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Casa Porro-Lambertenghi

Architetture neoclassiche di MilanoPagine con mappePalazzi di Milano
8329 Milano Via Monte di Pietà Palazzo Porro Lambertenghi Foto Giovanni Dall'Orto 14 Apr 2007
8329 Milano Via Monte di Pietà Palazzo Porro Lambertenghi Foto Giovanni Dall'Orto 14 Apr 2007

Palazzo Porro-Lambertenghi è un palazzo ottocentesco di Milano, in stile neoclassico. Storicamente appartenuto al sestiere di Porta Comasina, si trova in via Monte di Pietà al civico 15. Il palazzo, realizzato nei primissimi anni dell'Ottocento su progetto del Canonica, si sviluppa su quattro piani fuori terra, dei quali il pian terreno è caratterizzato per il rivestimento a bozze di granito rosa. All'interno è presente un portico con doppio colonnato, nel cui cortile si sarebbe trovato al tempo un monumento, realizzato dal Thorvaldsen. L'edificio è particolarmente noto a Milano per diversi aspetti: nel 1818 il palazzo venne illuminato grazie ad un'apparecchiatura importata dall'Inghilterra dallo stesso Luigi Porro Lambertenghi, a riguardo della quale l'anno precedente l'amico Silvio Pellico aveva tradotto in italiano il trattato pratico sopra il gas illuminante di Friedrich Accum. Tale sperimentazione - nelle intenzioni del Porro-Lambertenghi - avrebbe dovuto trovare applicazione su vasta scala a Milano, in modo da garantire un vero e proprio servizio pubblico; tuttavia il progetto venne stroncato dalle autorità austriache. Sempre qui, nel 1818, venne redatta la prima copia del Conciliatore. Casa Porro-Lambertenghi in quegli anni era diventata infatti il luogo di ritrovo di una cerchia di intellettuali e pensatori del tempo, fra cui il Silvio Pellico (primo precettore del figli di Luigi Porro Lambertenghi) e il Confalonieri (vicino e amico). Oltre a questi altri nomi illustri che ruotavano attorno a questa casa furono il Berchet, il Thorvaldsen e lo stesso Lord Byron. A partire dal 1819 la casa diventa inoltre la sede di una scuola di mutuo insegnamento, detta di Sant'Agostino, volta all'alfabetizzazione delle masse in vista di un possibile risveglio di una coscienza nazionale. Questo forte attivismo politico da parte del Porro-Lambertenghi gli costò la condanna a morte da parte delle autorità austriache, poi evitata con l'esilio: in questa casa, fra le altre cose, il 13 ottobre 1820 era stato arrestato proprio l'amico Silvio Pellico, come ricordato ancora oggi da una lapide. Il palazzo venne danneggiato lievemente nel corso dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale, ma subito restaurato al termine del conflitto. Giacomo Carlo Bascapé, I palazzi della vecchia Milano, Hoepli, Milano, 1945 - p. 193 Paolo Mezzanotte, Giacomo Carlo Bascapé, Milano, nell'arte e nella storia, Bestetti, Milano, 1968 (1948) - p. 439 Livia Negri, I palazzi di Milano, Newton & Compton, Milano, 1998 - pp. 247–248 Ville e palazzi di Milano Sestiere di Porta Comasina Luigi Porro Lambertenghi Silvio Pellico Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Casa Porro-Lambertenghi Comune di Milano - Sestiere di Porta Comasina (palazzi) (PDF), su comune.milano.it. LombardiaBeniCulturali - Casa Porro-Lambertenghi, Milano, su lombardiabeniculturali.it.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Casa Porro-Lambertenghi (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Casa Porro-Lambertenghi
Via Monte di Pietà, Milano Municipio 1

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20121 Milano, Municipio 1
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8329 Milano Via Monte di Pietà Palazzo Porro Lambertenghi Foto Giovanni Dall'Orto 14 Apr 2007
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Luoghi vicini

Palazzo Arese-Bethlen
Palazzo Arese-Bethlen

Palazzo Arese-Bethlen era un palazzo storico di Milano situato in via Monte di Pietà al civico 11. Il palazzo risale al 1828 quando il conte Francesco Arese Lucini commissionò il palazzo a Pelagio Palagi: il palazzo anche per l'epoca situato in pieno centro fu costruito sull'ampio giardino del soppresso monastero di Sant'Agostino Neri; Successivamente alla morte del conte Arese il palazzo fu venduto alla famiglia ungherese dei Bethlen. Proprio per via della posizione molto centrale del palazzo e del suo vasto giardino, questo fu progressivamente lottizzato e venduto come spazi destinati all'edificazione: abbandonato come residenza dai Bethlen il palazzo fu diviso in appartamenti più piccoli, fino a quando, colpito dai bombardamenti alleati su Milano fu demolito nel 1943, nonostante questi avessero coinvolto solo la parte centrale del palazzo e non le vaste ali laterali. Il palazzo presentava al centro del fronte un cortile d'onore che dava sul corpo centrale, che presentava un pian terreno in bugnato sormontato dagli ordini superiori scanditi da lesene che reggevano un frontone triangolare. Le finestre del piano nobile si presentavano architravate con timpani triangolari, mentre quelle al secondo piano erano decorati da semplici cornici. La stessa decorazione era ripresa nella ali del palazzo. Mazzocca, Fernando. Francesco Teodoro Arese Lucini, Un Mecenate Milanese Del Risorgimento. Arte Lombarda, Nuova Serie, no. 83 (4) (1987): 80-96. Comune di Milano, Contributo a una bibliografia dei palazzi privati di Milano dal XIV secolo all'età neoclassica (PDF), su milano.biblioteche.it. URL consultato il 2 marzo 2020. Ville e palazzi di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su palazzo Arese-Bethlen

Chiesa di Sant'Agostino (Milano)

La chiesa di Sant'Agostino, chiamata in antichità Santa Maria di Vedano, era una chiesa di Milano. Situata in via Monte di Pietà, fu soppressa nel 1798. Notizie del convento si hanno dal 1428 quando per ordine del duca di Milano vennero introdotte nel convento di monache Umiliate otto monache dell'ordine di Sant'Agostino. Ancora nel 1486 in una lettere sempre del duca di Milano viene nominata la chiesa con l'antico nome di "Santa Maria in Vedano". Della soppressa chiesa e monastero non sono noti il destino fino al 1828, quando la vasta area delle ortaglie dell'ex convento venne venduta al conte Francesco Arese Lucini che vi edificò il suo palazzo. La chiesa, di cui non si conoscono le antiche forme, fu completamente rifatta a partire dal Cinquecento: vi era antistante alla chiesa un porticato con colonne di pietra che serviva da ingresso sia alla chiesa sia al monastero. La facciata era stata eretta su disegno di Francesco Maria Richini ed era ornata con "colonne e statue". La chiesa possedeva una cupola retta da quattro grandi colonne di marmo che formavano tra di loro quattro archi. La chiesa presentava tre cappelle: nella maggiore vi era la tela del Nascimento di Gesù Cristo di Giulio Campi, mentre in una delle due cappelle laterali era presente il martirio di Sant'Agata di Panfilo Nuvolone, secondo Carlo Torre iniziato dal Cerano. Serviliano Latuada, Descrizione di Milano, vol. 5, Milano, 1738. Lorenzo Sonzogno, Vicende di Milano rammentate dai nomi delle sue contrade, Milano, 1835. Paolo Rotta, Passeggiate storiche, ossia Le chiese di Milano dalla loro origine fino al presente, Milano, 1891. Chiese di Milano Chiese scomparse di Milano

Chiesa di San Pietro in Cornaredo
Chiesa di San Pietro in Cornaredo

La chiesa di San Pietro in Cornaredo, appellata anche San Pietro con la rete, era una chiesa di Milano. Situata nell'attuale via Manzoni, fu demolita nel 1787. Incerta è la forma corretta dell'appellativo della chiesa: se Paolo Rotta sostiene che la forma originaria fosse "con la rete", in conformità alla tradizione evangelica che descrive San Pietro Apostolo come pescatore, e corrotto "in Cornaredo", Serviliano Latuada sostiene esattamente la teoria opposta citando dei documenti redatti dall'allora arcivescovo di Milano Gabriele Sforza: ad ogni modo la chiesa pare essere già citata da Bonvesin de la Riva nel XIII secolo. La chiesa nelle sue forme originali aveva una pianta rettangolare divisa in tre navate sorrette da sedici colonne in pietra ed una cappella decorata: in una delle sue visite, il cardinale Carlo Borromeo ne decretò il rifacimento, che sarebbe stato compiuto molti anni dopo su progetto del Richini. La ricostruita chiesa aveva forma ottagonale e aveva tre cappelle: l'interno era quasi interamente decorato da marmi pregiati. Esistevano infine due portali interni alle chiesa che conducevano rispettivamente alla sacrestia e alla casa parrocchiale, entrambe ornate in cima con due medaglioni affrescati con la testa di San Pietro e di San Paolo. Serviliano Latuada, Descrizione di Milano, vol. 5, Milano, 1738. Paolo Rotta, Passeggiate storiche, ossia Le chiese di Milano dalla loro origine fino al presente, Milano, 1891. Chiese di Milano Chiese scomparse di Milano

La fiducia in Dio
La fiducia in Dio

La fiducia in Dio è una statua in marmo bianco a grandezza naturale del 1833 dello scultore toscano Lorenzo Bartolini (1777-1850), conservata al Museo Poldi Pezzoli di Milano. La scultura marmorea fu commissionata dalla marchesa Rosina Trivulzio (1800-1859), già ritratta nel 1828 dal Bartolini in un busto-ritratto ancora oggi conservato al Museo Poldi Pezzoli, alla morte del marito Giuseppe Poldi Pezzoli d'Albertone (1768-1833). Prima di essere consegnata alla sua committente, la statua fu esposta a Firenze, a Parma e, nel 1837, all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Dell'opera esiste una copia al Museo dell'Ermitage (commissionata dalla principessa Zinaida Jusupova) e una al Museo nazionale d'arte dell'Azerbaigian; il gesso preparatorio è conservato al Museo di Palazzo Pretorio a Prato. Nel 1835, l'opera venne vista dal poeta Giuseppe Giusti e ispirò un suo sonetto omonimo. Già il bozzetto preparatorio fu di ispirazione ad Alessandro Franceschi per il Monumento Tinti, nel Cimitero monumentale della Certosa di Bologna, eseguito tra il 1833 e il 1834. La donna chiese all'artista di rappresentare il suo dolore e la sua devozione a Dio dopo la morte del marito, perciò Bartolini decise di rappresentarla come una giovane nuda, con i capelli raccolti in uno chignon, accasciata e con le mani intrecciate strette in grembo in segno di profonda e pia preghiera. La bocca è socchiusa e gli occhi sono rivolti verso l'alto, in segno di profonda devozione. La linea è sinuosa e armonica. La statua rappresenta esattamente il concetto di bello naturale, che per Bartolini era di fondamentale importanza. L'idea della posa fu ispirata da una modella che si riposava dopo una sessione di posa. La scultura, che è stata accostata alla Maddalena penitente di Antonio Canova, traduce a livello artistico il lutto doloroso provato dalla marchesa Trivulzio divenuta vedova. La nudità totale della donna rappresenta la purezza dell'amore che la legava al coniuge defunto e simboleggia come la morte di quest'ultimo l'avesse lasciata "nuda" di fronte alla separazione brutale. Il corpo segue una curva ad S che parte dalla punta dei piedi e culmina del capo della donna. Il busto sinuoso si inarca ammorbidendo l'asse verticale della statua e ripiegandosi in un abbandono morbido. La composizione presenta una centralità nelle mani intrecciate in segno di devozione. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su La fiducia in Dio

Museo Poldi Pezzoli
Museo Poldi Pezzoli

Il Museo Poldi Pezzoli è una casa museo situata nella centrale via Manzoni a Milano; fu creato dal conte Gian Giacomo Poldi Pezzoli (1822-1879) che, mediante disposizione testamentaria del 1871, aveva provveduto a costituire una Fondazione artistica Poldi-Pezzoli che raccogliesse in perpetuo le opere d’arte da lui stesso collezionate e che si trovassero nell'abitazione all'epoca della sua morte. La fondazione autonoma venne poi eretta in Ente morale con Regio Decreto nel 1887. Il museo, a pochi passi dal Teatro alla Scala, è ospitato all'interno di Palazzo Moriggia Della Porta, poi Poldi-Pezzoli, acquistato nel 1800 dai precedenti proprietari marchesi Moriggia. Il museo fa parte del circuito delle "Case Museo di Milano" ed espone opere di numerosi artisti, fra i quali Perugino, Piero della Francesca, Sandro Botticelli, Antonio Pollaiolo, Giovanni Bellini, Michelangelo Buonarroti, Pinturicchio, Filippo Lippi, Andrea Mantegna, Jacopo Palma il Vecchio, Francesco Hayez, Giovanni Battista Tiepolo, Alessandro Magnasco, Jusepe de Ribera, Canaletto, Lucas Cranach il Vecchio e Luca Giordano. La madre del conte Gian Giacomo Poldi Pezzoli, Rosa Trivulzio, figlia del principe Gian Giacomo Trivulzio, era di nobile famiglia di letterati protagonisti dei salotti del Neoclassicismo milanese, frequentati anche da poeti e letterati fra i quali Vincenzo Monti e Giuseppe Parini. Alla morte del marito Giuseppe Poldi-Pezzoli (1833) Donna Rosa si occupò dell'educazione del figlio Gian Giacomo, nato nel 1822, e all'ampliamento della già cospicua collezione di famiglia. Ereditati palazzo e patrimonio alla maggiore età (raggiunta, secondo la legge austriaca dell'epoca, a 24 anni, nel 1846), il conte Gian Giacomo ampliò ulteriormente la collezione di famiglia acquistando armi e armature, in quel periodo molto richieste come oggetti da collezione. Durante il 1848 sostenne i moti rivoluzionari con grande passione e al ritorno degli austriaci fu multato ed esiliato. Per oltre un anno viaggiò in Europa incontrando altri collezionisti e visitando numerose mostre, tra cui le prime esposizioni internazionali. Già nel 1846 Gian Giacomo aveva iniziato i lavori necessari a ricavare un appartamento proprio, distinto da quello della madre, che impronterà alla moda del momento basata sull'eclettismo degli stili: Barocco, primo Rinascimento, stile trecentesco trovano spazio proprio nelle diverse stanze dell'appartamento, che venne apprezzato e visitato tanto dal pubblico quanto dagli artisti dell'epoca. Le sale vennero concepite come contenitori di una serie di opere d'arte antica e ideate per accogliere quadri e arredi, più come una moderna galleria d'arte, che una vera e propria casa improntata alla dimensione privata e personale. Fu una sala del primo piano ad essere per prima adattata per ospitare l'armeria, sotto la direzione dell'architetto Giuseppe Balzaretto e dello scenografo Filippo Peroni. Fu completata nel 1850 in stile neogotico, e fu seguita dalla stanza da letto, il cui allestimento fu ispirato invece al manierismo lombardo. Le opere di decorazione e allestimento delle altre sale (a partire dallo Studiolo Dantesco, 1853-56) furono affidate a Giuseppe Bertini, pittore e docente all'Accademia di Brera, a Giuseppe Speluzzi, ebanista e bronzista, e al pittore Luigi Scrosati. I lavori interessarono poi la Sala Gialla, la Sala Nera e lo scalone monumentale (completato nel 1857 e arricchito in seguito da una fontana in stile barocco). Sempre sensibile ai contributi di artisti e pensatori provenienti da tutta Europa, che spesso ospitava, Poldi-Pezzoli spaziava negli interessi dall'armeria alla pittura , dai tessuti e arazzi, dai vetri alle ceramiche, dalle oreficerie alle arti applicate. La collezione è divenuta dagli anni settanta un punto di riferimento sia in Italia che all'estero. Gian Giacomo Poldi Pezzoli morì nel 1879 all'età di 57 anni: l'amministrazione e la direzione furono affidate dal conte all'amico professor Bertini, allora direttore della Pinacoteca di Brera, che accrebbe la raccolta con diversi acquisti soprattutto di dipinti e tessuti. L'inaugurazione del nuovo museo avvenne il 25 aprile 1881 in concomitanza con l'apertura dell'Esposizione Nazionale (6 maggio). Alla morte del Bertini avvenuta nel 1898, per disposizione testamentaria la direzione del Museo venne affidata al presidente dell'Accademia di Belle Arti di Brera, carica allora ricoperta dall'architetto Camillo Boito (1836-1914). Nel corso della seconda guerra mondiale, durante il bombardamento di Milano dell'agosto 1943, il palazzo che ospita il museo fu gravemente danneggiato e molti degli arredi originali delle stanze andarono distrutti. Fortunatamente le opere d'arte erano state messe al sicuro in precedenza. Dopo la ricostruzione il museo riaprì nel 1951. L'armeria del Poldi Pezzoli è stata riallestita nel 2000 secondo un progetto dello scultore Arnaldo Pomodoro. Tra le sculture degna di nota è La fiducia in Dio, capolavoro di Lorenzo Bartolini, e l'opera d'intaglio lo Sposalizio della Vergine di Giovanni Angelo Del Maino. Federica Armiraglio, Museo Poldi Pezzoli, Milano, Milano, Skira, 2006, ISBN 978-88-6130-119-1. Case Museo di Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo Poldi Pezzoli Sito ufficiale, su museopoldipezzoli.it. (EN) Museo Poldi Pezzoli, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Museo Poldi Pezzoli, su CulturaItalia, Istituto centrale per il catalogo unico. Museo Poldi Pezzoli, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.

Monumento a Sandro Pertini
Monumento a Sandro Pertini

Il monumento a Sandro Pertini è un'opera di Aldo Rossi, architetto milanese, inaugurata a Milano nel 1990, su progetto del 1988 e dedicata al settimo presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini. La struttura è collocata all'estremità dell'area pedonale di via Croce Rossa all'incrocio di due importanti strade milanesi, via Monte Napoleone e via Alessandro Manzoni. La struttura è una fontana monumentale formata da un podio chiuso su tre lati da pareti in pietra, la parete di fondo ospita un condotto triangolare dal quale scende acqua fino ad una vasca posta al centro della parete. Il cubo misura otto metri di lato e si basa su un modulo rigoroso di cinquanta centimetri composto da blocchi di marmo di Candoglia grigio rosato, lo stesso del Duomo di Milano, delle dimensioni di 50x25x25 centimetri. Gli altri elementi che compongono il monumento sono realizzati in lega di rame. Il concetto di monumento costituisce per l'architetto un elemento essenziale e permanente nella struttura della città, che si esprime attraverso forme architettoniche archetipiche e che si fa manifesto dell'espressione della volontà collettiva. Il tema del monumento è stato affrontato da Aldo Rossi in due progetti precedenti, il monumento alla Resistenza a Cuneo, progetto non realizzato risalente al 1962 e ideato con Luca Meda e Gianugo Polesello e il monumento ai Partigiani a Segrate del 1965. In entrambi sono presenti gli elementi costitutivi che ritroviamo nel monumento a Pertini, le «poche e profonde cose» (Arduino Cantafora, 1998): volumi definiti, forme elementari e simboliche come il podio e la fontana a condotto triangolare, caratteristiche di un linguaggio che si ripete all'interno delle sue opere. In occasione dell'inaugurazione della linea 3, la Metropolitana Milanese fece dono alla città di Milano del monumento. A partire da quel momento, non ha mai cessato di essere al centro di polemiche da parte di politici, amministrazioni locali e cittadini stessi. Nel 2010 ne è stata proposta la rimozione, che ha visto l'opinione pubblica dividersi tra sostenitori dell'opera e detrattori, seguita da una petizione sottoscritta da un centinaio di artisti e architetti e da articoli comparsi su quotidiani e riviste del settore. Il Comune di Milano, a partire da aprile 2012, ha eseguito il restauro conservativo dell'opera, che ha riguardato il rinnovamento dell'impianto della fontana, il consolidamento e il rifacimento delle sigillature, la pulizia, la protezione e la patinatura finale degli elementi architettonici. Salvatore Farinato e Paolo Portoghesi (a cura di), Per Aldo Rossi ,Venezia, Marsilio, 1998. ISBN 8831771124 Alberto Ferlenga (a cura di), Aldo Rossi. Tutte le opere, Milano, Electa, 1999. ISBN 88-435-7185-0 Paolo Portoghesi, I grandi architetti del Novecento: una nuova storia dell'architettura contemporanea attraverso la personalità e le opere dei protagonisti, Roma, Newton & Compton, 2000. ISBN 8882891054 Aldo Rossi, L'architettura della città, Macerata, Quodlibet, 2011. ISBN 978-88-7462-409-6 Marco Brandolisio, Giovanni Da Pozzo, Massimo Scheurer, Michele Tadini, Aldo Rossi in Italia Settentrionale/Aldo Rossi in northern Italy, Domus, 1998, 805, 103-110 Arduino Cantàfora, Poche e profonde cose/A few Deep Things, Casabella ,1998, 654, 4-7 Fulvio Irace, Talebani a Milano, Abitare, 2001, 405, 240-241 Fulvio Irace, Cubo scaccia cubo, Domus, 2010, 938, 4 Aldo Rossi via Monte Napoleone Sandro Pertini Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monumento a Sandro Pertini http://fondazionealdorossi.org/ https://web.archive.org/web/20100506134948/http://www.darc.beniculturali.it/ita/appuntamenti/mostre/aldo_rossi/index.htm "Spazi pubblici e piazze contemporanee a Milano" (PDF) , su fondazione.ordinearchitetti.mi.it. "Moratti salva Aldo Rossi", su ricerca.repubblica.it. "Sgarbi: «Cancelliamo l'Ago e il Filo»", su milano.corriere.it. URL consultato il 16 luglio 2012 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). "Il monumento a Pertini sarà restaurato", su comune.milano.it.

Grand Hotel et de Milan
Grand Hotel et de Milan

Il Grand Hotel et de Milan è un hotel di lusso situato al centro di Milano, in via Manzoni al civico 29. La costruzione fu commissionata all'architetto Andrea Pizzala (1798-1862) e fu ispirata dallo stile neogotico. L'albergo aprì i battenti il 23 maggio 1863 e verso la fine del XIX secolo guadagnò notorietà in quanto fu l'unico ad offrire un servizio telegrafico e postale ai suoi clienti; per questo motivo fu spesso frequentato da diplomatici e uomini d'affari. La singolarità del nome, con quella "et" frapposta, indica semplicemente l'integrazione tra il nome originario "Hotel de Milan" e la successiva amplificazione in "Grand Hotel". L'hotel, inizialmente appartenente a Carlo Guzzi, fu acquistato da Giuseppe Spatz prima del 1874 e divenne particolarmente noto al grande pubblico a partire dal 1872 quando il compositore Giuseppe Verdi, amico di Spatz amante della musica, vi stabilì la propria dimora quando si trovava a Milano, beneficiando della prossimità dell'albergo al teatro alla Scala e componendo qui gran parte dell'Otello. La stanza, la n. 105 al primo piano, rimase riservata ai Verdi sino alla morte del maestro, che avvenne proprio nella sua stanza all'albergo il 27 gennaio 1901. Fra il 1900 e il 1901 venne ristrutturato l'atrio di ingresso che venne allargato per renderlo confacente ai bisogni del grande movimento di forestieri che frequentavano l'albergo. A tal scopo fu chiamato l'architetto Augusto Brusconi che, coadiuvato dall'ingegner Francesco Bellorini, demolì gran parte dei muri del pianterreno per ottenere un ambiente più vasto e lussuoso; furono inoltre aggiunti un pavimento alla veneziana e un grande lucernario con velario di vetri colorati. L'edificio fu poi completamente ristrutturato nel 1931, quando ogni camera fu dotata di telefono e acqua corrente. Durante la seconda guerra mondiale, nel 1943, l'albergo fu bombardato e il quarto piano fu completamente distrutto; una volta terminata la guerra, l'architetto Giovanni Muzio fu incaricato della ricostruzione e del rinnovo dello stabile. In gestione alla famiglia Bertazzoni dai primi anni'60, l'albergo divenne famoso negli anni '60 e '70, quando fu frequentato dagli stilisti che partecipavano alle annuali settimane della moda milanesi. Un'ultima importante ristrutturazione ebbe luogo nei primi anni '90, quando un muro di difesa dell'antica Mediolanum risalente al terzo secolo fu portato alla luce e utilizzato come elemento stilistico in uno dei ristoranti dell'albergo. L'albergo fa parte del gruppo The Leading Hotels of the World. Nel corso dell'attività dell'Hotel, diversi personaggi celebri vi hanno soggiornato, fra cui: Giuseppe Verdi Pietro II del Brasile Teresa Cristina di Borbone-Due Sicilie Enrico Caruso Tamara de Lempicka Maria Callas Severino Gazzelloni Vittorio De Sica Richard Burton Indro Montanelli Francisco Giordano, L'origine dell'isolato, la costruzione dell'albergo e gli ampliamenti, in Il Grand Hotel ed de Milan. Storia e restauro di un albergo ottocentesco, a cura di Paola Alberti e Carlo Salomoni, ed. Marsilio, 1993, Venezia. Francisco Giordano, Hotel ed de Milan (prefazione) , in Grand Hotel ed de Milan. Un secolo di storia milanese attraverso gli ospiti illustri del suo albergo più famoso, ed. F. M. Ricci, 1995, Milano. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Grand Hotel et de Milan Sito ufficiale, su grandhoteletdemilan.it. Grand Hotel et de Milan, su LombardiaBeniCulturali, Regione Lombardia.