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Stazione di Caldiero

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Caldiero stazione
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La stazione ferroviaria di Caldiero si trova sulla linea ferroviaria Milano – Venezia, nel comune veronese di Caldiero. La stazione è servita da treni regionali svolti da Trenitalia nell'ambito del contratto di servizio stipulato con le regioni interessate. La stazione, gestita da RFI, dispone dei seguenti servizi: Biglietteria automatica Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stazione di Caldiero

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Stazione di Caldiero
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Chiesa della Beata Vergine Maria Immacolata (Strà)

La chiesa della Beata Vergine Maria Immacolata è un luogo di culto cattolico situato nella frazione Stra' del comune di Colognola ai Colli, in provincia di Verona, nel territorio della diocesi di Verona. L'8 giugno 1955, con decreto di Andrea Pangrazio, amministratore apostolico della diocesi di Verona in quanto vescovo coadiutore con il precedente vescovo, Girolamo Cardinale, venne eretta la parrocchia di Santa Maria Immacolata a Stra', ove si trovava un antico oratorio, già cappella privata, dedicato a San Sebastiano, con un proprio cappellano che era, dal 1948, don Giulio Verzini. Don Verzini, fin dal 1952, aveva voluto la costruzione di una nuova chiesa più ampia dell'oratorio di San Sebastiano, e nel novembre dello stesso anno aveva acquistato a tale scopo un ampio terreno. Per l'edificazione dell'edificio venne istituito un comitato e la progettazione venne affidata a Arturo Benini che presentò otto progetti prima che fossero accettati dal parroco e dalla commissione diocesana d'arte sacra. La posa della prima pietra della nuova chiesa avvenne il 1º ottobre 1955 alla presenza dell'arcivescovo Giovanni Urbani, vescovo di Verona e i lavori si protrassero per un anno. Il 4 novembre 1956 la nuova chiesa fu solennemente consacrata e dedicata alla Vergine Immacolata. Lo stesso giorno fece il suo ingresso nella nuova comunità il primo parroco, don Narciso Recchia. Negli anni successivi, la chiesa fu adornata con nuovi arredi, tra i quali gli altari laterali marmorei e le stazioni della Via Crucis. Negli ultimi anni del XX secolo e nei primi anni del secolo successivo, la chiesa è stata interessata da una serie di importanti restauri, con la creazione delle nuove vetrate policrome (1996), la costruzione dell'organo a canne (2000), la realizzazione del nuovo presbiterio in stile moderno (2002) e l'edificazione dei due protiri (2004). Il nuovo altare venne solennemente consacrato l'8 dicembre 2002 dal vescovo di Verona, Flavio Roberto Carraro. La chiesa della Beata Vergine Maria Immacolata sorge nel centro della frazione di Strà ed è in un sobrio stile neoromanico. La facciata è a capanna ed è preceduta da una piazza rettangolare, in parte adibita a parcheggio. Al centro, si apre il portale con arco a tutto sesto, sormontato da un protiro moderno poggiante su due pilastri che ne segue il profilo. Ai suoi lati, vi sono due alte monofore a tutto sesto, mentre sopra di esso, al centro, si trova il rosone circolare. La facciata è coronata da tre cuspidi piramidali. Lungo il fianco destro, nei pressi dell'abside, si trova il campanile a vela a due fornici, che accoglie una campana, fusa nel 1956 dal veronese Luigi Cavadini. L'interno della chiesa presenta una pianta a navata unica coperta con capriate lignee e profonda abside semicircolare. La navata è illuminata da alte monofore a tutto sesto chiuse da vetrate policrome moderne, installate nel 1996, e lungo di essa si aprono tre cappelle laterali a pianta rettangolare, quella del Sacro Cuore di Gesù, adibita a battistero con moderno fonte battesimale marmoreo, quella della Madonna di Lourdes e quella per la reposizione dell'Eucaristia, con tabernacolo marmoreo. L'area presbiterale della chiesa, interamente rifatta in stile moderno nel 2002, vede, al centro, l'altare con, alla sua sinistra, l'ambone. All'interno dell'altare, sono custodite le reliquie della Madonna e dei santi Zeno vescovo, Fermo e Rustico martiri, Narciso di Gerusalemme, Giulio di Orta e Carlo Borromeo. In posizione arretrata, vi sono il Crocifisso (a sinistra) e il Tabernacolo (a destra). Alle spalle dell'altare si trova la sede, sormontata da una statua bronzea di Ettore Cedraschi Cristo risorto. L'affresco del catino absidale, raffigurante l'Immacolata fra angeli adoranti (1996) è opera di Giuseppe Resi. Alle spalle dell'altare, nell'abside, si trova l'organo a canne, costruito tra il 2000 e il 2002 dalla ditta organaria Fratelli Ruffatti. Lo strumento è inserito all'interno di una cassa lignea di fattura geometrica, con mostra in cinque campi composta da canne di principale con bocche a mitria, disposte a cuspide unica (campo centrale) e ali (campi laterali). Il sistema di trasmissione è elettronico e la consolle è mobile indipendente. Essa dispone di due tastiere di 61 note ciascuna e pedaliera concavo-radiale di 32 note. L'organo conta 18 registri, per un totale di 1032 canne. Donato Avogaro, Alda Baldi Baroni, Cinquant'anni. una Chiesa sulla Via, una Comunità in cammino. Appunti per una storia della comunità 1955-2005 (PDF), Stra' di Colognola ai Colli, Parrocchia "Maria Immacolata" di Stra', novembre 2005. Immacolata Concezione Colognola ai Colli Diocesi di Verona Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Parrocchia di Stra', su parrocchiastra.it. URL consultato il 25 maggio 2013.

Santuario di Santa Maria della Pieve
Santuario di Santa Maria della Pieve

Il santuario di Santa Maria della Pieve o chiesa dell'Annunciazione di Maria Vergine. è la chiesa parrocchiale di Pieve, frazione del comune di Colognola ai Colli in provincia e diocesi di Verona; fa parte del vicariato dell'Est Veronese, precisamente dell'Unità Pastorale che prende il nome da questa chiesa. All’imbocco della val d'Illasi, sede plebana, è una chiesa molto antica, risalente probabilmente all'XI-XII secolo, ma che fu fondata sopra o in prossimità di un tempio pagano dedicato a Mercurio, risalente all'età repubblicana romana, nei pressi della Via Postumia, importante via di comunicazione che collegava Genova all'Adriatico. Da ricordare che siamo in una zona di centuriazione romana. Le testimonianze di questo luogo di culto pagano sono tuttora visibili presso il santuario: si può infatti notare una dedica a Mercurio da parte di L. Odovisio Oriculone, figlio di Publio, murata nella facciata della chiesa. Non va dimenticata anche la pietra a forma di architrave con dedica ad Apollo da parte dei fabbricanti di lino L. Postunio Facile e T. Careio Valente ed un frammento di pluteo. Secondo Umberto Gaetano Tessari, la costruzione della chiesa avvenne in due momenti distinti: in una prima fase attorno al V secolo il tempio pagano di Mercurio fu sostituito con una piccola cappella-oratorio; successivamente, intorno all'anno Mille, il piccolo oratorio fu demolito e venne eretta la costruzione che oggi è nota come santuario di Santa Maria della Pieve. Il primo documento in cui la chiesa viene nominata risale al 1145, precisamente nella Bolla rilasciata da Eugenio III al Vescovo di Verona Tebaldo II (o Teobaldo). In essa si parla della pieve di Colognola con le sue cappelle, Santi Fermo e Rustico, San Vittore, San Nicolò, San Zeno. Va ricordato come la pieve, almeno fino al XV secolo, fu anche collegiata. I documenti presentano, per il XII secolo, un arciprete di nome Ugone, un cui omonimo, nello stesso ruolo, morto nel 1348, viene nominato nella lapide sepolcrale presente nel pavimento dell’attuale campanile. Nel 1456 il Vescovo di Verona Ermolao Barbaro constatò che la chiesa, fatiscente e insufficiente a contenere i fedeli, non rispondeva alle esigenze della comunità, vista anche la sua posizione rispetto al nuovo nucleo abitato del paese. Questo portò, di conseguenza, alla trasformazione da chiesa matrice a semplice cappella soggetta alla chiesa parrocchiale dei Santi Fermo e Rustico in Monte. Tra il 1734 e il 1759 il luogo di culto fu ristrutturato. Furono aperte le finestre ai lati del portale d’ingresso, demoliti i due pilastri del presbiterio, mentre gli altri furono rimaneggiati in stile barocco. All’Ottocento risale l’attuale sacrestia, che portò alla demolizione della piccola abside destra (quella di sinistra era stata inglobata in precedenza nel campanile). Nei primi anni del XX secolo vi fu la rinascita della chiesa e il merito fu di un benefattore, Basilio Turco. Ancora vivente donò quasi tutto il suo patrimonio per la rinascita materiale e spirituale del luogo di culto, come riporta una lapide murata all’esterno della sacrestia. A suggellare questo rinnovamento fu il decreto del Cardinale Bartolomeo Bacilieri con cui si stabiliva la nuova erezione in parrocchia il 18 luglio 1915. Ulteriori restauri vi furono tra il 1997 e il 1999 e tra il 2006 e il 2010 La facciata a capanna, rivolta ad ovest e in stile romanico, è molto semplice. Al centro, tra due finestre rettangolari, vi è il portale d’ingresso, anch’esso rettangolare. Più in alto, in asse, un oculo, mentre al vertice vi è una croce metallica. Le pareti esterne, intonacate e tinteggiate, presentano tracce di affreschi. La pianta della chiesa è di tipo basilicale, con tre navate separate da due file di pilastri polistili, uniti da archi a tutto sesto che poggiano su lesene ioniche. Più in alto la trabeazione con iscrizione, frutto dell’intervento settecentesco. La copertura, piuttosto ribassata, è costituita da cinque capriate lignee nella navata centrale, mentre nelle navate laterali abbiamo dei puntoni lignei in pendenza. La luce esterna entra nella chiesa tramite alcune finestrature rettangolari presenti nelle navate laterali. Il pavimento dell’aula è costituito da piastrelle di cemento posate in obliquo in modo da creare un motivo ornamentale policromo grigio-nero. In prossimità del presbiterio vi è una lastra tombale in marmo rosso Verona. Nella navata sinistra è presente l'altare della Madonna del nido, risalente al 1820, ma con gruppo scultoreo risalente tra fine Trecento e inizio Quattrocento. In pietra dipinta, presenta la Vergine Maria vestita di rosa e mantello verde che regge sulla sinistra un nido, mentre il Bimbo tra le mani stringe un uccellino. Sul lato opposto vi è l'altare del Crocifisso, già di San Barnaba, con mensa settecentesca simile a quella della Madonna del nido. Sulle pareti e sui pilastri sono presenti delle pitture murali. Il ciclo di affreschi, presente principalmente sulla parete sinistra, risale alla fine del XIII – metà del XV secolo e originariamente copriva gran parte delle pareti interne all'edificio. Oggi ne sono rimasti pochi, in particolare a causa dell’imbiancatura delle pareti con la calce in seguito alla peste del 1630 e al progressivo abbandono della chiesa. Da segnalare un Santo vescovo (fine XIV secolo), un San Zeno, un San Giacomo (terzo pilastro di destra), un Sant'Antonio Abate, un San Martino di Tours e un San Bartolomeo (quarto pilastro di destra), assegnati alla scuola di Martino da Verona. Vi sono poi una Madonna in trono della fine del XIV secolo, una Vergine che richiama ai modi di Altichiero da Zevio, le nozze mistiche di Santa Caterina degli inizi del Quattrocento e un Volto Santo di Lucca. Quest'ultimo, da attribuire alla fine del Trecento, è da assegnare ad un discepolo di Martino. Interessante il dittico in pietra tenera dipinta presente ai lati dell'altare maggiore, opera di Bartolomeo Giolfino del 1430. In due scomparti con colonnine che reggono archi ogivali, su cui si ergono due cuspidi a fiamma con al centro una specie fi piccolo rosone o il busto di un profeta. Sotto gli archi del rilievo di sinistra, a gruppi di tre, abbiamo gli apostoli Bartolomeo, Tommaso, Giovanni; poi Pietro, Giacomo il Minore e Giuda Taddeo. Sotto gli archi di destra gli apostoli Mattia, Giacomo Maggiore, Simone; poi Filippo, Andrea e Matteo. Addossate ai muri e ai pilastri vi sono sei angeli con cornucopia in pietra, settecenteschi, ma non eseguiti tutti contemporaneamente. Qualcuno ha dichiarato un'affinità con le sculture di Orazio e Francesco Marinali eseguite per la chiesa parrocchiale di Monte di Colognola. Altri vi hanno visto la mano di Domenico Allio. Da segnalare i confessionali lignei e intagliati, del secolo XVI e acquistati nel 1923 dalla chiesa dei Santi Nazaro e Celso in Verona. Il presbiterio, rialzato di un gradino in pietra calcarea bianco-rosata, si sviluppa per l’intera ampiezza della chiesa, tanto da prolungarsi in corrispondenza delle testate delle navate laterali. Ha una pavimentazione centrale costituita da piastrelle di cemento con graniglia di marmi rosso e neri, mentre ai lati e nell’abside vi sono altre piastrelle in cemento con decori policromi. L'altare maggiore è il risultato di alcune modifiche e restauri eseguiti nel corso del Settecento, periodo in cui fu collocata la statua della Madonna con il Bambino Gesù in grembo. La statua è incorniciata dal dipinto dell'Annunciazione ed è copia di uno scomparso originale ligneo. Ai lati due statue cinquecentesche raffiguranti i Santi Pietro e Paolo. La comunità è molto devota alla Madonna e a questa immagine, in particolare poiché le vennero attribuiti dei poteri miracolosi dopo il 1836, quando venne pregata per porre fine all'epidemia di colera. Affiancati al presbiterio due altari, in stile barocco: a sinistra di San Giuseppe )1675) e a destra del Sacro Cuore di Gesù. Entrambi occupano il posto delle piccole absidi in cui terminavano le navate laterali. L'organo della chiesa è stato costruito dalla ditta Agostino Benzi nel 1947. Lo strumento, a trasmissione pneumatico-tubolare, ha 2 tastiere di 61 note e una pedaliera di 30 note. Sul fianco sud della chiesa si trova la cappella invernale, con asse maggiore ortogonale a quello della chiesa. Consiste in un’auletta rettangolare con abside a sviluppo poligonale a cinque lati. Il campanile è addossato al fianco nord del presbiterio. A pianta quadrata, il fusto non ha elementi architettonici di rilievo. Sul finire del XIX secolo alla cella campanaria fu aggiunto un nuovo piano. Su tutti i lati le apertura sono costituite da un doppio ordine di bifore a tutto sesto. La copertura è conica, in laterizio, mentre ai quattro angoli vi sono dei pinnacoli. In alto svetta una croce metallica. Il concerto campanario presente oggi è composto da 6 campane in MI3 montate alla veronese ed elettrificate. Questi i dati del concerto: 1 – MI3 – diametro 1030 mm - peso 595 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 2 – FA#3 – diametro 913 mm - peso 423 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 3 – SOL#3 – diametro 825 mm – peso 308 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 4 – LA3 – diametro 765 mm - peso 249 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 5 – SI3 – diametro 685 mm - peso 173 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 6 – DO#4 - diametro 661 mm - peso 189 kg - Fusa nel 1999 da De Poli di Revine Lago (TV). Il celebre suonatore e maestro di campane alla veronese Pietro Sancassani ricorda che sulla torre erano presenti tre campane di Selegari fuse nel 1836. Dino Coltro, Colognola ai Colli. Storia Memoria Immagine, Venezia, Arsenale Editrice, 1984, ISBN non esistente. Umberto Tessari, Santa Maria della Pieve, Verona, Novastampa, 1984, ISBN non esistente. Sancassani Pietro, Le mie campane. Storia di un’arte e di una tradizione del Millenovecento, a cura di Rognini Luciano, Sancassani Laura, Tommasi Giancarlo, Verona, Offset Print Veneta, 2001. Giuseppe Franco Viviani (a cura di), Chiese nel veronese, Verona, Vago di Lavagno, Società Cattolica di Assicurazione - La Grafica Editrice, 2004. Colognola ai Colli Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su santuario di Santa Maria della Pieve Santuario Madonna della Pieve , su parrocchie.it. comunecolognola.it, http://www.comunecolognola.it/opencms/cmsinternaente.act?dir=/opencms/opencms/VREST/ColognolaAiColli/Vivere/Parrocchie/.

Caldiero
Caldiero

Caldiero (Caldièr in veneto) è un comune italiano di 7 958 abitanti della provincia di Verona in Veneto. Fa parte della zona di produzione del vino Arcole D.O.C. Dista 18 km da Verona. Rispetto al capoluogo è in posizione est. Si trova allo sbocco della Val d'Illasi e sulla riva sinistra dell'Adige. Caldiero è dotato di stazione ferroviaria - asse ferroviario Torino-Trieste. Confina a nord con la SR 11, importantissima via di comunicazione storica est/ovest. Si trova a metà strada tra i caselli autostradali della Serenissima A4 e quindi a circa 7–8 km dal casello di Soave-San Bonifacio verso est e a circa 7–8 km dal casello di Verona est verso ovest. A sud del paese corre la strada provinciale Porcillana, recentemente riassestata e definita completamente da ovest ad est, provenendo dal collegamento con la Tangenziale est di Verona, fino a collegare a sud il paese di San Bonifacio e quindi l'est veronese fino a Vicenza. Noto già al tempo dei romani, Calidarium (nome originario del Paese) offriva le calde terme (alimentate nelle sorgenti Brentella di 27 °C e Bagno della Cavalla di 25 °C) identificate in quelle di Giunone del Console Petronio. Fu dei Vescovi di Verona che lo cedettero poi (1206) al Comune. Nel 1233 Ezzelino da Romano distrusse il castello esistente sul Monte Rocca. Nella storia di Caldiero vanno ricordati gli Scaligeri, i conti Nogarola, i Visconti e Venezia. La Serenissima fece riattivare le terme (acque magnesiaco-solforose) e concesse al paese statuti propri. Nel piccolo paese di Caldierino, distante circa due chilometri dal Comune e sotto le decisioni del Comune stesso, nel 1777 Gaetano Callido costruì un organo a 500 canne. In ragione della sua strategica posizione sull'Adige, vi si combatterono ben quattro battaglie delle guerre napoleoniche tra franco-italiani e austriaci, nel 1796 (vittoria austriaca), nel 1805 (vittoria francese), nel 1809 (vittoria austriaca) e nel 1813 (vittoria francese). Lo stemma e il gonfalone del comune di Caldiero sono stati concessi con regio decreto dell'11 luglio 1941. La blasonatura ufficiale dello stemma comunale è la seguente: Secondo le disposizioni in vigore all'epoca della convocazione era presente anche il capo del Littorio. La descrizione del gonfalone concesso è la seguente: In realtà quale gonfalone il comune usa un drappo interzato in palo di verde, di bianco e di rosso. Le terme di Giunone con le antiche vasche di origine romana: la Brentella e la Cavalla; Villa Faccioli - Loredan (Ca' Rizzi) - XVI secolo; Villa Da Prato - situata nel capoluogo, di origine del tardo Duecento, ristrutturata in maniera consistente nel XVII secolo, corredata di annessi e parco; Parco del Monte Rocca con il fabbricato denominato "La Rocca", situato in posizione predominante sul colle omonimo e il cosiddetto "Castello" e annesse stalle, il tutto citato quale posizione di comando delle forze armate napoleoniche, durante la gestione della battaglia di Arcole. Abitanti censiti Ultima domenica di febbraio - Dal 1870 Fiera di San Mattia Apostolo, santo patrono di Caldiero ed è la festa più antica del paese. Seconda domenica di giugno - Antica sagra di Sant'Antonio che si svolge nella frazione di Caldierino. Terzo sabato di luglio - Notte Bianca di Mezzaestate Ultimo weekend di agosto - Monte Rocca Music Festival Caldiero vive di un'economia di carattere agricolo-artigianale, tipica dei paesi di provincia del cosiddetto "NordEst". Le aziende agricole, di gestione familiare storico, lavorano la campagna tipica della valpadana con produzione di viticultura, frutteto e seminativi. In particolare la zona è identificata per la produzione del vino "Arcole D.O.C.". Le aziende artigiane sono di indirizzo vario, meccanico, edile e collegati, tipografico e comunque tutte di carattere di piccola azienda a conduzione diretta. Posta lungo la Strada statale 11 Padana Superiore, Caldiero svolse fra il 1881 e il 1956 un'importante funzione di nodo tranviario, per la presenza della tranvia Verona-Caldiero-San Bonifacio, che percorreva la suddetta statale, e la diramazione che da Strà di Caldiero raggiungeva Tregnago, rappresentando il mezzo di trasporto principale per il collegamento fra Verona e la bassa Val d'Illasi. Le due tranvie furono sostituite nel 1959 da filovie, soppresse tra il 1980 e il 1981. Il comune fa parte dell'Unione Comunale detta Verona Est. I comuni che ne fanno parte sono: Belfiore, Caldiero, Colognola ai Colli, Illasi e Mezzane di Sotto. Inoltre il comune fa parte del movimento patto dei sindaci Dal 1934, è presente la società calcistica Calcio Caldiero Terme S.S.D. (colori sociali giallo e verde), che dopo aver militato nei campionati provinciali e regionali, nell'annata 2018-2019 ha conquistato la promozione nella categoria apicale delle competizioni dilettantistiche, la Serie D, mentre nella stagione 2023-2024 ha ottenuto la sua prima promozione fra i professionisti, vincendo il girone B e ottenendo l'accesso alla Serie C. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Caldiero Sito ufficiale, su comune.caldiero.vr.it. Statuto dell'Unione veronese Verona Est in PDF (PDF), su incomune.interno.it.

Santuario della Madonna della Strà
Santuario della Madonna della Strà

Il Santuario della Madonna della Strà (o chiesa di San Michele) è una chiesa sussidiaria della parrocchia di Belfiore, in provincia e diocesi di Verona; fa parte del vicariato dell'Est Veronese, precisamente dell'Unità Pastorale Pieve. La pieve di San Michele sorge accanto ad un'antica strada romana che conduceva da Verona ad Este, oggi ai margini dell'abitato, poi denominata Imperiale Berengaria, ma più conosciuta con il nome popolare di Porcilana. Una lapide, oggi a Verona presso il Museo Lapidario Maffeiano, ricorda l'anno esatto dell'erezione della chiesa, il 1143, inaugurata nei pressi della festa di San Martino di Tours ai tempi del Vescovo di Verona Tebaldo II (o Teobaldo), del prete Ambrosio (arciprete della chiesa, che era anche una collegiata), e il nome degli architetti, Borgo e Malfatto. Alla costruzione concorse anche un fabbro di Zevio di nome Alberico, come riportato da un'iscrizione graffita sul penultimo pilastro di destra. Gli storici dell'architettura romanica veronese nutrono dei dubbi se i lavori eseguiti nel 1143 siano un rifacimento o una nuova costruzione. Attorno alla chiesa, ma anche nella stessa, infatti, sono presenti frammenti di costruzioni precedenti che fanno ipotizzare l'esistenza di una chiesa di età longobarda, sempre dedicata a San Michele, sorta su un edificio pagano, forse di natura funeraria. Questo dimostrerebbe qui come in altre località del veronese la funzione cimiteriale delle molte chiese dedicate all'Arcangelo venerato dai Longobardi. Nella bolla di Papa Eugenio III del 17 maggio 1145 la pieve di Porcile è citata, sottoposta al Vescovo di Verona, cosa che ribadiranno le bolle di Anastasio IV (1153), Clemente III (1188) e Martino V (1419). Il Vescovo Adelardo Cattaneo concesse parte delle decime all'abate dell'Abbazia di San Pietro di Villanova, il Vescovo Norandino alle monache di San Michele di Campagna e il Vescovo Bartolomeo I della Scala a Giovanni Cipolla. Il clero che officiava la chiesa era piuttosto numeroso, come riportano i documenti del XIII secolo e la canonica era ampia, permettendo di compiere, sotto di essa atti pubblici e privati. Nel XIV secolo l'interno dell'edificio fu certamente decorato con affreschi, alcuni tutt'ora visibili, mentre al 1497 risale la collocazione della statua della Madonna delle Strà, opera di Giovanni Zebellana. Al Cinquecento risalgono le due cappelle laterali, dedicate a Sant'Agata e Sant'Onofrio. Dalla visita pastorale del Vescovo di Verona Gian Matteo Giberti nel 1530 veniamo a sapere che il pavimento della chiesa risulta malconcio, ordinando di ripararlo. Nel 1535 risulta sistemato a metà. Poi vi è una cappella con la volta screpolata, la sommità del campanile da sistemare, come da sistemare vi è il tetto. Si chiede di intonacare le pareti, di svecchiare le pale d'altare, di restaurare la canonica e di dotare la chiesa di un tabernacolo decente dove conservare dignitosamente l'Eucarestia. Infine, si chiede di procurarsi nuovi paramenti, calice, Messale e altri arredi sacri. Dal 1592 si nota il cambio di denominazione della chiesa, da San Michele di Porcile a Madonna della Strà. La chiesa fu la parrocchiale di Belfiore fino al 1622, anno in cui la cura d'anime passò alla chiesa dei Santi Vito, Modesto e Crescenzia, considerata più comoda per gli abitanti vista la sua posizione all'interno dell'abitato e la rovinosa piena dell'Adige che ruppe gli argini in località Chiaveghette e attraversò la strada Porcilana. Il declassamento della pieve portò alla trasformazione della chiesa in un santuario, dedicato alla venerata Madonna della Strà. Purtroppo iniziò un periodo di progressivo abbandono, tanto che l'arciprete vi celebrava solo una Santa Messa la prima e l'ultima domenica del mese. La peste del 1630 uccise 280 persone a Belfiore (ma se ne salvarono 262), 40 a Bionde (47 sopravvissuti) e 11 a Zerpa. Poi l'epidemia a Belfiore cessò miracolosamente e i fedeli istituirono il 16 agosto 1630 la festa votiva di ringraziamento alla Madonna della Strà per la liberazione dal morbo. Se la devozione alla Vergine era viva, le condizioni economiche non permisero di intervenire sul risanamento della struttura, danneggiata dalle inondazioni. Nel 1632 si arrivò addirittura a dissacrare due altari, di San Sebastiano e della Madonna del Rosario. Nonostante ciò il 13 giugno 1639 l'arciprete e la comunità belfiorese istituirono la festa dell'incoronazione della Madonna della Strà. Da un'iscrizione presente in chiesa si comprende che nel 1651 la costruzione fu restaurata, tanto che si ipotizza che risalgano a quel periodo le navate laterali. Un altro restauro è datatabile al 1783, quando l'edificio versava in pessime condizioni statiche. Il parroco don Francesco Farsaglia,per evitare manomissioni o distruzioni durante l'occupazione napoleonica, decise nel 1805 di portare provvisoriamente nella chiesa di San Vito la statua della Madonna della Strà, portata da alcuni abitanti scortati da soldati di guardia. Fu ricondotta nel santuario il 25 maggio 1806, solennità di Pentecoste. Nel 1878 divenne parroco don Teodosio Faccioli, che guiderà la parrocchia per 32 anni. Sarà lui, in accordo con il sindaco, cavaliere Carlo Lebrecht, a decidere di recuperare il santuario. Infatti, nel 1894 la chiesa era di nuovo in condizioni statiche precarie. Viste le difficoltà economiche si decise di applicare un consolidamento provvisorio che portò al puntellamento della facciata e all'applicazione di catene metalliche alla navata centrale. Inoltre, l'abside e la facciata furono legate da cinque spessi tiranti in ferro. La chiesa rimase chiusa al culto dal 1894 al 1905, anno in cui furono compiuti importanti lavori di restauro diretti dall'ingegnere e marchese Alessandro Da Lisca. Si rafforzarono le parti pericolanti, si demolirono le sovrastrutture interne ed esterne, cercando di ridare alla chiesa, per quanto possibile, l'originario aspetto romanico. In tale occasione si demolì il vecchio tetto e alcuni tratti superiori della navata centrale, visto l'avanzato degrado. Proprio quest'ultima operazione fece comprendere come quei muri non fossero originali visto che contenevano affreschi del XIII secolo, poi usati come materiali di spoglio. Il Da Lisca provvide anche a raddrizzare la facciata (che rischiava di crollare) e a rifare il pavimento, riportandolo al livello originale. Inoltre, furono ricoperte le finestrine, recuperati gli affreschi, aperte le prime due arcate verso la porta d'ingresso della facciata, antecedentemente ostruite e restaurata l'abside. Gli ultimi lavori alla chiesa risalgono al XXI secolo. Nel 2003-2004, quando era parroco di Belfiore, mons. Luigi Magrinelli. L'intervento progettato dagli architetti Daniela Bravi, Lorenza Santolini e Giuseppe Bonturi portò all'integrazione delle parti mancanti dei materiali lapidei, al risanamento delle murature e al consolidamento della copertura. La facciata, rivolta verso occidente, è a salienti ed è costituita da corsi alternati di tufo e di cotto, tipico del romanico veronese, specie quello cittadino. Al centro della facciata è presente il portale rettangolare, protetto da un protiro pensile. Sopra quest'ultimo una bifora con archi a tutto sesto che dà luce alla navata centrale. La facciata è completata dai quattro spioventi in pietra calcarea con decorazione ad archetti pensili e una cornice a denti di sega. Nella facciata sono presenti cinque scodelle di maiolica, simboleggianti le cinque piaghe di Cristo, un unicum nell'architettura romanica veronese, mentre era elemento comune nelle facciate delle chiese longobarde e sembra attestare un'influenza emiliana. La zona absidale presenta materiali eterogenei. La parte inferiore dell'abside centrale e di quella meridionale, è costituita da ciottoli di fiume alternati a corsi di tufo, mentre quella superiore in "bolognini" dello stesso materiale tufaceo. L'abside centrale, nella parte superiore, presenta una decorazione ad archetti pensili. L'abside settentrionale, probabilmente, è stata rifatta. Nelle absidi sono evidenti le strette monofore. La chiesa è circondata da un muro con cancellata. Un tempo la recinzione era costituita da una muratura molto elevata, costruita nel XV secolo, tanto che ostacolava la visione della chiesa ai passanti. La chiesa internamente si presenta a tre navate chiuse da tre absidi e copertura a capriate lignee in quella centrale, ad un unico spiovente nelle laterali. La base non è perfettamente rettangolare. A introdurre la luce esterna all'interno della chiesa vi sono ampie finestre rettangolari nelle navate laterali e strette monofore strombate sulla parete meridionale della navata centrale. Il pavimento è in lastre rettangolari di marmo nembro rosato collocate a spina di pesce. Fu fatto realizzare nel 1965 dall'allora parroco don Luigi Bosio, oggi venerabile Le navate sono divise da tre colonne per parte alternate a due pilastri, mentre le pareti sono a bolognini di tufo nella zona inferiore, mentre nelle parti alte vi è un'alternanza tra il tufo e i ciottoli disposti a spina di pesce. Interessanti i capitelli delle colonne. La prima coppia presenta due capitelli con otto spicchi lisci, mentre la seconda colonna di sinistra ha un capitello tufaceo simil corinzio, con tre foglie d'acanto spinoso, risalente al XII secolo. Le due colonne di fronte al presbiterio sono semimurate in due pilastri e presentano due capitelli in tufo preromanici, probabilmente materiale di spoglio. Su due pilastri sono presenti delle iscrizioni. Oltre alla già citata iscrizione sul penultimo pilastro di destra, riferita ad Alberico da Zevio, in quello a sinistra dell'altare si ricordano l'esecuzione della statua della Madonna e il giorno della sua incoronazione. Nel penultimo pilastro un'epigrafe latina ricorda la vittoria dei veronesi sui mantovani il 26 giugno 1199 e la presa di Argenta da parte del condottiero scaligero Salinguerra. In passato la chiesa possedeva delle pitture su legno raffiguranti gli Apostoli e una rappresentazione di San Michele, oggi perdute. Nessuno si era invece reso conto della presenza degli affreschi, visto che nel 1651 furono coperti dalla calce. Solo con il restauro del 1905 alcuni affreschi videro di nuovo la luce. Gli affreschi sui pilastri sono stati restaurati nel 2015 per volere del parroco don Roberto Pasquali. Sul primo pilastro sinistro sono raffigurati una Madonna col Bambino e una Santa identificabile forse con Santa Caterina d'Alessandria. Sul secondo pilastro sinistro, più vicino all'altare, vi sono un San Bartolomeo e la testa di una Santa. Sul lato destro abbiamo nel secondo pilastro la figura di Sant'Onofrio e un Santo vescovo, mentre nel terzo vi sono una Santa coronata e un possibile San Lorenzo. Gli affreschi risultano databili tra il XIII e il XIV secolo. Il presbiterio è elevato di tre gradini, in marmo rosso Verona, rispetto alla navata centrale. Presenta un pavimento con lastre di breccia rosata, mentre è coperto da una volta a botte. Nella nicchia dell'altare maggiore preconciliare, risalente al 1750, è collocata la statua della Madonna con Bambino, venerata col titolo di Madonna della Strà. Il simulacro, ligneo policromo, è opera dell'artista veronese Giovanni Zebellana, con la collaborazione del pittore Leonardo di Desiderio degli Atavanti, e fu commissionato dalla locale Compagnia della Beata Vergine. Grazie al restauro avvenuto tra il 1986 e il 1988 e promosso dalla Soprintendenza alle Belle Arti, si è scoperto sullo sgabello della statua la firma dell'autore e la data d'esecuzione dell'opera, il 1497. La Vergine, con veste dorata, ricami in lacca rossa e parte interna del manto azzurra, è raccolta in preghiera con le mani giunte, con il Bambino Gesù disteso sulle ginocchia che stringe un pettirosso in una manina. Un'altra opera della chiesa è il Crocifisso ligneo collocato nell'abside sinistra. Di mano ignota, attribuito al XIV secolo, è stato restaurato nel 2002. Sia l'abside maggiore sia le due laterali presentano una semicalotta sferica in muratura intonacata. Il campanile, addossato alla parete settentrionale della chiesa, presenta una pianta quadrata ed è d'incerta datazione. La canna della torre mostra ciottoli irregolari misti a tufo e blocchetti di pietra calcarea, mentre il lato nord è tutto tufaceo. Poco oltre la metà della torre si notano delle bifore murate, mentre quelle dell'attuale cella campanaria, aperte sui quattro lati, sono d'epoca rinascimentale. La copertura del campanile è a pigna in laterizio, con agli angoli quattro pinnacoli. In alto svetta una croce metallica con bandierina segnavento.Il 15 luglio 1959 la cuspide fu troncata da un violento temporale. L'allora parroco don Luigi Bosio la fece ricostruire. Il concerto campanario presente oggi è composto da 2 campane in RE4 montate alla veronese e suonabili manualmente. Questi i dati del concerto: 1 – RE4 – diametro 630 mm - peso 150 kg - Fusa nel 1711 da De Rubeis a Verona. 2 – MI4 – diametro 565 mm - peso 94 kg - Fusa nel 1850 da Cavadini di Verona. Gianfranco Benini, Chiese romaniche nel territorio veronese, Rotary Club Verona Est, 1995, ISBN non esistente. Viviani Giuseppe Franco (a cura di), Chiese nel veronese 2°, Verona; Vago di Lavagno, Società Cattolica di Assicurazione – La Grafica Editrice, 2006. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su santuario della Madonna della Strà Santuario della Madonna della Strà, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Ti racconto ...Verona - Santuario Madonna della Strà di Belfiore, su youtube.com. URL consultato il 1º dicembre 2023.

Lavagno
Lavagno

Lavagno (Lavàgno in veneto) è un comune italiano di 8 561 abitanti della provincia di Verona in Veneto. Lavagno è un comune italiano sparso distante 16 chilometri da Verona. È ad est del capoluogo provinciale, all'imbocco della valle di Mezzane. È attraversato dal progno di Mezzane. I confini comunali sono delimitati a nord da Mezzane di Sotto, ad ovest e a sud da San Martino Buon Albergo, a sudest da Caldiero e ad est da Colognola ai Colli ed Illasi. Il comune di Lavagno comprende tre frazioni: Vago, San Pietro (capoluogo comunale) e San Briccio. Vago si sviluppa lungo la SR11 Verona-Vicenza, San Pietro lungo la strada che va nella val di Mezzane, San Briccio su una collina a nord-ovest del capoluogo. Sempre nella frazione di Vago, in pianura, ha origine la SP16 della Via Cara che, per una lunghezza di circa 27 km, attraversa la parte iniziale della val di Mezzane per poi risalire l'altopiano lessinico e terminare nella località Bettola di Velo Veronese. Le ipotesi sul nome sono concentrate su un termine retico: Lavaniu. Sono numerose le tracce archeologiche. Gli insediamenti più antichi sono paleoveneti. Del periodo fra il VII e VI secolo a.C. si ipotizza un villaggio vicino all'attuale San Briccio, su un colle ed un castelliere a Lepia dell'età del bronzo. In epoca romana aumentò la presenza umana, anche in presenza del passaggio della via Postumia, che favorì la nascita di due centri: Lavaneus ad Montem e Lavaneus ad Planum. Nel medioevo si rafforzò il centro a nord da cui nacque il paese di San Briccio. Lavagno riprende importanza nell'XI secolo: dapprima con una storia locale ed in seguito seguendo Verona. Lavagno venne attribuita da Corrado II il Salico al Vescovo di Verona. Dopo due secoli passò al Comune di Verona e poi agli Scaligeri, ai Visconti ed infine a Venezia, quando la Serenissima estese i suoi domini sul veronese. Dal Medioevo numerose famiglie patrizie acquisirono terre nella zona, alcune legando il proprio nome a ville che costruirono. La presenza monastica ed ecclesiastica fu notevole, specialmente nei due secoli passati sotto il vescovo di Verona. A San Giuliano di Lepia il monastero risale al XII secolo ed ospitò il Papa Lucio III; San Giacomo di Grigliano è del XIV secolo. La leggenda dice che nel luogo furono rinvenuti i resti mortali dell'apostolo Giacomo. Lavagno presenta sul proprio territorio alcune belle realtà di architettura sia religiosa che civile. Chiesa di San Briccio - XIX secolo Chiesa di San Giacomo del Grigliano - XIV secolo È un gioiello d'architettura sacra. La chiesa, gotica fu eretta dai veronesi alla fine del XIV secolo. Richiama nello stile le chiese coeve della città. Vi sono affreschi di Martino da Verona. Chiesa San Pietro di Lavagno - XIX secolo Coeva della precedente, contiene opere antiche provenienti da chiese di Verona. Realtà spesso dimenticata, perché considerata arte povera, i capitelli fanno parte della cultura e della storia paesana, nel territorio si contano ben 11 croci, 28 capitelli alla Madonna e 10 dedicati ai santi. Alcuni risalenti al XVII secolo. Ci sono ancora capitelli risalenti al 1600 carattere propiziatorio, mentre quelle del XIX secolo e XX secolo si identificano come ex voto. Villa Verità - XVIII secolo Conosciuta anche con il nome di Villa del Boschetto, edificata per Girolamo Verità da Domenico Curtoni (allievo del Sammicheli), la Villa presenta un pronao concluso da un timpano ornato di statue; all'esterno si notano i giardini pensili, le fontane e la peschiera, all'interno sono conservati affreschi di Filippino Maccari e Giorgio Anselmi. Villa Alberti - XVIII secolo Villa Fraccaroli - XVIII secolo Villa Da Lisca - XIX secolo Villa Zannini - XVIII secolo Il palazzo è un notevole edificio di origine settecentesche. Si presenta armonioso nelle sue linee composte e si spiega in un lungo corpo orizzontale corretto nella parte centrale, prominente e frontonata. Le parti laterali sono adibite ad abitazione del personale dipendente e a rustici. L'architettura è elegante soprattutto nella parte inferiore, dove si snoda a leggero bugnato liscio, con il bel portone incorniciato. Notevoli la balaustra delle finistre, la porta finestra del piano nobile, le chiavi che ingentiliscono i rettangoli delle finestre del piano terreno, le cornici nonché le pigne di pietra che rifiniscono il frontone. Nel centro del timpano terminale, decorato da acroteri, fa spicco lo stemma araldico della famiglia Da Porto, sostituita nella proprietà della villa nei due secoli dagli Alberti e dagli Zannini. Splendido il parco, ampio e lambito dal torrente Mezzane. Esso conserva le spartiture settecentesche degli alberi, delle numerose aiuole, delle siepi e dei prati. Conserva anche un'antichissima ghiacciaia. Le lodi di questa villa sono cantate in un poemetto Anonimo, ma è nota alla letteratura storica per l'eseguitovi arresto del patriota e poeta Carlo Montanari la sera dell'8 luglio 1852, dove seguì poi la condanna a morte. Villa Castagna - XII secolo, la villa è un ex monastero successivamente abbattuto dai bombardamenti delle guerre. Dell'antico splendore si possono ancora ammirare: le scale a chiocciola e l'attuale cantina, ex sotterraneo del monastero. La villa si trova tra i confini di S. Pietro la val di mezzane ed illasi. Il Forte di San Briccio è una fortificazione eretta alla fine del XIX secolo dal Genio militare italiano: l'esproprio dei terreni per il forte iniziò nel 1882 e la costruzione prese avvio l'anno seguente. Fu costruito su una chiesa del XV secolo. Il progetto si rifà a quelli studiati da Andreas Tunkler, ufficiale del Genio austriaco. Anni or sono ospitava il Museo della Cultura Contadina e la Mostra della Preistoria; offriva inoltre ampi spazi utilizzati per mostre temporanee, rappresentazioni teatrali e riunioni. Abitanti censiti S. Briccio A settembre, l'ormai famoso evento enogastronomico "Vino in Corte" Carneval de Lavagno Il sabato dopo "Venerdì gnocolar" Sagra di paese S. Pietro A giugno Festa patronale SS. Pietro e Paolo Sagra di paese a Vago Ad ottobre Festa patronale S. Francesco d'Assisi Lavagno nel passato fu esclusivamente agricolo. Oggi sono importanti le coltivazioni di cereali, oliveti e vitigni e la produzione di vino (Arcole DOC) e olio extravergine d'oliva; L'attuale posizione strategica ha portato allo sviluppo di imprese artigianali, industriali e commerciali e di attività legate all'edilizia. È zona di produzione del vino Valpolicella DOC, dell'Amarone della Valpolicella e del Recioto DOC e dell'olio extravergine d'oliva DOP Veneto-Valpolicella. Il comune fa parte del movimento patto dei sindaci Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lavagno Sito ufficiale, su comune.lavagno.vr.it. Lavagno, su sapere.it, De Agostini.

Chiesa di San Giacomo del Grigliano
Chiesa di San Giacomo del Grigliano

La chiesa di San Giacomo del Grigliano è un santuario che sorge nel territorio del Comune di Lavagno, non lontana dal confine col Comune di San Martino Buon Albergo, nel mezzo della vegetazione sulla cima della collina denominata Grigliano, ben visibile per chi percorre l’Autostrada A4 tra i caselli di Soave-San Bonifacio e Verona Est e nei pressi degli svincoli di inizio/termine della Tangenziale Sud di Verona. Il nome del colle potrebbe derivare da "grezzo" (nel senso di incolto) o "grigio", visto il colore della materia calcarea e tufacea di cui è costituito. L’evento legato alla costruzione dell’attuale edificio risale al 25 maggio 1393 (o 1395), quando un contadino, Filippo di Lavagno, ruppe un muro della chiesa diroccata di San Giacomo. Secondo un comando che lui disse di aver ricevuto in sogno, scavò nella terra e rivenne una piccola urna in marmo bianco contenente ossa umane e ritenute come quelle dell’Apostolo Giacomo. Il ritrovamento delle presunte reliquie provocò l’arrivo di pellegrini, tanto che si iniziò a raccogliere soldi per costruire una chiesa degna dei resti ritrovati. A custodire il denaro fu un certo Garello, il quale fu ucciso dal contadino Filippo, che voleva appropriarsi di tale ricchezza e delle reliquie. Scoperto, fu arrestato e impiccato. Va detto che la divergenza dei particolari riportata dagli storici del passato fa ipotizzare che la storia sia da considerare come una leggenda, però l'avvenimento fondativo risulta realmente accaduto. Fu il Comune di Verona, vedendo il crescente fervore popolare, a deliberare l’erezione del tempio, il cui inizio va datato al 20 giugno 1395 (o 1396), quando, alla presenza di una grande folla, monsignor Picinino, coadiutore del Vescovo di Verona Giacomo de' Rossi (vescovo), e l’architetto Nicolò da Ferrara, già autore della Torre del Gardello, presentarono il progetto per la costruzione di una grandissima chiesa in stile gotico a cinque absidi, sulla strada che i pellegrini percorrevano da Venezia verso Santiago di Compostella. Nel 1397 il Papa Bonifacio IX, con la Bolla Jus Patronati concesse al Comune di Verona il giuspatronato sulla nuova chiesa e il diritto di nominare religiosi e amministratori. Nel 1407 la costruzione delle absidi era in fase avanzata (nel 1400 era stata terminata la mediana destra e nel 1401 la mediana sinistra), con il Gran Consiglio di Verona pronto a proseguire i lavori e affidare nel 1413 il luogo di culto ai Benedettini di Santa Giustina di Padova, quando il Papa Gregorio XII dichiarò di dubbia autenticità le reliquie ritrovate sul Grigliano. Questo portò all’arresto dei lavori, lasciando ancora oggi la chiesa incompiuta. Nel 1432 alla chiesa di S. Giacomo fu annessa quella di Lepia in seguito alla soppressione del monastero delle suore di San Giuliano, ritiratesi a Monza. I Benedettini di Santa Giustina rimasero fino al 1443. Furono successivamente sostituiti, nel 1451, dai Benedettini Olivetani, che completarono la costruzione del chiostro e del portico tra il 1558 e il 1559. Testimonianza della fede della popolazione di Lavagno e dei paesi vicini verso S. Giacomo fu la preghiera compiuta la domenica mattina del 27 novembre 1630 per chiedere il termine della peste. Gli Olivetani, nel 1717, restaurarono la chiesa, mentre nel 1767 le autorità veronesi soppressero il monastero, seppur i monaci lasciarono definitivamente il luogo solo nel 1771, dopo la soppressione decisa dal Senato Veneto. La proprietà del colle era sempre stata del Comune di Verona, che decise di affidare inizialmente la cura a sacerdoti del clero secolare e, dal 1799, ai padri della Congregazione dell'Oratorio. Il passaggio delle truppe francesi nel 1801 e nel 1805 (in quest'ultimo anche con la distruzione dell'altar maggiore e la profanazione delle presunte reliquie) danneggiò le strutture, tanto che i Filippini decisero di rinunciare alla custodia del santuario, che ritornarono dopo le suppliche della popolazione. Va detto che già dal 1787 il Comune di Verona assegnò ai fratelli Faccioli tutti i fabbricati esistenti con circa cinquanta ettari di terreno per soddisfare dei debiti con essi. Nel 1816, dopo la definitiva rinuncia dei Filippini, la proprietà del colle tornò in mano ad Antonio Faccioli, il quale supplicò il Vescovo Innocenzo Liruti perché fossero ricollocate le presunte reliquie, cosa che avvenne il 27 luglio 1816. I fratelli Faccioli rimasero proprietari del luogo fino al 1857. Successivamente il colle fu acquistato da Pietro Gonzales e poi da Rosa Libanti. In questo periodo sorse il dubbio su come potessero trovarsi sul Grigliano i resti dell'Apostolo Giacomo se questi erano venerati da lungo tempo in Spagna. Fu lo stesso Arcivescovo di Santiago di Compostela, il Cardinale Miguel Payá y Rico (sotto il cui episcopato furono ritrovati i resti di S. Giacomo) a presentare la questione a Papa Leone XIII, che, nel 1884, rispose minacciando di scomunica chi riteneva che i resti dell'Apostolo si trovassero fuori dalla Spagna. Nel 1895 i nuovi proprietari del colle, i fratelli Milani, edificarono l'omonima villa, in stile neogotico-moresco, e creando l'attuale parco. Nel 1936 tutto il complesso passò nuovamente di mano, acquistato dai fratelli Ignazio e Bartolo Battiato, che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, donarono la chiesa e la villa alla Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, fondata da San Giovanni Calabria. La presa di possesso fu il 25 luglio 1951, festa dell'Apostolo. La Congregazione calabriana istituì qui l'"Oasi S. Giacomo" per esercizi spirituali e altre attività spirituali. L’attuale facciata a capanna non è altro che il prospetto delle cinque absidi, chiuse con muratura grezza verso occidente al di sotto delle arcate ogivali, mentre al di sopra delle stesse vi sono i mattoni a vista. Interessante il prospetto absidale, con quella centrale con cinque lati, mentre le quattro laterali hanno quattro lati, tutte percorse da corsi di tufo e cotto alternati, con lesene negli angoli e basamento in pietra viva. Nelle pareti, a dare luce all’interno, si trovano otto lunghe finestre ogivali trilobate, divise a metà da archetti pensili e ogivali. Nell’abside maggiore è pure presente un piccolo rosone centrale. La chiesa, seppur incompiuta, rimane un capolavoro del gotico veronese. Se fosse stata completata, sarebbe stata somigliante alla Basilica di Santa Anastasia e alla chiesa di San Fermo Maggiore, entrambe a Verona. Oggi l’abside maggiore costituisce la vera chiesa, mentre quelle minori sono state adibite come sacrestia, come base del campanile e come parte della cripta. Le pareti erano già state decorate da vari affreschi, in prevalenza raffiguranti la Vergine Maria con il Bambino Gesù, San Giacomo e San Giovanni Battista, la cui esecuzione va datata tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento. Queste opere, in parte staccate e ricollocate all’interno della chiesa e nella vicina villa, sono state attribuite a Martino da Verona e alla sua scuola, seppur ci sia ancora discussione sull’attribuzione. Il più conosciuto degli affreschi è oggi alla parete sinistra dell’abside maggiore, raffigurante la Madonna con Bambino, San Giacomo Apostolo, San Benedetto da Norcia e una santa, con stilemi che richiamano Altichiero da Zevio e attribuibili al già citato Martino da Verona. Nella stessa parete è presenta una Madonna col Bambino incoronata da due angeli, sicuramente parte di un’opera più grande e oggi in pessime condizioni. Altro affresco, sempre nell’abside centrale, è quello della Madonna in trono con Bambino, San Giacomo apostolo e San Giacomo Battista, strappato dall’abside mediana destra, dov’è visibile la sinopia. Da segnalare anche il San Giacomo apostolo staccato dall’abside che oggi funge da sacrestia e un altro San Giacomo, di migliore fattura del primo. L’abside maggiore presenta anche una Madonna col Bambino, San Giacomo e un santo, purtroppo opera deteriorata, e un grande affresco, rovinato irrimediabilmente per aprire una porta, con Cristo e San Benedetto. Lo sfondo, con un’architettura gotica elaborata, richiama un affresco presente nella Basilica di San Zeno in Verona, attribuibile a Jacopo da Verona. Nelle altre absidi sono visibili le sinopie di affreschi strappati nella metà del XX secolo e portati nella vicina ex villa Milani, mentre il migliore affresco in esse ancora presente è un San Giacomo, con i suoi attributi iconografici (il bastone del pellegrino e un libro), probabilmente di Martino da Verona. Nell’abside centrale sono presenti tre altari, fatti collocare dagli Olivetani alla fine del XVII secolo. L’altare maggiore custodisce ancora oggi le presunte reliquie ritrovate da Filippo di Lavagno, visibili tramite l’apertura del pregevole paliotto in rame dell’altare.Sopra di esso è collocata una tela con le ‘’Nozze mistiche di Santa Caterina col Bambino’’, presenti la Vergine Maria e i Santi Giuseppe, Maria Maddalenae Giacomo, copia di un originale del 1526 di Francesco Torbido, che era stato qui portato dalla chiesa di Santa Maria in Organo, secondo l’idea olivetana di portare in chiese periferiche vecchie pale d’altare. Secondo Edoardo Arslan la tela originale si trovava a Potsdam, in Germania, ma risulta scomparsa dalla fine della secondo conflitto mondiale. Sono perdute anche le pitture descritte dagli storici settecenteschi ed eseguite durante la presenza olivetana. Sull’altare laterale sinistro vi è una statua della Madonna del Carmelo col Bambino. Nella cripta, realizzata nel 1976 sotto l'abside estrema destra, è ancora visibile l’urna romana in marmo greco dove si dice siano state ritrovate le presunte reliquie di San Giacomo. Il campanile, in stile barocco, voluto dagli Olivetani nel Seicento, è stato costruito sopra l’abside più esterna sul lato destro. Avente base quadrata, presenta una cella campanaria con bifore su ogni lato, mentre la torre presenta una copertura a cipolla, circondata da una balaustra, su cui si erge una croce metallica con banderuola segnavento. Il concerto campanario presente oggi sulla torre è composto da 3 campane montate alla veronese e suonabili manualmente. Questi i dati del concerto: 1 – DO4 – diametro 729 mm - peso 230 kg - Fusa nel 1741 da Poni di Verona. 2 – MIb4 – diametro 595 mm - peso 122 kg - Fusa nel 1892 da Cavadini di Verona. 3 – SOL4 – diametro 495 mm – peso 73 kg - Fusa nel 1892 da Cavadini di Verona. Giuseppe Franco Viviani (a cura di), Chiese nel veronese, Verona, Vago di Lavagno, Società Cattolica di Assicurazione - La Grafica Editrice, 2004. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Chiesa di San Giacomo al Grigliano San Giacomo al Grigliano: una grande chiesa incompiuta, su youtube.com. URL consultato il 18 giugno 2024. IMAGO ECCLESIAE - Chiesa di San Giacomo al Grigliano, su youtube.com. URL consultato il 18 giugno 2024. Cammini, Chiesa di san Giacomo, Lavagno. Cammini della fede in Veneto, su youtube.com. URL consultato il 18 giugno 2024.