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Chiesa di San Giacomo del Grigliano

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La chiesa di San Giacomo del Grigliano è un santuario che sorge nel territorio del Comune di Lavagno, non lontana dal confine col Comune di San Martino Buon Albergo, nel mezzo della vegetazione sulla cima della collina denominata Grigliano, ben visibile per chi percorre l’Autostrada A4 tra i caselli di Soave-San Bonifacio e Verona Est e nei pressi degli svincoli di inizio/termine della Tangenziale Sud di Verona. Il nome del colle potrebbe derivare da "grezzo" (nel senso di incolto) o "grigio", visto il colore della materia calcarea e tufacea di cui è costituito. L’evento legato alla costruzione dell’attuale edificio risale al 25 maggio 1393 (o 1395), quando un contadino, Filippo di Lavagno, ruppe un muro della chiesa diroccata di San Giacomo. Secondo un comando che lui disse di aver ricevuto in sogno, scavò nella terra e rivenne una piccola urna in marmo bianco contenente ossa umane e ritenute come quelle dell’Apostolo Giacomo. Il ritrovamento delle presunte reliquie provocò l’arrivo di pellegrini, tanto che si iniziò a raccogliere soldi per costruire una chiesa degna dei resti ritrovati. A custodire il denaro fu un certo Garello, il quale fu ucciso dal contadino Filippo, che voleva appropriarsi di tale ricchezza e delle reliquie. Scoperto, fu arrestato e impiccato. Va detto che la divergenza dei particolari riportata dagli storici del passato fa ipotizzare che la storia sia da considerare come una leggenda, però l'avvenimento fondativo risulta realmente accaduto. Fu il Comune di Verona, vedendo il crescente fervore popolare, a deliberare l’erezione del tempio, il cui inizio va datato al 20 giugno 1395 (o 1396), quando, alla presenza di una grande folla, monsignor Picinino, coadiutore del Vescovo di Verona Giacomo de' Rossi (vescovo), e l’architetto Nicolò da Ferrara, già autore della Torre del Gardello, presentarono il progetto per la costruzione di una grandissima chiesa in stile gotico a cinque absidi, sulla strada che i pellegrini percorrevano da Venezia verso Santiago di Compostella. Nel 1397 il Papa Bonifacio IX, con la Bolla Jus Patronati concesse al Comune di Verona il giuspatronato sulla nuova chiesa e il diritto di nominare religiosi e amministratori. Nel 1407 la costruzione delle absidi era in fase avanzata (nel 1400 era stata terminata la mediana destra e nel 1401 la mediana sinistra), con il Gran Consiglio di Verona pronto a proseguire i lavori e affidare nel 1413 il luogo di culto ai Benedettini di Santa Giustina di Padova, quando il Papa Gregorio XII dichiarò di dubbia autenticità le reliquie ritrovate sul Grigliano. Questo portò all’arresto dei lavori, lasciando ancora oggi la chiesa incompiuta. Nel 1432 alla chiesa di S. Giacomo fu annessa quella di Lepia in seguito alla soppressione del monastero delle suore di San Giuliano, ritiratesi a Monza. I Benedettini di Santa Giustina rimasero fino al 1443. Furono successivamente sostituiti, nel 1451, dai Benedettini Olivetani, che completarono la costruzione del chiostro e del portico tra il 1558 e il 1559. Testimonianza della fede della popolazione di Lavagno e dei paesi vicini verso S. Giacomo fu la preghiera compiuta la domenica mattina del 27 novembre 1630 per chiedere il termine della peste. Gli Olivetani, nel 1717, restaurarono la chiesa, mentre nel 1767 le autorità veronesi soppressero il monastero, seppur i monaci lasciarono definitivamente il luogo solo nel 1771, dopo la soppressione decisa dal Senato Veneto. La proprietà del colle era sempre stata del Comune di Verona, che decise di affidare inizialmente la cura a sacerdoti del clero secolare e, dal 1799, ai padri della Congregazione dell'Oratorio. Il passaggio delle truppe francesi nel 1801 e nel 1805 (in quest'ultimo anche con la distruzione dell'altar maggiore e la profanazione delle presunte reliquie) danneggiò le strutture, tanto che i Filippini decisero di rinunciare alla custodia del santuario, che ritornarono dopo le suppliche della popolazione. Va detto che già dal 1787 il Comune di Verona assegnò ai fratelli Faccioli tutti i fabbricati esistenti con circa cinquanta ettari di terreno per soddisfare dei debiti con essi. Nel 1816, dopo la definitiva rinuncia dei Filippini, la proprietà del colle tornò in mano ad Antonio Faccioli, il quale supplicò il Vescovo Innocenzo Liruti perché fossero ricollocate le presunte reliquie, cosa che avvenne il 27 luglio 1816. I fratelli Faccioli rimasero proprietari del luogo fino al 1857. Successivamente il colle fu acquistato da Pietro Gonzales e poi da Rosa Libanti. In questo periodo sorse il dubbio su come potessero trovarsi sul Grigliano i resti dell'Apostolo Giacomo se questi erano venerati da lungo tempo in Spagna. Fu lo stesso Arcivescovo di Santiago di Compostela, il Cardinale Miguel Payá y Rico (sotto il cui episcopato furono ritrovati i resti di S. Giacomo) a presentare la questione a Papa Leone XIII, che, nel 1884, rispose minacciando di scomunica chi riteneva che i resti dell'Apostolo si trovassero fuori dalla Spagna. Nel 1895 i nuovi proprietari del colle, i fratelli Milani, edificarono l'omonima villa, in stile neogotico-moresco, e creando l'attuale parco. Nel 1936 tutto il complesso passò nuovamente di mano, acquistato dai fratelli Ignazio e Bartolo Battiato, che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, donarono la chiesa e la villa alla Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, fondata da San Giovanni Calabria. La presa di possesso fu il 25 luglio 1951, festa dell'Apostolo. La Congregazione calabriana istituì qui l'"Oasi S. Giacomo" per esercizi spirituali e altre attività spirituali. L’attuale facciata a capanna non è altro che il prospetto delle cinque absidi, chiuse con muratura grezza verso occidente al di sotto delle arcate ogivali, mentre al di sopra delle stesse vi sono i mattoni a vista. Interessante il prospetto absidale, con quella centrale con cinque lati, mentre le quattro laterali hanno quattro lati, tutte percorse da corsi di tufo e cotto alternati, con lesene negli angoli e basamento in pietra viva. Nelle pareti, a dare luce all’interno, si trovano otto lunghe finestre ogivali trilobate, divise a metà da archetti pensili e ogivali. Nell’abside maggiore è pure presente un piccolo rosone centrale. La chiesa, seppur incompiuta, rimane un capolavoro del gotico veronese. Se fosse stata completata, sarebbe stata somigliante alla Basilica di Santa Anastasia e alla chiesa di San Fermo Maggiore, entrambe a Verona. Oggi l’abside maggiore costituisce la vera chiesa, mentre quelle minori sono state adibite come sacrestia, come base del campanile e come parte della cripta. Le pareti erano già state decorate da vari affreschi, in prevalenza raffiguranti la Vergine Maria con il Bambino Gesù, San Giacomo e San Giovanni Battista, la cui esecuzione va datata tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento. Queste opere, in parte staccate e ricollocate all’interno della chiesa e nella vicina villa, sono state attribuite a Martino da Verona e alla sua scuola, seppur ci sia ancora discussione sull’attribuzione. Il più conosciuto degli affreschi è oggi alla parete sinistra dell’abside maggiore, raffigurante la Madonna con Bambino, San Giacomo Apostolo, San Benedetto da Norcia e una santa, con stilemi che richiamano Altichiero da Zevio e attribuibili al già citato Martino da Verona. Nella stessa parete è presenta una Madonna col Bambino incoronata da due angeli, sicuramente parte di un’opera più grande e oggi in pessime condizioni. Altro affresco, sempre nell’abside centrale, è quello della Madonna in trono con Bambino, San Giacomo apostolo e San Giacomo Battista, strappato dall’abside mediana destra, dov’è visibile la sinopia. Da segnalare anche il San Giacomo apostolo staccato dall’abside che oggi funge da sacrestia e un altro San Giacomo, di migliore fattura del primo. L’abside maggiore presenta anche una Madonna col Bambino, San Giacomo e un santo, purtroppo opera deteriorata, e un grande affresco, rovinato irrimediabilmente per aprire una porta, con Cristo e San Benedetto. Lo sfondo, con un’architettura gotica elaborata, richiama un affresco presente nella Basilica di San Zeno in Verona, attribuibile a Jacopo da Verona. Nelle altre absidi sono visibili le sinopie di affreschi strappati nella metà del XX secolo e portati nella vicina ex villa Milani, mentre il migliore affresco in esse ancora presente è un San Giacomo, con i suoi attributi iconografici (il bastone del pellegrino e un libro), probabilmente di Martino da Verona. Nell’abside centrale sono presenti tre altari, fatti collocare dagli Olivetani alla fine del XVII secolo. L’altare maggiore custodisce ancora oggi le presunte reliquie ritrovate da Filippo di Lavagno, visibili tramite l’apertura del pregevole paliotto in rame dell’altare.Sopra di esso è collocata una tela con le ‘’Nozze mistiche di Santa Caterina col Bambino’’, presenti la Vergine Maria e i Santi Giuseppe, Maria Maddalenae Giacomo, copia di un originale del 1526 di Francesco Torbido, che era stato qui portato dalla chiesa di Santa Maria in Organo, secondo l’idea olivetana di portare in chiese periferiche vecchie pale d’altare. Secondo Edoardo Arslan la tela originale si trovava a Potsdam, in Germania, ma risulta scomparsa dalla fine della secondo conflitto mondiale. Sono perdute anche le pitture descritte dagli storici settecenteschi ed eseguite durante la presenza olivetana. Sull’altare laterale sinistro vi è una statua della Madonna del Carmelo col Bambino. Nella cripta, realizzata nel 1976 sotto l'abside estrema destra, è ancora visibile l’urna romana in marmo greco dove si dice siano state ritrovate le presunte reliquie di San Giacomo. Il campanile, in stile barocco, voluto dagli Olivetani nel Seicento, è stato costruito sopra l’abside più esterna sul lato destro. Avente base quadrata, presenta una cella campanaria con bifore su ogni lato, mentre la torre presenta una copertura a cipolla, circondata da una balaustra, su cui si erge una croce metallica con banderuola segnavento. Il concerto campanario presente oggi sulla torre è composto da 3 campane montate alla veronese e suonabili manualmente. Questi i dati del concerto: 1 – DO4 – diametro 729 mm - peso 230 kg - Fusa nel 1741 da Poni di Verona. 2 – MIb4 – diametro 595 mm - peso 122 kg - Fusa nel 1892 da Cavadini di Verona. 3 – SOL4 – diametro 495 mm – peso 73 kg - Fusa nel 1892 da Cavadini di Verona. Giuseppe Franco Viviani (a cura di), Chiese nel veronese, Verona, Vago di Lavagno, Società Cattolica di Assicurazione - La Grafica Editrice, 2004. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Chiesa di San Giacomo al Grigliano San Giacomo al Grigliano: una grande chiesa incompiuta, su youtube.com. URL consultato il 18 giugno 2024. IMAGO ECCLESIAE - Chiesa di San Giacomo al Grigliano, su youtube.com. URL consultato il 18 giugno 2024. Cammini, Chiesa di san Giacomo, Lavagno. Cammini della fede in Veneto, su youtube.com. URL consultato il 18 giugno 2024.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Chiesa di San Giacomo del Grigliano (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Chiesa di San Giacomo del Grigliano
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Lavagno
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Lavagno (Lavàgno in veneto) è un comune italiano di 8 561 abitanti della provincia di Verona in Veneto. Lavagno è un comune italiano sparso distante 16 chilometri da Verona. È ad est del capoluogo provinciale, all'imbocco della valle di Mezzane. È attraversato dal progno di Mezzane. I confini comunali sono delimitati a nord da Mezzane di Sotto, ad ovest e a sud da San Martino Buon Albergo, a sudest da Caldiero e ad est da Colognola ai Colli ed Illasi. Il comune di Lavagno comprende tre frazioni: Vago, San Pietro (capoluogo comunale) e San Briccio. Vago si sviluppa lungo la SR11 Verona-Vicenza, San Pietro lungo la strada che va nella val di Mezzane, San Briccio su una collina a nord-ovest del capoluogo. Sempre nella frazione di Vago, in pianura, ha origine la SP16 della Via Cara che, per una lunghezza di circa 27 km, attraversa la parte iniziale della val di Mezzane per poi risalire l'altopiano lessinico e terminare nella località Bettola di Velo Veronese. Le ipotesi sul nome sono concentrate su un termine retico: Lavaniu. Sono numerose le tracce archeologiche. Gli insediamenti più antichi sono paleoveneti. Del periodo fra il VII e VI secolo a.C. si ipotizza un villaggio vicino all'attuale San Briccio, su un colle ed un castelliere a Lepia dell'età del bronzo. In epoca romana aumentò la presenza umana, anche in presenza del passaggio della via Postumia, che favorì la nascita di due centri: Lavaneus ad Montem e Lavaneus ad Planum. Nel medioevo si rafforzò il centro a nord da cui nacque il paese di San Briccio. Lavagno riprende importanza nell'XI secolo: dapprima con una storia locale ed in seguito seguendo Verona. Lavagno venne attribuita da Corrado II il Salico al Vescovo di Verona. Dopo due secoli passò al Comune di Verona e poi agli Scaligeri, ai Visconti ed infine a Venezia, quando la Serenissima estese i suoi domini sul veronese. Dal Medioevo numerose famiglie patrizie acquisirono terre nella zona, alcune legando il proprio nome a ville che costruirono. La presenza monastica ed ecclesiastica fu notevole, specialmente nei due secoli passati sotto il vescovo di Verona. A San Giuliano di Lepia il monastero risale al XII secolo ed ospitò il Papa Lucio III; San Giacomo di Grigliano è del XIV secolo. La leggenda dice che nel luogo furono rinvenuti i resti mortali dell'apostolo Giacomo. Lavagno presenta sul proprio territorio alcune belle realtà di architettura sia religiosa che civile. Chiesa di San Briccio - XIX secolo Chiesa di San Giacomo del Grigliano - XIV secolo È un gioiello d'architettura sacra. La chiesa, gotica fu eretta dai veronesi alla fine del XIV secolo. Richiama nello stile le chiese coeve della città. Vi sono affreschi di Martino da Verona. Chiesa San Pietro di Lavagno - XIX secolo Coeva della precedente, contiene opere antiche provenienti da chiese di Verona. Realtà spesso dimenticata, perché considerata arte povera, i capitelli fanno parte della cultura e della storia paesana, nel territorio si contano ben 11 croci, 28 capitelli alla Madonna e 10 dedicati ai santi. Alcuni risalenti al XVII secolo. Ci sono ancora capitelli risalenti al 1600 carattere propiziatorio, mentre quelle del XIX secolo e XX secolo si identificano come ex voto. Villa Verità - XVIII secolo Conosciuta anche con il nome di Villa del Boschetto, edificata per Girolamo Verità da Domenico Curtoni (allievo del Sammicheli), la Villa presenta un pronao concluso da un timpano ornato di statue; all'esterno si notano i giardini pensili, le fontane e la peschiera, all'interno sono conservati affreschi di Filippino Maccari e Giorgio Anselmi. Villa Alberti - XVIII secolo Villa Fraccaroli - XVIII secolo Villa Da Lisca - XIX secolo Villa Zannini - XVIII secolo Il palazzo è un notevole edificio di origine settecentesche. Si presenta armonioso nelle sue linee composte e si spiega in un lungo corpo orizzontale corretto nella parte centrale, prominente e frontonata. Le parti laterali sono adibite ad abitazione del personale dipendente e a rustici. L'architettura è elegante soprattutto nella parte inferiore, dove si snoda a leggero bugnato liscio, con il bel portone incorniciato. Notevoli la balaustra delle finistre, la porta finestra del piano nobile, le chiavi che ingentiliscono i rettangoli delle finestre del piano terreno, le cornici nonché le pigne di pietra che rifiniscono il frontone. Nel centro del timpano terminale, decorato da acroteri, fa spicco lo stemma araldico della famiglia Da Porto, sostituita nella proprietà della villa nei due secoli dagli Alberti e dagli Zannini. Splendido il parco, ampio e lambito dal torrente Mezzane. Esso conserva le spartiture settecentesche degli alberi, delle numerose aiuole, delle siepi e dei prati. Conserva anche un'antichissima ghiacciaia. Le lodi di questa villa sono cantate in un poemetto Anonimo, ma è nota alla letteratura storica per l'eseguitovi arresto del patriota e poeta Carlo Montanari la sera dell'8 luglio 1852, dove seguì poi la condanna a morte. Villa Castagna - XII secolo, la villa è un ex monastero successivamente abbattuto dai bombardamenti delle guerre. Dell'antico splendore si possono ancora ammirare: le scale a chiocciola e l'attuale cantina, ex sotterraneo del monastero. La villa si trova tra i confini di S. Pietro la val di mezzane ed illasi. Il Forte di San Briccio è una fortificazione eretta alla fine del XIX secolo dal Genio militare italiano: l'esproprio dei terreni per il forte iniziò nel 1882 e la costruzione prese avvio l'anno seguente. Fu costruito su una chiesa del XV secolo. Il progetto si rifà a quelli studiati da Andreas Tunkler, ufficiale del Genio austriaco. Anni or sono ospitava il Museo della Cultura Contadina e la Mostra della Preistoria; offriva inoltre ampi spazi utilizzati per mostre temporanee, rappresentazioni teatrali e riunioni. Abitanti censiti S. Briccio A settembre, l'ormai famoso evento enogastronomico "Vino in Corte" Carneval de Lavagno Il sabato dopo "Venerdì gnocolar" Sagra di paese S. Pietro A giugno Festa patronale SS. Pietro e Paolo Sagra di paese a Vago Ad ottobre Festa patronale S. Francesco d'Assisi Lavagno nel passato fu esclusivamente agricolo. Oggi sono importanti le coltivazioni di cereali, oliveti e vitigni e la produzione di vino (Arcole DOC) e olio extravergine d'oliva; L'attuale posizione strategica ha portato allo sviluppo di imprese artigianali, industriali e commerciali e di attività legate all'edilizia. È zona di produzione del vino Valpolicella DOC, dell'Amarone della Valpolicella e del Recioto DOC e dell'olio extravergine d'oliva DOP Veneto-Valpolicella. Il comune fa parte del movimento patto dei sindaci Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lavagno Sito ufficiale, su comune.lavagno.vr.it. Lavagno, su sapere.it, De Agostini.

Santuario di Santa Maria della Pieve
Santuario di Santa Maria della Pieve

Il santuario di Santa Maria della Pieve o chiesa dell'Annunciazione di Maria Vergine. è la chiesa parrocchiale di Pieve, frazione del comune di Colognola ai Colli in provincia e diocesi di Verona; fa parte del vicariato dell'Est Veronese, precisamente dell'Unità Pastorale che prende il nome da questa chiesa. All’imbocco della val d'Illasi, sede plebana, è una chiesa molto antica, risalente probabilmente all'XI-XII secolo, ma che fu fondata sopra o in prossimità di un tempio pagano dedicato a Mercurio, risalente all'età repubblicana romana, nei pressi della Via Postumia, importante via di comunicazione che collegava Genova all'Adriatico. Da ricordare che siamo in una zona di centuriazione romana. Le testimonianze di questo luogo di culto pagano sono tuttora visibili presso il santuario: si può infatti notare una dedica a Mercurio da parte di L. Odovisio Oriculone, figlio di Publio, murata nella facciata della chiesa. Non va dimenticata anche la pietra a forma di architrave con dedica ad Apollo da parte dei fabbricanti di lino L. Postunio Facile e T. Careio Valente ed un frammento di pluteo. Secondo Umberto Gaetano Tessari, la costruzione della chiesa avvenne in due momenti distinti: in una prima fase attorno al V secolo il tempio pagano di Mercurio fu sostituito con una piccola cappella-oratorio; successivamente, intorno all'anno Mille, il piccolo oratorio fu demolito e venne eretta la costruzione che oggi è nota come santuario di Santa Maria della Pieve. Il primo documento in cui la chiesa viene nominata risale al 1145, precisamente nella Bolla rilasciata da Eugenio III al Vescovo di Verona Tebaldo II (o Teobaldo). In essa si parla della pieve di Colognola con le sue cappelle, Santi Fermo e Rustico, San Vittore, San Nicolò, San Zeno. Va ricordato come la pieve, almeno fino al XV secolo, fu anche collegiata. I documenti presentano, per il XII secolo, un arciprete di nome Ugone, un cui omonimo, nello stesso ruolo, morto nel 1348, viene nominato nella lapide sepolcrale presente nel pavimento dell’attuale campanile. Nel 1456 il Vescovo di Verona Ermolao Barbaro constatò che la chiesa, fatiscente e insufficiente a contenere i fedeli, non rispondeva alle esigenze della comunità, vista anche la sua posizione rispetto al nuovo nucleo abitato del paese. Questo portò, di conseguenza, alla trasformazione da chiesa matrice a semplice cappella soggetta alla chiesa parrocchiale dei Santi Fermo e Rustico in Monte. Tra il 1734 e il 1759 il luogo di culto fu ristrutturato. Furono aperte le finestre ai lati del portale d’ingresso, demoliti i due pilastri del presbiterio, mentre gli altri furono rimaneggiati in stile barocco. All’Ottocento risale l’attuale sacrestia, che portò alla demolizione della piccola abside destra (quella di sinistra era stata inglobata in precedenza nel campanile). Nei primi anni del XX secolo vi fu la rinascita della chiesa e il merito fu di un benefattore, Basilio Turco. Ancora vivente donò quasi tutto il suo patrimonio per la rinascita materiale e spirituale del luogo di culto, come riporta una lapide murata all’esterno della sacrestia. A suggellare questo rinnovamento fu il decreto del Cardinale Bartolomeo Bacilieri con cui si stabiliva la nuova erezione in parrocchia il 18 luglio 1915. Ulteriori restauri vi furono tra il 1997 e il 1999 e tra il 2006 e il 2010 La facciata a capanna, rivolta ad ovest e in stile romanico, è molto semplice. Al centro, tra due finestre rettangolari, vi è il portale d’ingresso, anch’esso rettangolare. Più in alto, in asse, un oculo, mentre al vertice vi è una croce metallica. Le pareti esterne, intonacate e tinteggiate, presentano tracce di affreschi. La pianta della chiesa è di tipo basilicale, con tre navate separate da due file di pilastri polistili, uniti da archi a tutto sesto che poggiano su lesene ioniche. Più in alto la trabeazione con iscrizione, frutto dell’intervento settecentesco. La copertura, piuttosto ribassata, è costituita da cinque capriate lignee nella navata centrale, mentre nelle navate laterali abbiamo dei puntoni lignei in pendenza. La luce esterna entra nella chiesa tramite alcune finestrature rettangolari presenti nelle navate laterali. Il pavimento dell’aula è costituito da piastrelle di cemento posate in obliquo in modo da creare un motivo ornamentale policromo grigio-nero. In prossimità del presbiterio vi è una lastra tombale in marmo rosso Verona. Nella navata sinistra è presente l'altare della Madonna del nido, risalente al 1820, ma con gruppo scultoreo risalente tra fine Trecento e inizio Quattrocento. In pietra dipinta, presenta la Vergine Maria vestita di rosa e mantello verde che regge sulla sinistra un nido, mentre il Bimbo tra le mani stringe un uccellino. Sul lato opposto vi è l'altare del Crocifisso, già di San Barnaba, con mensa settecentesca simile a quella della Madonna del nido. Sulle pareti e sui pilastri sono presenti delle pitture murali. Il ciclo di affreschi, presente principalmente sulla parete sinistra, risale alla fine del XIII – metà del XV secolo e originariamente copriva gran parte delle pareti interne all'edificio. Oggi ne sono rimasti pochi, in particolare a causa dell’imbiancatura delle pareti con la calce in seguito alla peste del 1630 e al progressivo abbandono della chiesa. Da segnalare un Santo vescovo (fine XIV secolo), un San Zeno, un San Giacomo (terzo pilastro di destra), un Sant'Antonio Abate, un San Martino di Tours e un San Bartolomeo (quarto pilastro di destra), assegnati alla scuola di Martino da Verona. Vi sono poi una Madonna in trono della fine del XIV secolo, una Vergine che richiama ai modi di Altichiero da Zevio, le nozze mistiche di Santa Caterina degli inizi del Quattrocento e un Volto Santo di Lucca. Quest'ultimo, da attribuire alla fine del Trecento, è da assegnare ad un discepolo di Martino. Interessante il dittico in pietra tenera dipinta presente ai lati dell'altare maggiore, opera di Bartolomeo Giolfino del 1430. In due scomparti con colonnine che reggono archi ogivali, su cui si ergono due cuspidi a fiamma con al centro una specie fi piccolo rosone o il busto di un profeta. Sotto gli archi del rilievo di sinistra, a gruppi di tre, abbiamo gli apostoli Bartolomeo, Tommaso, Giovanni; poi Pietro, Giacomo il Minore e Giuda Taddeo. Sotto gli archi di destra gli apostoli Mattia, Giacomo Maggiore, Simone; poi Filippo, Andrea e Matteo. Addossate ai muri e ai pilastri vi sono sei angeli con cornucopia in pietra, settecenteschi, ma non eseguiti tutti contemporaneamente. Qualcuno ha dichiarato un'affinità con le sculture di Orazio e Francesco Marinali eseguite per la chiesa parrocchiale di Monte di Colognola. Altri vi hanno visto la mano di Domenico Allio. Da segnalare i confessionali lignei e intagliati, del secolo XVI e acquistati nel 1923 dalla chiesa dei Santi Nazaro e Celso in Verona. Il presbiterio, rialzato di un gradino in pietra calcarea bianco-rosata, si sviluppa per l’intera ampiezza della chiesa, tanto da prolungarsi in corrispondenza delle testate delle navate laterali. Ha una pavimentazione centrale costituita da piastrelle di cemento con graniglia di marmi rosso e neri, mentre ai lati e nell’abside vi sono altre piastrelle in cemento con decori policromi. L'altare maggiore è il risultato di alcune modifiche e restauri eseguiti nel corso del Settecento, periodo in cui fu collocata la statua della Madonna con il Bambino Gesù in grembo. La statua è incorniciata dal dipinto dell'Annunciazione ed è copia di uno scomparso originale ligneo. Ai lati due statue cinquecentesche raffiguranti i Santi Pietro e Paolo. La comunità è molto devota alla Madonna e a questa immagine, in particolare poiché le vennero attribuiti dei poteri miracolosi dopo il 1836, quando venne pregata per porre fine all'epidemia di colera. Affiancati al presbiterio due altari, in stile barocco: a sinistra di San Giuseppe )1675) e a destra del Sacro Cuore di Gesù. Entrambi occupano il posto delle piccole absidi in cui terminavano le navate laterali. L'organo della chiesa è stato costruito dalla ditta Agostino Benzi nel 1947. Lo strumento, a trasmissione pneumatico-tubolare, ha 2 tastiere di 61 note e una pedaliera di 30 note. Sul fianco sud della chiesa si trova la cappella invernale, con asse maggiore ortogonale a quello della chiesa. Consiste in un’auletta rettangolare con abside a sviluppo poligonale a cinque lati. Il campanile è addossato al fianco nord del presbiterio. A pianta quadrata, il fusto non ha elementi architettonici di rilievo. Sul finire del XIX secolo alla cella campanaria fu aggiunto un nuovo piano. Su tutti i lati le apertura sono costituite da un doppio ordine di bifore a tutto sesto. La copertura è conica, in laterizio, mentre ai quattro angoli vi sono dei pinnacoli. In alto svetta una croce metallica. Il concerto campanario presente oggi è composto da 6 campane in MI3 montate alla veronese ed elettrificate. Questi i dati del concerto: 1 – MI3 – diametro 1030 mm - peso 595 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 2 – FA#3 – diametro 913 mm - peso 423 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 3 – SOL#3 – diametro 825 mm – peso 308 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 4 – LA3 – diametro 765 mm - peso 249 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 5 – SI3 – diametro 685 mm - peso 173 kg - Fusa nel 1889 da Cavadini di Verona 6 – DO#4 - diametro 661 mm - peso 189 kg - Fusa nel 1999 da De Poli di Revine Lago (TV). Il celebre suonatore e maestro di campane alla veronese Pietro Sancassani ricorda che sulla torre erano presenti tre campane di Selegari fuse nel 1836. Dino Coltro, Colognola ai Colli. Storia Memoria Immagine, Venezia, Arsenale Editrice, 1984, ISBN non esistente. Umberto Tessari, Santa Maria della Pieve, Verona, Novastampa, 1984, ISBN non esistente. Sancassani Pietro, Le mie campane. Storia di un’arte e di una tradizione del Millenovecento, a cura di Rognini Luciano, Sancassani Laura, Tommasi Giancarlo, Verona, Offset Print Veneta, 2001. Giuseppe Franco Viviani (a cura di), Chiese nel veronese, Verona, Vago di Lavagno, Società Cattolica di Assicurazione - La Grafica Editrice, 2004. Colognola ai Colli Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su santuario di Santa Maria della Pieve Santuario Madonna della Pieve , su parrocchie.it. comunecolognola.it, http://www.comunecolognola.it/opencms/cmsinternaente.act?dir=/opencms/opencms/VREST/ColognolaAiColli/Vivere/Parrocchie/.