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Torri Pitagora

Architetture di TorinoPagine con mappe
Torri pitagora torino a
Torri pitagora torino a

Le Torri Pitagora sono parte di un comprensorio residenziale di Torino. Sorte tra il 1964 e il 1965 in una zona periferica della città (Mirafiori Nord), sono frutto di un collaudato sodalizio tra l'architetto Elio Luzi e Sergio Jaretti Sodano che, dopo aver già progettato la Casa dell'Obelisco sulla prestigiosa collina torinese, realizzeranno anche la famosa Torre Mirafiori e il complesso edilizio circostante. Realizzate su progetto del duo Luzi-Jaretti per l'impresa edile Manolino, le Torri Pitagora fanno parte delle cosiddette "residenze alte" della Torino del dopoguerra. Ubicate sull'area compresa tra i corsi Siracusa, Orbassano e Cosenza, con affaccio sull'antistante piazza Pitagora, il complesso edilizio comprende le due torri che, con i loro dieci piani, si distinguono per l'elevata altezza rispetto al contesto edilizio circostante, privo di una particolare coerenza. Complice dell'altezza è lo slancio conferito dalla scelta di basare l'edificio su alti "pilotis", dove trovano posto anche degli spazi a doppia altezza per attività commerciali. La scelta di una planimetria variegata giustifica la caratteristica struttura a moduli sovrapposti che, con un equilibrato gioco di sporgenze, sottolinea la varietà dei prospetti con un ritmo di crescente trasformazione verso l'alto, culminando con il tetto pensile. Impossibile non notare, infine, i ricorrenti elementi decorativi tipici della progettualità di Luzi e degli edifici dell'impresa Manolino, ovvero il largo impiego del mattone a vista con posa "a coltello" (atta a mostrare l'incavo volutamente lasciato vuoto) e l'ampio uso di moderne ringhiere in vetro armato. Red., Le torri Pitagora a Torino, in «L'architettura. Cronache e storia», 131, settembre, 1966, pp. 286–291 Politecnico di Torino Dipartimento Casa-Città, Beni culturali ambientali nel Comune di Torino, Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, Torino 1984, p. 482 Le Torri Pitagora, in Agostino Magnaghi, Mariolina Monge, Luciano Re, Guida all'architettura moderna di Torino, Lindau, Torino 1995, p. 235 Luca Barello, Andrea Luzi (a cura di), Le case Manolino: storia di una famiglia di costruttori e due architetti, Il Tipografo, Buttigliera d'Asti 1997 Sergio Pace, Torri Pitagora, in Vera Comoli, Carlo Olmo (a cura di), Guida di Torino. Architettura, Allemandi, Torino 1999, p. 219 Maria Luisa Barelli, Davide Rolfo, Il palazzo dell'Obelisco di Jaretti e Luzi. Progetto e costruzione, Gangemi, Roma 2018. Casa dell'Obelisco Torre Mirafiori (Torino) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Torri Pitagora

Estratto dall'articolo di Wikipedia Torri Pitagora (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Torri Pitagora
Corso Siracusa, Torino Mirafiori Nord

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Luoghi vicini

Parco Rignon
Parco Rignon

Il parco Rignon è un piccolo parco urbano, di 46.200 m² di estensione, situato a Torino, a sud-ovest della città, nel quartiere di Santa Rita. Nel 1650, l'area risultava ancora una semplice cascina rurale, quando l'acquistò tal Don Giambattista Amoretti, un giovane sacerdote ligure originario di Oneglia, da poco divenuto elemosiniere e diplomatico presso la corte ducale. Entrato nelle grazie del marchese Filippo San Martino di Agliè, di Madama Cristina di Francia e di Carlo Emanuele II di Savoia, il giovane prete, dotato di spiccata diplomazia e senso degli affari, sia a Torino che in Francia, fu altresì nominato abate di corte.. Oltre la Casina Amoretti, fu nominato amministratore dell'Abbazia di Casanova di Carmagnola, nonché dell'Abbazia di Abondance in Alta Savoia, entrambe appartenenti all'Ordine Cistercense. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1686, l'abate finanziò i lavori di ristrutturazione della cascina, elevandola a "commenda", con pianta a "L". Come accadde per alcuni suoi nipoti, Lorenzo Giovanni Batta Amoretti Conte d’Envie e Benedetto Amoretti, anche questa proprietà finì in eredità, questa volta ad terzo nipote, tal Carlo Giacinto Amoretti, che finanziò un ulteriore ristrutturazione dell'area dopo l'Assedio di Torino del 1706. Carlo Giacinto, nel frattempo divenuto marchese di Osasio, ebbe un primogenito, Giuseppe Antonio Amoretti, che però morì prematuramente, e alla proprietà quindi subentrò il secondogenito, il marchese Giambattista Amoretti di Osasio. Nel 1760, su volere del marchese Giambattista Amoretti di Osasio, partirono i lavori di costruzione dell'attuale Villa, situata al centro del parco, su dei progetti dell'architetto torinese Plantery, che già si era occupato di interventi urbanistici in città. L'edificio fu progettato su di un piano rialzato, accessibile da due scalinate simmetriche centrali, quindi sormontato ancora da due ampi piani di residenza. Il marchese Giambattista Amoretti ebbe un figlio, Carlo, che fu anche ultimo marchese di Osasio, il quale ebbe a sua volta una sola figlia, la quale però morì presto nel 1807, lasciando quindi la villa in eredità ai famigliari di sua moglie, i Guasco di Castelletto d'Erro d'Alessandria, già decurioni di Torino. I Guasco, a loro volta, cedettero la villa nel 1828, comprensiva dei terreni circostanti, ai Signori Provana di Collegno, che a loro volta vendettero ai fratelli Conti Pietro Amedeo e Paolo Luigi Rignone, o Rignon. Nel 1899, l'eredità passò al figlio di Paolo Luigi Rignon, il Conte Vittorio Rignon. Fu quest'ultimo, il Conte Vittorio Rignon, che nel periodo 1900-1910 condusse degli importanti rimaneggiamenti a tutta la proprietà: la villa fu totalmente ristrutturata, mentre il parco circostante fu totalmente ridisegnato, con elegante giardino fiorito, in stile liberty, quindi dotato di cinta muraria con tre ingressi, uno principale sul Corso Orbassano, due laterali su Via Filadelfia e Via Piscina. La commenda originaria fu totalmente demolita, per dar spazio alle scuderie e all'edificio semicircolare, progettato dall'ingegner Giovanni Chevalley e destinato ad aranciera, ed ancor oggi visibile sul lato nord, ovvero vicino all'ingresso di via Filadelfia. Alla morte del Conte, suo figlio, Felice Rignon, già sindaco di Torino e senatore del Regno, donò la villa, senza i terreni circostanti, al Comune di Torino. Nel 1970 poi, il Comune di Torino riuscì ad acquistare anche i terreni circostanti, e ne prese quindi la gestione come parco pubblico cittadino, mentre la villa fu destinata a Biblioteca Civica e spazio espositivo, punto strategico del quartiere Santa Rita di Torino. La stessa villa fu poi ulteriormente ristrutturata nel 2001, dotandola di sala riunioni sotterranea, e fu costruito un nuovo padiglione bibliotecario sul retro, nel 2004. Il parco, frequentato soprattutto per la Biblioteca, in estate è sede di eventi musicali e di altre manifestazioni di quartiere; è stata sede di lavori del Teatro Stabile e di varie importanti attività artistiche. Nel parco vi sono anche dei giochi per bambini ed una bocciofila. Parchi di Torino (e luoghi d'interesse a Torino in generale) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su parco Rignon Scheda del parco dal sito del comune di Torino, su comune.torino.it. URL consultato il 14 luglio 2010 (archiviato dall'url originale il 17 settembre 2011).

Chiesa del Gesù Redentore (Torino)
Chiesa del Gesù Redentore (Torino)

La chiesa del Gesù Redentore è un edificio di culto cattolico a Torino, nel Borgo Cina del quartiere Mirafiori Nord (Circoscrizione 2). La chiesa venne costruita per sostituire una piccola cappella bianca (situata verso l'imbocco di Via Giacomo Dina) in risposta all'aumento della popolazione circostante di fedeli. Il progetto si deve all'architetto biellese Nicola Mosso, ed è considerato la sua realizzazione più significativa nel campo dell'edilizia religiosa. Inaugurate la chiesa e la casa parrocchiale nel maggio 1957, il cantiere fu completato alla fine degli anni '60 con l'inaugurazione dell'oratorio, del cine-teatro, della cappella feriale e della casa per le associazioni cattoliche. Alla fine degli anni '50 era stata nel frattempo realizzata anche una sala polivalente, oggi intitolata a Mario Operti (poi dedicata anche a Giovanni Fornero) nei locali sotterranei. Nel 2002 viene restaurata la copertura della chiesa. Le facciate presentano un paramento di mattoni a vista. La navata è singola. La volta, sfaccettata, è in cemento armato, mentre i muri dell'aula principale sono sempre in mattoni (al rustico). La chiesa è considerata, tra i progetti realizzati a Torino negli Anni Cinquanta del Novecento, uno degli edifici che destano interessi architettonici "più ampi di quelli locali". La sua copertura a nervature incrociate, che permette di evitare il ricorso a pilastri all'interno dell'edificio, è considerata dalla critica posteriore una soluzione "di chiara matrice guariniana". La conformazione sfaccettata della volta, con le sue numerose aperture vetrate, crea un particolare effetto dovuto ai raggi luminosi che danno luce alla navata e richiama la cappella della Sindone. Edifici di culto a Torino Luoghi d'interesse a Torino Parrocchie dell'arcidiocesi di Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa del Gesù Redentore Scheda sulla Parrocchia Gesù Redentore (Arcidiocesi di Torino) Chiesa di Gesù Redentore, su Le chiese delle diocesi italiane, Conferenza Episcopale Italiana. (Conferenza Episcopale Italiana)

Cascina Roccafranca
Cascina Roccafranca

La Cascina Roccafranca è una cascina storica di Torino, situata nel quartiere Mirafiori Nord. La cascina venne costruita nella prima metà del XVII secolo (l'impostazione seicentesca è evidente dalle tre elevazioni fuori terra della villa rispetto ai bassi rustici). Di proprietà della Compagnia della Concezione, fu da essa venduta nel 1689 al signor Ballard, il quale, nel 1734, riceverà l'investitura del titolo "conte di Roccafranca", con feudo comprendente il Gerbido tra le odierne vie Tirreno, Arbe, Veglia, Strada del Barocchio e Corso Orbassano. Nella Carta della Montagna (1694-1703), la “Cassina Belarde” si presenta come costruzione campestre a corte chiusa e dalla planimetria ad “L”. Nel 1790, l’architetto Giovanni Amedeo Grossi la illustra come segue: “cascina dell’illustrissimo signor Conte di Roccafranca situata alla destra della strada d’Orbassano, e lungo la strada, che tende al Gerbo vicino all’Anselmetti, lungi due miglia e mezzo da Torino”. Agli inizi dell'Ottocento, l'aggiunta di una manica rese "a C" la pianta. La Mappa Napoleonica del 1805 documenta questa novità, denominando "Ferme Rocafranca" il complesso. Nel 1840, la Topografia della città e del territorio di Torino (firmata da Antonio Rabbini) fa risultare alla baronessa Chionio la proprietà, in séguito ulteriormente ampliata. Negli anni 1930, lavoratori di fabbriche cittadine quali FIAT e Lancia dimorarono in cascina. Durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, i danni furono lievi. Nel 1957, dalle originali 96 "giornate" il terreno agricolo si ridusse a 35 di esse e negli anni ’70 diminuì ulteriormente a causa dello sviluppo residenziale: ciò portò all'abbandono progressivo della cascina. A fine settembre 2002, il Comune acquistò il bene e sotto la promozione del programma Urban 2 dell'Unione Europea, dal 2004 la struttura venne recuperata e riqualificata. La cascina come centro civico è stata inaugurata il 18 maggio 2007. Sono qui ospitate due sedi: quella circoscrizionale dell'Ecomuseo Urbano di Torino, e quella delle "Case del Quartiere" APS (rete cittadina che include la cascina stessa, prima "Casa" creata). Ecomuseo Urbano di Torino Cappella Anselmetti Cascina Giajone Luoghi d'interesse a Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Cascina Roccafranca https://www.museotorino.it/view/s/da6cce0a579646dcb29a1e76c9aadb88 http://www.comune.torino.it/circ2/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2143.html http://www.retecasedelquartiere.org/cascina-roccafranca/

Cascina Giajone
Cascina Giajone

La Cascina Giajone, o Giaione, è una cascina storica di Torino, situata nella Città Giardino del quartiere Mirafiori Nord. Costruzione campestre di rilevanza documentaria ed ambientale, si tratta di un esempio significativo della peculiare cascina in pianura con torre colombara. Nella Carta della Montagna di Torino redatta da Vittorio Amedeo La Marchia, che ritrae Torino tra il 1694 ed il 1703, la cascina Iayon figura per la prima volta. Il nome in questione derivava forse dal piemontese ghiajron o giajron (ghiaia grossa, ciottolo), poiché in passato era ivi presente una cava. Durante l'assedio di Torino (1706) la cascina, come altre della zona, risultò pesantemente coinvolta negli eventi bellici. Tra il 1762 e il 1785, il conte Giuseppe Martini Montù di Beccaria fece radere al suolo e ricostruire la vecchia cascina ora 'Giaion' dei Padri della Consolata d'Asti. Nella Guida alle Cascine e Vigne del Territorio di Torino e suoi contorni (1790), l’architetto Giovanni Amedeo Grossi descrive il nuovo edificio in questo modo: “[…] L’edificio di dette cascine formanti tre maniche, due delle quali sono lunghe trenta trabucchi [90 metri] circa, fabbricati tutti di nuovo da pochi anni, è una de’ singolari edificij, che vi sono sul territorio di Torino, che gareggia co’ migliori di què contorni; comode sono le abitazioni pegli affittajuoli, e bovari, grandiose le stalle tutte a volta, ed i granaij, tuttoché posti al secondo piano, vi si ha nondimeno l’accesso colle bestie per via di comode rampe; in dette cascine sono impiegati continuamente sei paja di buoi essendo composte da 180 giornate […]”. Nel Catasto Particellare (1823) di Andrea Gatti, “Il Giajone” appare come un corpo di fabbrica a corte chiusa e con planimetria a “C”, di proprietà del nobile Luca Martin di San Martino. Tra il XIX e il XX secolo, la cascina ospitò l'allevamento della Società Torinese Cavalli. A metà agosto 1943, durante i bombardamenti alleati, una bomba precipitò nella corte distruggendo due fabbricati. Il soffio dell'ordigno provocò il distacco della copertura, varie lesioni, e rottura violenta della chiassileria di un piano. Numerose altre bombe colpirono i dintorni. Negli anni successivi fu deposito di rottami, abitazione di fortuna e comprensorio di officine. Abbandonata e degradata per molto tempo (dopo il 1972 venne abbattuto l’edificio delle scuderie), nella seconda metà degli anni '80 fu restaurata e ristrutturata allo scopo di accogliere gli uffici della circoscrizione, ai quali si aggiunse la Biblioteca Civica Alessandro Passerin d'Entrèves (già Biblioteca Civica Cascina Giaione) nel 1992. Nel 1996 ospitò la mostra I Guastafeste del Centro Arti Umoristiche e Satiriche. Il complesso è costituito da 3 corpi di fabbrica su tre lati, a formare una corte rettangolare limitata sul quarto lato da una recinzione muraria. Il progettista dello stabile rurale è ignoto, ma la ricercatezza compositiva delle diverse parti funzionali suggerisce possa trattarsi di qualche autorevole architetto che operasse nella capitale sabauda in quel tempo. Cascina Roccafranca Luoghi d'interesse a Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Cascina Giajone Cascina Giajone, il Giaione La cascina "il Giajone"

Palasport Tazzoli

Il palasport Tazzoli è una struttura sportiva polivalente per gli sport del ghiaccio, che si trova a Torino, nel quartiere Mirafiori Nord (zona Sud-Ovest della città), vicino alle storiche officine della Fiat Mirafiori; è stato ricostruito - sul sito che ospitava una pista all'aperto - per i XX Giochi olimpici invernali. Le dimensioni del campo di gara principale sono di 30 x 60 metri, il che consente di disputare competizioni ufficiali di hockey su ghiaccio (vi giocano le squadre maschile e femminile del Real Torino HC e la squadra dell'HC Torino Bulls) e di Ice sledge hockey (con i Tori Seduti Torino). È presente anche una seconda pista raggiungibile attraverso un tunnel sotterraneo L'impianto stato utilizzato anche in occasione delle Universiadi invernali di Torino 2007 ed attualmente viene utilizzato dalle società iscritte alla Federazione Italiana Sport del Ghiaccio della Regione Piemonte e dalle loro squadre agonistiche che competono nelle discipline dell'hockey, del pattinaggio di figura, del pattinaggio di velocità e short track e del curling. Venne progettato nel 2002, in vista di Torino 2006, dall'architetto bolzanino Claudio Lucchin, Cesare Roluti, assieme allo studio De Ferrari e allo studio Lee (che hanno progettato anche il palaghiaccio olimpico di Torre Pellice). Fu poi realizzato tra il 2003 ed il 2005. Il 12 e 13 gennaio 2013 si è svolta la "final four" Coppa Italia di Hockey su ghiaccio vinta dal Hockey Club Valpellice. Tra gli atleti che hanno calcato la pista del Tazzoli, la medaglia d'argento olimpica di short track Fabio Carta. Palasport Olimpico HC Torino Real Torino Hockey Club Tori Seduti Torino Luoghi d'interesse a Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palasport Tazzoli

Città Giardino (Torino)
Città Giardino (Torino)

Città Giardino (Sità Giardin in piemontese) è il nome dato a un piccolo rione della città di Torino, nel quartiere Mirafiori Nord (parte sud-ovest della città), al confine con Grugliasco (frazione Gerbido), tra corso Allamano, via Guido Reni e la Cascina Giajone. Costruito con alterne vicende dal 1949 al 1970, è chiamato così perché il progetto iniziale (poi realizzato molto parzialmente), si ispirava proprio al modello architettonico e urbanistico inglese della cosiddetta "Garden City". Un modello di borgata simile fu altresì attuato, nello stesso periodo, nel vicino quartiere di Mirafiori Sud, tra via Biscaretti di Ruffìa e via Plava, inizialmente chiamato "Città Giardino" e poi, dopo la costruzione di un rione adiacente con palazzi più alti, ribattezzato come il Villaggio. Lo schema di una Città Giardino è infatti quella di zona residenziale a bassa densità abitativa, con tanti moduli di ridotte dimensioni, come case basse o villette, immersa nel verde e dotata di tutti i servizi. Tuttavia, verso il 1950, la costruzione della "Città Giardino" a Mirafiori Nord fu subito segnata da uno scandalo edilizio. Dopo la seconda guerra mondiale, uno dei problemi più acuti per la città di Torino fu la crisi degli alloggi. Era andato distrutto il 37% delle abitazioni e la città si andava lentamente ripopolando, anche grazie al ritorno di profughi e sfollati. Dal 1945 cominciarono ad affluire numerosi profughi dall'Istria e dalla Dalmazia e nel 1949 le "Casermette" erano ormai abitate da tremila persone. Tra gli anni '50 e '70, poi, la zona sud-ovest di Torino subì un vero e proprio "boom" edilizio e demografico, in particolare nei quartieri di Santa Rita, Mirafiori Nord e Mirafiori Sud. In questo periodo di forte richiesta immobiliare, l'uomo d'affari Vittorio Carosso fondò, con altri imprenditori, la Società Torinese Edile di "Città Giardino", il 17 luglio 1948. Il progetto iniziale prevedeva 475 villette mono o bifamiliari, a uno o due piani, ciascuna dotata di giardino da 350 m2. Il nuovo quartiere avrebbe compreso anche chiesa, piscina, scuola, esercizi commerciali. Il pagamento di ogni singola unità abitativa sarebbe avvenuto a rate, pagabili in cinque anni. La consegna delle prime case fu prevista tra la primavera e l'autunno del 1949. La nuova "città giardino" fu promossa con una campagna pubblicitaria eccezionale, a diffusione nazionale. La prima villetta fu consegnata l'11 aprile 1949, ma, siccome i lavori andavano a rilento, le prenotazioni diminuivano. Nacque allora la Cooperativa Edile Città Giardino, che riuniva tutti i futuri proprietari e si proponeva di trovare i soldi per la costruzione tramite sovvenzioni e contributi statali per l'edilizia popolare. Anche le condizioni di pagamento erano più favorevoli. Una nuova campagna pubblicitaria portò all'iscrizione di nuovi soci alla cooperativa, ma ormai Carosso, presidente della Stecg, aveva esaurito i fondi e i lavori si bloccarono. L'assemblea dei soci della Cooperativa scoprì varie irregolarità contabili nei registri della società e denunciò il Carosso all'autorità giudiziaria. Il tribunale spiccò allora un mandato di cattura per bancarotta fraudolenta, mentre la Stecg veniva dichiarata fallita con sentenza del 2 febbraio 1950. Lo scandalo travolse anche l'assessore all'edilizia comunale Casalini, che fu costretto alle dimissioni nel settembre 1950, mentre il Comune decise di non intervenire sulla vicenda, lasciando la questione interamente nelle mani della magistratura. Intanto Carosso era fuggito e l'inchiesta rivelò un ammanco di 200 milioni nel bilancio della società. La Cooperativa, preso atto della disastrosa situazione finanziaria, decise di non sciogliersi e di continuare la costruzione, rilevando la passività della fallita Stecg. L'Istituto Nazionale di Credito Edilizio di Roma erogò un mutuo di 340 milioni di lire, ma molti soci furono costretti a vendere il proprio lotto, mentre alcuni proseguirono i lavori con risorse proprie. Furono ridisegnati i lotti di terreno, adottando la soluzione di unità abitativa a schiera. Lo stato dei lavori era molto eterogeneo: molte costruzioni non erano ancora fuori terra, alcune solo tracciate, altre nemmeno iniziate. Mancavano tutte le opere di urbanizzazione ed i servizi essenziali (acquedotto, illuminazione pubblica, asfaltatura). I soci della Cooperativa erano intanto calati a 153. Il 27 febbraio 1955 nacque il Consorzio Pro Città Giardino, che si proponeva di tutelare in sede istituzionale i diritti dei soci della Cooperativa. Grazie al suo intervento, il Comune concesse i permessi di costruzione e abitabilità e contribuì con un milione alle opere di urbanizzazione, ma quasi tutti i costi furono coperti dai soci. Verso il 1960-1961 tutta l'area risultava finalmente edificata ed abitabile. Giancarlo Libert, Città Giardino. Mezzo secolo di vita di un borgo di periferia, Torino, Associazione Amici degli Archivi Piemontesi, 2003. INA-Casa Mirafiori Nord Cascina Giajone Santa Rita (Torino) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Città Giardino

Cappella Anselmetti
Cappella Anselmetti

La Cappella Anselmetti, dell'omonima villa-cascina scomparsa, è una piccola costruzione religiosa di Torino, sita nella zona Centro Europa del quartiere Mirafiori Nord. Nel 1730 la Città di Torino vendette i terreni che vedranno ivi costruita, su di una preesistente, una nuova cascina. Tra il 1785 e il 1790 il nuovo proprietario Carlo Vincenzo Anselmetti, banchiere, fece costruire l’edificio padronale, e il complesso venne descritto come “Villa e cascina del signor banchiere Carlo Vincenzo Anselmetti posta lungo la strada, che si dirama alla destra della strada d’Orbassano tendendo verso la Chiesa del Gerbo; il palazzo è moderno, ed ha un bel giardino avanti con una magnifica cappella attigua; ritrovasi due miglia distante da Torino”. Durante i bombardamenti del secondo conflitto mondiale, i danni risultarono lievi. La cascina venne demolita a metà anni '70, ad eccezione della cappella (e dell'annessa sacrestia): tutelata dalla Soprintendenza, si classificò nel nuovo piano regolatore generale come edificio di particolare interesse storico appartenente alla classe I di gran prestigio, in quanto unica costruzione settecentesca superstite nel quartiere. Dal 2002 al 2006, dopo un lungo periodo di abbandono, la cappella fu restaurata per diventare Laboratorio didattico di Storia e Storie (anche archivio permanente). Nuovi Committenti, questo il nome di tale progetto della Fondazione Adriano Olivetti finanziato attraverso i fondi del programma comunitario Urban 2 (programma che interessò, tra le altre cose, anche l'antistante Cascina Roccafranca), nacque per rispondere alla volontà informativa espressa da un gruppo di cittadini del quartiere, in particolare da insegnanti delle scuole d'infanzia e primaria Franca Mazzarello, secondaria di primo grado Corrado Alvaro-Amedeo Modigliani e del liceo scientifico Ettore Majorana. L'inaugurazione avvenne il 2 marzo 2007. Nonostante il contesto padronale, l’ingresso non si presenta rivolto all’interno dell'ex corte, bensì verso la strada; anche i viandanti e gli altri abitanti del contado potevano così usufruire del servizio religioso. edifici di culto a Torino Cascina Roccafranca Luoghi d'interesse a Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Cappella Anselmetti http://www.comune.torino.it/iter/iniziative/la_scuola_adotta_un_monumento/cappella_anselmetti.shtml Archiviato il 15 dicembre 2021 in Internet Archive. https://www.museotorino.it/view/s/7acd69363b5c4aa399e601f8eec0910a https://proteosrl.com/portfolio-page-14.php

Mirafiori Nord
Mirafiori Nord

Mirafiori Nord (Mirafior Nòrd in piemontese) è un quartiere della Circoscrizione 2 di Torino, situato nella periferia sud-ovest della città. Prende il nome dallo storico territorio di Mirafiori, posto appunto, più a sud rispetto a esso. Più precisamente, il quartiere confina: a sud col quartiere Mirafiori Sud (ovvero lungo Strada del Portone-Corso Orbassano-Corso Tazzoli) a nord col quartiere Pozzo Strada-Borgata Lesna (cavalcavia sulla ferrovia Torino-Modane di via Reni-via Tirreno) a est col quartiere Santa Rita (corso Siracusa-corso Cosenza) e Lingotto (corso Unione Sovietica) a ovest con la frazione "Gerbido" del Comune di Grugliasco (via Crea-via Allason-corso Salvemini-via Santorelli-Giardini Rinaldi/Palatucci-strada del Barocchio) Da Mirafiori Nord si accede all'autostrada Tangenziale ovest di Torino, attraverso corso Allamano e corso Orbassano. Prima dell'istituzione delle circoscrizioni, era designato come "Quartiere n. 12". Il rurale territorio era compreso nel cosiddetto "feudo di Roccafranca", nome già esistente per indicare il territorio "franco" a nord del torrente Sangone, tra i poderi privati di Mirafiori e i feudi del "Gerbido" di Grugliasco. A sua volta, il toponimo Gerbo, stava a indicare genericamente un territorio incolto, citato in una denominazione settecentesca del Grossi. Suddiviso in tenute agricole, furono erette cascine, vigne, campi coltivati intersecati da una fitta rete di bealere, il nome dei piccoli canali di irrigazione presenti in Piemonte. Le principali cascine erano la Roccafranca (o Bailarda) e la Giajone. Esistevano poi l'Anselmetti (di cui è rimasta la cappella) e la Canala, al fondo dell'attuale via Nallino, della quale oggi non resta più nulla se non un liscio terreno di campi sportivi. Stessa sorte subirono altre cascine più piccole, la Cascina Spedale di San Giovanni (Ropoli) in via Sanremo/via Dina, e l'adiacente Vaudagnotto. Oltre a esse, uno dei primi edifici del quartiere totalmente sparito fu l'"ospedaletto-sanatorio" San Luigi, all'epoca la nuova sede del precedente (1826-1908) di via Ignazio Giulio (nel quartiere Valdocco). Edificato nel 1909 sul sito dell'odierna piazza Cattaneo, fu poi abbandonato negli anni sessanta per ampliare gli stabilimenti Fiat Mirafiori, quindi riedificato nell'attuale sede fuori città nel 1970, in frazione "Gonzole", tra Orbassano e Rivalta di Torino Dopo lo spostamento della capitale d'Italia da Torino a Firenze, nel 1865, l'amministrazione comunale torinese scelse immediatamente una politica di rapida industrializzazione, a causa della crisi del settore terziario dovuta alla perdita del ruolo di capitale. Incominciò la costruzione di case soprattutto lungo le direttrici periferiche, e la cosiddetta "Barriera di Orbassano" della nuova cinta daziaria a sud-ovest della città, nel 1912 fu spostata dall'adiacente quartiere Santa Rita più a sud, sulla attuale piazza Omero. Le prime costruzioni del quartiere avvennero quindi, a ridosso di corso Siracusa; testimonianza di questo periodo è la piccola ciminiera di via Castelgomberto, 53, residuo di una vecchia fornace per mattoni, usata successivamente come cabina elettrica. Nel 1923 invece, cominciò la costruzione, secondo un piano regolatore del 1908, del lotto di villette tra via Paolo Sarpi e corso Giovanni Agnelli (all'epoca corso Vinzaglio - prolungamento). L'iniziativa fu caldeggiata soprattutto dalla Fiat, che dalla sede nel vicino quartiere Lingotto doveva trasferirsi nei nuovi stabilimenti di Mirafiori nel 1939. A causa della forte richiesta di alloggi da parte della Commissione Interna Operaia Sezione Automobili, si costituirà quindi la "Cooperativa case economiche dipendenti Fiat", che acquisterà dalla casa madre i terreni già in costruzione a un prezzo simbolico. Il primo lotto fu di dodici villette plurifamiliari di due piani. Nel 1927 furono costruite altre quindici case, arricchite con decorazioni in stile déco, con vetrate colorate. Il quartiere continuò a crescere; la crisi degli alloggi nel 1920-1925 fu il catalizzatore per una complessa e continua collaborazione tra la Fiat e il Comune di Torino, che pianificò la costruzione di circa 1.300 alloggi in più, distribuiti in otto isolati; nel 1926 l'azienda automobilistica cedette oltre 118.000 m2 di terreno all'amministrazione municipale, destinati alla costruzione di case popolari, in cambio della realizzazione di infrastrutture stradali (ad esempio il sottopassaggio stradale del vicino Lingotto e l'allargamento della zona ferroviaria adiacente agli stabilimenti del vicino quartiere Lingotto). Sul quel lotto, situato appunto a nord del nuovo stabilimento industriale Fiat Mirafiori del 1939, verrà costruito, dall'Istituto Autonomo Case Popolari, un rione, inizialmente chiamato M2 (Mirafiori2), strutturato con isolati a corte chiusa circondata da palazzine a tre o quattro piani. Queste abitazioni verranno poi assegnate soprattutto alle maestranze Fiat, secondo specifici accordi. Con la nascita dello stabilimento di Fiat Mirafiori nel 1939, la zona cosiddetta "M2" divenne spiccatamente operaia. I nuovi isolati, con le cosiddette case a "corte interna", specialmente a nord di via Giacomo Dina, costruite tra il 1930 e il 1939 in pieno regime fascista, costituirono un rione chiamato "Costanzo Ciano", dedicato al padre di Galeazzo Ciano, genero del Duce. Durante i difficili anni della guerra, verso est sorsero anche la chiesa e l'oratorio salesiano "Don Bosco", più il complesso scolastico dell'Istituto Internazionale "Edoardo Agnelli". Con la caduta del fascismo, il rione Ciano fu rinominato popolarmente "Borgo Cina" (Borgh Cin-a), soprattutto per via dell'incremento demografico di operai della vicina industria automobilistica FIAT, dal dopoguerra in poi. Questi, infatti, ogni giorno uscivano frettolosamente in massa dalle loro case colorate, riversandosi per strada verso i cancelli della fabbrica, già vestiti in tuta da lavoro, come tanti cinesi appunto, a montare in servizio nei serratissimi turni di lavoro.Negli anni cinquanta la zona venne completata con la costruzione del primo grande palazzo di corso Agnelli 148, inaugurando così la stagione dei palazzi da 7-10 piani, assai comuni durante il boom edilizio e demografico degli anni sessanta. A nord del quartiere, un complesso edilizio per un totale di 109 bassi edifici militari sorse col nome di "Casermette di Borgo San Paolo", nome dato per via del vicino quartiere, poiché la denominazione "Mirafiori Nord" era all'epoca inesistente. Esso fu situato esattamente tra via Tirreno e corso Allamano, a ridosso di via Veglia che, di fatto, taglia in due lo stesso comprensorio. Le casermette furono costruite per l'esercito durante la seconda guerra mondiale, quindi parzialmente danneggiate durante i bombardamenti del 1943, poi risistemate e utilizzate per sfollati e reduci. Dal 1947 ospitarono i profughi giuliano-dalmati mentre, dal 1966, la parte a nord di via Veglia fu destinata alla Polizia di Stato col nome di "Caserma Mario Cesale", mentre la parte a sud fu destinata a ospitare i baraccati della zona torinese di corso Polonia (quartiere Nizza-Millefonti). Dal 1985, però, anche la parte sud fu destinata a caserma militare operativa, questa volta dei Carabinieri, a sua volta suddivisa in "Caserma Angelo Pugnani" (con ingresso su corso Allamano) e "Caserma Benito Atzei" (con ingresso su via Guido Reni). Mirafiori Nord conobbe una rapidissima espansione demografica soprattutto a partire dal 1950, con l'inizio del boom economico: un enorme flusso di immigrati dal Triveneto e dall'Italia meridionale si riversò in breve tempo nel quartiere. In soli vent'anni (1951-1971) si passò da 18.700 a 141.000 abitanti e nel 1954 venne inaugurata la prima di una serie di scuole elementari, la Giovanni Vidari di via Sanremo, 46. All'interno di Borgo Cina, nel 1957 fu anche inaugurata la Chiesa del Gesù Redentore, come centro parrocchiale ideato dal cardinale Maurilio Fossati appena due anni prima, il 16 maggio 1955, su di un progetto degli architetti Nicola e Leonardo Mosso. Il piano regolatore del 1954 prevedeva inizialmente tre piazze porticate, progetto poi realizzato solo parzialmente. Le uniche due piazze costruite furono quelle intitolate a papa Giovanni XXIII (di fronte alla chiesa) e la piazza-giardino dedicata al partigiano Dante Livio Bianco. Aperte al traffico veicolare, diventarono delle isole pedonali a partire dal dicembre 1977, su impulso dei comitati spontanei di quartiere. L'area sarà riqualificata nel 2002 nell'ambito del progetto europeo "Urban 2" con l'aggiunta di fontane, giochi per i bambini e un anfiteatro all'aperto. Nel 1956-1957 la Fiat raddoppiò lo stabilimento industriale, partecipando al piano INA-Casa, e aggiungendo ancora 1.550 alloggi da assegnare ai dipendenti. In tutto il quartiere, i primi condomini a sette-dieci piani furono costruiti con le sovvenzioni della società, seguiti successivamente da alcuni condomini popolari della Gescal, e infine dalle sovvenzioni dirette della stessa industria FIAT. Grazie alla legge n. 167 del 1962 sull'edilizia convenzionata, verranno favoriti molti acquisti di terreni destinati a zone commerciali e ai servizi, ma la carenza dei servizi essenziali fu un problema di gravi proporzioni, così come la speculazione edilizia, che fece alzare il prezzo degli alloggi a partire dagli anni settanta circa. Il 27 gennaio 1972, cinquanta famiglie occuparono un palazzo di via De Canal, appena costruito dalla Gescal. Nel 1964, su Corso Siracusa vennero costruite le residenziali Torri Pitagora. Sui terreni di periferia ancora liberi fu costruito, tra il 1968 e il 1971, lungo via Gaidano-Corso Tazzoli fino a frazione Gerbido di Grugliasco, il cosiddetto "Centro Europa", ovvero una zona costituita da edilizia a prezzo di libero mercato, inizialmente composta da undici torri di dieci piani, con vialetti pedonali, una piazzetta e vari spazi verdi. Un'altra zona residenziale, costruita tra il 1950 e il 1970, fu la cosiddetta "Città Giardino", caratterizzata da villette o case molto basse, con giardini e orti, situata tra il corso Allamano e la Cascina Giajone. Il complesso edilizio sorse sull'idea inglese della garden city, già attuata pochi anni prima nel vicino quartiere Mirafiori Sud (zona tra via Monte Sei Busi e via Monte Cengio). Le prime opere di riqualificazione del quartiere avvennero con i grandi lavori di ristrutturazione e rifacimento della antica Cascina Giajone in via Guido Reni, avvenuti nel periodo tra il 1985 e il 1990. Dal 2002 al 2009 il quartiere fu ulteriormente riqualificato grazie al progetto comunale "Urban 2", finanziato dall'Unione Europea. Il programma prevedeva tre tipi di intervento: miglioramento degli spazi verdi, della mobilità sostenibile e della qualità ambientale; sviluppo delle attività economiche; iniziative di integrazione sociale e di sostegno alla cultura. Gli obiettivi raggiunti compresero l'introduzione della raccolta rifiuti porta a porta e la quota del 50% di raccolta differenziata, la riqualificazione della piazza-giardino Dante Livio Bianco e di molti spazi verdi, la riqualificazione e la messa a norma del mercato coperto "Don Grioli" nella piazza omonima, il restauro della Cascina Roccafranca (ora centro ricreativo e culturale e sede dell'Ecomuseo urbano) e della Cappella Anselmetti e la creazione del Centro per il Lavoro in via Del Prete. Un primitivo edificio dell'attuale sito di via Reni comparve già nelle carte dell'assedio di Torino del 1706, con la denominazione Iayon, di proprietà dei Padri della Consolata di Asti; il nome potrebbe a sua volta derivare dal piemontese ghiajron o giajron (ghiaia grossa, ciottolo), dal momento che, anticamente, in quel sito era presente una cava. Nel 1762-1780 il conte Giuseppe Martin Montù di Beccaria, acquistati i terreni a nord della "Roccafranca", fece demolire la precedente costruzione per far posto all'attuale impianto cascinale a corte chiusa, comprensivo di una casa distaccata per la servitù su via Balla (demolita poi nel 1981). Le tre lunghe maniche perimetrali ospitavano gli alloggi padronali e per i fittavoli, i fienili e le stalle. La particolare torretta a nord, perfettamente conservata, era invece l'antica colombaia. Nel sottosuolo era presente una ghiacciaia. L'architetto Amedeo Grossi la descriveva così nel 1790: La Cascina ospitò, tra il XIX e il XX secolo, l'allevamento della Società Torinese Cavalli; durante la seconda guerra mondiale il cortile interno fu colpito dai bombardamenti del 16 agosto 1943. Negli anni successivi, vi trovarono posto depositi di rottami, abitazioni di fortuna e varie piccole officine. Abbandonata e degradata per molti anni, fu quindi ristrutturata negli anni ottanta dal comune di Torino, che la destinò agli usi attuali. Al riguardo, fu fondamentale l'azione promotrice socio-culturale di Antonio Gamba (1932-1999), fondatore del Comitato spontaneo di Città Giardino, al quale fu dedicata l'area verde del perimetro nord. Sempre sul lato nord, fu altresì dedicata la sala polivalente della Cascina a due figure torinesi del XX secolo, don Mario Operti (al quale fu dedicata anche la sala parrocchiale della chiesa del Gesù Redentore) e lo scrittore Giovanni Fornero. Oltre che sede di un Ufficio Anagrafe e di una Biblioteca Civica, negli anni novanta e duemila fu sfruttata come sede di numerose iniziative socio-culturali. Tuttavia, in anni più recenti è stata scarsamente valorizzata. Il primitivo impianto cascinale di via Rubino angolo via Gaidano fu eretto per la Compagnia dell'Immacolata Concezione agli inizi del XVII secolo e rivenduto, nel 1689, al ricco Conte Lorenzo Ballard o Balard, quando la cascina prese il suo nome (Cassina Balarda, Belarde o Belarda). Nel 1734, l'intero feudo fu intestato ai Ballard con il nome di Contea di Rocca Franca, nome già esistente a indicare il territorio "franco" lievemente sopraelevato a nord del torrente Sangone, collocato tra i poderi privati Mirafiori e i feudi che si estendevano fino al Gerbido di Grugliasco. Dopo tre generazioni, i Ballard si estinsero e la cascina venne quindi acquistata dalla baronessa Chionio che, nel 1836-1845, fece ampliare l'edificio. Con la riduzione dei terreni agricoli dovuti allo sviluppo urbanistico e industriale, la cascina cadde in abbandono fino al 2002, quando il Comune l'acquistò e ristrutturò; dal 2007 ospita la Casa del Quartiere Cascina Roccafranca, un centro socio culturale che promuove iniziative, eventi e progetti per la cittadinanza, oltre che molti locali destinati ad attività culturali e associative. Prospiciente alla Cascina Roccafranca, dall'altro lato di via Gaidano, rimane oggi una piccola cappella del XVIII secolo, con facciata in stile barocco piemontese, che fece parte della tenuta agricola acquistata nel 1785 dal banchiere Carlo Vincenzo Anselmetti. Quest'ultimo fece ricostruire la preesistente cascina e aggiunse una villa signorile con questa cappella. Nell'Ottocento fu un altro banchiere, Paolo Nigra, a rilevarne la proprietà. Il terreno agricolo circostante diminuì con il tempo, fino a sole 50 giornate nell'anno 1957. Vicinissima alla Cascina Roccafranca, l'ingresso della cappella è rivolto sull'antica via di Grugliasco (oggi via Paolo Gaidano), per permetterne l'uso anche ai viandanti e agli abitanti del contado. Sia il palazzo padronale sia la cascina furono poi demoliti nel 1977, per far posto all'attuale complesso scolastico denominato "E11" (scuola Modigliani). Dell'antica tenuta rimase quindi solo la cappella, oggi tutelata dalla Soprintendenza ai Monumenti del Piemonte per il suo valore storico-artistico. La cappella fu quindi restaurata nel 2004, e destinata, tre anni più tardi, a laboratorio didattico, attraverso il programma Nuovi Committenti, guidato dell'associazione comunale Urban 2 e dall'artista toscano Massimo Bartolini. Nell'abside domina ancora l'immagine della Madonna della Consolata. L'Istituto Internazionale Salesiano "Edoardo Agnelli" è un complesso educativo-religioso sito nell'estrema parte est del quartiere (corso Unione Sovietica-corso Cosenza-via G. Dina), costruito tra il 1938 e il 1941 su disegno dell'architetto salesiano Giulio Valotti (lo stesso del Santuario del vicino quartiere Santa Rita), comprende il tipico oratorio, il cinema-teatro e le scuole salesiane di arti e mestieri. Si svilupparono, in seguito, scuole professionali vere e proprie, su impulso della Fiat che vedeva nell'opera dell'Istituto un mezzo per formare operai qualificati. Dopo la guerra e i bombardamenti (che danneggiarono gli edifici), i corsi ripresero nel 1946 con l'aggiunta della scuola elementare e di un'officina per le esercitazioni, di ben 4.800 m2. Nello stesso anno nacque anche l'istituto "Virginia Agnelli", dedicato all'educazione femminile, gestito dalle suore di Maria Ausiliatrice: ospitato prima in baracche di fortuna, venne ampliato a più riprese fino al 1967 con asilo infantile, scuola materna e scuole professionali per le ragazze. Oggi l'Istituto Agnelli ospita la scuola media, il liceo scientifico, l'istituto tecnico industriale e un corso professionale per periti meccanici. Parte integrante del Complesso è la chiesa di San Giovanni Bosco, con ingresso su via Paolo Sarpi, sempre progettata dall'architetto Valotti, che fu inaugurata il 19 aprile 1941 come parte integrante del complesso, ma divenne parrocchia soltanto il 20 novembre 1957. Il suo stile fonde linee dell'architettura razionalista dell'epoca con alcuni elementi tradizionali: i contrafforti, le arcate, i soffitti a rosoni e un mosaico sulla facciata. L'isolato adiacente invece, quello a ridosso di corso Agnelli, è recente opera di intervento edilizio per il nuovo complesso sportivo-ricreativo della Reale Mutua Assicurazioni. Chiesa del Santissimo Nome di Maria, situata quasi ai confini con Grugliasco, soprattutto a servizio della zona di Città Giardino. Un primo impianto religioso risale al 1957, presso il quale esisteva una semplice sala liturgica a finestre circolari e l'annessa casa parrocchiale, ancor oggi presenti sulla parte meridionale, mentre l'edificio attuale a navata unica e facciata a forma di "tenda" fu opera degli architetti Marco Ghiotti e Piero Contini, inaugurata nel 1972. La vecchia sala liturgica fu quindi destinata a uso commerciale, mentre nel 2004 fu eretto un nuovo salone parrocchiale retrostante la chiesa, più altre piccole opere di ristrutturazione e rimaneggiamento. Chiesa dell'Ascensione, sita appena dietro la Cascina Roccafranca, opera di Giovanni Canavesio del 1969. Chiesa della Pentecoste, quasi al confine col quartiere Santa Rita, opera di Mario Bianco, Bruno Villata e Bertolotti, risalente al 1976. Chiesa dello Spirito Santo, del XVII secolo, che tuttavia appartiene a frazione Gerbido di Grugliasco, nella zona agli estremi confini sud-occidentali sia del quartiere sia di Torino e talvolta chiamata "Centro Europa" (la parte ovest di via Paolo Gaidano) Chiesa del Gesù Redentore, sopracitata. Il giardino tra l'Istituto Tecnico Industriale Enzo Ferrari e Via Edoardo Rubino è intitolato a Francesco Saverio Nitti (come già la via lungo il margine settentrionale) Il giardino tra Via Amedeo Modigliani e Via Paolo Gaidano è intitolato ai Magistrati caduti nella difesa dello Stato Il giardino tra via Paolo Gaidano e Piazza Omero è intitolato al pittore Umberto Boccioni Il giardino tra Via Carlo Alfonso Nallino, Corso Enrico Tazzoli, Corso Orbassano e Via Angelo Scarsellini è intitolato a Pietro Nenni Il giardino di Piazza Dante Livio Bianco è intitolato a Emilia Mariani Il giardino tra Via Sanremo, Via Eleonora d'Arborea e Via Bernardo de Canal è intitolato a Carlo Montù Il giardino tra Via Bernardo de Canal, Via Carlo Del Prete e Via Eleonora d'Arborea è intitolato a Carlo Compans de Brichanteau Il giardino tra Corso Salvemini e la centrale elettrica e di teleriscaldamento ex-Aem-A2A, nel 2004 fu intitolato al bambino Nicholas Green Su proposta della Circoscrizione, il giardino tra via Buenos Aires 112/116 e via San Marino 119/129 (già in Santa Rita) è stato intitolato dal Comune di Torino nell`aprile 2022 al politico e ministro Tina Anselmi. Noto anche come "Palasport Tazzoli", sul corso omonimo, fu costruito in occasione delle Olimpiadi del 2006, al posto di un impianto di pattinaggio su ghiaccio preesistente. È dotato di due piste regolamentari che ospitarono gli allenamenti di hockey su ghiaccio e short track, e di una tribuna da 3.000 posti. Con sede in via Modigliani, è un complesso sportivo composto da palestra, campi di calcio a 5, piscina federale e due campi da tennis. Sita in via Palatucci, all'estremo confine ovest del quartiere con Grugliasco, l'area verde comprende i giardini pubblici dedicati al salesiano don Filippo Rinaldi, l'area ricreativa dei Volontari Italiani Donatori del Sangue e i campi sportivi dell'ASD "Beppe Viola". In piazza Pitagora, negli anni settanta e ottanta, abitò l'attrice Margherita Fumero In via Castelgomberto vissero i genitori dell'attrice e showgirl Alba Parietti, dopo essersi trasferiti dal precedente quartiere torinese di Madonna del Pilone Nel rione Borgo Cina visse e crebbe, fino agli anni del liceo, il giornalista e politico Oscar Giannino Enrico Bonasso, Maria Clotilde Fagnola; Giancarlo Libert; Bartolomeo Paolino, Santa Rita. Un santuario e un quartiere torinese, Torino, Associazione Nostre Origini, 2008. Amedeo Grossi, Guida alle vigne e cascine del territorio di Torino e suoi contorni, Torino, 1790. Laura Zanlungo e Diego Robotti, Da Miraflores alla Roccafranca. Turismo urbano a Mirafiori Nord, Torino, Hapax, 2008, ISBN 978-88-88000-25-1. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Mirafiori Nord TORINO NOTIZIE - MIRAFIORI NORD, su torinonotizie.it. Sito della circoscrizione 2, su comune.torino.it. Associazione Commercianti Borgocina, Dina, San Remo (Torino), su borgocina.com. Giaione (PDF), su comune.torino.it. URL consultato il 7 aprile 2010 (archiviato dall'url originale il 19 giugno 2013).

Circolo della Stampa - Sporting
Circolo della Stampa - Sporting

Il Circolo della Stampa – Sporting è un complesso sportivo polifunzionale situato in corso Giovanni Agnelli, nel quartiere torinese di Santa Rita, nella zona sud-occidentale della città. Deve il nome all'associazione ricreativa dell'omonimo quotidiano torinese, parzialmente beneficiaria dell'area durante gli anni 1930. Nel corso della sua storia è stato noto come Circolo «La Stampa», Circolo Juventus (o, più brevemente, come Circolo) e, in seguito, Sporting, per via del nome dei consorzi e delle maggiori associazioni sportive che si sono succedute nella proprietà nonché del suo utilizzo. Durante i suoi primi quarant'anni d'attività fu considerato tra le più importanti e lussuose sedi sportive d'Europa oltreché una delle icone dell'architettura razionalista e modernista torinese, tanto da essere descritto dal Politecnico di Torino quale «un significativo esempio di impianto sportivo e ricreativo di gusto Novecento». Opera dell'architetto partenopeo Domenico Morelli, fu inaugurato nel 1941 come Circolo Sportivo Juventus per ospitare le attività extracalcistiche del club inizialmente proprietario della struttura (tennis, disco sul ghiaccio, nuoto e bocce). Fu anche sede di incontri sportivi internazionali, tra cui quelli della Nazionale italiana di tennis in sei edizioni della Coppa Davis tra il 1948 e il 1973, dell'Italia di pallacanestro contro l'Inghilterra nel 1948, gli Internazionali d'Italia 1961 e la totalità d'incontri disputati nella Federation Cup 1966 includendo la finale tra le squadre nazionali femminili di Stati Uniti e Germania Ovest. L'impianto andò incontro a numerosi cambi di proprietà fino a essere acquisito nel 1957, insieme a tutta l'area su cui insiste, dal comune di Torino che nel 2004, in vista della XXIII Universiade invernale disputatasi tre anni più tardi, lo sottopose a ristrutturazione. Dal 2009 il Circolo della Stampa — Sporting (associazione che già dalla metà degli anni 1960 usufruisce dell'impianto) ha ottenuto in concessione dal Comune il diritto di superficie parziale per venticinque anni; oltre all’attività sportiva il Circolo della Stampa ha storicamente ospitato anche conferenze e iniziative culturali. Infine, il complesso fu dichiarato nel 2015 bene tutelato sottoposto a vincolo architettonico dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT).

Chiesa di San Giovanni Bosco (Torino)
Chiesa di San Giovanni Bosco (Torino)

La chiesa di San Giovanni Bosco è un edificio di culto cattolico nella città di Torino, progettato da Giulio Valotti. Parte dell’Istituto Internazionale Edoardo Agnelli, si trova nel quartiere Mirafiori Nord a pochi metri da Corso Unione Sovietica. La posa della prima pietra ha avuto luogo il 3 luglio 1938 alla presenza, tra gli altri, del cardinale Maurilio Fossati. L'inaugurazione è avvenuta il 19 aprile 1941 alla presenza, oltre che di Fossati, del senatore Giovanni Agnelli e nipoti. Il giorno successivo, una prima Santa Messa è stata celebrata da Pietro Ricaldone; dopo questa, gli spazi sono stati benedetti dal cardinale Vincenzo Lapuma. Il 24 novembre 1943 l’edificio è stato coinvolto nei bombardamenti di Torino. Negli anni Settanta hanno avuto inizio i lavori di adeguamento liturgico. L’intero edificio è rivestito in mattoni. La facciata presenta una considerevole arcata cieca che incornicia il portale (scolpito ligneo dagli allievi dell’Istituto salesiano Rebaudengo) ed un mosaico raffigurante Gesù buon Pastore (firmato Piero Dalle Ceste), sovrastata da una scultorea Croce cristiana. Due monofore, una a sinistra e una a destra, affiancano il prospetto. La campana minore sul campanile è opera della Fonderia Barigozzi. L’interno è a navata unica longitudinale, suddivisa in quattro campate. Il battistero, ottagonale e marmoreo, è stato disegnato dallo stesso Valotti. Il presbiterio è a pianta quadrata e sormontato da una cupola. Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, esso conteneva un altare in marmo rosa che a sua volta esponeva un grande quadro raffigurante san Giovanni Bosco dipinto da Paolo Giovanni Crida. L’opera venne poi sostituita con l’attuale, appositamente realizzata dallo scultore Edoardo Rubino, consistente in un grandioso altare con sculture marmoree (sempre su don Bosco, però più glorificante); l’inaugurazione avvenne il 24 ottobre del 1954 alla presenza di Renato Ziggiotti e della famiglia Agnelli. L’organo a canne è opera della Carlo II Vegezzi Bossi, che lo fabbricò nel 1962; precedentemente situato nella cappella dell’Istituto Arti e Mestieri (in Cenisia), è stato spostato nella chiesa tra il 2011 e il 2012. Chiesa parrocchiale Edifici di culto a Torino Luoghi d’interesse a Torino Parrocchie dell’arcidiocesi di Torino https://www.beweb.chiesacattolica.it/edificidiculto/edificio/34131/Chiesa_di_San_Giovanni_Bosco__Torino Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. https://chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/AccessoEsterno.do?mode=guest&code=34131&Chiesa_di_San_Giovanni_Bosco___Torino https://www.museotorino.it/view/s/4d19c05baf7e4079951287cc05993f0b https://www.diocesi.torino.it/site/wd-annuario-enti/territorio-diocesano-1587637780/vicariato-territoriale-distretto-torino-citta-19214/unita-pastorale-n-19-mirafiori-nord-14033/s-giovanni-bosco-259/ https://www.oratorioagnelli.it/la-chiesa-di-san-giovanni-bosco/

Stabilimento FIAT Mirafiori
Stabilimento FIAT Mirafiori

Lo Stabilimento FIAT Mirafiori è un grande impianto industriale per la produzione di autoveicoli situato nella zona sud di Torino. Prende il nome dal gruppo metalmeccanico italiano FIAT, protagonista per oltre un secolo della storia industriale d'Italia, che oggi è frammentato in varie aziende quali Stellantis, FPT Industrial, CNH Industrial, Maserati, ecc. Il nome Mirafiori deriva dal quartiere omonimo in cui si trova (a sua volta derivato dal nome di un antico castello dei Savoia). Entrato in funzione nel 1939, divenne negli anni dello sviluppo economico italiano dopo la seconda guerra mondiale, il più importante stabilimento industriale italiano e una delle più grandi fabbriche di automobili d'Europa e del mondo, con un costante incremento delle sue capacità produttive e del numero dei lavoratori impiegati. Negli anni sessanta e settanta, con l'ulteriore crescita delle dimensioni della fabbrica, l'assunzione in massa dei nuovi operai emigrati prevalentemente dall'Italia meridionale, le nuove istanze radicali diffuse nella società, e le ricorrenti crisi industriali nel settore metalmeccanico, la FIAT Mirafiori divenne anche un centro di lotta politica estrema, anche violenta, da parte di frange operaie comuniste rivoluzionarie, aspramente in lotta per ostacolare i programmi di ristrutturazione e automazione promossi dalla dirigenza industriale della FIAT, desiderosa di ripristinare la sua autorità nella fabbrica. Dopo essere stato per decenni uno dei maggiori centri produttivi in Europa, oggi è solo parzialmente in funzione. Occupa una superficie di 2.000.000 m². Al suo interno si snodano 20 chilometri di linee ferroviarie e 11 chilometri di strade sotterranee che collegano i vari capannoni. La palazzina degli uffici, che si affaccia su corso Giovanni Agnelli, è un edificio di 5 piani lungo 220 metri, ricoperto di pietra bianca di Finale Ligure. Lo stabilimento FIAT Mirafiori nel suo periodo di massimo sviluppo diede occupazione, nel 1967 a 52.000 lavoratori, saliti a 57.700 nel 1980 con una produzione di 5.000 automobili al giorno, oltre un milione all'anno; attualmente, 2024, è stato quasi completamente disattivato, la produzione è scesa a 85.000 automobili all'anno e gli occupati sono 11.000 solo parzialmente impiegati effettivamente nella fabbrica. Lo stabilimento fu progettato dall'architetto Vittorio Bonadè Bottino nel 1936 essendosi ormai rivelato insufficiente il precedente stabilimento della Fiat, quello del Lingotto. Per la sua costruzione vennero demolite le scuderie fatte costruire (demolendo le precedenti scuderie Vercelloni) nel 1924 da Riccardo Gualino su progetto dell'architetto Vittorio Tornielli e che servivano all'ippodromo Mirafiori, attivo fino agli anni cinquanta e sito davanti alla fabbrica. Il progetto della nuova fabbrica FIAT prevedeva la costruzione di uno stabilimento industriale gigantesco per la produzione di automobili, motori d'aviazione e prodotti metallurgici di ghisa e metalli; l'impianto sarebbe stato edificato su un area di un milione di metri quadrati, con le officine estese su 500 metri di larghezza e settecento metri di lunghezza; nel sottosuolo si sarebbero sviluppate sette chilometri di gallerie e intorno alla fabbrica si sarebbero estese undici chilometri di linee ferroviarie. Una pista di prova di due chilometri e mezzo sarebbe stata costruita a fianco della fabbrica. Nello stabilimento di Mirafiori sarebbero stati impiegati secondo i programmi oltre 22.000 lavoratori distribuiti in due turni; in questo modo si sarebbe concentrata una massa senza precedenti di operai. Nei progetti della FIAT la fabbrica gigante avrebbe dovuto rappresentare un simbolo della potenza industriale dell'azienda e del suo netto primato a livello nazionale; la grande fabbrica, secondo i piani aziendali, avrebbe anche dovuto costituire un esperimento sociale, dove la disciplinata classe lavoratrice piemontese avrebbe potuto vivere e lavorare in un ambiente confortevole dotato di aree ricreative e di servizi moderni. Lo stabilimento FIAT a Mirafiori venne inaugurato il 15 maggio 1939 in presenza di Benito Mussolini in persona che, affiancato da Giovanni Agnelli e da Achille Starace, parlò dal palco predisposto davanti ai circa 50.000 lavoratori delle FIAT. Il Duce tuttavia fu accolto con freddezza, senza manifestazioni di grande entusiasmo; gli operai, segnati dal rincaro dei viveri dovuto alla politica dell'autarchia e dal timore dell'imminente guerra, dimostrarono in questa occasione il loro distacco dal regime fascista. Mussolini fu irritato dall'indifferenza dei lavoratori e sembrò anche intenzionato a interrompere il suo intervento e abbandonare il palco. Già in precedenza peraltro Mussolini aveva mostrato inquietudine e preoccupazione per le dimensioni enormi della fabbrica ed aveva espresso al presidente Agnelli i suoi dubbi sull'impianto di Mirafiori, mettendo in evidenza i rischi di un simile stabilimento industriale gigante, dove la classe operaia sarebbe stata concentrata in grande numero, divenendo potenzialmente pericolosa per la coesione sociale del regime. Il primo modello che avrebbe dovuto essere prodotto era la Fiat 700, un progetto rimasto incompiuto a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale. La produzione automobilistica partì realmente solo nel 1947 con la seconda serie della 500 A e la rilocalizzazione delle linee della Fiat 1100, precedentemente costruita al Lingotto. Il 5 marzo 1943 iniziò nell'officina 19 dello stabilimento lo sciopero degli operai. In pochi giorni 100.000 lavoratori incrociarono le braccia: fu la prima grande ribellione operaia che si estenderà presto in tutte le fabbriche del Nord Italia. Passati alla storia come gli "scioperi del marzo 1943", segnarono l'inizio del crollo del regime fascista e rappresentarono il primo corale episodio della Resistenza antifascista. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, la situazione della FIAT e del suo stabilimento principale inizialmente fu molto difficile; in parte coinvolta nel collaborazionismo con le forze di occupazione tedesche e con il governo della Repubblica di Salò, la dirigenza aziendale, a partire dal presidente Vittorio Valletta, venne estromessa dal potere e sottoposta alla commissione di epurazione, mentre la direzione passò ad una commissione guidata da Giovanni Antonio Cavinato. L'estromissione di Valletta e dei suoi uomini tuttavia fu di breve durata; già nel 1946 il presidente riprese le sue funzioni e potè iniziare a sviluppare autonomamente il programma di espansione industriale che egli aveva audacemente studiato e che era determinato a mettere in atto nonostante la difficile situazione dell'azienda e dell'Italia. Valletta riteneva possibile un grande programma di sviluppo della FIAT basato sulla produzione in massa secondo le tecniche più moderne, di automobili di piccola cilindrata, le cosiddette "utilitarie", che avrebbero potuto essere costruite a costi inferiori rispetto alle grandi potenze industriali, per il più basso costo del lavoro italiano. Egli riteneva essenziale ampliare in modo radicale la capacità produttiva e programmare la motorizzazione di massa in Italia; in questo ambizioso piano diveniva essenziale il ruolo del grande stabilimento FIAT Mirafiori dove sarebbero state costruite secondo le tecniche della catena di montaggio le "utilitarie"; l'impianto quindi avrebbe dovuto essere ulteriomente ampliato e i suo lavoratori sarebbero costantemente aumentati di numero: 16.000 nel 1953, 21.000 nel 1959, 32.000 nel 1962. Nel 1949 Valletta diede inizio alla seconda parte del suo programma di crescita industriale della FIAT incentrata sulla produzione in catena di montaggio, principalmente nello stabilimento di Mirafiori, delle nuove auto utilitarie per la motorizzazione di massa; il presidente attivò con grande determinazione la lotta contro la base operaia collegata al partito comunista e al sindacato metalmeccanico comunista, allo scopo di riprendere il pieno controllo dell'azienda e delle fabbriche, instaurando un regime lavorativo basato su un rigido sistema gerarchico e sul principio di autorità. Valletta riteneva assolutamente decisiva questa parte del suo programma per la riuscita del piano industriale. I cardini del suo piano di guerra aperta contro le sinistre furono i licenziamenti mirati contro i "distruttori" comunisti, la creazione di "reparti-confino" nella fabbrica dove relegare gli operai riottosi, il sostegno ai nuovi sindacati moderati anticomunisti, le schedature sistematiche dei dipendenti, la creazione di un sistema di capi e quadri intermedi estremamente rigidi nel controllo del lavoro e completamente fedeli alla dirigenza FIAT. In questo modo in pochi anni la FIAT Mirafiori divenne una fabbrica completamente disciplinata, popolata in prevalenza da nuovi dipendenti giovani, inesperti e poco qualificati, passivamente obbedienti alle direttive organizzative aziendali, costruita su un severo sistema gerarchico, priva di conflittualità sindacale. Contemporaneamente all'inflessibile attivazione delle procedure per assumere un assoluto controllo del lavoro di fabbrica, Valletta procedette al grande potenziamento degli impianti di Mirafiori; nel 1956 venne inaugurato l'ampliamento chiamato "Mirafiori-Sud", dove vennero collocate la Meccanica, dove venivano costruiti soprattutto motori e cambi, e le Presse, con l'attività di stampaggio delle lamiere. Nella vecchia struttura "Mirafiori-Nord" rimase l'edificio direzionale della fabbrica, la sezione Fonderia e fucine, con l'area metallurgica, e soprattutto la Carrozzeria, dove erano convogliate le parti provenienti dalle altre aree dello stabilimento, per la lastroferratura (saldatura della scocca e montaggio cofano, portiere e parti mobili), la verniciatura e l'assemblaggio finale degli autoveicoli. La FIAT Mirafiori raggiunse in questo modo un estensione enorme di quasi tre milioni di metri quadrati, di cui metà coperti, con 37 porte d'accesso, dieci chilometri di perimetro. Nello stabilimento gigante, considerato ormai la fabbrica più grande del mondo, erano in funzione 40 chilometri di catene di montaggio, 223 chilometri di convogliatori aerei, 13.000 macchine utensili; nell'impianto erano presenti 13 chilometri di di gallerie sotterranee, 22 chilometri di strade e 40 chilometri di ferrovia. Contemporaneamente al raddoppio delle dimensioni dello stabilimento, la FIAT continuò ad assumere migliaia di nuovi operai, prevalentemente giovani emigrati dal Meridione d'Italia; il numero dei lavoratori a Mirafiori continuò a crescere per tutti gli anni sessanta. Il picco delle assunzioni venne raggiunto nel periodo 1961-1963 quando arrivarono in FIAT a Torino 22.000 nuovi operai; nel 1966 lavoravano alla FIAT Mirafiori 49.000 dipendenti, in grande maggioranza giovani operai emigrati, saliti ancora fino a 52.000 (47.600 operai e 5.000 impiegati) nel 1969. I risultati produttivi e i successi commerciali della FIAT di Valletta negli anni cinquanta e sessanta furono straordinari e consentirono realmente la motorizzazione degli italiani; dalle moderne catene di montaggio della fabbrica gigante di Mirafiori uscirono i nuovi modelli FIAT 600, a partire dal 1955 che venne prodotta in 2,7 milioni esemplari, e FIAT 500 che dal 1958 venne prodotta nell'arco di oltre un decennio in 3,7 milioni di esemplari. Nel 1962 vennero prodotte in Italia, principalmente nello stabilimento di Mirafiori, più di un milone di automobili. Proprio nel 1962 tuttavia, nonostante i successi produttivi della FIAT e la normalizzazione gerarchica della fabbrica di Mirafiori, si ebbe un primo episodio di ribellione operaia dopo oltre un decennio del rigido regime disciplinare imposto da Valletta; nel luglio di quell'anno si verificarono i violenti moti di protesta di Piazza Statuto ad opera di numerosi gruppi di operai della FIAT che diedero l'assalto alla sede locale della UIL, responsabile di aver concluso autonomamente un accordo sindacale con la dirigenza dell'azienda. Gli scontri tra dimostranti e forze dell'ordine continuarono per giorni e, anche se all'epoca si parlò di "provocatori" o di agenti estranei alla città di Torino, sembra che in realtà i rivoltosi fossero in grande maggioranza proprio i nuovi giovani operai della FIAT Mirafiori recentemente emigrati dal sud Italia e inseriti in una realtà sociale ostile e disagiata. Il moto di protesta rimase per il momento un fenomeno isolato ma a posteriori si dimostrò un evento anticipatore di una stagione sociale e politica completamente diversa che sarebbe iniziata nel 1968-1969. La direzione di Valletta della FIAT, apparentemente vittoriosa sul piano dei rapporti con le rappresentanze sindacali e del controllo gerarchico della fabbrica, in realtà aveva creato una tensione permanente all'interno di Mirafiori accentuando le difficoltà sorte per il nuovo sistema produttivo basato sulla catena di montaggio, la produzione di massa e la dequalificazione dell'operaio generico sottoposto al controllo oppressivo del capi interamente devoti all'azienda e concentrati solo sull'efficenza produttiva del lavoro alla catena. Inoltre la situazione divenne ancor più esplosiva alla fine del decennio sessanta per le caratteristiche dei nuovi operai impiegati in massa a Mirafiori: in grande maggioranza erano giovani meridionali, il 75% dei lavoratori totali impegnati alla sezione "Carrozzerie", poco qualificati, completamente estranei alla realtà locale, costretti a vivere in situazioni ambientali degradate, sottoposti in fabbrica al rigido controllo della gerarchia dei capi FIAT quasi tutti di origine piemontese. Il profondo cambiamento qualitativo della base operaia di Mirafiori con l'inserimento dei giovani emigrati meridionali, le caratteristiche meno qualificate del lavoro ripetitivo e alienante nella catena di montaggio del nuovo "operaio-massa", l'incremento numerico dei lavoratori nella gigantesca fabbrica e le istanze di profondo e radicale rinnovamento presenti nella società italiana, caratterizzarono in modo assoluto la storia dello stabilimento FIAT negli anni settanta. Le tappe più importanti delle lotte operaie in FIAT furono il cosiddetto autunno caldo del 1969, la lotta sindacale del 1971, conclusa con la nascita della nuova rappresentanza operaia dei delegati di fabbrica eletti tra i lavoratori più combattivi e radicali, che avrebbero completamente soppiantato le inefficaci commissioni interne degli anni cinquanta e sessanta, l'occupazione dello stabilimento nel 1972 per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici con le bandiere rosse issate sulla fabbrica e l'apparente vittoria operaia. In realtà la lotta radicale all'interno della fabbrica di Mirafiori negli anni settanta non si limitò a queste fasi di particolare intensità ma fu un processo continuo, quasi quotidiano, che stravolse completamente i rapporti di potere in fabbrica e diede modo al cosiddetto "potere operaio" di manifestarsi concretamente nella vita quotidiana dello stabilimento. Le Brigate Rosse arrivarono a Torino nel 1972 e organizzarono una colonna dell'organizzazione nella grande città operaia dove il clima politico era dominato dalle grandi lotte sindacali e dall'estremismo dei delegati di fabbrica; per i brigatisti l'inserimento nelle lotte rivendicative e la penetrazione nella grande fabbrica di Mirafiori per potere fare opera di proselitismo e favorire una svolta estremista e rivoluzionaria dei lavoratori, divenne subito un obiettivo prioritario. La colonna brigatista agiva nella stretta clandestinità ma riuscì a reclutare numerosi operai che in parte entrarono attivamente nell'organizzazione e in parte si limitarono a diffondere materiale di propaganda all'interno dello stabilimento. La colonna torinese delle Brigate Rosse riuscì ad costituire nella seconda metà degli anni settanta un cosiddetto "fronte delle fabbriche", per gestire le azioni dirette contro la FIAT, e due brigate distinte per la sezione "Presse" e la sezione "Carrozzerie" di Mirafiori con propri regolari non clandestini contemporaneamente lavoratori e brigatisti. All'interno della fabbrica di Mirafiori lavoravano regolarmente alcuni operai ben conosciuti e apprezzati dai lavoratori, che erano anche importanti dirigenti dell'organizzazione, attivamente partecipi delle azioni violente, tra cui Angelo Basone, noto sindacalista alla sezione "Presse", Luca Nicolotti, operaio sempre alle "Presse", Nicola d'Amore, operaio alle "Carrozzerie", Cristoforo Piancone e Lorenzo Betassa, operaio e delegato sindacale alle "Carrozzerie". Nel corso degli anni di piombo non mancarono alcuni fenomeni di sostegno verso l'azione violenta dei brigatisti, interpretata dagli operai più ideologizzati come giusta rappresaglia verso i capi FIAT più detestati all'interno di Mirafiori e come azione di intimidazione verso le gerarchie che avrebbe portato vantaggi concreti ai lavoratori della fabbrica. In alcune occasioni ci furono anche manifestazionei esplicite di sostanziale disinteresse degli operai di Mirafiori verso per la sorte delle vittime dei terroristi. Il momento decisivo della lotta di classe nella fabbrica di Mirafiori e l'ultimo tentativo della classe operaia, già da anni in difficoltà a causa dell'esasperazione generale per la conflittualità, il disordine e la violenza diffusa, di fermare la ristrutturazione e l'automazione in corso negli stabilimenti FIAT, ebbe inizio nel settembre 1980 in risposta alla decisione della dirigenza FIAT, guidata soprattutto dal rigido e deciso amministratore delegato Cesare Romiti, di licenziare quasi 15.000 lavoratori apparentemente per motivi legati principalmente alla crisi economica e alle difficoltà finanziarie dell'azienda. I delegati di fabbrica reagirono all'annuncio della FIAT respingendo nettamente le decisioni della società e iniziando lo sciopero ad oltranza e il picchettaggio dei cancelli delle fabbriche per impedire l'accesso agli stabilimenti e il blocco della produzione. Ebbero quindi inizio i "35 giorni della FIAT", gli operai dello stabilimento Mirafiori aderirono in massa alla protesta e per oltre un mese la fabbrica venne bloccata da migliaia di operai raggruppati ai cancelli, mentre erano in corso le trattative. Le rappresentanze sindacali centrali cercarono senza molto successo di contrattare un accordo più favorevole ma in pratica non supportarono le istanze estremistiche dei lavoratori FIAT più politicizzati favorevoli ad occupare le fabbriche, mentre la dirigenza del PCI sembrò maggiormente decisa ad andare fino in fondo. In realtà il segretario del partito, Enrico Berlinguer, si recò ai cancelli di Mirafiori per solidarizzare con gli operai ma, parlando davanti ai lavoratori in sciopero, usò espressioni poco chiare, dicendo genericamente che il partito non avrebbe fatto mancare il suo aiuto agli operai nel caso in cui essi avessero deciso "con metodi democratici" di occupare la fabbrica. Di fatto la situazione generale stava evolvendo in senso sfavorevole per i lavoratori FIAT; la stanchezza per il lungo sciopero, la frustrazione per la mancanza di decisioni, l'esasperazioni di una parte dei dipendenti desiderosi di riprendere il lavoro e soprattutto, l'imprevista opposizione anti-operaia, numerose e attiva, da parte dei quadri intermedi e dei capi FIAT, manifestatasi clamorosamente con la "Marcia dei quarantamila" del 14 ottobre 1980, provocarono la svolta della lunga vertenza. Fin dall'inizio degli anni settanta la FIAT aveva iniziato un vasto programma di riorganizzazione del lavoro in fabbrica, in parte per venire incontro alle richieste sindacali dei lavoratori a favore di un alleggerimento dei carichi e di un organizzazione meno oppressiva e ripetitiva del lavoro, ma soprattutto per ottenere un aumento radicale della produttività e dell'efficenza dei suoi impianti e quindi ridurre i costi di lavorazione e in prospettiva diminuire in modo sostanziale il numero di operai impiegati. Nella fabbrica di Mirafiori prima vennero installati alcuni robot Unimate di saldatura nel 1972, quindi venne attivato dal 1975 il sistema Digitron e all'inizio degli anni ottanta entrò in funzione il moderno sistema Robogate della Comau, già sperimentato allo stabilimento di Rivalta fin dal 1978. Queste innovazioni teconologiche permettevano un decisivo incremento dei processi di automazione industriali; mentre il sistema Digitron dirigeva tramite robot trasportatori il delicato accoppiamento della scocca con i motori, il sistema Robogate controllava tutte le fasi delle saldature della scocca che venivano effettuate dalle stazioni di robot saldatori dove venivano automaticamente trasportare da robotcarriers le scocche di modelli diversi; a Mirafiori venne anche attivato il sistema LAM (lavorazione asincrona motori) per il montaggio non in catena dei motori. Queste innovazioni teconologiche, attivate dalla nuova dirigenza del settore auto della FIAT guidato da Vittorio Ghidella, trasformarono profondamente negli anni ottanta lo stabilimento di Mirafiori con l'automazione di alcuni reparti critici, tra cui la lastroferratura, la verniciatura e le presse; soprattutto ridussero in modo sostanziale il numero di operai impiegati. Nei reparti di lastroferratura e verniciatura in particolare, quasi completamente automatizzati dal Robogate, gli addetti divennero necessari solo per il controllo e la manutenzione degli impianti e di conseguenze molte officine della fabbrica cambiarono completamente aspetto, divenendo quasi vuote di operai e con macchine automatizzate in continua funzione; la catena di montaggio rimase attiva in pratica solo alla Carrozzeria per l'assemblaggio finale della componentistica sull'automobile. La sconfitta operaia dell'ottobre 1980 e il processo di ristrutturazione e automazione attivato dalla dirigenza FIAT cambiarono in modo irreversibile le caratteristiche degli stabilimenti dell'azienda e in particolare della fabbrica principale di Mirafiori. La messa in cassa integrazione a tempo indefinito, preliminare in gran parte dei casi all'allontanamento definitivo, di migliaia e migliaia di lavoratori designati dalla FIAT in genere tra i più combattivi, politicizzati e refrattari, il pessimismo, lo scoramento e la disillusione presente tra gli operai ancora attivi, profondamente delusi dall'esito delle lotte, e la rioganizzazione del lavoro con lo svuotamento delle officine più importanti e l'inserimento di robot automatizzati, consentirono alla dirigenza di riassumere il totale predominio nello stabilimento, ripristinando un rigido sistema gerarchico basato sullo stretto controllo dei lavoratori, sulla disciplina in fabbrica e su un sistema di punizioni e premi, correlati alla docilità e alla passività del lavoratore. I capi, dopo gli anni dell'intimidazione e della violenza operaia, riassunsero il ruolo di rigidi guardiani del potere aziendale in fabbrica. La FIAT Mirafiori perse quindi definitivamente il suo carattere di fabbrica "speciale", centro delle speranze operaie di un rinnovamento radicale dei rapporti di classe, e divenne un normale stabilimento industriale con un base operaia in netta e progressiva diminuzione numerica, caratterizzata da lavoratori ormai non più giovani, passivamente rassegnati e timorosi della possibile perdita di ulteriori posti di lavoro, vista la decisione aziendale di potenziare i nuovi stabilimenti periferici in via di costruzione al centro e al sud Italia. Nel 1988 i lavoratori dello stabilimento Mirafiori scesero a circa 36.000. Nel 2004 termina la produzione di motori nello stabilimento, l’ultimo fabbricato era il 1.6 Torque 16 valvole che equipaggiava numerosi modelli Fiat e Lancia (la produzione venne trasferita in Argentina mentre alcune vetture europee lo abbandonarono, sostituito dall'unità 1.6 Ecotec di origine Opel General Motors). Il 18 febbraio 2008 è stata inaugurata nell'officina 83 la nuova sede Abarth, durante l'inaugurazione della stessa è stata anche presentata la nuova 500 Abarth. Successivamente, sempre nell'officina 83 viene spostato il Centro Stile Fiat e il quartier generale di CNH Industrial. Nel 2008 parte la produzione dell'Alfa Romeo Mito che si concluderà nell'estate del 2018. Nel 2014 viene riqualificata e inaugurata l'area Officina 82, dove hanno attualmente sede gli uffici di amministrazione. Dal 2018 e per tutto il 2019 l'unico modello ad essere costruito nella fabbrica è stato il suv Maserati Levante, dal primo semestre del 2020 vi viene anche assemblata la Fiat 500 elettrica. Nel 2022 è iniziata la produzione della Maserati Quattroporte e della Maserati Ghibli dopoché è stata trasferita dallo stabilimento di Grugliasco. Sempre nel 2022 viene inaugurato l'Heritage Hub che è ubicato negli spazi dell'ex Officina 81 di Mirafiori, con accesso da Via Plava 80. Trattasi di uno spazio espositivo dedicato alla collezione aziendale di auto storiche, molte delle quali sono prototipi o pezzi unici. L'Heritage Hub non è soltanto uno spazio espositivo di veicoli storici prodotti da Fiat, Lancia ed Alfa Romeo, ma anche un centro di documentazione e ricerca storica, dedito al recupero e restauro di vetture ritenute degne di entrare a far parte del notevole patrimonio storico di Stellantis. Il centro è aperto al pubblico con visite guidate su prenotazione. Lo stabilimento FIAT Mirafiori, nato alla vigilia della seconda guerra mondiale, ha rappresentato la massima espressione in Italia del modello di industrializzazione classica fondato sulla grande fabbrica; nel corso degli anni cinquanta e sessanta fu anche il protagonista, con la sua enorme capacità produttiva, della motorizzazione di massa italiana. La fabbrica però fu anche e soprattutto un luogo centrale per la classe operaia, per il suo sviluppo, la sua presa di coscienza, le sue lotte per l'affermazione dei diritti e per l'organizzazione del lavoro. Il concetto di "centralità operaia" corrispose infatti soprattutto al modello della FIAT Mirafiori e in questa fabbrica la lotte di classe raggiunse negli anni settanta il suo massimo sviluppo di radicalità e violenza, terminando negli anni ottanta, dopo una storia fatta di illusioni, successi e speranze, con la sconfitta definitiva per il proletariato industriale italiano, la vittoria completa della dirigenza aziendale e il conseguente progressivo e inarrestabile declino della base produttiva di Torino. G. Berta, Mirafiori. La fabbrica delle fabbriche, Il Mulino, Bologna 1998 G. Bocca, Noi terroristi, Garzanti, Torino, 1985 V. Castronovo, FIAT. Una storia del capitalismo italiano, Rizzoli, Milano 2005 G. Lerner, Operai. Viaggio all'interno della Fiat, Feltrinelli, Milano, 2010 M. Revelli, Lavorare in Fiat, Garzanti, Torino 1989 G. Volpato, FIAT Auto. Crisi e riorganizzazioni strategiche di un'impresa simbolo, UTET, Torino 2004 Storia di Torino Lingotto (comprensorio) Stabilimento FIAT Rivalta Lista dei siti produttivi FCA Volkswagenwerk Wolfsburg Boulogne-Billancourt Lada-Vaz Ford River Rouge complex Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Stabilimento Stellantis di Mirafiori Luoghi della Memoria. Fiat Mirafiori, istoreto.it, su istoreto.it. Mirafiori compie 70 anni, il sole 24 ore, su ilsole24ore.com.