cui rimangono vestigia negli altari laterali della parrocchiale e negli oratori, negli Archivi Storici Parrocchiale e Comunale. Nel 1798, Zevio fu capoluogo del distretto 2 (chiamato Distretto dell'Alto Adige) del Dipartimento del Benaco istituito da Napoleone all'interno della Repubblica Cisalpina. L'arciprete del tempo, don Francesco Fresco (1799-1829), registrò in un diario le battaglie napoleoniche di Caldiero, le conseguenze della dominazione francese giacobina (vd. anche le scritte in francese tuttora visibili dei soldati alloggiati nel castello), il rimpianto per i cattolici austriaci. Dal 1815 divenne definitivamente austriaca, divenendo capoluogo di una gendarmeria; nel 1866, con la terza guerra di indipendenza, entrò a far parte del regno d'Italia. Lo stemma e il gonfalone sono stati riconosciuti con DCG del 18 gennaio 1932. Il gonfalone è un drappo di rosso. Abitanti censiti Sono diverse le testimonianze architettoniche che caratterizzano l'abitato ed i centri limitrofi. Di seguito sono citati i più rappresentativi. Chiesa Parrocchiale di Santa Maria (XIX secolo) È nella frazione di Santa Maria, di stile neoclassico è del 1820. Diventò parrocchia solamente nel 1949. Chiesa di San Pietro (XIX secolo) La chiesa attuale è del 1839, progettata dall'architetto Bartolomeo Giuliari e costruita su una precedente. Il campanile è del Cinquecento. La parrocchia viene citata nel 903 elencando preti e nel 1135 ricordando Adelardo da Zevio. Nel 1145 papa Eugenio III scrive plebem Gebeti cum capellis et decimis. Palazzo Albertini Vesentini - XIX secolo Palazzo Emilei - XVIII secolo Palazzo Smania - XIV secolo Villa Barbaro Todeschi - XVI secolo Villa Bonomi Da Monte - XIX secolo Villa Da Lisca - XVIII secolo Villa Sagramoso, detta "Il castello" - XVIII secolo Fa parte della zona di produzione del vino Arcole DOC e del Riso Nano Vialone Veronese, che viene coltivato su terreni della pianura veronese irrigati con acqua di risorgiva. Inoltre era uno dei maggiori paesi produttori di mele della provincia, ora produttore di mais ad uso zootecnico più redditizio e meno bisognoso di mano d'opera, che ha sostituito molte coltivazioni di mele A Zevio era presente una stazione della tranvia Verona-Albaredo-Coriano, in servizio solo fra il 1898 e il 1925. Tale linea, con trazione a vapore, fu all'inizio del secolo interessata da un esperimento di trasporto integrato che prevedeva la costruzione di un grande porto fluviale sull'Adige, presso Albaredo. Arborea Il comune fa parte del movimento patto dei sindaci. La squadra principale di calcio di Zevio è l'AC Zevio che nella stagione 2021/2022 milita nel girone B di Prima Categoria. La Nuova Cometa Santa Maria invece è la squadra della frazione di Santa Maria di Zevio che gioca in Seconda Categoria. Oltre al calcio, c'è anche basket, pallavolo e tanti altri sport. Nella stagione 2018/2019 nella squadra di basket U18 maschile si è introdotta una ragazza, una promessa per la nuova squadra femminile che si farà per la stagione 2019/2020. AA.VV., Il Veneto paese per paese, Firenze, Bonechi, 2000, ISBN 88-476-0006-5. Renzo Piglialepre, Zevio "un tempo antichissima e celeberrima terra", I-III, Arti Grafiche Studio 83, Zevio 2007. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Zevio Sito ufficiale, su comune.zevio.vr.it. Goose Festival, su goosefestival.it.

Caldiero
Caldiero

Caldiero (Caldièr in veneto) è un comune italiano di 7 958 abitanti della provincia di Verona in Veneto. Fa parte della zona di produzione del vino Arcole D.O.C. Dista 18 km da Verona. Rispetto al capoluogo è in posizione est. Si trova allo sbocco della Val d'Illasi e sulla riva sinistra dell'Adige. Caldiero è dotato di stazione ferroviaria - asse ferroviario Torino-Trieste. Confina a nord con la SR 11, importantissima via di comunicazione storica est/ovest. Si trova a metà strada tra i caselli autostradali della Serenissima A4 e quindi a circa 7–8 km dal casello di Soave-San Bonifacio verso est e a circa 7–8 km dal casello di Verona est verso ovest. A sud del paese corre la strada provinciale Porcillana, recentemente riassestata e definita completamente da ovest ad est, provenendo dal collegamento con la Tangenziale est di Verona, fino a collegare a sud il paese di San Bonifacio e quindi l'est veronese fino a Vicenza. Noto già al tempo dei romani, Calidarium (nome originario del Paese) offriva le calde terme (alimentate nelle sorgenti Brentella di 27 °C e Bagno della Cavalla di 25 °C) identificate in quelle di Giunone del Console Petronio. Fu dei Vescovi di Verona che lo cedettero poi (1206) al Comune. Nel 1233 Ezzelino da Romano distrusse il castello esistente sul Monte Rocca. Nella storia di Caldiero vanno ricordati gli Scaligeri, i conti Nogarola, i Visconti e Venezia. La Serenissima fece riattivare le terme (acque magnesiaco-solforose) e concesse al paese statuti propri. Nel piccolo paese di Caldierino, distante circa due chilometri dal Comune e sotto le decisioni del Comune stesso, nel 1777 Gaetano Callido costruì un organo a 500 canne. In ragione della sua strategica posizione sull'Adige, vi si combatterono ben quattro battaglie delle guerre napoleoniche tra franco-italiani e austriaci, nel 1796 (vittoria austriaca), nel 1805 (vittoria francese), nel 1809 (vittoria austriaca) e nel 1813 (vittoria francese). Lo stemma e il gonfalone del comune di Caldiero sono stati concessi con regio decreto dell'11 luglio 1941. La blasonatura ufficiale dello stemma comunale è la seguente: Secondo le disposizioni in vigore all'epoca della convocazione era presente anche il capo del Littorio. La descrizione del gonfalone concesso è la seguente: In realtà quale gonfalone il comune usa un drappo interzato in palo di verde, di bianco e di rosso. Le terme di Giunone con le antiche vasche di origine romana: la Brentella e la Cavalla; Villa Faccioli - Loredan (Ca' Rizzi) - XVI secolo; Villa Da Prato - situata nel capoluogo, di origine del tardo Duecento, ristrutturata in maniera consistente nel XVII secolo, corredata di annessi e parco; Parco del Monte Rocca con il fabbricato denominato "La Rocca", situato in posizione predominante sul colle omonimo e il cosiddetto "Castello" e annesse stalle, il tutto citato quale posizione di comando delle forze armate napoleoniche, durante la gestione della battaglia di Arcole. Abitanti censiti Ultima domenica di febbraio - Dal 1870 Fiera di San Mattia Apostolo, santo patrono di Caldiero ed è la festa più antica del paese. Seconda domenica di giugno - Antica sagra di Sant'Antonio che si svolge nella frazione di Caldierino. Terzo sabato di luglio - Notte Bianca di Mezzaestate Ultimo weekend di agosto - Monte Rocca Music Festival Caldiero vive di un'economia di carattere agricolo-artigianale, tipica dei paesi di provincia del cosiddetto "NordEst". Le aziende agricole, di gestione familiare storico, lavorano la campagna tipica della valpadana con produzione di viticultura, frutteto e seminativi. In particolare la zona è identificata per la produzione del vino "Arcole D.O.C.". Le aziende artigiane sono di indirizzo vario, meccanico, edile e collegati, tipografico e comunque tutte di carattere di piccola azienda a conduzione diretta. Posta lungo la Strada statale 11 Padana Superiore, Caldiero svolse fra il 1881 e il 1956 un'importante funzione di nodo tranviario, per la presenza della tranvia Verona-Caldiero-San Bonifacio, che percorreva la suddetta statale, e la diramazione che da Strà di Caldiero raggiungeva Tregnago, rappresentando il mezzo di trasporto principale per il collegamento fra Verona e la bassa Val d'Illasi. Le due tranvie furono sostituite nel 1959 da filovie, soppresse tra il 1980 e il 1981. Il comune fa parte dell'Unione Comunale detta Verona Est. I comuni che ne fanno parte sono: Belfiore, Caldiero, Colognola ai Colli, Illasi e Mezzane di Sotto. Inoltre il comune fa parte del movimento patto dei sindaci Dal 1934, è presente la società calcistica Calcio Caldiero Terme S.S.D. (colori sociali giallo e verde), che dopo aver militato nei campionati provinciali e regionali, nell'annata 2018-2019 ha conquistato la promozione nella categoria apicale delle competizioni dilettantistiche, la Serie D, mentre nella stagione 2023-2024 ha ottenuto la sua prima promozione fra i professionisti, vincendo il girone B e ottenendo l'accesso alla Serie C. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Caldiero Sito ufficiale, su comune.caldiero.vr.it. Statuto dell'Unione veronese Verona Est in PDF (PDF), su incomune.interno.it.

Chiesa di San Giacomo del Grigliano
Chiesa di San Giacomo del Grigliano

La chiesa di San Giacomo del Grigliano è un santuario che sorge nel territorio del Comune di Lavagno, non lontana dal confine col Comune di San Martino Buon Albergo, nel mezzo della vegetazione sulla cima della collina denominata Grigliano, ben visibile per chi percorre l’Autostrada A4 tra i caselli di Soave-San Bonifacio e Verona Est e nei pressi degli svincoli di inizio/termine della Tangenziale Sud di Verona. Il nome del colle potrebbe derivare da "grezzo" (nel senso di incolto) o "grigio", visto il colore della materia calcarea e tufacea di cui è costituito. L’evento legato alla costruzione dell’attuale edificio risale al 25 maggio 1393 (o 1395), quando un contadino, Filippo di Lavagno, ruppe un muro della chiesa diroccata di San Giacomo. Secondo un comando che lui disse di aver ricevuto in sogno, scavò nella terra e rivenne una piccola urna in marmo bianco contenente ossa umane e ritenute come quelle dell’Apostolo Giacomo. Il ritrovamento delle presunte reliquie provocò l’arrivo di pellegrini, tanto che si iniziò a raccogliere soldi per costruire una chiesa degna dei resti ritrovati. A custodire il denaro fu un certo Garello, il quale fu ucciso dal contadino Filippo, che voleva appropriarsi di tale ricchezza e delle reliquie. Scoperto, fu arrestato e impiccato. Va detto che la divergenza dei particolari riportata dagli storici del passato fa ipotizzare che la storia sia da considerare come una leggenda, però l'avvenimento fondativo risulta realmente accaduto. Fu il Comune di Verona, vedendo il crescente fervore popolare, a deliberare l’erezione del tempio, il cui inizio va datato al 20 giugno 1395 (o 1396), quando, alla presenza di una grande folla, monsignor Picinino, coadiutore del Vescovo di Verona Giacomo de' Rossi (vescovo), e l’architetto Nicolò da Ferrara, già autore della Torre del Gardello, presentarono il progetto per la costruzione di una grandissima chiesa in stile gotico a cinque absidi, sulla strada che i pellegrini percorrevano da Venezia verso Santiago di Compostella. Nel 1397 il Papa Bonifacio IX, con la Bolla Jus Patronati concesse al Comune di Verona il giuspatronato sulla nuova chiesa e il diritto di nominare religiosi e amministratori. Nel 1407 la costruzione delle absidi era in fase avanzata (nel 1400 era stata terminata la mediana destra e nel 1401 la mediana sinistra), con il Gran Consiglio di Verona pronto a proseguire i lavori e affidare nel 1413 il luogo di culto ai Benedettini di Santa Giustina di Padova, quando il Papa Gregorio XII dichiarò di dubbia autenticità le reliquie ritrovate sul Grigliano. Questo portò all’arresto dei lavori, lasciando ancora oggi la chiesa incompiuta. Nel 1432 alla chiesa di S. Giacomo fu annessa quella di Lepia in seguito alla soppressione del monastero delle suore di San Giuliano, ritiratesi a Monza. I Benedettini di Santa Giustina rimasero fino al 1443. Furono successivamente sostituiti, nel 1451, dai Benedettini Olivetani, che completarono la costruzione del chiostro e del portico tra il 1558 e il 1559. Testimonianza della fede della popolazione di Lavagno e dei paesi vicini verso S. Giacomo fu la preghiera compiuta la domenica mattina del 27 novembre 1630 per chiedere il termine della peste. Gli Olivetani, nel 1717, restaurarono la chiesa, mentre nel 1767 le autorità veronesi soppressero il monastero, seppur i monaci lasciarono definitivamente il luogo solo nel 1771, dopo la soppressione decisa dal Senato Veneto. La proprietà del colle era sempre stata del Comune di Verona, che decise di affidare inizialmente la cura a sacerdoti del clero secolare e, dal 1799, ai padri della Congregazione dell'Oratorio. Il passaggio delle truppe francesi nel 1801 e nel 1805 (in quest'ultimo anche con la distruzione dell'altar maggiore e la profanazione delle presunte reliquie) danneggiò le strutture, tanto che i Filippini decisero di rinunciare alla custodia del santuario, che ritornarono dopo le suppliche della popolazione. Va detto che già dal 1787 il Comune di Verona assegnò ai fratelli Faccioli tutti i fabbricati esistenti con circa cinquanta ettari di terreno per soddisfare dei debiti con essi. Nel 1816, dopo la definitiva rinuncia dei Filippini, la proprietà del colle tornò in mano ad Antonio Faccioli, il quale supplicò il Vescovo Innocenzo Liruti perché fossero ricollocate le presunte reliquie, cosa che avvenne il 27 luglio 1816. I fratelli Faccioli rimasero proprietari del luogo fino al 1857. Successivamente il colle fu acquistato da Pietro Gonzales e poi da Rosa Libanti. In questo periodo sorse il dubbio su come potessero trovarsi sul Grigliano i resti dell'Apostolo Giacomo se questi erano venerati da lungo tempo in Spagna. Fu lo stesso Arcivescovo di Santiago di Compostela, il Cardinale Miguel Payá y Rico (sotto il cui episcopato furono ritrovati i resti di S. Giacomo) a presentare la questione a Papa Leone XIII, che, nel 1884, rispose minacciando di scomunica chi riteneva che i resti dell'Apostolo si trovassero fuori dalla Spagna. Nel 1895 i nuovi proprietari del colle, i fratelli Milani, edificarono l'omonima villa, in stile neogotico-moresco, e creando l'attuale parco. Nel 1936 tutto il complesso passò nuovamente di mano, acquistato dai fratelli Ignazio e Bartolo Battiato, che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, donarono la chiesa e la villa alla Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, fondata da San Giovanni Calabria. La presa di possesso fu il 25 luglio 1951, festa dell'Apostolo. La Congregazione calabriana istituì qui l'"Oasi S. Giacomo" per esercizi spirituali e altre attività spirituali. L’attuale facciata a capanna non è altro che il prospetto delle cinque absidi, chiuse con muratura grezza verso occidente al di sotto delle arcate ogivali, mentre al di sopra delle stesse vi sono i mattoni a vista. Interessante il prospetto absidale, con quella centrale con cinque lati, mentre le quattro laterali hanno quattro lati, tutte percorse da corsi di tufo e cotto alternati, con lesene negli angoli e basamento in pietra viva. Nelle pareti, a dare luce all’interno, si trovano otto lunghe finestre ogivali trilobate, divise a metà da archetti pensili e ogivali. Nell’abside maggiore è pure presente un piccolo rosone centrale. La chiesa, seppur incompiuta, rimane un capolavoro del gotico veronese. Se fosse stata completata, sarebbe stata somigliante alla Basilica di Santa Anastasia e alla chiesa di San Fermo Maggiore, entrambe a Verona. Oggi l’abside maggiore costituisce la vera chiesa, mentre quelle minori sono state adibite come sacrestia, come base del campanile e come parte della cripta. Le pareti erano già state decorate da vari affreschi, in prevalenza raffiguranti la Vergine Maria con il Bambino Gesù, San Giacomo e San Giovanni Battista, la cui esecuzione va datata tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento. Queste opere, in parte staccate e ricollocate all’interno della chiesa e nella vicina villa, sono state attribuite a Martino da Verona e alla sua scuola, seppur ci sia ancora discussione sull’attribuzione. Il più conosciuto degli affreschi è oggi alla parete sinistra dell’abside maggiore, raffigurante la Madonna con Bambino, San Giacomo Apostolo, San Benedetto da Norcia e una santa, con stilemi che richiamano Altichiero da Zevio e attribuibili al già citato Martino da Verona. Nella stessa parete è presenta una Madonna col Bambino incoronata da due angeli, sicuramente parte di un’opera più grande e oggi in pessime condizioni. Altro affresco, sempre nell’abside centrale, è quello della Madonna in trono con Bambino, San Giacomo apostolo e San Giacomo Battista, strappato dall’abside mediana destra, dov’è visibile la sinopia. Da segnalare anche il San Giacomo apostolo staccato dall’abside che oggi funge da sacrestia e un altro San Giacomo, di migliore fattura del primo. L’abside maggiore presenta anche una Madonna col Bambino, San Giacomo e un santo, purtroppo opera deteriorata, e un grande affresco, rovinato irrimediabilmente per aprire una porta, con Cristo e San Benedetto. Lo sfondo, con un’architettura gotica elaborata, richiama un affresco presente nella Basilica di San Zeno in Verona, attribuibile a Jacopo da Verona. Nelle altre absidi sono visibili le sinopie di affreschi strappati nella metà del XX secolo e portati nella vicina ex villa Milani, mentre il migliore affresco in esse ancora presente è un San Giacomo, con i suoi attributi iconografici (il bastone del pellegrino e un libro), probabilmente di Martino da Verona. Nell’abside centrale sono presenti tre altari, fatti collocare dagli Olivetani alla fine del XVII secolo. L’altare maggiore custodisce ancora oggi le presunte reliquie ritrovate da Filippo di Lavagno, visibili tramite l’apertura del pregevole paliotto in rame dell’altare.Sopra di esso è collocata una tela con le ‘’Nozze mistiche di Santa Caterina col Bambino’’, presenti la Vergine Maria e i Santi Giuseppe, Maria Maddalenae Giacomo, copia di un originale del 1526 di Francesco Torbido, che era stato qui portato dalla chiesa di Santa Maria in Organo, secondo l’idea olivetana di portare in chiese periferiche vecchie pale d’altare. Secondo Edoardo Arslan la tela originale si trovava a Potsdam, in Germania, ma risulta scomparsa dalla fine della secondo conflitto mondiale. Sono perdute anche le pitture descritte dagli storici settecenteschi ed eseguite durante la presenza olivetana. Sull’altare laterale sinistro vi è una statua della Madonna del Carmelo col Bambino. Nella cripta, realizzata nel 1976 sotto l'abside estrema destra, è ancora visibile l’urna romana in marmo greco dove si dice siano state ritrovate le presunte reliquie di San Giacomo. Il campanile, in stile barocco, voluto dagli Olivetani nel Seicento, è stato costruito sopra l’abside più esterna sul lato destro. Avente base quadrata, presenta una cella campanaria con bifore su ogni lato, mentre la torre presenta una copertura a cipolla, circondata da una balaustra, su cui si erge una croce metallica con banderuola segnavento. Il concerto campanario presente oggi sulla torre è composto da 3 campane montate alla veronese e suonabili manualmente. Questi i dati del concerto: 1 – DO4 – diametro 729 mm - peso 230 kg - Fusa nel 1741 da Poni di Verona. 2 – MIb4 – diametro 595 mm - peso 122 kg - Fusa nel 1892 da Cavadini di Verona. 3 – SOL4 – diametro 495 mm – peso 73 kg - Fusa nel 1892 da Cavadini di Verona. Giuseppe Franco Viviani (a cura di), Chiese nel veronese, Verona, Vago di Lavagno, Società Cattolica di Assicurazione - La Grafica Editrice, 2004. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Chiesa di San Giacomo al Grigliano San Giacomo al Grigliano: una grande chiesa incompiuta, su youtube.com. URL consultato il 18 giugno 2024. IMAGO ECCLESIAE - Chiesa di San Giacomo al Grigliano, su youtube.com. URL consultato il 18 giugno 2024. Cammini, Chiesa di san Giacomo, Lavagno. Cammini della fede in Veneto, su youtube.com. URL consultato il 18 giugno 2024.

Chiesa della Beata Vergine Maria Immacolata (Strà)

La chiesa della Beata Vergine Maria Immacolata è un luogo di culto cattolico situato nella frazione Stra' del comune di Colognola ai Colli, in provincia di Verona, nel territorio della diocesi di Verona. L'8 giugno 1955, con decreto di Andrea Pangrazio, amministratore apostolico della diocesi di Verona in quanto vescovo coadiutore con il precedente vescovo, Girolamo Cardinale, venne eretta la parrocchia di Santa Maria Immacolata a Stra', ove si trovava un antico oratorio, già cappella privata, dedicato a San Sebastiano, con un proprio cappellano che era, dal 1948, don Giulio Verzini. Don Verzini, fin dal 1952, aveva voluto la costruzione di una nuova chiesa più ampia dell'oratorio di San Sebastiano, e nel novembre dello stesso anno aveva acquistato a tale scopo un ampio terreno. Per l'edificazione dell'edificio venne istituito un comitato e la progettazione venne affidata a Arturo Benini che presentò otto progetti prima che fossero accettati dal parroco e dalla commissione diocesana d'arte sacra. La posa della prima pietra della nuova chiesa avvenne il 1º ottobre 1955 alla presenza dell'arcivescovo Giovanni Urbani, vescovo di Verona e i lavori si protrassero per un anno. Il 4 novembre 1956 la nuova chiesa fu solennemente consacrata e dedicata alla Vergine Immacolata. Lo stesso giorno fece il suo ingresso nella nuova comunità il primo parroco, don Narciso Recchia. Negli anni successivi, la chiesa fu adornata con nuovi arredi, tra i quali gli altari laterali marmorei e le stazioni della Via Crucis. Negli ultimi anni del XX secolo e nei primi anni del secolo successivo, la chiesa è stata interessata da una serie di importanti restauri, con la creazione delle nuove vetrate policrome (1996), la costruzione dell'organo a canne (2000), la realizzazione del nuovo presbiterio in stile moderno (2002) e l'edificazione dei due protiri (2004). Il nuovo altare venne solennemente consacrato l'8 dicembre 2002 dal vescovo di Verona, Flavio Roberto Carraro. La chiesa della Beata Vergine Maria Immacolata sorge nel centro della frazione di Strà ed è in un sobrio stile neoromanico. La facciata è a capanna ed è preceduta da una piazza rettangolare, in parte adibita a parcheggio. Al centro, si apre il portale con arco a tutto sesto, sormontato da un protiro moderno poggiante su due pilastri che ne segue il profilo. Ai suoi lati, vi sono due alte monofore a tutto sesto, mentre sopra di esso, al centro, si trova il rosone circolare. La facciata è coronata da tre cuspidi piramidali. Lungo il fianco destro, nei pressi dell'abside, si trova il campanile a vela a due fornici, che accoglie una campana, fusa nel 1956 dal veronese Luigi Cavadini. L'interno della chiesa presenta una pianta a navata unica coperta con capriate lignee e profonda abside semicircolare. La navata è illuminata da alte monofore a tutto sesto chiuse da vetrate policrome moderne, installate nel 1996, e lungo di essa si aprono tre cappelle laterali a pianta rettangolare, quella del Sacro Cuore di Gesù, adibita a battistero con moderno fonte battesimale marmoreo, quella della Madonna di Lourdes e quella per la reposizione dell'Eucaristia, con tabernacolo marmoreo. L'area presbiterale della chiesa, interamente rifatta in stile moderno nel 2002, vede, al centro, l'altare con, alla sua sinistra, l'ambone. All'interno dell'altare, sono custodite le reliquie della Madonna e dei santi Zeno vescovo, Fermo e Rustico martiri, Narciso di Gerusalemme, Giulio di Orta e Carlo Borromeo. In posizione arretrata, vi sono il Crocifisso (a sinistra) e il Tabernacolo (a destra). Alle spalle dell'altare si trova la sede, sormontata da una statua bronzea di Ettore Cedraschi Cristo risorto. L'affresco del catino absidale, raffigurante l'Immacolata fra angeli adoranti (1996) è opera di Giuseppe Resi. Alle spalle dell'altare, nell'abside, si trova l'organo a canne, costruito tra il 2000 e il 2002 dalla ditta organaria Fratelli Ruffatti. Lo strumento è inserito all'interno di una cassa lignea di fattura geometrica, con mostra in cinque campi composta da canne di principale con bocche a mitria, disposte a cuspide unica (campo centrale) e ali (campi laterali). Il sistema di trasmissione è elettronico e la consolle è mobile indipendente. Essa dispone di due tastiere di 61 note ciascuna e pedaliera concavo-radiale di 32 note. L'organo conta 18 registri, per un totale di 1032 canne. Donato Avogaro, Alda Baldi Baroni, Cinquant'anni. una Chiesa sulla Via, una Comunità in cammino. Appunti per una storia della comunità 1955-2005 (PDF), Stra' di Colognola ai Colli, Parrocchia "Maria Immacolata" di Stra', novembre 2005. Immacolata Concezione Colognola ai Colli Diocesi di Verona Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Parrocchia di Stra', su parrocchiastra.it. URL consultato il 25 maggio 2013.

Santuario di Santa Maria della Pieve
Santuario di Santa Maria della Pieve

Il santuario di Santa Maria della Pieve o chiesa dell'Annunciazione di Maria Vergine. è la chiesa parrocchiale di Pieve, frazione del comune di Colognola ai Colli in provincia e diocesi di Verona; fa parte del vicariato dell'Est Veronese, precisamente dell'Unità Pastorale che prende il nome da questa chiesa. All’imbocco della val d'Illasi, sede plebana, è una chiesa molto antica, risalente probabilmente all'XI-XII secolo, ma che fu fondata sopra o in prossimità di un tempio pagano dedicato a Mercurio, risalente all'età repubblicana romana, nei pressi della Via Postumia, importante via di comunicazione che collegava Genova all'Adriatico. Da ricordare che siamo in una zona di centuriazione romana. Le testimonianze di questo luogo di culto pagano sono tuttora visibili presso il santuario: si può infatti notare una dedica a Mercurio da parte di L. Odovisio Oriculone, figlio di Publio, murata nella facciata della chiesa. Non va dimenticata anche la pietra a forma di architrave con dedica ad Apollo da parte dei fabbricanti di lino L. Postunio Facile e T. Careio Valente ed un frammento di pluteo. Secondo Umberto Gaetano Tessari, la costruzione della chiesa avvenne in due momenti distinti: in una prima fase attorno al V secolo il tempio pagano di Mercurio fu sostituito con una piccola cappella-oratorio; successivamente, intorno all'anno Mille, il piccolo oratorio fu demolito e venne eretta la costruzione che oggi è nota come santuario di Santa Maria della Pieve. Il primo documento in cui la chiesa viene nominata risale al 1145, precisamente nella Bolla rilasciata da Eugenio III al Vescovo di Verona Tebaldo II (o Teobaldo). In essa si parla della pieve di Colognola con le sue cappelle, Santi Fermo e Rustico, San Vittore, San Nicolò, San Zeno. Va ricordato come la pieve, almeno fino al XV secolo, fu anche collegiata. I documenti presentano, per il XII secolo, un arciprete di nome Ugone, un cui omonimo, nello stesso ruolo, morto nel 1348, viene nominato nella lapide sepolcrale presente nel pavimento dell’attuale campanile. Nel 1456 il Vescovo di Verona Ermolao Barbaro constatò che la chiesa, fatiscente e insufficiente a contenere i fedeli, non rispondeva alle esigenze della comunità, vista anche la sua posizione rispetto al nuovo nucleo abitato del paese. Questo portò, di conseguenza, alla trasformazione da chiesa matrice a semplice cappella soggetta alla chiesa parrocchiale dei Santi Fermo e Rustico in Monte. Tra il 1734 e il 1759 il luogo di culto fu ristrutturato. Furono aperte le finestre ai lati del portale d’ingresso, demoliti i due pilastri del presbiterio, mentre gli altri furono rimaneggiati in stile barocco. All’Ottocento risale l’attuale sacrestia, che portò alla demolizione della piccola abside destra (quella di sinistra era stata inglobata in precedenza nel campanile). Nei primi anni del XX secolo vi fu la rinascita della chiesa e il merito fu di un benefattore, Basilio Turco. Ancora vivente donò quasi tutto il suo patrimonio per la rinascita materiale e spirituale del luogo di culto, come riporta una lapide murata all’esterno della sacrestia. A suggellare questo rinnovamento fu il decreto del Cardinale Bartolomeo Bacilieri con cui si stabiliva la nuova erezione in parrocchia il 18 luglio 1915. Ulteriori restauri vi furono tra il 1997 e il 1999 e tra il 2006 e il 2010 La facciata a capanna, rivolta ad ovest e in stile romanico, è molto semplice. Al centro, tra due finestre rettangolari, vi è il portale d’ingresso, anch’esso rettangolare. Più in alto, in asse, un oculo, mentre al vertice vi è una croce metallica. Le pareti esterne, intonacate e tinteggiate, presentano tracce di affreschi. La pianta della chiesa è di tipo basilicale, con tre navate separate da due file di pilastri polistili, uniti da archi a tutto sesto che poggiano su lesene ioniche. Più in alto la trabeazione con iscrizione, frutto dell’intervento settecentesco. La copertura, piuttosto ribassata, è costituita da cinque capriate lignee nella navata centrale, mentre nelle navate laterali abbiamo dei puntoni lignei in pendenza. La luce esterna entra nella chiesa tramite alcune finestrature rettangolari presenti nelle navate laterali. Il pavimento dell’aula è costituito da piastrelle di cemento posate in obliquo in modo da creare un motivo ornamentale policromo grigio-nero. In prossimità del presbiterio vi è una lastra tombale in marmo rosso Verona. Nella navata sinistra è presente l'altare della Madonna del nido, risalente al 1820, ma con gruppo scultoreo risalente tra fine Trecento e inizio Quattrocento. In pietra dipinta, presenta la Vergine Maria vestita di rosa e mantello verde che regge sulla sinistra un nido, mentre il Bimbo tra le mani stringe un uccellino. Sul lato opposto vi è l'altare del Crocifisso, già di San Barnaba, con mensa settecentesca simile a quella della Madonna del nido. Sulle pareti e sui pilastri sono presenti delle pitture murali. Il ciclo di affreschi, presente principalmente sulla parete sinistra, risale alla fine del XIII – metà del XV secolo e originariamente copriva gran parte delle pareti interne all'edificio. Oggi ne sono rimasti pochi, in particolare a causa dell’imbiancatura delle pareti con la calce in seguito alla peste del 1630 e al progressivo abbandono della chiesa. Da segnalare un Santo vescovo (fine XIV secolo), un San Zeno, un San Giacomo (terzo pilastro di destra), un Sant'Antonio Abate, un San Martino di Tours e un San Bartolomeo (quarto pilastro di destra), assegnati alla scuola di Martino da Verona. Vi sono poi una Madonna in trono della fine del XIV secolo, una Vergine che richiama ai modi di Altichiero da Zevio, le nozze mistiche di Santa Caterina degli inizi del Quattrocento e un Volto Santo di Lucca. Quest'ultimo, da attribuire alla fine del Trecento, è da assegnare ad un discepolo di Martino. Interessante il dittico in pietra tenera dipinta presente ai lati dell'altare maggiore, opera di Bartolomeo Giolfino del 1430. In due scomparti con colonnine che reggono archi ogivali, su cui si ergono due cuspidi a fiamma con al centro una specie fi piccolo rosone o il busto di un profeta. Sotto gli archi del rilievo di sinistra, a gruppi di tre, abbiamo gli apostoli Bartolomeo, Tommaso, Giovanni; poi Pietro, Giacomo il Minore e Giuda Taddeo. Sotto gli archi di destra gli apostoli Mattia, Giacomo Maggiore, Simone; poi Filippo, Andrea e Matteo. Addossate ai muri e ai pilastri vi sono sei angeli con cornucopia in pietra, settecenteschi, ma non eseguiti tutti contemporaneamente. Qualcuno ha dichiarato un'affinità con le sculture di Orazio e Francesco Marinali eseguite per la chiesa parrocchiale di Monte di Colognola. Altri vi hanno visto la mano di Domenico Allio. Da segnalare i confessionali lignei e intagliati, del secolo XVI e acquistati nel 1923 dalla chiesa dei Santi Nazaro e Celso in Verona. Il presbiterio, rialzato di un gradino in pietra calcarea bianco-rosata, si sviluppa per l’intera ampiezza della chiesa, tanto da prolungarsi in corrispondenza delle testate delle navate laterali. Ha una pavimentazione centrale costituita da piastrelle di cemento con graniglia di marmi rosso e neri, mentre ai lati e nell’abside vi sono altre piastrelle in cemento con decori policromi. L'altare maggiore è il risultato di alcune modifiche e restauri eseguiti nel corso del Settecento, periodo in cui fu collocata la statua della Madonna con il Bambino Gesù in grembo. La statua è incorniciata dal dipinto dell'Annunciazione ed è copia di uno scomparso originale ligneo. Ai lati due statue cinquecentesche raffiguranti i Santi Pietro e Paolo. La comunità è molto devota alla Madonna e a questa immagine, in particolare poiché le vennero attribuiti dei poteri miracolosi dopo il 1836, quando venne pregata per porre fine all'epidemia di colera. Affiancati al presbiterio due altari, in stile barocco: a sinistra di San Giuseppe )1675) e a destra del Sacro Cuore di Gesù. Entrambi occupano il posto delle piccole absidi in cui terminavano le navate laterali. L'organo della chiesa è stato costruito dalla ditta Agostino Benzi nel 1947. Lo strumento, a trasmissione pneumatico-tubolare, ha 2 tastiere di 61 note e una pedaliera di 30 note. Sul fianco sud della chiesa si trova la cappella invernale, con asse maggiore ortogonale a quello della chiesa. Consiste in un’auletta rettangolare con abside a sviluppo poligonale a cinque lati. Il campanile è addossato al fianco nord del presbiterio. A pianta quadrata, il fusto non ha elementi architettonici di rilievo. Sul finire del XIX secolo alla cella campanaria fu aggiunto un nuovo piano. Su tutti i lati le apertura sono costituite da un doppio ordine di bifore a tutto sesto. La copertura è conica, in laterizio, mentre ai quattro angoli vi sono dei pinnacoli. In alto svetta una croce metallica. Il concerto campanario presente oggi è composto da 6 campane in MI3 montate alla veronese ed elettrificate. Questi i dati del concerto: 1 – MI3 – diametro 1030 mm - peso 595 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 2 – FA#3 – diametro 913 mm - peso 423 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 3 – SOL#3 – diametro 825 mm – peso 308 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 4 – LA3 – diametro 765 mm - peso 249 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 5 – SI3 – diametro 685 mm - peso 173 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 6 – DO#4 - diametro 661 mm - peso 189 kg - Fusa nel 1999 da De Poli di Revine Lago (TV). Il celebre suonatore e maestro di campane alla veronese Pietro Sancassani ricorda che sulla torre erano presenti tre campane di Selegari fuse nel 1836. Dino Coltro, Colognola ai Colli. Storia Memoria Immagine, Venezia, Arsenale Editrice, 1984, ISBN non esistente. Umberto Tessari, Santa Maria della Pieve, Verona, Novastampa, 1984, ISBN non esistente. Sancassani Pietro, Le mie campane. Storia di un’arte e di una tradizione del Millenovecento, a cura di Rognini Luciano, Sancassani Laura, Tommasi Giancarlo, Verona, Offset Print Veneta, 2001. Giuseppe Franco Viviani (a cura di), Chiese nel veronese, Verona, Vago di Lavagno, Società Cattolica di Assicurazione - La Grafica Editrice, 2004. Colognola ai Colli Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su santuario di Santa Maria della Pieve Santuario Madonna della Pieve , su parrocchie.it. comunecolognola.it, http://www.comunecolognola.it/opencms/cmsinternaente.act?dir=/opencms/opencms/VREST/ColognolaAiColli/Vivere/Parrocchie/.