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La fiducia in Dio

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Lorenzo Bartolini (1877 1850) Fiducia in Dio (1833)
Lorenzo Bartolini (1877 1850) Fiducia in Dio (1833)

La fiducia in Dio è una statua in marmo bianco a grandezza naturale del 1833 dello scultore toscano Lorenzo Bartolini (1777-1850), conservata al Museo Poldi Pezzoli di Milano. La scultura marmorea fu commissionata dalla marchesa Rosina Trivulzio (1800-1859), già ritratta nel 1828 dal Bartolini in un busto-ritratto ancora oggi conservato al Museo Poldi Pezzoli, alla morte del marito Giuseppe Poldi Pezzoli d'Albertone (1768-1833). Prima di essere consegnata alla sua committente, la statua fu esposta a Firenze, a Parma e, nel 1837, all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Dell'opera esiste una copia al Museo dell'Ermitage (commissionata dalla principessa Zinaida Jusupova) e una al Museo nazionale d'arte dell'Azerbaigian; il gesso preparatorio è conservato al Museo di Palazzo Pretorio a Prato. Nel 1835, l'opera venne vista dal poeta Giuseppe Giusti e ispirò un suo sonetto omonimo. Già il bozzetto preparatorio fu di ispirazione ad Alessandro Franceschi per il Monumento Tinti, nel Cimitero monumentale della Certosa di Bologna, eseguito tra il 1833 e il 1834. La donna chiese all'artista di rappresentare il suo dolore e la sua devozione a Dio dopo la morte del marito, perciò Bartolini decise di rappresentarla come una giovane nuda, con i capelli raccolti in uno chignon, accasciata e con le mani intrecciate strette in grembo in segno di profonda e pia preghiera. La bocca è socchiusa e gli occhi sono rivolti verso l'alto, in segno di profonda devozione. La linea è sinuosa e armonica. La statua rappresenta esattamente il concetto di bello naturale, che per Bartolini era di fondamentale importanza. L'idea della posa fu ispirata da una modella che si riposava dopo una sessione di posa. La scultura, che è stata accostata alla Maddalena penitente di Antonio Canova, traduce a livello artistico il lutto doloroso provato dalla marchesa Trivulzio divenuta vedova. La nudità totale della donna rappresenta la purezza dell'amore che la legava al coniuge defunto e simboleggia come la morte di quest'ultimo l'avesse lasciata "nuda" di fronte alla separazione brutale. Il corpo segue una curva ad S che parte dalla punta dei piedi e culmina del capo della donna. Il busto sinuoso si inarca ammorbidendo l'asse verticale della statua e ripiegandosi in un abbandono morbido. La composizione presenta una centralità nelle mani intrecciate in segno di devozione. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su La fiducia in Dio

Estratto dall'articolo di Wikipedia La fiducia in Dio (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

La fiducia in Dio
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Lorenzo Bartolini (1877 1850) Fiducia in Dio (1833)
Lorenzo Bartolini (1877 1850) Fiducia in Dio (1833)
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Museo Poldi Pezzoli
Museo Poldi Pezzoli

Il Museo Poldi Pezzoli è una casa museo situata nella centrale via Manzoni a Milano; fu creato dal conte Gian Giacomo Poldi Pezzoli (1822-1879) che, mediante disposizione testamentaria del 1871, aveva provveduto a costituire una Fondazione artistica Poldi-Pezzoli che raccogliesse in perpetuo le opere d’arte da lui stesso collezionate e che si trovassero nell'abitazione all'epoca della sua morte. La fondazione autonoma venne poi eretta in Ente morale con Regio Decreto nel 1887. Il museo, a pochi passi dal Teatro alla Scala, è ospitato all'interno di Palazzo Moriggia Della Porta, poi Poldi-Pezzoli, acquistato nel 1800 dai precedenti proprietari marchesi Moriggia. Il museo fa parte del circuito delle "Case Museo di Milano" ed espone opere di numerosi artisti, fra i quali Perugino, Piero della Francesca, Sandro Botticelli, Antonio Pollaiolo, Giovanni Bellini, Michelangelo Buonarroti, Pinturicchio, Filippo Lippi, Andrea Mantegna, Jacopo Palma il Vecchio, Francesco Hayez, Giovanni Battista Tiepolo, Alessandro Magnasco, Jusepe de Ribera, Canaletto, Lucas Cranach il Vecchio e Luca Giordano. La madre del conte Gian Giacomo Poldi Pezzoli, Rosa Trivulzio, figlia del principe Gian Giacomo Trivulzio, era di nobile famiglia di letterati protagonisti dei salotti del Neoclassicismo milanese, frequentati anche da poeti e letterati fra i quali Vincenzo Monti e Giuseppe Parini. Alla morte del marito Giuseppe Poldi-Pezzoli (1833) Donna Rosa si occupò dell'educazione del figlio Gian Giacomo, nato nel 1822, e all'ampliamento della già cospicua collezione di famiglia. Ereditati palazzo e patrimonio alla maggiore età (raggiunta, secondo la legge austriaca dell'epoca, a 24 anni, nel 1846), il conte Gian Giacomo ampliò ulteriormente la collezione di famiglia acquistando armi e armature, in quel periodo molto richieste come oggetti da collezione. Durante il 1848 sostenne i moti rivoluzionari con grande passione e al ritorno degli austriaci fu multato ed esiliato. Per oltre un anno viaggiò in Europa incontrando altri collezionisti e visitando numerose mostre, tra cui le prime esposizioni internazionali. Già nel 1846 Gian Giacomo aveva iniziato i lavori necessari a ricavare un appartamento proprio, distinto da quello della madre, che impronterà alla moda del momento basata sull'eclettismo degli stili: Barocco, primo Rinascimento, stile trecentesco trovano spazio proprio nelle diverse stanze dell'appartamento, che venne apprezzato e visitato tanto dal pubblico quanto dagli artisti dell'epoca. Le sale vennero concepite come contenitori di una serie di opere d'arte antica e ideate per accogliere quadri e arredi, più come una moderna galleria d'arte, che una vera e propria casa improntata alla dimensione privata e personale. Fu una sala del primo piano ad essere per prima adattata per ospitare l'armeria, sotto la direzione dell'architetto Giuseppe Balzaretto e dello scenografo Filippo Peroni. Fu completata nel 1850 in stile neogotico, e fu seguita dalla stanza da letto, il cui allestimento fu ispirato invece al manierismo lombardo. Le opere di decorazione e allestimento delle altre sale (a partire dallo Studiolo Dantesco, 1853-56) furono affidate a Giuseppe Bertini, pittore e docente all'Accademia di Brera, a Giuseppe Speluzzi, ebanista e bronzista, e al pittore Luigi Scrosati. I lavori interessarono poi la Sala Gialla, la Sala Nera e lo scalone monumentale (completato nel 1857 e arricchito in seguito da una fontana in stile barocco). Sempre sensibile ai contributi di artisti e pensatori provenienti da tutta Europa, che spesso ospitava, Poldi-Pezzoli spaziava negli interessi dall'armeria alla pittura , dai tessuti e arazzi, dai vetri alle ceramiche, dalle oreficerie alle arti applicate. La collezione è divenuta dagli anni settanta un punto di riferimento sia in Italia che all'estero. Gian Giacomo Poldi Pezzoli morì nel 1879 all'età di 57 anni: l'amministrazione e la direzione furono affidate dal conte all'amico professor Bertini, allora direttore della Pinacoteca di Brera, che accrebbe la raccolta con diversi acquisti soprattutto di dipinti e tessuti. L'inaugurazione del nuovo museo avvenne il 25 aprile 1881 in concomitanza con l'apertura dell'Esposizione Nazionale (6 maggio). Alla morte del Bertini avvenuta nel 1898, per disposizione testamentaria la direzione del Museo venne affidata al presidente dell'Accademia di Belle Arti di Brera, carica allora ricoperta dall'architetto Camillo Boito (1836-1914). Nel corso della seconda guerra mondiale, durante il bombardamento di Milano dell'agosto 1943, il palazzo che ospita il museo fu gravemente danneggiato e molti degli arredi originali delle stanze andarono distrutti. Fortunatamente le opere d'arte erano state messe al sicuro in precedenza. Dopo la ricostruzione il museo riaprì nel 1951. L'armeria del Poldi Pezzoli è stata riallestita nel 2000 secondo un progetto dello scultore Arnaldo Pomodoro. Tra le sculture degna di nota è La fiducia in Dio, capolavoro di Lorenzo Bartolini, e l'opera d'intaglio lo Sposalizio della Vergine di Giovanni Angelo Del Maino. Federica Armiraglio, Museo Poldi Pezzoli, Milano, Milano, Skira, 2006, ISBN 978-88-6130-119-1. Case Museo di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo Poldi Pezzoli Sito ufficiale, su museopoldipezzoli.it. (EN) Museo Poldi Pezzoli, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Museo Poldi Pezzoli, su CulturaItalia, Istituto centrale per il catalogo unico. Museo Poldi Pezzoli, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.

Chiesa di San Pietro in Cornaredo
Chiesa di San Pietro in Cornaredo

La chiesa di San Pietro in Cornaredo, appellata anche San Pietro con la rete, era una chiesa di Milano. Situata nell'attuale via Manzoni, fu demolita nel 1787. Incerta è la forma corretta dell'appellativo della chiesa: se Paolo Rotta sostiene che la forma originaria fosse "con la rete", in conformità alla tradizione evangelica che descrive San Pietro Apostolo come pescatore, e corrotto "in Cornaredo", Serviliano Latuada sostiene esattamente la teoria opposta citando dei documenti redatti dall'allora arcivescovo di Milano Gabriele Sforza: ad ogni modo la chiesa pare essere già citata da Bonvesin de la Riva nel XIII secolo. La chiesa nelle sue forme originali aveva una pianta rettangolare divisa in tre navate sorrette da sedici colonne in pietra ed una cappella decorata: in una delle sue visite, il cardinale Carlo Borromeo ne decretò il rifacimento, che sarebbe stato compiuto molti anni dopo su progetto del Richini. La ricostruita chiesa aveva forma ottagonale e aveva tre cappelle: l'interno era quasi interamente decorato da marmi pregiati. Esistevano infine due portali interni alle chiesa che conducevano rispettivamente alla sacrestia e alla casa parrocchiale, entrambe ornate in cima con due medaglioni affrescati con la testa di San Pietro e di San Paolo. Serviliano Latuada, Descrizione di Milano, vol. 5, Milano, 1738. Paolo Rotta, Passeggiate storiche, ossia Le chiese di Milano dalla loro origine fino al presente, Milano, 1891. Chiese di Milano Chiese scomparse di Milano

Casa Porro-Lambertenghi
Casa Porro-Lambertenghi

Palazzo Porro-Lambertenghi è un palazzo ottocentesco di Milano, in stile neoclassico. Storicamente appartenuto al sestiere di Porta Comasina, si trova in via Monte di Pietà al civico 15. Il palazzo, realizzato nei primissimi anni dell'Ottocento su progetto del Canonica, si sviluppa su quattro piani fuori terra, dei quali il pian terreno è caratterizzato per il rivestimento a bozze di granito rosa. All'interno è presente un portico con doppio colonnato, nel cui cortile si sarebbe trovato al tempo un monumento, realizzato dal Thorvaldsen. L'edificio è particolarmente noto a Milano per diversi aspetti: nel 1818 il palazzo venne illuminato grazie ad un'apparecchiatura importata dall'Inghilterra dallo stesso Luigi Porro Lambertenghi, a riguardo della quale l'anno precedente l'amico Silvio Pellico aveva tradotto in italiano il trattato pratico sopra il gas illuminante di Friedrich Accum. Tale sperimentazione - nelle intenzioni del Porro-Lambertenghi - avrebbe dovuto trovare applicazione su vasta scala a Milano, in modo da garantire un vero e proprio servizio pubblico; tuttavia il progetto venne stroncato dalle autorità austriache. Sempre qui, nel 1818, venne redatta la prima copia del Conciliatore. Casa Porro-Lambertenghi in quegli anni era diventata infatti il luogo di ritrovo di una cerchia di intellettuali e pensatori del tempo, fra cui il Silvio Pellico (primo precettore del figli di Luigi Porro Lambertenghi) e il Confalonieri (vicino e amico). Oltre a questi altri nomi illustri che ruotavano attorno a questa casa furono il Berchet, il Thorvaldsen e lo stesso Lord Byron. A partire dal 1819 la casa diventa inoltre la sede di una scuola di mutuo insegnamento, detta di Sant'Agostino, volta all'alfabetizzazione delle masse in vista di un possibile risveglio di una coscienza nazionale. Questo forte attivismo politico da parte del Porro-Lambertenghi gli costò la condanna a morte da parte delle autorità austriache, poi evitata con l'esilio: in questa casa, fra le altre cose, il 13 ottobre 1820 era stato arrestato proprio l'amico Silvio Pellico, come ricordato ancora oggi da una lapide. Il palazzo venne danneggiato lievemente nel corso dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale, ma subito restaurato al termine del conflitto. Giacomo Carlo Bascapé, I palazzi della vecchia Milano, Hoepli, Milano, 1945 - p. 193 Paolo Mezzanotte, Giacomo Carlo Bascapé, Milano, nell'arte e nella storia, Bestetti, Milano, 1968 (1948) - p. 439 Livia Negri, I palazzi di Milano, Newton & Compton, Milano, 1998 - pp. 247–248 Ville e palazzi di Milano Sestiere di Porta Comasina Luigi Porro Lambertenghi Silvio Pellico Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Casa Porro-Lambertenghi Comune di Milano - Sestiere di Porta Comasina (palazzi) (PDF), su comune.milano.it. LombardiaBeniCulturali - Casa Porro-Lambertenghi, Milano, su lombardiabeniculturali.it.

Palazzo Arese-Bethlen
Palazzo Arese-Bethlen

Palazzo Arese-Bethlen era un palazzo storico di Milano situato in via Monte di Pietà al civico 11. Il palazzo risale al 1828 quando il conte Francesco Arese Lucini commissionò il palazzo a Pelagio Palagi: il palazzo anche per l'epoca situato in pieno centro fu costruito sull'ampio giardino del soppresso monastero di Sant'Agostino Neri; Successivamente alla morte del conte Arese il palazzo fu venduto alla famiglia ungherese dei Bethlen. Proprio per via della posizione molto centrale del palazzo e del suo vasto giardino, questo fu progressivamente lottizzato e venduto come spazi destinati all'edificazione: abbandonato come residenza dai Bethlen il palazzo fu diviso in appartamenti più piccoli, fino a quando, colpito dai bombardamenti alleati su Milano fu demolito nel 1943, nonostante questi avessero coinvolto solo la parte centrale del palazzo e non le vaste ali laterali. Il palazzo presentava al centro del fronte un cortile d'onore che dava sul corpo centrale, che presentava un pian terreno in bugnato sormontato dagli ordini superiori scanditi da lesene che reggevano un frontone triangolare. Le finestre del piano nobile si presentavano architravate con timpani triangolari, mentre quelle al secondo piano erano decorati da semplici cornici. La stessa decorazione era ripresa nella ali del palazzo. Mazzocca, Fernando. Francesco Teodoro Arese Lucini, Un Mecenate Milanese Del Risorgimento. Arte Lombarda, Nuova Serie, no. 83 (4) (1987): 80-96. Comune di Milano, Contributo a una bibliografia dei palazzi privati di Milano dal XIV secolo all'età neoclassica (PDF), su milano.biblioteche.it. URL consultato il 2 marzo 2020. Ville e palazzi di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su palazzo Arese-Bethlen