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Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico G. Rodolico - San Marco

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L'Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico G. Rodolico - San Marco" è un'azienda sanitaria pubblica con sede a Catania che raggruppa i presidi ospedalieri "San Marco” e "Gaspare Rodolico”. L'Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico « Gaspare Rodolico - San Marco » di Catania viene istituita nel 2009, risultato dell'accorpamento di cinque Enti nati nel corso di otto secoli di attività. Le origini del nosocomio coincidono con quelle dell'Ospedale San Marco, istituito nel XIV secolo per decisione del Senato catanese. Verso la fine del XIX secolo, l'Ospedale San Marco venne trasferito in un nuovo complesso edilizio realizzato in stile architettonico eclettico-liberty, costruito su un ampio terreno appartenuto ai monaci benedettini, situato proprio nei pressi del Monastero di San Nicolò l'Arena. L'Ospedale civico Vittorio Emanuele - così intitolato a nome di Vittorio Emanuele II di Savoia, primo Re d'Italia - fu inaugurato nel 1881, e dotato di molti reparti, di istituti chimici, di padiglioni di isolamento, di attrezzature idonee ad una grande e moderna struttura. Nel 1956 fu inaugurato un nuovo padiglione che ospitava il reparto di maternità. Dopo l'istituzione del Servizio sanitario nazionale attraverso la legge 23 dicembre 1978, n. 833, con cui i servizi sanitari divenivano totalmente a carico statale, e la creazione delle unità sanitarie locali (USL), l'OVE venne inserito nella USL n. 35 Catania assieme ai presidi ospedalieri Ferrarotto Alessi, Santa Marta e Santo Bambino. Nel 1995 i quattro presidi ospedalieri facente parte dell'USL n. 35 Catania, vennero accorpati in un'unica entità amministrativa denominata Azienda Ospedaliera Vittorio Emanuele-Ferrarotto-Santo Bambino, come stabilito dalla legge regionale n. 34 dell'11 aprile 1995. Nel 2009 un protocollo d'intesa stipulato tra la Regione Sicilia e l'Università degli Studi di Catania, e la successiva approvazione del decreto assessoriale n. 1759 del 31 agosto 2009, portarono alla costituzione dell'Azienda Ospedaliero - Universitaria "Policlinico - Vittorio Emanuele'', che oltre ai presidi ospedalieri dell'Azienda Ospedaliera Vittorio Emanuele-Ferrarotto-Santo Bambino, comprende anche il policlinico universitario Azienda Ospedaliero-Universitaria "Policlinico G. Rodolico". Istituito come sanatorio per l'assistenza dei malati poveri di tubercolosi polmonare nel 1905 per iniziativa del comm. Antonino Ferrarotto Alessi, presidente dell'Ospedale Vittorio Emanuele, che donò 80.000 lire per la sua realizzazione. Entrato in funzione nel 1911, primo direttore fu il professor Maurizio Ascoli, dimessosi nel 1913. Nel 1974 venne realizzato un nuovo padiglione che ospitò un reparto specializzato per le grandi ustioni, il primo in tutta l'Italia meridionale. Successivamente, il presidio venne potenziato con l'inaugurazione delle unità operative di anestesiologia e di cardiochirurgia, e dell'Istituto di Chirurgia Cardiaca dell'Università di Catania. Nel 2013 all'Ospedale Ferrarotto è stata effettuata un'operazione chirurgica di impianto di valvola cardiaca transcatetere, la prima in assoluto in un ospedale italiano. L'Ospedale dei Santi Marta, Maddalena e Lazzaro fu fondato nel 1755 per opera dei sacerdoti don Pietro Finocchiaro e don Domenico Rosso dei baroni di San Giorgio, e sorse nell'abitazione del primo come lazzaretto per la cura dei malati incurabili. L'istituzione si reggeva inizialmente con mezzi privati e dai proventi della questua. Nel 1759 su commissione del Rosso, fu fatta costruire a sue spese la nuova sede su progetto dell'architetto Antonio Battaglia, accanto alla Chiesa di Santa Marta, situata al Monte Vergine. Nel 1825 la reggenza dell'ospedale fu affidata a frà Cesare Borgia (1776-1837), commendatore dell'Ordine del Santo Sepolcro, fuggito da Malta a seguito dell'occupazione napoleonica dell'isola. Il Borgia fece ricostruire l'edificio dell'ospedale danneggiato dal terremoto del 1818, e vi costruì inoltre una sala anatomica per l'insegnamento libero di Euplio Reina. Essendo questi direttore dell'Accademia Gioenia, da allora iniziarono le collaborazioni con quest'ultimo ente, e dal 1840 all'interno dell'ospedale si svolgevano lezioni di clinica chirurgica dell'Università di Catania. Con Regio Decreto n. 1705 emanato il 30 novembre 1931, viene stabilita la fusione tra l'Ospedale di Santa Marta e l'Ospedale Villermosa, dando così origine ad un unico ente ospedaliero denominato Ospedali riuniti di Santa Marta e Villermosa. L'Ospedale Villermosa, fu fondato nel 1858, per volontà testamentaria rilasciata da Emilio Tedeschi, barone di Villermosa, a cui destinava una rendita annua di onze 600 elevabili a 800. Nel dopoguerra, il nosocomio subì degli interventi edilizi che ne modificarono la facciata principale, e fu gradualmente trasformato in clinica per la cura di malattie oftalmiche. Fu istituito come opera pia nel 1776, per opera del religioso Francesco Giuffrida Nicotra, canonico della Collegiata, sotto il nome di Reclusorio del Santo Bambino, che sorgeva in via dello Stazzone, per ospitare donne nubili in stato di gravidanza, catanesi e forestiere, permettendo loro di partorire segretamente, e per assistere e nutrire gli esposti. L'opera era finalizzata soprattutto alla prevenzione dell'aborto e dell'infanticidio. Fu uno dei primi ospedali per bambini illegittimi sorti in Europa, ed eretto in ente morale il 3 agosto 1782, venne trasferito in uno stabilimento fatto edificare dal sacerdote Vincenzo Scammacca Paternò Castello dei baroni della Bruca, attiguo ad una chiesa, nel quartiere catanese dell'Antico Corso, nell'odierna via Plebiscito, e grazie anche all'apporto dei canonici Giuseppe Florio e Pietro Paolo Mazza. Il reclusorio subì un ulteriore ingrandimento nel XIX secolo grazie alle successive donazioni fatte dalla nobildonna Eleonora Statella, ma soprattutto da Giovanni Paternò Castello Asmundo, barone di Bicocca, che con testamento fatto il 12 giugno 1835, lasciò l'intera eredità all'istituto. Con l'eredità del Barone di Bicocca, al Santo Bambino venne incorporato la Pia Opera delle Ree pentire, un'istituzione assistenziale per quelle donne che, dopo il parto, intendevano rimanervi a servizio. Il Reclusorio venne aggregato all’Ospedale Vittorio Emanuele II nel 1890, conservando un'amministrazione separata. Divenuto Ospedale di Maternità Santo Bambino, nel 1957, a seguito di lavori di ampliamento e di costruzione di nuovi padiglioni, fu inaugurata la nuova clinica ostetrica, e con essa un centro per la lotta contro la sterilità, e da allora fu ente ospedaliero autonomo. Nel 1970, la struttura viene ulteriormente ampliata con l'inaugurazione di un nuovo padiglione (destinato alle madri nubili e vedove bisognose), e successivamente dichiarato ente ospedaliero provinciale specializzato di ostetricia e ginecologia con decreto della Regione Sicilia nel 1971. Policlinico universitario, è sorto a seguito del progetto della Città Universitaria di Catania, la cui ubicazione sulla collina di Santa Sofia venne scelta da Luigi Piccinato, consulente del Comune di Catania e collaboratore dell'Università degli Studi di Catania, i lavori per la sua edificazione ebbero avvio nel 1961, e il complesso in cui ha sede prese forma negli anni Settanta. Nato con il nome Centro Universitario Santa Sofia, e successivamente Azienda Policlinico dell'Università di Catania, dal 1978 ha fatto parte dell'USL n. 34 Catania. Dal 2006 venne ridenominata Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico « Gaspare Rodolico », poiché intitolata al professore Gaspare Rodolico, rettore dell'ateneo catanese dal 1974 al 1994. Nel 2009 è stato aggregato all'Ospedale Vittorio Emanuele, costituendo un'unica azienda ospedaliera. L'AOU Policlinico - Vittorio Emanuele è una struttura sanitaria pubblica integrata con l'Università degli Studi di Catania per la presenza di numerosi insegnamenti e cliniche universitarie, di scuole di specializzazione per medici e di corsi di laurea delle professioni sanitarie della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'ateneo catanese. Serve un importante bacino d'utenza che comprende la popolazione delle cinque province della Sicilia orientale; maggiore ospedale dell'area per dimensioni, al 2017 era dotato di 820 posti letto, di cui 701 per la degenza ordinaria, 119 per le attività di day hospital e 10 per l'attività di riabilitazione. Al 2012 il numero complessivo di dipendenti in servizio era pari a 2.872 unità. Gran parte delle attività dell'AOU Policlinico - Vittorio Emanuele vengono svolte nei presidi ospedalieri "Vittorio Emanuele" e "Gaspare Rodolico". Il primo, ubicato in pieno centro storico in via Plebiscito 628, è dotato di un pronto soccorso generale e pediatrico, ed è sede dell'attività di emergenza-urgenza dell'azienda infatti in essa insistono i reparti di ortopedia, l'UTIC, la chirurgia toracica e diversi reparti di chirurgia generale. Il secondo, ubicato in via Santa Sofia 78 - sede amministrativa dell'AOU - è deputato alla formazione degli studenti e degli specializzandi, e in esso insistono numerose cliniche universitarie e vi convivono specialità di base con alte specialità quali la neurochirurgia e la chirurgia vascolare e dei trapianti. Gli altri tre presidi sono invece di specializzazione: il '"Ferrarotto Alessi" è sede di numerosi reparti di alta specializzazione, quali la cardiochirurgia, la cardiologia interventistica, l'ematologia con trapianto di midollo osseo e l'odontoiatria speciale per pazienti disabili; il "Santo Bambino" è sede del reparto di ostetricia e ginecologia dell'AOU, con attività di ricovero ordinari e in day hospital, e dotato di un pronto soccorso ginecologico; il "Santa Marta" è sede di ambulatori di clinica oculistica. A. Toscano Deodati, L'ospedale di Maternità e la chiesa del S. Bambino in Catania, Catania, Tipografia La Celere, 1950. M. Alberghina, Ospedalità antica in Sicilia. Un millennio di medicina e assistenza sanitaria, Acireale, Bonanno, 2014, ISBN 889695083X. Sito ufficiale, su policlinicovittorioemanuele.it.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico G. Rodolico - San Marco (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

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Giudecca di Catania

La Giudecca di Catania (Judeka in dialetto giudaico-catanese) è stato l'antico quartiere ebraico sorto a ridosso delle mura nell'allora periferia a ovest e a sud della città. La definizione di ghetto è impropria, in quanto la comunità ebraica catanese non era chiusa e isolata in un quartiere, ma più propriamente spalmata in diverse parti della parte occidentale e meridionale della città. La presenza di una giudecca a Catania la si può ipotizzare già a partire dal III-IV secolo, quando cioè appaiono le prime lapidi funebri relative a defunti Ebrei. Una delle più importanti, rinvenuta durante i lavori per la messa in posa di cavi telefonici nel mese di maggio 1929 nella zona est del vecchio abitato presso la chiesa di Santa Teresa, risalirebbe – sulla base dei caratteri latini usati – alla fine del IV secolo. Non esistono fonti relative al periodo seguente, mentre, in un periodo non meglio precisato, la comunità ebraica di Catania si insedia nell'area corrispondente alla pianura detta di Cipriana, dove è presente nel 1235, situato entro le mura di nord-ovest, mentre nel corso del XIV secolo si distribuisce senza soluzione di continuità nella zona a sud, in uno spazio urbano compreso tra la Piana e il Porto, giungendo alle porte della Platea Magna, oggi nell'area di piazza Duomo. La giudecca si dota di due sinagoghe, un ospedale, un macello e persino un cimitero poco fuori le mura, certamente accessibile da una Porta della Judeca, forse situata alla Cipriana. La comunità ebraica di Catania era prevalentemente in affari con il mercato del pesce e come era d'abitudine si affacciava su di un fiume, nel caso catanese sull'Amenano che prese da essi a chiamarsi Judicello propriamente per la presenza della giudecca, adoperato per i bagni rituali delle donne. La presenza ebraica è attestata anche presso le maestranze che lavorarono nella realizzazione del Castello Ursino (1239-1250), come pure dimostrano taluni riferimenti alle simbologie giudaiche impresse dagli operai a decorazione del fortilizio svevo. La giudecca venne quindi spopolata a partire dal 18 giugno 1492 a causa del Decreto dell'Alhambra voluto da Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia che espelleva gli ebrei non convertiti dalla Spagna. L'area, anticamente occupata da una numerosa comunità ebraica, cadde nel totale abbandono e nel degrado, presentandosi nel 1554 in pessime condizioni, quando il Senato civico cedette il territorio della Cipriana ai cassinesi, provenienti dal cenobio nicolosita sull'Etna, insieme a quello « del Parco ». I due quartieri noti si trovavano prevalentemente nella zona a nordovest e a sud della città. Una sorta di linea di demarcazione tra due giudecche distingueva la parte collinare, in posizione più elevata, da quella situata nella parte pianeggiante della città. Il primo quartiere era detto Judeca Soprana (יודקה סופרנה, Iudeka Suprana, Giudecca superiore), o in siciliano Judeca di Susu, e corrispondeva al Piano della Cipriana, quartiere che dopo l'esilio degli Ebrei dalla Sicilia venne acquisito dai Padri Benedettini Cassinesi che nel 1558 iniziarono, alla presenza del viceré di Sicilia Juan de la Cerda, duca di Medinaceli, il primo impianto di quello che sarebbe poi stato il Monastero di San Nicolò l'Arena, il maggiore del Regno. Il quartiere si estendeva tra le attuali via della Cipriana (che è una piccola traversa di via Quartarone, la via che collega piazza Dante Alighieri a via Vittorio Emanuele II), via Maura (che in ebraico significa Moro), piazza Dante Alighieri e il monastero benedettino. In via Sant'Anna era la mezkita di questo quartiere, termine ebraico-medioevale che indicava la sinagoga. Il secondo era invece la Judeca Suttana (יודקה סוטנה, Iudeka Sutana o Giudecca inferiore) detta anche Judeca di Jusu, dov'è oggi la Pescheria: qui infatti dovette pure esserci un grande mercato del pesce. La zona era piuttosto paludosa e talora malsana a causa della presenza del fiume Amenano che qui scorreva a vista e prendeva il nome di Judicello, propriamente a causa della Giudecca. Interessante notare come nella cartografia della Sicilia di XVI e XVII secolo il fiume fosse sempre segnalato con tale nome e mai come Amenano. Era compreso tra le attuali chiesa di Sant'Agata alle Sciare, la Pescheria (più precisamente presso il Pozzo di Gammazita) e via Marano. La sinagoga di questo quartiere era ubicata dov'è oggi la via Recupero, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano. La dislocazione della comunità ebraica si può desumere anche dalla toponomastica: via Marano viene propriamente da marrano ("porco" in spagnolo), cioè il termine dispregiativo riferito agli Ebrei convertiti al Cristianesimo, accusati di continuare a professare il loro culto di nascosto, mentre via Gisira viene dal termine islamico jizia, cioè la tassa che veniva versata per la libertà di culto. Indirettamente invece via Santa Maria della Catena indica la presenza della giudecca: infatti in Sicilia tutti i toponimi che indicano catena e le chiese titolate Santa Maria della Catena sono rispettivamente contrade abitate in quel tempo da giudei e sedi di antiche sinagoghe. Nicolò Bucaria, Sicilia Judaica - guida alle antichità giudaiche della Sicilia, Flaccovio editore, Palermo 1996. Comunità ebraica di Catania Ebraismo Ebraismo in Sicilia Giudecca (quartiere ebraico) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giudecca di Catania Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Giudecca di Catania "Visitando l'Italia ebraica - Sicilia" su E-brei.net Domenico Ventura, «Medici Ebrei a Catania», in M. Alberghina, Medici e medicina a Catania dal Quattrocento ai primi del Novecento, Catania, Giuseppe Maimone Editore, 2001. Catania Judaica di Matilde Russo, 19 agosto 2011, su cataniagiovani.wordpress.com

Monastero della Santissima Trinità (Catania)
Monastero della Santissima Trinità (Catania)

Il Monastero della Santissima Trinità è un edificio settecentesco situato al centro di Catania. Originariamente sede di un convento di clausura femminile, oggi è suddiviso in due aree principali di cui una ospita la Caserma dei Carabinieri del distretto di Piazza Dante, mentre l'altra il Liceo statale Enrico Boggio Lera. L'area occupata dal plesso conventuale originariamente era una insula della Catania romana. Il primitivo monastero della Santissima Trinità era stato fondato nel 1349 grazie alle donazioni di Cesarea Augusta, una nobildonna catanese, originariamente ubicato sulla Luminaria (grossomodo corrispondente all'attuale via Etnea) più ad est, dove oggi è situato il Palazzo dell'Università. Nel periodo in cui l'istituzione fu retta dai Canonici regolari di Sant'Agostino della «Congregazione di Valverde», era soggetta direttamente alla Santa Sede quale filiazione del monastero di Santa Maria di Valverde di Messina. La terminologia Valverde deriva dal nome della casa madre monastero di Valverde nelle Fiandre, in latino Virdis Vallis. Sottoposti alla giurisdizione della casa madre messinese erano i monasteri dell'Ordine in Sicilia, Calabria e Puglia. Sulla nuova area furono eretti nel 1537 il monastero di Santa Maria della Raccomandata (o di Valverde) e la chiesa di San Nicolò dell'Oliva. La primitiva sede fu chiusa nel 1554 e spostata nelle nuove strutture nel 1566, l'edificio era circondato da mura che impedivano alle religiose di uscirne. A metà del XVII secolo, erano censite 26 religiose ed era l'ottava istituzione più popolata della città. Nel 1669 l'edificio fu circondato, rimanendone tuttavia illeso, dalle colate laviche dell'eruzione dell'Etna, l'8 marzo da sud, il 30 aprile da nord. Nella seconda metà del secolo erano censite 34 religiose, ma in seguito al terremoto del Val di Noto dell'11 gennaio 1693 ne morirono 28 (più dell'80%). La sua collocazione centrale permise tuttavia di essere inserito tra i sei edifici religiosi da ricostruire, altre sette istituzioni monastiche cittadine furono abbandonate. L'area delle strutture fu ampliata notevolmente rispetto al nucleo primario e i lavori furono affidati all'architetto Alonzo Di Benedetto, sostituito nel 1735 da Giovanni Battista Vaccarini, che contribuì notevolmente a dare alla città il caratteristico aspetto barocco, e dieci anni più tardi a Francesco Battaglia che si occupò prevalentemente della chiesa. Negli anni trenta del Settecento il monastero si ripopolò fino ad ospitare 22 religiose, che continuarono ad osservare una rigida clausura, interrotta solo in occasione della festa del Santo Chiodo il 14 settembre. Nel corso della ricostruzione, si procedette a creare degli spazi che furono adibiti ad abitazioni e negozi e quindi affittati a terzi ricavandone proventi. Nel 1861 il livello della via Vittorio Emanuele II (all'epoca «Strada Reale») su cui il convento si affaccia, fu abbassato e le abitazioni si ritrovarono un piano più in alto rispetto alla sede stradale; si procedette quindi ad un'ulteriore ristrutturazione per rendere accessibili tutte le aree dell'edificio. Il 30 luglio 1866, con l'emanazione delle leggi eversive e conseguente confisca dei beni ecclesiastici da parte del Regno d'Italia, il monastero della Santissima Trinità fu chiuso. Inizialmente fu assegnato al Provveditorato agli Studi, che ne fece un convitto femminile. Successivamente, la struttura ospitò la sede dello stesso provveditorato. Nell'ottobre 1923 divenne la sede del liceo scientifico "Principe Umberto". Il 1º ottobre 1967 il liceo fu trasferito nel quartiere Cibali e le classi rimaste nell'ex monastero formarono il Secondo Liceo Scientifico, poi ribattezzato Liceo Scientifico Statale "Enrico Boggio Lera". AA. VV., Boggio Lera. La tradizione di un liceo, Tipolito C. Marino, Catania 2001. S. Barbera, Recuperare Catania, Palermo 1998. S. Boscarino, Sicilia Barocca. Architettura e città, 1610-1760, Roma 1981. S. Boscarino, Vicende urbanistiche di Catania, Catania 1966. P. Castorina, Cenno storico sui Monasteri catanesi, Catania 1884. G. Dato, La città di Catania, forma e struttura, Roma 1983. J. B. De Grossis, Catanense Decachordum..., Catania 1642-47. L. Dufour, 1693. Catania, rinascita di una città, Catania 1992. F. Fichera, G.B. Vaccarini e l'architettura del Settecento in Sicilia., Roma 1934. V. Librando, Francesco Battaglia, architetto del XVIII secolo, Catania 1963. A. Longhitano, Le relazioni ad limina della Diocesi di Catania, Catania 1983-89. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su monastero della Santissima Trinità Maria Teresa di Blasi, Il Filo d'Arianna - Chiesa della SS. Trinità, Catania 1997.

Chiesa della Santissima Trinità (Catania)
Chiesa della Santissima Trinità (Catania)

La chiesa della Santissima Trinità è un edificio di culto cattolico di Catania, sito in via Vittorio Emanuele II nel quartiere Santissima Trinità. Dal 2002 è riconosciuto, all'interno del sito seriale Città tardo barocche del Val di Noto del sud-est della Sicilia, Patrimonio dell'umanità da parte dell'UNESCO. Le fonti del primitivo aggregato risalgono al 1349. I lavori per la realizzazione della chiesa della Trinità furono iniziati nel 1746 e conclusi cinque anni dopo. La facciata si attribuisce a Francesco Battaglia, e si presenta tripartita ad ingresso unico, concava nella sua parte centrale. Preceduto da una scalinata in pietra lavica, il portone d'ingresso è decorato da due figure che sono rivolte verso l'Occhio di Dio posto al centro. Nel secondo ordine si aprono tre finestroni separati da colonne. Il terzo registro è formato invece da due torrette quadrangolari chiuse a cupoletta. Il portale d'ingresso è stato abbassato in seguito alla livellazione delle strade del 1861 e la sala centrale è stata raccordata all'atrio con una doppia rampa di scale. Anche l'ingresso laterale, sulla via Quartarone, è stato chiuso per la stessa ragione, così se ne ricavò una nicchia per un altare dedicato al Crocifisso, decorato da notevoli statue in ceramica di fine Settecento. All'interno, sopra l'ingresso, fu ricavata una elegante cantoria dorata e finemente decorata. La pianta ellissoidale riprende il tema borrominiano del San Carlo alle Quattro Fontane, lezione acquisita nella "rinascita catanese". Sul fondo il presbiterio è a pianta rettangolare e la sua presenza crea nell'ambiente un effetto di fusione spaziale tra elementi curvi ed elementi lineari. Le opere pittoriche ivi custodite sono di notevole pregio artistico. Sugli altari di destra si possono vedere tele del Sozzi (il Battesimo di Gesù, primo altare) e di Sebastiano Conca (la Madonna che appare a san Giovanni Evangelista nell'isola di Patmos, datata 1756 e collocata sopra il secondo altare). A sinistra ancora una Crocefissione e La Trinità appare a san Benedetto (datata al 1756) del Sozzi. Monastero femminile dell'Ordine benedettino sotto il titolo della «Santissima Trinità». (IT) Francesco Ferrara, "Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII", Catania, 1829. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa della Santissima Trinità

Chiesa di Sant'Euplio
Chiesa di Sant'Euplio

La Chiesa di Sant'Euplio era un luogo di culto di Catania nel quartiere "Porta di Aci", di fronte quello di "Sant'Euplio ad Martyres", distrutta dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Oggi rimangono in piedi il transetto e la parete di destra dell'unica navata del vecchio edificio, che si è ricostruito ed inaugurato verso il 1964 in un'altra zona della città, nel quartiere "Petriera". La chiesa, dedicata al compatrono della città, venne costruita nel 1548 sull'area occupata in precedenza da un tempio paleocristiano. Apparteneva alla Confraternita di Sant'Euplio, che nel 1598 la affidò ai Frati Cappuccini e costoro nel 1606 ai Frati Minori Francescani. Questa chiesa era segnalata nelle stampe cinquecentesche, originate dal rilievo della città "a volo d'uccello" dei cartografi Frans Hogenberg e Georg Braun e nell'opera dell'architetto Sebastiano Ittar se ne può vedere pure il rilievo planimetrico. L'edificio sacro appare in quest'ultimo lavoro con ingresso ad occidente, a navata unica e con un profondo presbiterio segnato da un arco trionfale. L'edificio di culto ebbe la fortuna di reggere al Terremoto del Val di Noto del 1693. Questo luogo sacro, invece, non resse quando l'8 luglio 1943 fu colpito in pieno da uno degli ordigni lanciati in quell'anno durante l'attacco aereo degli Alleati della Seconda guerra mondiale. Le uniche due pareti di questo ex luogo di culto rimaste intatte, quella settentrionale e quella occidentale, vennero risparmiate dalla ricostruzione post-bellica, mentre venne ripavimentato in cotto siciliano il suolo su cui si estendeva l'ex chiesa. Nel presbiterio del sito dell'ex edificio di culto sono stati appesi dodici calchi in rilievo con le immagini degli Apostoli, realizzati nel 1887, che originariamente erano destinate al Cimitero monumentale di Catania e che sono dal 1978 esposte definitivamente sulla parete occidentale dell'ex chiesa. Nel 1964 venne inaugurata la nuova chiesa a sud di piazza Maria Montessori, nel quartiere "Petriera", che si andava urbanizzando proprio in quegli anni: questo luogo di culto fu realizzato ex novo in questo sito su progetto dell'architetto Giacomo Leone. Sulla base della già citata planimetria dell'Ittar, degli esigui resti e sull'unica descrizione accurata antecedente al 1943 ad opera di Giuseppe Rasà Napoli, possiamo ipotizzare l'aspetto che dovette avere la chiesa prima della sua distruzione. L'altare maggiore doveva essere affrescato con immagini dei "santi Euplio e Antonio innanzi al trono di Maria con un coro di angioli, i quattro Evangelisti, l'Apoteosi di sant'Euplio, la predicazione dello stesso santo" ed era ornato da semi-colonne con capitelli di stile corinzio, ancora oggi visibili. La chiesa disponeva poi di due altari laterali che erano affrescati; quello di destra aveva una "predicazione di sant'Antonio Abate nel deserto" di Tullio Allegra, mentre quello di sinistra rappresentava un "santissimo Crocifisso senza simulacri ma con gli Angioli della passione" dello stesso Allegra. Il prospetto verso occidente era in pietra calcarea e sull'unica porta vi erano come decorazioni una mitra poggiata su un libro chiuso e un pastorale con un campanello legatovi, i quali costituiscono i simboli di sant'Antonio Abate, e un libro aperto il quale è invece il segno distintivo di sant'Euplio. All'ingresso, sul lato sinistro del pavimento, era una botola che conduceva ai locali sottostanti di epoca romana. La botola venne definitivamente tolta e venne realizzata la prosecuzione della scaletta in muratura che conduce ancora all'ambiente ipogeo ornato da pitture un tempo leggibili e da diverse nicchie laterali, caratterizzato da un altare costituito da un capitello di epoca romana, ipotizzato dalla tradizione quale il luogo della prigionia del santo, ipotizzato come sepolcro da diversi studiosi e certamente luogo di culto in età tardo-antica. Al locale si accede ancora in occasione dei riti religiosi per la data del martirio di sant'Euplio, il 12 agosto. Per tale data si effettua anche la messa celebrativa al santo nei resti della chiesa superiore. Giuseppe Rasà Napoli, Guida alle chiese di Catania, Catania, Tringali editore, 1984 (ristampa anastatica del 1900). Maria Teresa Di Blasi, Il Filo di Arianna - Chiesa di S. Euplio Monumento funerario romano (ipogeo), Catania, Maimone editore, 1997. URL consultato il 1º febbraio 2012 (archiviato dall'url originale il 10 luglio 2013). Via Sant'Euplio Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Euplio