place

Chiesa di San Giovanni di Verdara

Chiese sconsacrate di PadovaPagine con mappeVoci con codice VIAFVoci non biografiche con codici di controllo di autorità
Sangiovanniverdarapadova
Sangiovanniverdarapadova

La chiesa di San Giovanni di Verdara è un edificio di origine medievale che fu luogo di culto sino al 1866. Si affaccia su contrà Verdara, ora via San Giovanni di Verdara a Padova. Fu per secoli la chiesa del vicino monastero dei canonici regolari lateranensi e grande centro artistico della città. Oggi l'antica struttura, con gli annessi edifici monastici, è ospedale militare. La chiesa sorse agli inizi del XIII secolo - già esistente nel 1219 - come edificio di culto di un cenobio di monaci benedettini albi: questo priorato, sorto in una zona della città "viridaria" caratterizzata dalla rigogliosa vegetazione, era per questo denominato "in viridario" poi "di Verdara". Il monastero si fece centro religioso rilevante tra il XIV secolo ed il XV secolo ed i monaci ingrandirono ed ampliarono la chiesa e gli edifici annessi. Nel 1431 papa Eugenio IV consegnò a commenda tutto il monastero al nipote cardinale Antonio Correr, vescovo di Ostia che la affidò nel 1436 ad una fiorente comunità di canonici regolari lateranensi che intrapresero una ampia campagna di restauro affidando i lavori a Lorenzo da Bologna e Giuliano da Porlezza. Tra il 1519 e il 1527 fu la residenza di Pietro Martire Vermigli e di Reginald Pole. Nel 1566 acquisì il titolo di abbazia. Tra il XV e XVII secolo i canonici raccolsero importanti opere artistiche e librarie tra cui il fondo di Pietro Montagnana, sviluppando una delle più importanti collezioni di stampo rinascimentale che richiamarono l'attenzione di umanisti del calibro di Pietro Bembo, assiduo frequentatore del complesso. Il "museo" di San Giovanni di Verdara divenne una delle attrazioni principali della città tra il XVI ed il XVIII secolo, soprattutto dopo il lavoro dell'Abate Ascanio Varese che aggiunse alla raccolta la ricca collezione di Marco Mantova Bonavides, confluita nel monastero nel 1711. Alla cura contribui incessantemente pure Ludovico Antonio Muratori, attento catalogatore della biblioteca. Nel 1783 la Repubblica di Venezia soppresse l'ordine dei Canonici Lateranensi. La collezione dei religiosi divenne fondo del successivo Museo Civico mentre il resto fu convogliato presso la Biblioteca nazionale Marciana. La chiesa continuò ad essere officiata da sacerdoti secolari che ne mantennero l'arredo, mentre nelle strutture monastiche si installò la Ca' di Dio (brefotrofio) che lasciò spazio - dopo una breve occupazione dei piaristi - a tremila soldati austriaci con i loro duecento cavalli che vi crearono caserma nel 1847. La chiesa fu officiata sino al 1866 dall'ordine dei Gesuiti, che aveva acquistato il complesso nel 1852 e lo aveva trasformato in un convitto maschile. Poi le strutture vennero occupate ed in seguito espropriate dalla nuova amministrazione italiana ed il complesso fu trasformato in ospedale militare. La chiesa a tre navate fu progressivamente suddivisa in strutture funzionali all'attività ospedaliera. Attualmente la chiesa fa parte integrante del comprensorio della caserma "De Bertolini" dell'Esercito Italiano, presso la quale ha sede il Dipartimento Militare di Medicina Legale di Padova. Le numerose opere d'arte che decoravano la chiesa sono oggi in gran parte esposte presso i Musei Civici agli Eremitani Lo straordinario monumento, di fondamentale importanza per la storia artistica della città e dello sviluppo del gusto rinascimentale nell'Italia settentrionale, facendo oggi parte di un sedime militare, non è visitabile, pur rimanendo la facciata parzialmente visibile dall'antistante via San Giovanni di Verdara. Nella chiesa furono sepolti illustri personaggi quali Andrea Briosco, Lazzaro Bonamico, Giovanni Calfurnio, Giovanni da Cavino, Luca Ferrari, Domenico Senno. Sulla facciata a salienti, rivolta a levante, si scorgono ancora le aperture gotiche, tra cui il bel rosone decorato da archetti polilobati; il resto dell'impianto architettonico è successivo, forse seicentesco. Sull'arcata sopra il portale maggiore stava un affresco di Giacomo Ceruti raffigurante "la Vergine con san Giuseppe e San Giovanni", mentre sulla sinistra stava il monumento sepolcrale di Andrea Briosco con tondo bronzeo recante l'effigie dell'artista (disperso dopo il 1797) e memoriale dettata dal Canonico Girolamo Negri. Le fiancate sono mosse da numerosi e profondi archetti ciechi che denotano il carattere di una costruzione gotica, del XIV o XV secolo. L'abside rivolta a ponente sporge notevolmente dall'edificio e si conclude in pianta poligonale. A fianco sorge la base del campanile quasi del tutto atterrato dopo il 1866. A meridione si elevano le strutture monastiche ancora ben conservate caratterizzate dai due chiostri monumentali. L'interno della chiesa a tre navate aperte da ariose arcate, era ricco d'opere d'arte: su un altare era collocata la mirabile scultura raffigurante "la Vergine Addolorata col Cristo morto e putto dolente" di Antonio Bonazza (ora esposta ai musei civici) su l'altare di San Patrizio preziosa tela di Giovambattista Tiepolo "San Patrizio Vescovo nell'atto di sanare un infermo" ora presso la pinacoteca civica. Due monumentali sepolcri rinascimentali ora collocati nel Chiostro del Noviziato alla Basilica di Sant'Antonio arricchivano la chiesa: il più antico, dedicato a Giovanni Calfurnio, opera di Antonio Minello e dirimpetto, quello a Lazzaro Bonamico, eretto su modello di Andrea Palladio ed impreziosito dal busto bronzeo dell'umanista opera di Danese Cattaneo (l'originale esposto ora al Museo Civico di Bassano). Numerose le tavole e le tele: Pietro Bacchi da Bagnara, Stefano dall'Arzare, Pietro Ricchi, Alessandro Varotari. Il Rossetti ricorda che sull'altare del Santissimo "sta tabernacolo di Ebano, arricchito di pietre preziose del secondo genere che merita d'essere veduto". Se con la soppressione del 1783 le Canoniche di Verona e Bergamo ebbero i beni finiti all'incanto, il Senato della Repubblica ebbe per quella di Padova particolare zelo nel conservare la grandiosa collezione che i religiosi per secoli arricchirono: oltre la biblioteca, v'era la prestigiosa raccolta di "ritratti di uomini illustri, in metallo, in marmo, in avorio ed in cera", una ricca collezione di avori antichi e di bronzi, sia antichi che moderni, una considerevole pinacoteca e infine "vasi antichi, idoli e simulacri di molte e varie nazioni antiche e moderne, e moltissimi cammei e pietre intagliate; lucerne ed urne sepolcrali; pesi e sigilli antichi, degli alti e bassi tempi. V'ha altresì buon numero di minerali, fossili e crostacei, coralli e frutti marini,...stromenti matematici, astronomici ed ottici; ed una doviziosa raccolta di medaglie...". Una collezioni di stampo antiquariale, tanto in voga nell'Italia barocca. Tra i busti di cera spiccava quello del Tiziano "della più squisita manifattura" e tra le tele la Cena di Emmaus del Piazzetta (ora a Cleveland) ed opere di Girolamo Forabosco e Andrea Vicentino. L'apice delle raccolta si ebbe nel 1711 quando vi confluì la cinquecentesca collezione di Marco Mantova Bonavides magistralmente amministrata dall'abate Ascanio Varese (1726) coadiuvato alla biblioteca da Ludovico Antonio Muratori. Alvise Tiepolo nel ruolo di "Aggiunto sopra li monasteri" curò la gestione dei beni dopo la soppressione, affiancato da Paolo Rucolini bibliotecario della Pubblica di Padova e dall'abate Jacopo Marelli bibliotecario della Marciana di Venezia, opera conclusa il 16 gennaio 1784. I beni più preziosi delle biblioteca furono portati alla Marciana e gli altri restarono alla città di Padova confluendo nelle raccolte della Biblioteca universitaria di Padova, mentre "La parte Antiquaria...è da unirsi alle statue antiche, e famose, che si trovano nell'Atrio della Libreria di S. Marco, alle quali molto bene si uniformano queste cose di Antiquaria, essendo fra esse anco una raccolta di medaglie Greche e Romane, delle quali era desiderabile che si potesse averne qualche collezione a S. Marco...". Il rimanente restò a Padova, al Museo di Storia Naturale o Museo Pubblico, costituito già dal 1736, al Gabinetto di Fisica e alla Specola, mentre le "Pitture e Sculture...alla Città stessa di Padova col dovere di conservarle..." primitivo nucleo dell'attuale Museo Civico agli Eremitani. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova 1780 Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori Giuseppe Toffanin, Cento chiese padovane scomparse, Editoriale Programma AA.VV., Padova, Medoacus Giovanna Luisa Ravagnan, Le collezioni di San Giovanni di Verdara Chiara Frison, "Da Padova a Venezia. L'ultimo catalogo dei manoscritti della biblioteca di S. Giovanni in Verdara (ms. Biblioteca Nazionale Marciana, It XI 323 (=7107)" in "Dialogo. Studi in memoria di Angela Caracciolo Aricò", Venezia, Centro di Studi Medioevali e Rinascimentali "E.A.Cicogna", 2017, pp. 189-224. Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di San Giovanni di Verdara

Estratto dall'articolo di Wikipedia Chiesa di San Giovanni di Verdara (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Chiesa di San Giovanni di Verdara
Via San Giovanni di Verdara, Padova Arcella

Coordinate geografiche (GPS) Indirizzo Luoghi vicini
placeMostra sulla mappa

Wikipedia: Chiesa di San Giovanni di VerdaraContinua a leggere su Wikipedia

Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 45.416658 ° E 11.870752 °
placeMostra sulla mappa

Indirizzo

Ospedale Militare di Padova

Via San Giovanni di Verdara
35137 Padova, Arcella
Veneto, Italia
mapAprire su Google Maps

Sangiovanniverdarapadova
Sangiovanniverdarapadova
Condividere l'esperienza

Luoghi vicini

Chiesa del Beato Antonio Pellegrino
Chiesa del Beato Antonio Pellegrino

La chiesa del Beato Antonio Pellegrino è un edificio religioso di origine rinascimentale che si erge in contrà san Giacomo, ora via Beato Pellegrino a Padova. La chiesa, già delle monache benedettine, conservava le spoglie del beato Antonio Manzoni detto "il Pellegrino" poste oggi alla chiesa dell'Immacolata. Ora è chiesa officiata dalla comunità romena di rito romano. Il complesso monastico di cui faceva parte, dopo essere stato utilizzato come nosocomio, è ora in buona parte occupato dall'Università degli Studi di Padova. La chiesa nacque con il contiguo monastero a seguito dell'ingresso in città delle monache benedettine di Santa Maria di Porciglia che ebbero il cenobio distrutto per motivi bellici nel 1509. Portarono nella loro nuova sede anche il corpo del beato Antonio Manzoni "Pellegrino". Chiesa e monastero sorsero su progetto del nobile Vincenzo Dotto. A seguito delle soppressioni napoleoniche e dell'allontanamento delle benedettine, le strutture monastiche furono utilizzate prima come caserma ed in seguito (1838) come ospizio, subendo così un radicale restauro nel 1943 quando furono abbellite in stile neoromanico. La chiesa fa ancora parte della Casa di Ricovero per Anziani (IRA) ed è officiata dalla comunità romena di rito romano. Tra la notte del 24 e 25 ottobre 1993 la chiesa è sta depredata di alcune importanti opere d'arte. Una delle tele rubate, attribuita a Palma il Giovane è stata recuperata nel giugno 2014. La chiesa un tempo aveva la facciata caratterizzata da un portico, poi demolito per dare continuità alle vicine strutture. Attualmente si presenta in una veste neoromanica alquanto goffa, si affaccia direttamente sulla via, con facciata rivolta a meridione e decorata da archetti e bifore di varie dimensioni. L'abside conserva forse il suo aspetto cinquecentesco, coperta da una mezza calotta a piombo. L'aspetto tardorinascimentale, alterato dalla spoliazione di età napoleonica e dai successivi interventi, è leggibile nella sobria architettura bisognosa di interventi di ripristino e pulizia. L'aula è illuminata da oculi e voltata a crociera, conserva in controfacciata il vecchio coro pensile e dietro al grande altare maggiore è posta una tela raffigurante L'Assunta con Santi, che il Rossetti attribuiva incertamente al Palma il Giovane. Nella chiesa si conserva pure una tempera cinquecentesca raffigurante Il Beato Pellegrino che fa l'elemosina. In una delle due cappelle laterali era esposto, su un altare, il corpo del Beato Antonio "Pellegrino". Sull'ampia cantoria in controfacciata, già coro pensile delle benedettine, si trova l'organo a canne, costruito nel 1850 riutilizzando del materiale fonico settecentesco ed un precedente strumento di Angelo Agostini (1840). L'organo, a trasmissione integralmente meccanica, con un'unica tastiera di 50 note ed una pedaliera a leggio di 17 costantemente unita al manuale, è racchiuso entro una semplice cassa lignea con mostra composta da canne non suonanti. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova MDCCLXXX Stamperia del Seminario Alberto Sabatini, L'organo nella chiesa del Beato Pellegrino a Padova e l'attività di Angelo Agostini, Armelin Editore, 2003, Padova. Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori AA.VV., Padova, Medoacus Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa del Beato Antonio Pellegrino

Basilica del Carmine (Padova)
Basilica del Carmine (Padova)

La Basilica del Carmine, chiamata anche i Carmini, è un luogo di culto cattolico di Padova. Di origine medievale, è situata nell'area un tempo chiamata Isola di San Giacomo e si affaccia su uno spazio anticamente destinato a sagrato e a cimitero, oggi divenuto piazza Francesco Petrarca. La chiesa, fondata nel XIII secolo, nel XIV secolo divenne parte di un grande complesso religioso dell'Ordine della Beata Vergine del Monte Carmelo. L'ordine religioso resse il complesso sino al 1806. Nel 1810, avvenuta la soppressione dell'antica chiesa di San Giacomo, la chiesa del Carmine ne assorbì il titolo parrocchiale passando quindi alla ragione del clero secolare. Il complesso conventuale, ancora esistente, è stato adibito ad usi diversi. La chiesa, sino al 1868, era meta di un voto pubblico che si compiva solennemente - il 12 ottobre - dal 1576: l'immagine della Madonna di dietro Corte, detta anche Madonna dei Lumini, è legata ai fatti miracolosi che accaddero a Padova nell'imperversare della furiosa peste nel 1575-1576. La figura è ancora venerata dai padovani e viene invocata per la salubrità di Padova e del suo territorio. Nel 1914 Pio X l'ha dichiarata Santuario. Nell'ottobre del 1960 papa Giovanni XXIII l'ha elevata alla dignità di basilica minore. La Basilica è sede di una delle più estese e popolose parrocchie della città. Accanto alla Basilica si trova la Scuola del Carmine. La chiesa fu principiata nel 1212, su stimolo della Comunità padovana, e affidata ad una comunità di monache benedettine. Venne costruita in un'area a contatto con l'importante e vivace centro molitorio di Padova, posto in prossimità di Ponte Molino, e fu dedicata alla Purificazione della Vergine. Nell'ottobre 1300 la chiesa fu assegnata all'ordine dei Carmelitani, che ne mutarono il titolo dedicandola alla Beata Vergine del Carmelo. Lavori avvennero per tutto il XIV secolo e il XV secolo. La costruzione venne più volte ampliata e restaurata nel corso dei secoli: la facciata attuale, incompiuta, risale al Settecento. Con l'ondata delle soppressioni napoleoniche il tempio venne strappato ai Carmelitani e consegnato al clero diocesano. Dopo il 1810 molti arredi della chiesa di San Giacomo, poi demolita, confluirono nella chiesa del Carmine, che divenne parrocchiale assorbendo l'antico titolo di San Giacomo. La chiesa ha subito gravi danni durante le guerre mondiali, probabilmente perché situata non lontano dalla stazione ferroviaria e dall'acquedotto. Alcuni degli avvenimenti che hanno caratterizzato la fabbrica nei secoli: Nel 1212 viene fondata la chiesa regolare. Nel 1300, il 3 ottobre, viene affidata ai Carmelitani, che la inseriscono in un grande complesso conventuale. Nel 1446 la chiesa è consacrata. Nel 1491 si verifica il crollo del tetto a causa di una nevicata e di un terremoto. Nel 1523 vengono completati i lavori di allargamento della navata, con la riedificazione delle fiancate mosse dalla cappelle laterali absidate. Nel 1696 un terremoto danneggia nuovamente la copertura della navata. Nel 1800, durante uno spettacolo pirotecnico fatto in onore della visita di Pio VII, la cupola brucia completamente. Nel 1810 la chiesa diventa parrocchiale, assumendo il titolo che era di san Giacomo. Nella chiesa entrano opere d'arte e culti della precedente comunità parrocchiale. Nella notte del 29 dicembre 1917 una bomba incendiaria, lanciata da un bombardiere tedesco, colpisce la cupola sprigionando un violento incendio. Nel 1944 la cupola è danneggiata da un bombardamento, evento ricordato in una targa posta sulla facciata. Nella chiesa si trovano illustri sepolture, tra cui: Babone Naldi, condottiero fiorentino, che è raffigurato vestito in armatura al centro della controfacciata; Tiberio Deciani, giureconsulto udinese; Antonio Cappuccio, grammatico spoletino; Pietro Trapolino, filosofo e commentatore d'Aristotele; Bartolomeo Zacco , legista; Ludovico Giustachini, legista e fondatore dell'Accademia degli Speranti. Dal 1576 sull'altare maggiore della chiesa dei Carmini si trova un affresco di Stefano dall'Arzere strappato da una casa di proprietà Salvazzi che si trovava dietro le mura della Corte Capitaniato. La sua presenza in questa chiesa si deve alla devozione dei padovani nei confronti della Vergine e ad un fatto miracoloso accorso nell'estate del 1576: mentre a Padova imperversava la peste, Maria apparve in sogno sia al provinciale dei Carmelitani Felice Zuccoli che al Capitanio Alvise Zorzi annunciando loro la fine della pestilenza. La Vergine chiese che la sua figura venerata nell'immagine di dietro Corte venisse portata alla chiesa dei Carmini. Dopo preghiere e digiuni, e l'assenso delle autorità, si procedette al distacco dell'affresco che avvenne con gran meraviglia per via della facilità con cui si compì l'operazione. L'immagine venne posta su un altare posticcio in corte del Capitanio. La sera del 12 ottobre 1576, un imponente corteggio, composto dai rettori veneti, dalle autorità civiche e religiose, portarono l'immagine alla chiesa dei Carmelitani alla luce di torce, candele e lumini. Dopo la grande processione cessarono le morti il contagio sparì. La processione per affidare la salute di Padova e del suo territorio si compì ogni anno, in quella data, sino al 1868. In seguito il culto si ristrinse nella sola chiesa. Alla Madonna detta spesso "dei lumini" viene offerta tuttora molta cera. L'attuale sistemazione dell'altare, di Antonio Noale, risale all'anno 1824. Per rinnovare la filiale devozione della città alla Vergine, il vescovo Elia dalla Costa, il 16 ottobre 1927, pose una corona d'oro sulla miracolosa immagine. Pio X decretava, nel 1914, l'elevazione a Santuario della chiesa e nel 1960 Giovanni XXIII la elevava a Basilica Minore. Oggi il culto della Madonna di dietro Corte vive all'interno della comunità parrocchiale, che festeggia il 12 ottobre con solenni liturgie. La devozione civica all'immagine è di fatto assai affievolita. La porta principale, che fu fatta nel 1412, ha battenti in legno decorati a formelle quadrate con intaglio a foglia d'acanto. Il portale, invece, fu completato nel 1737 ed è dominato da tre statue, opera di Tommaso Bonazza (1736). Molto interessante è il sistema di cappelle estradossate che anima le pareti laterali esterne dell'edificio, rendendolo simile al progetto brunelleschiano (mai realizzato) per Santo Spirito a Firenze e alla chiesa di San Benedetto a Ferrara di Biagio Rossetti. Tale sistema fu pensato da Lorenzo da Bologna nell'ambito della ricostruzione della chiesa dopo il 1491 e rappresenta uno degli esempi pionieristici dell'architettura rinascimentale nell'entroterra veneto. A fianco della basilica, sulla sinistra, ci sono targhe commemorative dei parrocchiani caduti nella Prima e nella Seconda guerra mondiale. Nel piazzale antistante la basilica, si erge una statua di Francesco Petrarca. L'interno è ad unica navata con possenti archi che reggono la cupola, rifatta nel primo dopo guerra, dopo le distruzioni della prima guerra mondiale. In controfacciata si può ammirare la Annunciazione di Dario Varotari. Le due acquasantiere in prossimità dell'ingresso sono di Giovanni Bonazza. Sull'altare maggiore, cui si accede tramite una scalinata, c'è l'immagine della "Madonna di dietro Corte". Nel paliotto è presente un bassorilievo settecentesco che raffigura l'Ultima Cena, mentre sul parapetto dell'organo a sinistra Storie dell'immagine della Madonna del Carmine di Battista Bissoni. L'abside è adornato con fastose decorazioni di Antonio Noale. Le pareti in alto sono ricoperte con grandi tele con Santi e fatti dell'Ordine Carmelitano e con Storie dell'Antico Testamento, opere di artisti di metà del XVII secolo. Il recente restauro delle pareti della navata centrale ha portato alla luce tondi affrescati di stile rinascimentale che rappresentano alcuni Profeti (tra i quali spicca per fattura un michelangiolesco Mosè) e Sibille dell'antichità. All'interno di una delle Cappelle alla destra della navata centrale c'è la statua della Madonna del Carmine che viene portata tradizionalmente in processione lungo le vie del quartiere ogni anno, il 16 luglio. All'interno delle nicchie laterali sono appesi alcuni ex voto per grazie ricevute. Altri opere di interesse all'interno della basilica sono: Statue realizzate da Giovanni Bonazza, presenti sul terzo altare a destra; la pala d'altare del sesto altare a destra, che raffigura la Madre degli Zebedei davanti a Cristo, lavoro del Padovanino; Monumento funebre di Tiberio Deciani, giurista insigne, sculture di Francesco Segala, addossato al pilastro destro di sostegno della cupola; sagrestia progettata da Lorenzo da Bologna. Il pavimento della basilica è in marmi policromi. Dalla chiesa proviene il Polittico de Lazara di Francesco Squarcione, oggi al Museo Civico di Padova. Adiacente alla basilica, a fianco della Scoletta del Carmine, sorge un chiostro cinquecentesco. Nella campata coperta dalla cupola, si trovano due cantorie lignee gemelle, entrambe costruite nel XVIII secolo, sopra le quali si trovano due casse barocche d'organo; mentre quella di sinistra è vuota (l'organo ivi collocato, costruito da Gaetano Callido, è stato spostato nella chiesa di San Michele Arcangelo a Ballò nel 1933), quella di destra ospita un organo costruito nel 1877 da Giovanni Battista De Lorenzi. Lo strumento, a trasmissione integralmente meccanica, ha un'unica tastiera e pedaliera, per un totale di 29 registri. Accanto alla chiesa si trova la Scuola del Carmine, già sede dell'omonima confraternita, decorata da affreschi di Giulio Campagnola, Domenico Campagnola, Girolamo Tessari e Stefano dall'Arzare. Cesira Gasparotto, S. Maria del Carmine di Padova, Tipografia Antoniana, Padova, 1955 Fausto Musante, Curiosando per Padova, E.N.Gi. M.,Padova, 1983 Gli affreschi della Scoletta del Carmine, La Garangola, Padova, 1988 Guida d'Italia (serie Guide Rosse) - Veneto, Touring Club Italiano, ISBN 88-365-0441-8, pp. 470–471 Angelo Bartuccio, La chiesa di Santa Maria del Carmine e l'architettura quattrocentesca da Firenze a Padova, Tesi di laurea triennale, 2016 Diocesi di Padova Architettura barocca Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla basilica del Carmine

Chiesa di Sant'Antonio di Vienna
Chiesa di Sant'Antonio di Vienna

La chiesa di Sant'Antonio Abate, conosciuta come chiesa di Sant'Antonio di Vienna, è un edificio religioso medievale che si erge in contrà Savonarola, a Padova. La costruzione fa parte del Collegio San Marco, una struttura adattata nel 1771 all'accoglienza degli studenti universitari, e precedentemente usata come monastero prima dai Canonici di Sant'Antonio di Vienne e in seguito dai Canonici Renani. Oggi è la cappella della sede legale del Collegio universitario don Nicola Mazza che nel 1953 ha riaperto il Collegio San Marco come propria prima residenza. Ricorda il Portenari che "l'ordine degli hospitalarij di S. Antonio di Vienna" fondarono "in contrada della Savonarola l'hospitale di S. Antonio da Vienna, edificandovi anco un monastero e una chiesa ad honore dell'istesso santo". Era forse il principio del XIII secolo. In seguito la chiesa e il monastero passarono ai Canonici Renani che restaurarono nel 1570 l'intero complesso, erigendo il porticato che si affaccia sulla via. Con le soppressione dei conventini del 1769 i vari edifici furono adattati a collegio destinato agli studenti disagiati dello Studio. Il Collegio San Marco fu chiuso con l'arrivo delle truppe francesi nel 1797 che lo ridussero a caserma. La chiesa fu chiusa al culto e l'intero complesso, di proprietà militare, divenne caserma del VII reggimento degli Alpini e danneggiato dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. In seguito il Collegio San Marco venne riaperto come prima residenza del Collegio don Nicola Mazza che ancora vi ha sede legale. La chiesa, radicalmente restaurata negli anni cinquanta del Novecento, è officiata come cappella del collegio. La facciata, rivolta a mezzogiorno, s'innalza verso via Savonarola. È preceduta da un portico a serliana cinquecentesco, mentre è asseribile al Settecento il portale a tutto sesto che si apre sulla gotica muratura del XIII-XIV secolo, mossa da lesene e archetti pensili e alleggerita da un grande rosone. La vetrata inserita in tale rosone è stata eseguita nel 2005 da Franco Corradini. Le grate accanto al portale servivano forse alla distribuzione della carità. Il fianco destro, lungo via Collegio San Marco, mostra le spiccate caratteristiche gotiche, come lesene e archetti pensili, slanciate monofore decorate da archetti in pietra trilobati. L'abside, suggestiva, è poligonale e aperta sempre da monofore. Accanto al fianco sinistro, verso la facciata, si erge il Collegio San Marco, mentre verso l'abside una sacrestia pure gotica. L'interno è a navata unica, luminoso e ampio, coperto da capriate, mentre l'abside è voltata a ombrello, con costoloni molto marcati di sapore francese, raro caso in Veneto. Sulla sinistra dell'altar maggiore si apre la sacrestia. Imponente il Sant'Antonio Abate raffigurato in proporzioni giganti sulla parete dell'abside. Lungo le pareti si susseguono brani di affresco, alcuni attribuibili ad Altichiero da Zevio ed altri a Jacopo da Verona o ad un suo allievo. Bellissima la Crocifissione con offerente. Non reca opere di importante valore se non un dossale ligneo quattrocentesco e un angelo ligneo barocco. Secondo Paola Tosetti Grandi, prima delle spoliazioni napoleoniche, la chiesa era dotata di arredo barocco risalente alla ristrutturazione del complesso monastico del 1570. Fra questi, Tosetti Grandi ricorda in particolare un coro ligneo, sostenuto da tre archi su colonne, che seguiva il controportale. Inoltre, menziona una pala che decorava l'altar maggiore e due altari che abbellivano i lati della navata. L'abside ospitava una pala d'altare dipinta da Francesco Zanella raffigurante Sant'Antonio Abate, Sant'Agostino e Arcangelo Canetoli, che è oggi conservata nei magazzini del museo civico di Padova. In origine questa era racchiusa in una cornice di pietra di Custoza e sovrastata da un crocifisso di legno. Sul lato destro della navata si trovava un altare dedicato all'Addolorata, decorato da una pala. Sulla sinistra, un altare dedicato a Sant'Antonio Abate ospitante, oltre ad un ritratto del santo, anche un ritratto di Canetoli, attribuito ad un autore veneto, oggi conservato nei magazzini del Museo Antoniano. Infine, Tosetti Grandi riporta che all'interno della sacrestia si trovava una pala d'altare dedicata a Sant'Osvaldo martire, di scuola veneziana. Sulla moderna cantoria in controfacciata, si trova l'organo a canne, costruito nel 2007 dalla ditta organaria codroipese Zanin. Lo strumento si ispira alla tradizione tedesca del XVIII secolo, sia per le caratteristiche foniche, sia per l'estetica. La trasmissione è integralmente meccanica, e la consolle, a finestra, ha due testiere di 56 note ciascuna e una pedaliera dritta di 30 note. I registri sono 25, per un totale di 1626 canne. La cassa lignea, con decorazioni dorate, è dotata di due torri laterali e da una più piccola centrale, unite da due ali di canne; il positivo tergale, invece, è costituito da due torri e una facciata centrale a cuspide. Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori AA.VV., Padova, Medoacus Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Collegio San Marco Collegio universitario don Nicola Mazza Organo della chiesa di Sant'Antonio di Vienna a Padova Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Sant'Antonio di Vienna a Padova L'organo a canne, su organday.altervista.org.

Porta Molino
Porta Molino

La Porta Molino o Porta dei Molini era il principale dei quattro accessi regales che si aprivano nella cinta muraria medievale di Padova. Affacciata verso settentrione, si innalza al termine del romano Ponte Molino che attraversa il ramo del Bacchiglione chiamato Tronco Maestro dove sino 1884 funzionarono trentatré ruote di altrettanti mulini montati su barche, da cui la porta ed il ponte traggono il nome. Alta quasi 26 metri, venne eretta in pietra e cotto nel XIII secolo, fu pensata come accesso solenne alla stra' regia o stra' maggiore (ora via Dante), la via più importante di Padova. Il torrione si innalza esteriormente su una sorta di arco trionfale romanico in pietra (decorato pure da una coppia di leoncini) mentre all'interno si succedono due arcate (la più ampia e suggestiva è a sesto acuto) che permettevano di azionare le macchine di difesa, tra cui i grandi battenti incardinati negli alloggiamenti in pietra ancora visibili. Interessante l'accesso barocco al torrione superiore, costruzione del XVII secolo accostata alla facciata interna, sulla sinistra. Ai lati si dipanano brani delle mura comunali, che verso ponente proseguono per via del Casin Rosso. L'accesso pedonale è frutto di interventi ottocenteschi. Alla fine dell'Ottocento la parte superiore della porta fu utilizzata come vasca d'accumulo per la prima rete di distribuzione dell'acqua potabile in città. È probabilmente falsa (anche se accreditata da una lapide di Carlo Leoni) la diceria secondo cui Galileo Galilei, nel suo periodo padovano, avrebbe utilizzato la porta come osservatorio astronomico.

Biblioteca di matematica
Biblioteca di matematica

La Biblioteca di matematica (originariamente Biblioteca del Seminario matematico) è una delle biblioteche del Sistema Bibliotecario di Ateneo (SBA) dell'Università degli Studi di Padova. La sua fondazione risale al 1926. L'attuale Biblioteca di Matematica dell'Università degli Studi di Padova fu fondata con il nome di Biblioteca del Seminario matematico nel 1926 a supporto delle attività del Seminario Matematico e collocata nel Palazzo del Bo. Nel 1953 fu trasferita presso l'edificio Paolotti e spostata nel 2006 a "Torre Archimede" con il trasferimento del Dipartimento di matematica. Allepoca del trasferimento del 2006 fu inglobata la biblioteca del Dipartimento di Metodi e Modelli Matematici per le Scienze Applicate. Il trasferimento a Torre Archimede comportò inoltre un notevole ampliamento dei posti disponibili, ulteriormente cresciuti dai riallestimenti del nel 2017 (120 posti) per arrivare nel 2023 a 345 posti. Nel 2012 ha cambiato nome in Biblioteca di Matematica. La biblioteca conserva gran parte della collezione di modelli e strumenti matematici del Dipartimento di matematica dell'Università di Padova. Mario Rosati (a cura di), Il dipartimento di matematica pura ed applicata negli anni 1987-1992. Franco Palladino, Il fondo di modelli e strumenti matematici antichi dell'universita di Padova e l'iniziativa di Giuseppe Veronese per un Laboratorio nazionale italiano. Biblioteca di chimica Cesare Pecile Biblioteca di geoscienze Università degli Studi di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Biblioteca di matematica. Università degli studi di Padova Sito ufficiale, su bibliotecamatematica.cab.unipd.it. Biblioteca di matematica, su Anagrafe delle biblioteche italiane, Istituto centrale per il catalogo unico. Dipartimento di Matematica "Tullio Levi-Civita" dell'Università degli Studi di Padova Sito SBA Padova I modelle storici del Dipartimento di Matematica

Chiesa di Sant'Agnese (Padova)
Chiesa di Sant'Agnese (Padova)

La chiesa di Sant'Agnese è un edificio di origine medievale che fu luogo di culto sino al 1927. Si affaccia sulla Stra' Maggiore ora via Dante Alighieri a Padova. Fu parrocchiale, poi rettoria dipendente dalla chiesa di San Nicolò. Utilizzata come autorimessa sino alla fine degli anni novanta del Novecento. Ristrutturata, è ora una galleria d'arte contemporanea. Della chiesa si hanno notizie sin dal XII secolo. Menzionata in documenti del 1202, acquisì il titolo di parrocchiale. La struttura, forse duecentesca, subì lavori di restauro ed ampliamento dagli inizi del XVI secolo. In seguito alla riorganizzazione delle parrocchie attuata dopo l'emanazione delle leggi ecclesiastiche napoleoniche, agli inizi dell'Ottocento, la chiesa perse il titolo parrocchiale e il suo territorio fu assorbito dalla parrocchia di San Nicolò. Divenne rettoria che sopravvisse sino al 1927 quando si chiuse al culto. Portate le opere d'arte a San Nicolò e al palazzo episcopale, nel 1949 fu sconsacrata dal Vescovo Agostini e ceduta a privati ed in seguito trasformata in autorimessa Dante fino agli anni '80. Con la chiusura dell’attività, la chiesa versò per anni in stato di degrado. Oggi la chiesa di Sant'Agnese dopo otto anni di restauro è stata riaperta al pubblico (marzo 2023) ed è un centro per l'arte e la cultura, nonché la sede della Fondazione Alberto Peruzzo. La navata è oggi uno spazio dedicato a mostre temporanee, mentre la sacrestia ospita una selezione della collezione permanente della Fondazione. Al piano inferiore, nell’Ipogeo, è presente un’area storica permanente che raccoglie una serie di reperti ritrovati nel corso dei restauri – tra cui importanti frammenti d’affresco del Trecento (ancora in fase di studio da parte della Soprintendenza), alcuni sepolcri e un tratto di strada romana in basoli di trachite. Il progetto architettonico del restauro a cura dello studio Borchia di Padova ha ricevuto, in occasione dell'11 edizione della Biennale Internazionale Barbara Capocchin, Menzione d'onore Premio Regionale in quanto riconosciuto come un esempio corretto per un intervento nel centro della città di Padova. Nella chiesa è sepolto l'abate Gasparo Patriarchi che nel 1775 compilò il Vocabolario Veneziano e Padovano. La chiesa si innalza con la facciata - orientata a levante - verso la Stra' Maggiore (odierna Via Dante), mentre la fiancata a settentrione, dove si aprono alcune finestre alla palladiana, si allunga verso via sant'Agnese: un tempo vi si addossava un portico, poi demolito. Il portale d'ingresso in facciata è una deperita opera di Giammaria Mosca, lavoro su pietra tenera dei primissimi anni del XVI secolo. Sopra sta una nicchietta con la statua della titolare. Fino al XVI secolo tutta la facciata era decorata a fresco, successivamente in una nuova fase di ammodernamento gli affreschi furono staccati e impiegati come materiale di riempimento tra due livelli di pavimento. Più di 5000 frammenti vennero ritrovati nel sottosuolo e la ricomposizione, ha permesso di ricostruire, seppure parzialmente, alcune parti di architettura illusionistica, panneggi, aureole, capelli e mani, che comparati a livello stilistico con frammenti hanno rivelato la notevole qualità esecutiva e la stringente affinità stilistica con la pittura di Guariento, al quale sono state attribuite per la prima volta anche le pareti della Cappella Carrarese e l’abside della chiesa degli Eremitani a Padova. Il prezioso il campanile, originale e rimasto integro assieme alla navata della chiesa durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale del 1944 è un esempio straordinario di costruzione romanica del XIII secolo. Dopo il XVI secolo all'interno dell'edificio sacro (lungo 15 metri e largo 7) vennero apportate delle modifiche gli apparati decorativi. Vi erano alcuni grandi teleri di Francesco Minorello raffiguranti le storie della santa titolare ora esposti al Palazzo Episcopale. C'era pure la pregevole pala d'altare di Giandomenico Tiepolo Sacra Famiglia con le Sante Francesca Romana ed Eurosia poi portata a San Nicolò; sugli altri altari vi erano lavori di Giulio Cirello. Nella chiesa c'era pure un antico organo, ampliato secondo i canoni ceciliani da Domenico Malvestio: fu inaugurato da Oreste Ravanello e Luigi Bottazzo nell'agosto del 1899. Oggi si trova nella parrocchiale di Valle San Giorgio, a Baone. Giovambattista Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, in Padova 1780 Stamperia del Seminario Giannantonio Moschini, Guida per la città di Padova, Atesa editrice AA.VV., Padova Basiliche e chiese, Neri Pozza Editore Giuseppe Toffanin, Le strade di Padova, Newton e Compton Editori Giuseppe Toffanin, Cento chiese padovane scomparse, Editoriale Programma AA.VV., Padova, Medoacus Fondazione Alberto Peruzzo, Una nuova Sant'Agnese. Il recupero di una chiesa del XII secolo e un nuovo centro per l’arte, Skira editore, 2022 Chiese di Padova Diocesi di Padova Monumenti di Padova Fondazione Alberto Peruzzo Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Agnese

Porta Savonarola
Porta Savonarola

Porta Savonarola è una delle otto porte di accesso delle mura cinquecentesche della città di Padova. Il progettista fu Giovanni Maria Falconetto che, non essendo un ingegnere militare, si concentrò maggiormente sulla bellezza formale dell'edificio, ma non trascurando la sua funzione primaria, quella difensiva. La costruzione di Porta Savonarola venne iniziata nel 1528 e conclusa nel 1530, per completare il progetto di fortificazione delle città di Padova da parte della Repubblica Veneta. Porta Savonarola è la porta Nord-Ovest delle mura, oggi all'incrocio tra via Vicenza, via Savonarola e corso Milano. Durante e dopo gli anni della Guerra della Lega di Cambrai, la Serenissima si fece promotrice di una serie di iniziative architettoniche quali la costruzione delle mura di Padova, essendo l'ultima città della Repubblica da difendere. Il progetto contava di edificare 8 porte di accesso alla città; il numero è esiguo perché la struttura della porta è un punto assai debole. L'opera di fortificazione prende avvio nel 1509 e a concludere l'impresa fu Giovanni Maria Falconetto con l'ultimazione di Porta Savonarola realizzata nel 1528 e finita nel 1530. Porta Savonarola presenta due ingressi: uno verso l'esterno (ovest), che un tempo dava verso le compagne, l'altro verso l'interno (est) che si affacciava alla città. Porta Savonarola presenta una pianta rettangolare esterna. L'interno è caratterizzato un ambiente ottagonale con nicchie semicircolari inquadrate da una semplice cornice e una volta di copertura a spicchi. Dall'estradosso della volta di copertura è possibile raggiungere il sottotetto tramite una scala ricavata nello spessore della muratura. Porta Savonarola è realizzata sul modello dell'arco di trionfo romano. La facciata esterna (ovest) della porta è tripartita verticalmente e posa su una base scarpata. Sono presenti quattro colonne di ordine composito in pietra d'Istria poste sopra un piedistallo che risaltano rispetto alla muratura scura in trachite. Negli angoli in basso ci sono due porte, quella di destra in origine era aperta e riservata all'accesso pedonale, ora chiusa. La figura di Marte campale tra le fiamme è rappresentata in chiave all'arco della porta di accesso alla città. Nella volta dell'arcata del portone di accesso alla città sopra le due porte sono scolpiti in altorilievo due clipei in trachite raffiguranti in pietra d'Istria Bacco e Pomona (o Cerere, divinità della fertilità rurale) in pietra d'Istria. Il piano attico è decorato con due stemmi celebrativi delle casate della città e il Leone Marciano. Quest'ultimo venne distrutto insieme agli stemmi della Serenissima dai Francesi nel 1797, poi nel 1928 furono ricostruiti. Venne anche demolita l'ultima arcata del ponte levatoio che successivamente viene sostituito negli anni Trenta del Novecento con una passerella in legno. La facciata interna (est) è simile a quella esterna: è anch'essa tripartita verticalmente, ma presenta solo le colonne laterali in pietra d'Istria. I clipei raffigurano Medoacus (divinità fluviale rappresentante il fiume che passa all'interno della città) e Minerva (protettrice della città). Nella chiave di volta dell'arco della porta di accesso alle campagne è raffigurata la fenice personificata. Anche questo piano attico è decorato dagli stemmi della città e al centro si trova una grande iscrizione che ricorda il doge Andrea Gritti con la data del 1530. Falconetto riprende dalla Porta Aurea di Ravenna, con il valore di una citazione, il motivo dei grandi clipei sui due fronti della grande porta Savonarola del 1530, firmata e datata, articolata con fornice centrale e due porticine laterali fiancheggiate da due semicolonne, dove pone al secondo ordine i clipei copiati dalla porta ravennate, ornati dai busti delle divinità tutelari la città, sul tipo della porta di Augusto a Rimini. Insiste su questo schema di porte ad atrio coperto, unico fornice con aperture laterali più piccole anche nella porta San Giovanni del 1528, anch'essa firmata. Giovanni Maria Falconetto utilizza un sistema decorativo di fronti e fregi aderenti ai modelli antichi che si lega allo sviluppo architettonico del periodo, tramite questo usufruisce dell'ordine architettonico come strumento compositivo dell'intero edificio. Rispetto alle altre porte cinquecentesche Falconetto prende solo l'allineamento alla cortina delle mura, dalle architetture dell'epoca crea una elaborazione formale con la supremazia della bellezza formale rispetto alla funzionalità difensiva. Lo spazio interno è di difficile gestione militare: si ispira allo studiolo di Varrone presso Cassino, stesso modello per l'Odeo Cornaro, ulteriore dimostrazione del fatto che Falconetto non è un ingegnere militare ma un architetto che ha poco interesse per la funzione difensiva dell'edificio. Le scelte architettoniche del Falconetto possono essere interpretate secondo la concezione Albertiana della città come grande casa: Porta San Giovanni (Padova) Mura di Padova Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta Savonarola Sito dell'associazione "Comitato Mura di Padova", su muradipadova.it.

Teatro Verdi (Padova)
Teatro Verdi (Padova)

Il Teatro Nuovo oggi Teatro Verdi è il principale teatro padovano. L'edificio, commissionato da una società di nobili padovani, venne realizzato dall'architetto padovano Giovanni Gloria su progetto dell'architetto Antonio Cugini di Reggio. Nel 1751 venne inaugurato con un melodramma di Metastasio e fu chiamato "Teatro Nuovo e della Nobiltà". Nel 1847 fu ristrutturato al suo esterno da Antonio Monte su disegno di Giuseppe Jappelli. Nel 1884 fu rimodernato internamente dall'architetto milanese Achille Sfondrini che aveva progettato il Teatro dell'Opera di Roma. La volta, che rappresenta la Danza delle Ore fu dipinta da Pietro Paoletti e rifatta successivamente da Giacomo Casa. L'inaugurazione avvenne l'8 giugno 1884 con l'attuale nome. Le musiche per l'apertura del teatro rimodernato sono dovute al musicista patavino Angelo Tessaro. Originariamente il Teatro era affiancato dallo stretto vicolo dei Subiotti; dal 1958 questo assetto venne sconvolto con l'apertura di Corso Milano. Vennero inoltre demolite alcune case addossate all'edificio, rivelando tre grandi finestre ogivali che servivano a dare luce al palcoscenico. Il Verdi è la sede operativa del Teatro Stabile del Veneto e sede del terzo anno dell'Accademia Teatrale "Carlo Goldoni". In passato è stato sede unica dell'Accademia d'Arte drammatica "Palcoscenico". Carmelo Alberti (a cura di), Il Teatro Verdi di Padova 1992-2010. Storia, cronache e immagini (PDF), Venezia, Marsilio, 2010, ISBN 978-88-317-08425. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Teatro Verdi https://padova.italiani.it/scopricitta/il-teatro-verdi-di-padova-nel-teatro-stabile-del-veneto/ Sito ufficiale, su teatrostabileveneto.it. (EN) Teatro Verdi, su Structurae.