place

Stabilimento FIAT Mirafiori

Architetture razionaliste di TorinoPagine con mappeStabilimenti automobilistici in ItaliaStabilimenti del Gruppo FiatStabilimenti in Piemonte
FIAT Mirafiori anni sessanta
FIAT Mirafiori anni sessanta

Lo Stabilimento FIAT Mirafiori è un grande impianto industriale per la produzione di autoveicoli situato nella zona sud di Torino. Prende il nome dal gruppo metalmeccanico italiano FIAT, protagonista per oltre un secolo della storia industriale d'Italia, che oggi è frammentato in varie aziende quali Stellantis, FPT Industrial, CNH Industrial, Maserati, ecc. Il nome Mirafiori deriva dal quartiere omonimo in cui si trova (a sua volta derivato dal nome di un antico castello dei Savoia). Entrato in funzione nel 1939, divenne negli anni dello sviluppo economico italiano dopo la seconda guerra mondiale, il più importante stabilimento industriale italiano e una delle più grandi fabbriche di automobili d'Europa e del mondo, con un costante incremento delle sue capacità produttive e del numero dei lavoratori impiegati. Negli anni sessanta e settanta, con l'ulteriore crescita delle dimensioni della fabbrica, l'assunzione in massa dei nuovi operai emigrati prevalentemente dall'Italia meridionale, le nuove istanze radicali diffuse nella società, e le ricorrenti crisi industriali nel settore metalmeccanico, la FIAT Mirafiori divenne anche un centro di lotta politica estrema, anche violenta, da parte di frange operaie comuniste rivoluzionarie, aspramente in lotta per ostacolare i programmi di ristrutturazione e automazione promossi dalla dirigenza industriale della FIAT, desiderosa di ripristinare la sua autorità nella fabbrica. Dopo essere stato per decenni uno dei maggiori centri produttivi in Europa, oggi è solo parzialmente in funzione. Occupa una superficie di 2.000.000 m². Al suo interno si snodano 20 chilometri di linee ferroviarie e 11 chilometri di strade sotterranee che collegano i vari capannoni. La palazzina degli uffici, che si affaccia su corso Giovanni Agnelli, è un edificio di 5 piani lungo 220 metri, ricoperto di pietra bianca di Finale Ligure. Lo stabilimento FIAT Mirafiori nel suo periodo di massimo sviluppo diede occupazione, nel 1967 a 52.000 lavoratori, saliti a 57.700 nel 1980 con una produzione di 5.000 automobili al giorno, oltre un milione all'anno; attualmente, 2024, è stato quasi completamente disattivato, la produzione è scesa a 85.000 automobili all'anno e gli occupati sono 11.000 solo parzialmente impiegati effettivamente nella fabbrica. Lo stabilimento fu progettato dall'architetto Vittorio Bonadè Bottino nel 1936 essendosi ormai rivelato insufficiente il precedente stabilimento della Fiat, quello del Lingotto. Per la sua costruzione vennero demolite le scuderie fatte costruire (demolendo le precedenti scuderie Vercelloni) nel 1924 da Riccardo Gualino su progetto dell'architetto Vittorio Tornielli e che servivano all'ippodromo Mirafiori, attivo fino agli anni cinquanta e sito davanti alla fabbrica. Il progetto della nuova fabbrica FIAT prevedeva la costruzione di uno stabilimento industriale gigantesco per la produzione di automobili, motori d'aviazione e prodotti metallurgici di ghisa e metalli; l'impianto sarebbe stato edificato su un area di un milione di metri quadrati, con le officine estese su 500 metri di larghezza e settecento metri di lunghezza; nel sottosuolo si sarebbero sviluppate sette chilometri di gallerie e intorno alla fabbrica si sarebbero estese undici chilometri di linee ferroviarie. Una pista di prova di due chilometri e mezzo sarebbe stata costruita a fianco della fabbrica. Nello stabilimento di Mirafiori sarebbero stati impiegati secondo i programmi oltre 22.000 lavoratori distribuiti in due turni; in questo modo si sarebbe concentrata una massa senza precedenti di operai. Nei progetti della FIAT la fabbrica gigante avrebbe dovuto rappresentare un simbolo della potenza industriale dell'azienda e del suo netto primato a livello nazionale; la grande fabbrica, secondo i piani aziendali, avrebbe anche dovuto costituire un esperimento sociale, dove la disciplinata classe lavoratrice piemontese avrebbe potuto vivere e lavorare in un ambiente confortevole dotato di aree ricreative e di servizi moderni. Lo stabilimento FIAT a Mirafiori venne inaugurato il 15 maggio 1939 in presenza di Benito Mussolini in persona che, affiancato da Giovanni Agnelli e da Achille Starace, parlò dal palco predisposto davanti ai circa 50.000 lavoratori delle FIAT. Il Duce tuttavia fu accolto con freddezza, senza manifestazioni di grande entusiasmo; gli operai, segnati dal rincaro dei viveri dovuto alla politica dell'autarchia e dal timore dell'imminente guerra, dimostrarono in questa occasione il loro distacco dal regime fascista. Mussolini fu irritato dall'indifferenza dei lavoratori e sembrò anche intenzionato a interrompere il suo intervento e abbandonare il palco. Già in precedenza peraltro Mussolini aveva mostrato inquietudine e preoccupazione per le dimensioni enormi della fabbrica ed aveva espresso al presidente Agnelli i suoi dubbi sull'impianto di Mirafiori, mettendo in evidenza i rischi di un simile stabilimento industriale gigante, dove la classe operaia sarebbe stata concentrata in grande numero, divenendo potenzialmente pericolosa per la coesione sociale del regime. Il primo modello che avrebbe dovuto essere prodotto era la Fiat 700, un progetto rimasto incompiuto a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale. La produzione automobilistica partì realmente solo nel 1947 con la seconda serie della 500 A e la rilocalizzazione delle linee della Fiat 1100, precedentemente costruita al Lingotto. Il 5 marzo 1943 iniziò nell'officina 19 dello stabilimento lo sciopero degli operai. In pochi giorni 100.000 lavoratori incrociarono le braccia: fu la prima grande ribellione operaia che si estenderà presto in tutte le fabbriche del Nord Italia. Passati alla storia come gli "scioperi del marzo 1943", segnarono l'inizio del crollo del regime fascista e rappresentarono il primo corale episodio della Resistenza antifascista. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, la situazione della FIAT e del suo stabilimento principale inizialmente fu molto difficile; in parte coinvolta nel collaborazionismo con le forze di occupazione tedesche e con il governo della Repubblica di Salò, la dirigenza aziendale, a partire dal presidente Vittorio Valletta, venne estromessa dal potere e sottoposta alla commissione di epurazione, mentre la direzione passò ad una commissione guidata da Giovanni Antonio Cavinato. L'estromissione di Valletta e dei suoi uomini tuttavia fu di breve durata; già nel 1946 il presidente riprese le sue funzioni e potè iniziare a sviluppare autonomamente il programma di espansione industriale che egli aveva audacemente studiato e che era determinato a mettere in atto nonostante la difficile situazione dell'azienda e dell'Italia. Valletta riteneva possibile un grande programma di sviluppo della FIAT basato sulla produzione in massa secondo le tecniche più moderne, di automobili di piccola cilindrata, le cosiddette "utilitarie", che avrebbero potuto essere costruite a costi inferiori rispetto alle grandi potenze industriali, per il più basso costo del lavoro italiano. Egli riteneva essenziale ampliare in modo radicale la capacità produttiva e programmare la motorizzazione di massa in Italia; in questo ambizioso piano diveniva essenziale il ruolo del grande stabilimento FIAT Mirafiori dove sarebbero state costruite secondo le tecniche della catena di montaggio le "utilitarie"; l'impianto quindi avrebbe dovuto essere ulteriomente ampliato e i suo lavoratori sarebbero costantemente aumentati di numero: 16.000 nel 1953, 21.000 nel 1959, 32.000 nel 1962. Nel 1949 Valletta diede inizio alla seconda parte del suo programma di crescita industriale della FIAT incentrata sulla produzione in catena di montaggio, principalmente nello stabilimento di Mirafiori, delle nuove auto utilitarie per la motorizzazione di massa; il presidente attivò con grande determinazione la lotta contro la base operaia collegata al partito comunista e al sindacato metalmeccanico comunista, allo scopo di riprendere il pieno controllo dell'azienda e delle fabbriche, instaurando un regime lavorativo basato su un rigido sistema gerarchico e sul principio di autorità. Valletta riteneva assolutamente decisiva questa parte del suo programma per la riuscita del piano industriale. I cardini del suo piano di guerra aperta contro le sinistre furono i licenziamenti mirati contro i "distruttori" comunisti, la creazione di "reparti-confino" nella fabbrica dove relegare gli operai riottosi, il sostegno ai nuovi sindacati moderati anticomunisti, le schedature sistematiche dei dipendenti, la creazione di un sistema di capi e quadri intermedi estremamente rigidi nel controllo del lavoro e completamente fedeli alla dirigenza FIAT. In questo modo in pochi anni la FIAT Mirafiori divenne una fabbrica completamente disciplinata, popolata in prevalenza da nuovi dipendenti giovani, inesperti e poco qualificati, passivamente obbedienti alle direttive organizzative aziendali, costruita su un severo sistema gerarchico, priva di conflittualità sindacale. Contemporaneamente all'inflessibile attivazione delle procedure per assumere un assoluto controllo del lavoro di fabbrica, Valletta procedette al grande potenziamento degli impianti di Mirafiori; nel 1956 venne inaugurato l'ampliamento chiamato "Mirafiori-Sud", dove vennero collocate la Meccanica, dove venivano costruiti soprattutto motori e cambi, e le Presse, con l'attività di stampaggio delle lamiere. Nella vecchia struttura "Mirafiori-Nord" rimase l'edificio direzionale della fabbrica, la sezione Fonderia e fucine, con l'area metallurgica, e soprattutto la Carrozzeria, dove erano convogliate le parti provenienti dalle altre aree dello stabilimento, per la lastroferratura (saldatura della scocca e montaggio cofano, portiere e parti mobili), la verniciatura e l'assemblaggio finale degli autoveicoli. La FIAT Mirafiori raggiunse in questo modo un estensione enorme di quasi tre milioni di metri quadrati, di cui metà coperti, con 37 porte d'accesso, dieci chilometri di perimetro. Nello stabilimento gigante, considerato ormai la fabbrica più grande del mondo, erano in funzione 40 chilometri di catene di montaggio, 223 chilometri di convogliatori aerei, 13.000 macchine utensili; nell'impianto erano presenti 13 chilometri di di gallerie sotterranee, 22 chilometri di strade e 40 chilometri di ferrovia. Contemporaneamente al raddoppio delle dimensioni dello stabilimento, la FIAT continuò ad assumere migliaia di nuovi operai, prevalentemente giovani emigrati dal Meridione d'Italia; il numero dei lavoratori a Mirafiori continuò a crescere per tutti gli anni sessanta. Il picco delle assunzioni venne raggiunto nel periodo 1961-1963 quando arrivarono in FIAT a Torino 22.000 nuovi operai; nel 1966 lavoravano alla FIAT Mirafiori 49.000 dipendenti, in grande maggioranza giovani operai emigrati, saliti ancora fino a 52.000 (47.600 operai e 5.000 impiegati) nel 1969. I risultati produttivi e i successi commerciali della FIAT di Valletta negli anni cinquanta e sessanta furono straordinari e consentirono realmente la motorizzazione degli italiani; dalle moderne catene di montaggio della fabbrica gigante di Mirafiori uscirono i nuovi modelli FIAT 600, a partire dal 1955 che venne prodotta in 2,7 milioni esemplari, e FIAT 500 che dal 1958 venne prodotta nell'arco di oltre un decennio in 3,7 milioni di esemplari. Nel 1962 vennero prodotte in Italia, principalmente nello stabilimento di Mirafiori, più di un milone di automobili. Proprio nel 1962 tuttavia, nonostante i successi produttivi della FIAT e la normalizzazione gerarchica della fabbrica di Mirafiori, si ebbe un primo episodio di ribellione operaia dopo oltre un decennio del rigido regime disciplinare imposto da Valletta; nel luglio di quell'anno si verificarono i violenti moti di protesta di Piazza Statuto ad opera di numerosi gruppi di operai della FIAT che diedero l'assalto alla sede locale della UIL, responsabile di aver concluso autonomamente un accordo sindacale con la dirigenza dell'azienda. Gli scontri tra dimostranti e forze dell'ordine continuarono per giorni e, anche se all'epoca si parlò di "provocatori" o di agenti estranei alla città di Torino, sembra che in realtà i rivoltosi fossero in grande maggioranza proprio i nuovi giovani operai della FIAT Mirafiori recentemente emigrati dal sud Italia e inseriti in una realtà sociale ostile e disagiata. Il moto di protesta rimase per il momento un fenomeno isolato ma a posteriori si dimostrò un evento anticipatore di una stagione sociale e politica completamente diversa che sarebbe iniziata nel 1968-1969. La direzione di Valletta della FIAT, apparentemente vittoriosa sul piano dei rapporti con le rappresentanze sindacali e del controllo gerarchico della fabbrica, in realtà aveva creato una tensione permanente all'interno di Mirafiori accentuando le difficoltà sorte per il nuovo sistema produttivo basato sulla catena di montaggio, la produzione di massa e la dequalificazione dell'operaio generico sottoposto al controllo oppressivo del capi interamente devoti all'azienda e concentrati solo sull'efficenza produttiva del lavoro alla catena. Inoltre la situazione divenne ancor più esplosiva alla fine del decennio sessanta per le caratteristiche dei nuovi operai impiegati in massa a Mirafiori: in grande maggioranza erano giovani meridionali, il 75% dei lavoratori totali impegnati alla sezione "Carrozzerie", poco qualificati, completamente estranei alla realtà locale, costretti a vivere in situazioni ambientali degradate, sottoposti in fabbrica al rigido controllo della gerarchia dei capi FIAT quasi tutti di origine piemontese. Il profondo cambiamento qualitativo della base operaia di Mirafiori con l'inserimento dei giovani emigrati meridionali, le caratteristiche meno qualificate del lavoro ripetitivo e alienante nella catena di montaggio del nuovo "operaio-massa", l'incremento numerico dei lavoratori nella gigantesca fabbrica e le istanze di profondo e radicale rinnovamento presenti nella società italiana, caratterizzarono in modo assoluto la storia dello stabilimento FIAT negli anni settanta. Le tappe più importanti delle lotte operaie in FIAT furono il cosiddetto autunno caldo del 1969, la lotta sindacale del 1971, conclusa con la nascita della nuova rappresentanza operaia dei delegati di fabbrica eletti tra i lavoratori più combattivi e radicali, che avrebbero completamente soppiantato le inefficaci commissioni interne degli anni cinquanta e sessanta, l'occupazione dello stabilimento nel 1972 per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici con le bandiere rosse issate sulla fabbrica e l'apparente vittoria operaia. In realtà la lotta radicale all'interno della fabbrica di Mirafiori negli anni settanta non si limitò a queste fasi di particolare intensità ma fu un processo continuo, quasi quotidiano, che stravolse completamente i rapporti di potere in fabbrica e diede modo al cosiddetto "potere operaio" di manifestarsi concretamente nella vita quotidiana dello stabilimento. Le Brigate Rosse arrivarono a Torino nel 1972 e organizzarono una colonna dell'organizzazione nella grande città operaia dove il clima politico era dominato dalle grandi lotte sindacali e dall'estremismo dei delegati di fabbrica; per i brigatisti l'inserimento nelle lotte rivendicative e la penetrazione nella grande fabbrica di Mirafiori per potere fare opera di proselitismo e favorire una svolta estremista e rivoluzionaria dei lavoratori, divenne subito un obiettivo prioritario. La colonna brigatista agiva nella stretta clandestinità ma riuscì a reclutare numerosi operai che in parte entrarono attivamente nell'organizzazione e in parte si limitarono a diffondere materiale di propaganda all'interno dello stabilimento. La colonna torinese delle Brigate Rosse riuscì ad costituire nella seconda metà degli anni settanta un cosiddetto "fronte delle fabbriche", per gestire le azioni dirette contro la FIAT, e due brigate distinte per la sezione "Presse" e la sezione "Carrozzerie" di Mirafiori con propri regolari non clandestini contemporaneamente lavoratori e brigatisti. All'interno della fabbrica di Mirafiori lavoravano regolarmente alcuni operai ben conosciuti e apprezzati dai lavoratori, che erano anche importanti dirigenti dell'organizzazione, attivamente partecipi delle azioni violente, tra cui Angelo Basone, noto sindacalista alla sezione "Presse", Luca Nicolotti, operaio sempre alle "Presse", Nicola d'Amore, operaio alle "Carrozzerie", Cristoforo Piancone e Lorenzo Betassa, operaio e delegato sindacale alle "Carrozzerie". Nel corso degli anni di piombo non mancarono alcuni fenomeni di sostegno verso l'azione violenta dei brigatisti, interpretata dagli operai più ideologizzati come giusta rappresaglia verso i capi FIAT più detestati all'interno di Mirafiori e come azione di intimidazione verso le gerarchie che avrebbe portato vantaggi concreti ai lavoratori della fabbrica. In alcune occasioni ci furono anche manifestazionei esplicite di sostanziale disinteresse degli operai di Mirafiori verso per la sorte delle vittime dei terroristi. Il momento decisivo della lotta di classe nella fabbrica di Mirafiori e l'ultimo tentativo della classe operaia, già da anni in difficoltà a causa dell'esasperazione generale per la conflittualità, il disordine e la violenza diffusa, di fermare la ristrutturazione e l'automazione in corso negli stabilimenti FIAT, ebbe inizio nel settembre 1980 in risposta alla decisione della dirigenza FIAT, guidata soprattutto dal rigido e deciso amministratore delegato Cesare Romiti, di licenziare quasi 15.000 lavoratori apparentemente per motivi legati principalmente alla crisi economica e alle difficoltà finanziarie dell'azienda. I delegati di fabbrica reagirono all'annuncio della FIAT respingendo nettamente le decisioni della società e iniziando lo sciopero ad oltranza e il picchettaggio dei cancelli delle fabbriche per impedire l'accesso agli stabilimenti e il blocco della produzione. Ebbero quindi inizio i "35 giorni della FIAT", gli operai dello stabilimento Mirafiori aderirono in massa alla protesta e per oltre un mese la fabbrica venne bloccata da migliaia di operai raggruppati ai cancelli, mentre erano in corso le trattative. Le rappresentanze sindacali centrali cercarono senza molto successo di contrattare un accordo più favorevole ma in pratica non supportarono le istanze estremistiche dei lavoratori FIAT più politicizzati favorevoli ad occupare le fabbriche, mentre la dirigenza del PCI sembrò maggiormente decisa ad andare fino in fondo. In realtà il segretario del partito, Enrico Berlinguer, si recò ai cancelli di Mirafiori per solidarizzare con gli operai ma, parlando davanti ai lavoratori in sciopero, usò espressioni poco chiare, dicendo genericamente che il partito non avrebbe fatto mancare il suo aiuto agli operai nel caso in cui essi avessero deciso "con metodi democratici" di occupare la fabbrica. Di fatto la situazione generale stava evolvendo in senso sfavorevole per i lavoratori FIAT; la stanchezza per il lungo sciopero, la frustrazione per la mancanza di decisioni, l'esasperazioni di una parte dei dipendenti desiderosi di riprendere il lavoro e soprattutto, l'imprevista opposizione anti-operaia, numerose e attiva, da parte dei quadri intermedi e dei capi FIAT, manifestatasi clamorosamente con la "Marcia dei quarantamila" del 14 ottobre 1980, provocarono la svolta della lunga vertenza. Fin dall'inizio degli anni settanta la FIAT aveva iniziato un vasto programma di riorganizzazione del lavoro in fabbrica, in parte per venire incontro alle richieste sindacali dei lavoratori a favore di un alleggerimento dei carichi e di un organizzazione meno oppressiva e ripetitiva del lavoro, ma soprattutto per ottenere un aumento radicale della produttività e dell'efficenza dei suoi impianti e quindi ridurre i costi di lavorazione e in prospettiva diminuire in modo sostanziale il numero di operai impiegati. Nella fabbrica di Mirafiori prima vennero installati alcuni robot Unimate di saldatura nel 1972, quindi venne attivato dal 1975 il sistema Digitron e all'inizio degli anni ottanta entrò in funzione il moderno sistema Robogate della Comau, già sperimentato allo stabilimento di Rivalta fin dal 1978. Queste innovazioni teconologiche permettevano un decisivo incremento dei processi di automazione industriali; mentre il sistema Digitron dirigeva tramite robot trasportatori il delicato accoppiamento della scocca con i motori, il sistema Robogate controllava tutte le fasi delle saldature della scocca che venivano effettuate dalle stazioni di robot saldatori dove venivano automaticamente trasportare da robotcarriers le scocche di modelli diversi; a Mirafiori venne anche attivato il sistema LAM (lavorazione asincrona motori) per il montaggio non in catena dei motori. Queste innovazioni teconologiche, attivate dalla nuova dirigenza del settore auto della FIAT guidato da Vittorio Ghidella, trasformarono profondamente negli anni ottanta lo stabilimento di Mirafiori con l'automazione di alcuni reparti critici, tra cui la lastroferratura, la verniciatura e le presse; soprattutto ridussero in modo sostanziale il numero di operai impiegati. Nei reparti di lastroferratura e verniciatura in particolare, quasi completamente automatizzati dal Robogate, gli addetti divennero necessari solo per il controllo e la manutenzione degli impianti e di conseguenze molte officine della fabbrica cambiarono completamente aspetto, divenendo quasi vuote di operai e con macchine automatizzate in continua funzione; la catena di montaggio rimase attiva in pratica solo alla Carrozzeria per l'assemblaggio finale della componentistica sull'automobile. La sconfitta operaia dell'ottobre 1980 e il processo di ristrutturazione e automazione attivato dalla dirigenza FIAT cambiarono in modo irreversibile le caratteristiche degli stabilimenti dell'azienda e in particolare della fabbrica principale di Mirafiori. La messa in cassa integrazione a tempo indefinito, preliminare in gran parte dei casi all'allontanamento definitivo, di migliaia e migliaia di lavoratori designati dalla FIAT in genere tra i più combattivi, politicizzati e refrattari, il pessimismo, lo scoramento e la disillusione presente tra gli operai ancora attivi, profondamente delusi dall'esito delle lotte, e la rioganizzazione del lavoro con lo svuotamento delle officine più importanti e l'inserimento di robot automatizzati, consentirono alla dirigenza di riassumere il totale predominio nello stabilimento, ripristinando un rigido sistema gerarchico basato sullo stretto controllo dei lavoratori, sulla disciplina in fabbrica e su un sistema di punizioni e premi, correlati alla docilità e alla passività del lavoratore. I capi, dopo gli anni dell'intimidazione e della violenza operaia, riassunsero il ruolo di rigidi guardiani del potere aziendale in fabbrica. La FIAT Mirafiori perse quindi definitivamente il suo carattere di fabbrica "speciale", centro delle speranze operaie di un rinnovamento radicale dei rapporti di classe, e divenne un normale stabilimento industriale con un base operaia in netta e progressiva diminuzione numerica, caratterizzata da lavoratori ormai non più giovani, passivamente rassegnati e timorosi della possibile perdita di ulteriori posti di lavoro, vista la decisione aziendale di potenziare i nuovi stabilimenti periferici in via di costruzione al centro e al sud Italia. Nel 1988 i lavoratori dello stabilimento Mirafiori scesero a circa 36.000. Nel 2004 termina la produzione di motori nello stabilimento, l’ultimo fabbricato era il 1.6 Torque 16 valvole che equipaggiava numerosi modelli Fiat e Lancia (la produzione venne trasferita in Argentina mentre alcune vetture europee lo abbandonarono, sostituito dall'unità 1.6 Ecotec di origine Opel General Motors). Il 18 febbraio 2008 è stata inaugurata nell'officina 83 la nuova sede Abarth, durante l'inaugurazione della stessa è stata anche presentata la nuova 500 Abarth. Successivamente, sempre nell'officina 83 viene spostato il Centro Stile Fiat e il quartier generale di CNH Industrial. Nel 2008 parte la produzione dell'Alfa Romeo Mito che si concluderà nell'estate del 2018. Nel 2014 viene riqualificata e inaugurata l'area Officina 82, dove hanno attualmente sede gli uffici di amministrazione. Dal 2018 e per tutto il 2019 l'unico modello ad essere costruito nella fabbrica è stato il suv Maserati Levante, dal primo semestre del 2020 vi viene anche assemblata la Fiat 500 elettrica. Nel 2022 è iniziata la produzione della Maserati Quattroporte e della Maserati Ghibli dopoché è stata trasferita dallo stabilimento di Grugliasco. Sempre nel 2022 viene inaugurato l'Heritage Hub che è ubicato negli spazi dell'ex Officina 81 di Mirafiori, con accesso da Via Plava 80. Trattasi di uno spazio espositivo dedicato alla collezione aziendale di auto storiche, molte delle quali sono prototipi o pezzi unici. L'Heritage Hub non è soltanto uno spazio espositivo di veicoli storici prodotti da Fiat, Lancia ed Alfa Romeo, ma anche un centro di documentazione e ricerca storica, dedito al recupero e restauro di vetture ritenute degne di entrare a far parte del notevole patrimonio storico di Stellantis. Il centro è aperto al pubblico con visite guidate su prenotazione. Lo stabilimento FIAT Mirafiori, nato alla vigilia della seconda guerra mondiale, ha rappresentato la massima espressione in Italia del modello di industrializzazione classica fondato sulla grande fabbrica; nel corso degli anni cinquanta e sessanta fu anche il protagonista, con la sua enorme capacità produttiva, della motorizzazione di massa italiana. La fabbrica però fu anche e soprattutto un luogo centrale per la classe operaia, per il suo sviluppo, la sua presa di coscienza, le sue lotte per l'affermazione dei diritti e per l'organizzazione del lavoro. Il concetto di "centralità operaia" corrispose infatti soprattutto al modello della FIAT Mirafiori e in questa fabbrica la lotte di classe raggiunse negli anni settanta il suo massimo sviluppo di radicalità e violenza, terminando negli anni ottanta, dopo una storia fatta di illusioni, successi e speranze, con la sconfitta definitiva per il proletariato industriale italiano, la vittoria completa della dirigenza aziendale e il conseguente progressivo e inarrestabile declino della base produttiva di Torino. G. Berta, Mirafiori. La fabbrica delle fabbriche, Il Mulino, Bologna 1998 G. Bocca, Noi terroristi, Garzanti, Torino, 1985 V. Castronovo, FIAT. Una storia del capitalismo italiano, Rizzoli, Milano 2005 G. Lerner, Operai. Viaggio all'interno della Fiat, Feltrinelli, Milano, 2010 M. Revelli, Lavorare in Fiat, Garzanti, Torino 1989 G. Volpato, FIAT Auto. Crisi e riorganizzazioni strategiche di un'impresa simbolo, UTET, Torino 2004 Storia di Torino Lingotto (comprensorio) Stabilimento FIAT Rivalta Lista dei siti produttivi FCA Volkswagenwerk Wolfsburg Boulogne-Billancourt Lada-Vaz Ford River Rouge complex Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Stabilimento Stellantis di Mirafiori Luoghi della Memoria. Fiat Mirafiori, istoreto.it, su istoreto.it. Mirafiori compie 70 anni, il sole 24 ore, su ilsole24ore.com.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Stabilimento FIAT Mirafiori (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Stabilimento FIAT Mirafiori
Corso Enrico Tazzoli, Torino Circoscrizione 2

Coordinate geografiche (GPS) Indirizzo Luoghi vicini
placeMostra sulla mappa

Wikipedia: Stabilimento FIAT MirafioriContinua a leggere su Wikipedia

Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 45.0294 ° E 7.64111 °
placeMostra sulla mappa

Indirizzo

Corso Enrico Tazzoli 13a
10135 Torino, Circoscrizione 2
Piemonte, Italia
mapAprire su Google Maps

FIAT Mirafiori anni sessanta
FIAT Mirafiori anni sessanta
Condividere l'esperienza

Luoghi vicini

Chiesa di San Giovanni Bosco (Torino)
Chiesa di San Giovanni Bosco (Torino)

La chiesa di San Giovanni Bosco è un edificio di culto cattolico nella città di Torino, progettato da Giulio Valotti. Parte dell’Istituto Internazionale Edoardo Agnelli, si trova nel quartiere Mirafiori Nord a pochi metri da Corso Unione Sovietica. La posa della prima pietra ha avuto luogo il 3 luglio 1938 alla presenza, tra gli altri, del cardinale Maurilio Fossati. L'inaugurazione è avvenuta il 19 aprile 1941 alla presenza, oltre che di Fossati, del senatore Giovanni Agnelli e nipoti. Il giorno successivo, una prima Santa Messa è stata celebrata da Pietro Ricaldone; dopo questa, gli spazi sono stati benedetti dal cardinale Vincenzo Lapuma. Il 24 novembre 1943 l’edificio è stato coinvolto nei bombardamenti di Torino. Negli anni Settanta hanno avuto inizio i lavori di adeguamento liturgico. L’intero edificio è rivestito in mattoni. La facciata presenta una considerevole arcata cieca che incornicia il portale (scolpito ligneo dagli allievi dell’Istituto salesiano Rebaudengo) ed un mosaico raffigurante Gesù buon Pastore (firmato Piero Dalle Ceste), sovrastata da una scultorea Croce cristiana. Due monofore, una a sinistra e una a destra, affiancano il prospetto. La campana minore sul campanile è opera della Fonderia Barigozzi. L’interno è a navata unica longitudinale, suddivisa in quattro campate. Il battistero, ottagonale e marmoreo, è stato disegnato dallo stesso Valotti. Il presbiterio è a pianta quadrata e sormontato da una cupola. Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, esso conteneva un altare in marmo rosa che a sua volta esponeva un grande quadro raffigurante san Giovanni Bosco dipinto da Paolo Giovanni Crida. L’opera venne poi sostituita con l’attuale, appositamente realizzata dallo scultore Edoardo Rubino, consistente in un grandioso altare con sculture marmoree (sempre su don Bosco, però più glorificante); l’inaugurazione avvenne il 24 ottobre del 1954 alla presenza di Renato Ziggiotti e della famiglia Agnelli. L’organo a canne è opera della Carlo II Vegezzi Bossi, che lo fabbricò nel 1962; precedentemente situato nella cappella dell’Istituto Arti e Mestieri (in Cenisia), è stato spostato nella chiesa tra il 2011 e il 2012. Chiesa parrocchiale Edifici di culto a Torino Luoghi d’interesse a Torino Parrocchie dell’arcidiocesi di Torino https://www.beweb.chiesacattolica.it/edificidiculto/edificio/34131/Chiesa_di_San_Giovanni_Bosco__Torino Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. https://chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/AccessoEsterno.do?mode=guest&code=34131&Chiesa_di_San_Giovanni_Bosco___Torino https://www.museotorino.it/view/s/4d19c05baf7e4079951287cc05993f0b https://www.diocesi.torino.it/site/wd-annuario-enti/territorio-diocesano-1587637780/vicariato-territoriale-distretto-torino-citta-19214/unita-pastorale-n-19-mirafiori-nord-14033/s-giovanni-bosco-259/ https://www.oratorioagnelli.it/la-chiesa-di-san-giovanni-bosco/

Palasport Tazzoli

Il palasport Tazzoli è una struttura sportiva polivalente per gli sport del ghiaccio, che si trova a Torino, nel quartiere Mirafiori Nord (zona Sud-Ovest della città), vicino alle storiche officine della Fiat Mirafiori; è stato ricostruito - sul sito che ospitava una pista all'aperto - per i XX Giochi olimpici invernali. Le dimensioni del campo di gara principale sono di 30 x 60 metri, il che consente di disputare competizioni ufficiali di hockey su ghiaccio (vi giocano le squadre maschile e femminile del Real Torino HC e la squadra dell'HC Torino Bulls) e di Ice sledge hockey (con i Tori Seduti Torino). È presente anche una seconda pista raggiungibile attraverso un tunnel sotterraneo L'impianto stato utilizzato anche in occasione delle Universiadi invernali di Torino 2007 ed attualmente viene utilizzato dalle società iscritte alla Federazione Italiana Sport del Ghiaccio della Regione Piemonte e dalle loro squadre agonistiche che competono nelle discipline dell'hockey, del pattinaggio di figura, del pattinaggio di velocità e short track e del curling. Venne progettato nel 2002, in vista di Torino 2006, dall'architetto bolzanino Claudio Lucchin, Cesare Roluti, assieme allo studio De Ferrari e allo studio Lee (che hanno progettato anche il palaghiaccio olimpico di Torre Pellice). Fu poi realizzato tra il 2003 ed il 2005. Il 12 e 13 gennaio 2013 si è svolta la "final four" Coppa Italia di Hockey su ghiaccio vinta dal Hockey Club Valpellice. Tra gli atleti che hanno calcato la pista del Tazzoli, la medaglia d'argento olimpica di short track Fabio Carta. Palasport Olimpico HC Torino Real Torino Hockey Club Tori Seduti Torino Luoghi d'interesse a Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Palasport Tazzoli

Chiesa del Gesù Redentore (Torino)
Chiesa del Gesù Redentore (Torino)

La chiesa del Gesù Redentore è un edificio di culto cattolico a Torino, nel Borgo Cina del quartiere Mirafiori Nord (Circoscrizione 2). La chiesa venne costruita per sostituire una piccola cappella bianca (situata verso l'imbocco di Via Giacomo Dina) in risposta all'aumento della popolazione circostante di fedeli. Il progetto si deve all'architetto biellese Nicola Mosso, ed è considerato la sua realizzazione più significativa nel campo dell'edilizia religiosa. Inaugurate la chiesa e la casa parrocchiale nel maggio 1957, il cantiere fu completato alla fine degli anni '60 con l'inaugurazione dell'oratorio, del cine-teatro, della cappella feriale e della casa per le associazioni cattoliche. Alla fine degli anni '50 era stata nel frattempo realizzata anche una sala polivalente, oggi intitolata a Mario Operti (poi dedicata anche a Giovanni Fornero) nei locali sotterranei. Nel 2002 viene restaurata la copertura della chiesa. Le facciate presentano un paramento di mattoni a vista. La navata è singola. La volta, sfaccettata, è in cemento armato, mentre i muri dell'aula principale sono sempre in mattoni (al rustico). La chiesa è considerata, tra i progetti realizzati a Torino negli Anni Cinquanta del Novecento, uno degli edifici che destano interessi architettonici "più ampi di quelli locali". La sua copertura a nervature incrociate, che permette di evitare il ricorso a pilastri all'interno dell'edificio, è considerata dalla critica posteriore una soluzione "di chiara matrice guariniana". La conformazione sfaccettata della volta, con le sue numerose aperture vetrate, crea un particolare effetto dovuto ai raggi luminosi che danno luce alla navata e richiama la cappella della Sindone. Edifici di culto a Torino Luoghi d'interesse a Torino Parrocchie dell'arcidiocesi di Torino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa del Gesù Redentore Scheda sulla Parrocchia Gesù Redentore (Arcidiocesi di Torino) Chiesa di Gesù Redentore, su Le chiese delle diocesi italiane, Conferenza Episcopale Italiana. (Conferenza Episcopale Italiana)

Circolo della Stampa - Sporting
Circolo della Stampa - Sporting

Il Circolo della Stampa – Sporting è un complesso sportivo polifunzionale situato in corso Giovanni Agnelli, nel quartiere torinese di Santa Rita, nella zona sud-occidentale della città. Deve il nome all'associazione ricreativa dell'omonimo quotidiano torinese, parzialmente beneficiaria dell'area durante gli anni 1930. Nel corso della sua storia è stato noto come Circolo «La Stampa», Circolo Juventus (o, più brevemente, come Circolo) e, in seguito, Sporting, per via del nome dei consorzi e delle maggiori associazioni sportive che si sono succedute nella proprietà nonché del suo utilizzo. Durante i suoi primi quarant'anni d'attività fu considerato tra le più importanti e lussuose sedi sportive d'Europa oltreché una delle icone dell'architettura razionalista e modernista torinese, tanto da essere descritto dal Politecnico di Torino quale «un significativo esempio di impianto sportivo e ricreativo di gusto Novecento». Opera dell'architetto partenopeo Domenico Morelli, fu inaugurato nel 1941 come Circolo Sportivo Juventus per ospitare le attività extracalcistiche del club inizialmente proprietario della struttura (tennis, disco sul ghiaccio, nuoto e bocce). Fu anche sede di incontri sportivi internazionali, tra cui quelli della Nazionale italiana di tennis in sei edizioni della Coppa Davis tra il 1948 e il 1973, dell'Italia di pallacanestro contro l'Inghilterra nel 1948, gli Internazionali d'Italia 1961 e la totalità d'incontri disputati nella Federation Cup 1966 includendo la finale tra le squadre nazionali femminili di Stati Uniti e Germania Ovest. L'impianto andò incontro a numerosi cambi di proprietà fino a essere acquisito nel 1957, insieme a tutta l'area su cui insiste, dal comune di Torino che nel 2004, in vista della XXIII Universiade invernale disputatasi tre anni più tardi, lo sottopose a ristrutturazione. Dal 2009 il Circolo della Stampa — Sporting (associazione che già dalla metà degli anni 1960 usufruisce dell'impianto) ha ottenuto in concessione dal Comune il diritto di superficie parziale per venticinque anni; oltre all’attività sportiva il Circolo della Stampa ha storicamente ospitato anche conferenze e iniziative culturali. Infine, il complesso fu dichiarato nel 2015 bene tutelato sottoposto a vincolo architettonico dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT).

Stadio comunale Paschetto
Stadio comunale Paschetto

Lo Stadio comunale Gianfranco Paschetto è lo stadio di baseball della città di Torino, nel quartiere Lingotto. Situato nel Parco del Lingotto e gestito dal Centro sportivo "Il Paschetto", è composto principalmente da un campo principale dotato di illuminazione e tribuna da 1.000 posti, da un campo da softball dotato di illuminazione e tribuna da 99 posti, da un campo per la categoria Under-12 e da una tensostruttura riscaldata. La costruzione dell'impianto avvenne durante gli anni '70. Nel 1983 lo stadio fu una delle sedi che ospitarono alcune partite degli Europei 1983, disputatisi in Italia. Nel giugno 1996, la Juventus '48 Torino vinse qui in casa la Coppa CEB di quell'anno, trofeo disputato tra club non qualificati per la Coppa dei Campioni. Nella notte del 20 marzo 2003, parte della copertura dello stadio subì un cedimento strutturale. A seguito di ciò, un anno dopo venne rimossa la copertura in cemento armato, mentre due anni dopo venne ultimata una nuova copertura in legno. Lo stadio tornò ad ospitare un evento maggiore di rilevanza internazionale nel settembre del 2009, quando vennero disputate tre partite dei Mondiali 2009, tra cui la sfida tra Italia e Stati Uniti terminata 3-12 in favore dei nordamericani. In occasione della competizione, l'impianto fu rinnovato con una serie di interventi. In occasione degli Europei 2021, organizzati in Piemonte nelle sedi di Torino, Avigliana e Settimo, lo stadio torinese ha ospitato tredici incontri, tra cui la finalissima e la finale per il terzo posto. Lingotto (quartiere) Parco Di Vittorio Luoghi d'interesse a Torino Stadio del baseball, su museotorino.it. A.S.D Grizzlies Torino 48 Baseball Club, su grizzliestorino.it.

Regio Istituto di Riposo per la Vecchiaia
Regio Istituto di Riposo per la Vecchiaia

Il complesso dell'Ex Regio Istituto di Riposo per la Vecchiaia (IRV), conosciuto a Torino anche col nome di “Poveri Vecchi” fu progettato da Crescentino Caselli, allievo di Alessandro Antonelli, e costruito tra il 1883 e il 1887 per ospitare circa duemila anziani in stato di povertà. L’edificio, situato su Corso Unione Sovietica a ridosso dei quartieri Lingotto e Santa Rita, è costituito da un corpo centrale e quattro padiglioni, misura 351,5 metri e occupa un'area di 25000 mq. Ora collocato in piena città, nei pressi dello Stadio Olimpico “Grande Torino”, al tempo in cui fu progettato si trovava in una zona di campagna, sulla strada che dal centro conduce alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. Nei pesanti bombardamenti che colpirono l'edificio durante la seconda guerra mondiale, il padiglione Sud venne in gran parte distrutto, per essere poi ricostruito nel dopoguerra. L'edificio negli anni ha subito diversi interventi di modernizzazione, fra i quali l'aggiunta di parti in vetro e acciaio su progetto dell'architetto Andrea Bruno e più recentemente l'aggiunta di un nuovo corpo di fabbrica seminterrato a tre livelli, situato nel cortile tra il padiglione centrale e il padiglione adiacente in direzione Nord. Di proprietà del Comune di Torino, l’edificio è stato utilizzato negli anni da vari enti. Attualmente, la parte sud dell'edificio ospita una residenza assistenziale per anziani e i Servizi Socio Assistenziali dell'ASL di Torino, mentre il padiglione centrale e le due ali a nord sono occupate dalla Scuola di Management ed Economia dell'Università degli Studi di Torino e dalla sede centrale del Consorzio CSI-Piemonte.

Campo sportivo Gianpiero Combi
Campo sportivo Gianpiero Combi

Il campo sportivo Gianpiero Combi, meglio noto come Campo Combi e successivamente riportato anche come i Campi Combi-Marchi-Caligaris visti i settori in cui era suddiviso, fu un centro sportivo sito in via Filadelfia, nel quartiere torinese di Santa Rita, nella zona sud-occidentale della città. Inaugurato nel 1943 come «Campo Sportivo Juventus» e ribattezzato tredici anni più tardi alla memoria di Gianpiero Combi, portiere pluricampione d'Italia con la Juventus nonché campione del mondo con la nazionale italiana nel 1934, l'area ebbe una dimensione di 30000 m², capace di 2 500 posti. Fu usata come impianto d'allenamento delle varie squadre appartenenti alla sezione calcistica dell'allora società polisportiva italiana Juventus, usufruttuaria dell'impianto per circa sessant'anni dal 1943 al 2003 oltreché proprietaria sino alla fine degli anni 1940, ospitando anche la nazionale militare italiana di calcio durante il decennio successivo e quella maggiore durante le fasi di preparazione al campionato del mondo 1978 e al campionato d'Europa 1980. Abbandonato a seguito del trasferimento delle squadre giovanili della Juventus alla Sisport, nonché della riqualificazione urbanistica della zona in vista dei XX Giochi olimpici invernali, ospitati a Torino nel 2006, l'area è occupata dal 2011 dal Palazzo del Nuoto e da un parcheggio sotterraneo a uso della facoltà di economia e commercio dell'Università degli Studi di Torino. Nel 1941 la Juventus ottenne dal Comune di Torino la concessione per usufruttare una superficie di 30000 m² sita di fronte alla curva Sud dello stadio Municipale Benito Mussolini, in via Filadelfia, a ridosso dell'Istituto di Riposo della Vecchiaia e dei terreni del Circolo ricreativo del quotidiano La Stampa, quale campo per quegli allenamenti fin lì svolti negli stessi stadi casalinghi. Dopo lavori di costruzione durati un biennio, la nuova struttura della sezione calcistica della Juventus, all'epoca parte del maggior complesso sportivo della città che si estendeva tra corso IV Novembre e corso Unione Sovietica, fu inaugurata nel 1943 dall'allora presidente del club Piero Dusio. La prima squadra della Juventus usò l'impianto per le sue attività dal 1943 al 1990, anno in cui si trasferì al complesso Sisport di Orbassano. Tuttavia, nel 1993, su proposta del CONI, la Juventus pensò di realizzare un nuovo campo nell'area del campo Combi e che sarebbe stato parte di un "villaggio dello sport" nell'area del vicino stadio Comunale. Successivamente dal 1994 al 2003 gli allenamenti della prima squadra si tennero proprio al Comunale, in attesa dell'approvazione del progetto societario circa un centro d'allenamento di proprietà. In quegli anni, la Juventus farà spesso ritorno al Combi, ma non in pianta stabile come nei 47 anni precedenti. Il campo Combi subì quindi una profonda ristrutturazione a opera del club torinese, che ora ospitava gli allenamenti delle squadre giovanili bianconere, nonché, fino al 2003, gli incontri validi per i rispettivi campionati nazionali di categoria. Nel mese di gennaio dello stesso anno, le attività di tutte le formazioni juventine si trasferirono alla Sisport in vista della programmata riqualificazione del complesso urbanistico per i XX Giochi olimpici invernali del 2006 – di cui il campo Combi inizialmente faceva parte, ma alla fine escluso dal comitato organizzatore dell'evento a causa di errori di progettazione e quindi abbandonato. Nel 2001, intanto, lo storico campo sportivo di via Filadelfia venne abbandonato anche dalla squadra Primavera. Il comune lo abbatté nel 2004 dividendo l'area in due settori: uno destinato al Palazzo del Nuoto, opera dell'architetto Arata Isozaki inaugurata nel 2011, e l'altro ad autorimessa, a uso sia della facoltà di economia e commercio dell'Università di Torino che del rinnovato stadio Olimpico, quest'ultimo per delibera dell'Unione delle Federazioni Calcistiche Europee (UEFA). La struttura dell'area fu ispirata dall'architettura degli impianti sportivi inglesi degli anni 1940, comprendendo tra l'altro: un campo di gioco per la squadra professionistica di 105 × 70 m. intitolato postumo, nel 1956, a Gianpiero Combi, portiere cresciuto nel vivaio juventino; ulteriormente, l'intera area urbanistica sarebbe divenuta nota con tale nome. Ritenuto il campo principale della struttura, era dotato anche di una tribuna in legno aperta al pubblico, con una capienza di 2 500 spettatori, sita sul lato ovest; un campo di gioco di 94 × 55 m. intitolato ai fratelli Pio e Guido Marchi, giocatori cresciuti nel settore giovanile del club nella seconda metà degli anni 1910. Esso veniva usato anche dalle squadre ospiti come terreno di rifinitura, nel giorno precedente gli incontri sportivi in programma allo stadio Municipale Benito Mussolini; un campo di gioco di 94 × 55 m. intitolato postumo, nel 1973, a Umberto Caligaris, terzino sinistro bianconero durante gli anni 1930, a disposizione di tutte le squadre del settore giovanile del club; un capanno per gli attrezzi. Marco Sappino (a cura di), Dizionario biografico enciclopedico di un secolo del calcio italiano, vol. 2, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2000, ISBN 88-8089-862-0. Renato Tavella, Franco Ossola, Il Romanzo della Grande Juventus, Roma, Newton & Compton, 2003 [1997], ISBN 88-8289-900-4. Urban Center Metropolitano, Torino città universitaria (PDF), Comune di Torino, dicembre 2012. URL consultato il 2 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 1º febbraio 2014). Roberto Beccantini, Via Filadelfia, giungla d'asfalto, ogni pietra raccontava un mito (PDF), in Sport Universitario, n. 140, Centro Universitario Sportivo Italiano, aprile 2013. URL consultato il 20 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 2 febbraio 2014). Piero Soria (a cura di), La grande Torino. Le strade, le piazze, i quartieri, la storia, Stampa Sera, 5 novembre 1980. URL consultato il 20 gennaio 2014. Città di Torino: Bilancio sociale (PDF), su comune.torino.it, Comune di Torino, 2004. URL consultato l'11 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016). Concorso di progettazione per l'intervento nell'area del Comunale, su comune.torino.it, Comune di Torino, 19 febbraio 2002. URL consultato il 6 gennaio 2014. Elenco e caratteristiche generali delle aree oggetto della sponsorizzazione (PDF), su comune.torino.it, Comune di Torino, 28 dicembre 2002. URL consultato il 2 gennaio 2014. Ridistribuiti i contributi sulle aree parcheggi, su comune.torino.it, Comune di Torino, 11 giugno 2003. URL consultato l'8 gennaio 2014. Divisione edilizia ed urbanistica, Deliberazione del Consiglio Comunale (proposta dalla G.C. 25 luglio 2002), su comune.torino.it, n. ord. 155, Comune di Torino, 18 novembre 2002. URL consultato il 2 gennaio 2014. Vice Direzione Generale Servizi Tecnici, Ambiente, Edilizia Residenziale, Deliberazione della Giunta Comunale, su comune.torino.it, Città di Torino, 25 ottobre 2011. URL consultato il 20 gennaio 2014. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Campo sportivo Gianpiero Combi Ubicazione del Campo Combi sulla mappa della città di Torino (PDF), in ProToCoLLo, progetto di ricerca del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, 2004. La squadra della Juventus si allena nel campo Combi, su YouTube, Istituto Luce Cinecittà S.r.l., 30 agosto 1963. URL consultato il 30 giugno 2012.

Torri Pitagora
Torri Pitagora

Le Torri Pitagora sono parte di un comprensorio residenziale di Torino. Sorte tra il 1964 e il 1965 in una zona periferica della città (Mirafiori Nord), sono frutto di un collaudato sodalizio tra l'architetto Elio Luzi e Sergio Jaretti Sodano che, dopo aver già progettato la Casa dell'Obelisco sulla prestigiosa collina torinese, realizzeranno anche la famosa Torre Mirafiori e il complesso edilizio circostante. Realizzate su progetto del duo Luzi-Jaretti per l'impresa edile Manolino, le Torri Pitagora fanno parte delle cosiddette "residenze alte" della Torino del dopoguerra. Ubicate sull'area compresa tra i corsi Siracusa, Orbassano e Cosenza, con affaccio sull'antistante piazza Pitagora, il complesso edilizio comprende le due torri che, con i loro dieci piani, si distinguono per l'elevata altezza rispetto al contesto edilizio circostante, privo di una particolare coerenza. Complice dell'altezza è lo slancio conferito dalla scelta di basare l'edificio su alti "pilotis", dove trovano posto anche degli spazi a doppia altezza per attività commerciali. La scelta di una planimetria variegata giustifica la caratteristica struttura a moduli sovrapposti che, con un equilibrato gioco di sporgenze, sottolinea la varietà dei prospetti con un ritmo di crescente trasformazione verso l'alto, culminando con il tetto pensile. Impossibile non notare, infine, i ricorrenti elementi decorativi tipici della progettualità di Luzi e degli edifici dell'impresa Manolino, ovvero il largo impiego del mattone a vista con posa "a coltello" (atta a mostrare l'incavo volutamente lasciato vuoto) e l'ampio uso di moderne ringhiere in vetro armato. Red., Le torri Pitagora a Torino, in «L'architettura. Cronache e storia», 131, settembre, 1966, pp. 286–291 Politecnico di Torino Dipartimento Casa-Città, Beni culturali ambientali nel Comune di Torino, Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, Torino 1984, p. 482 Le Torri Pitagora, in Agostino Magnaghi, Mariolina Monge, Luciano Re, Guida all'architettura moderna di Torino, Lindau, Torino 1995, p. 235 Luca Barello, Andrea Luzi (a cura di), Le case Manolino: storia di una famiglia di costruttori e due architetti, Il Tipografo, Buttigliera d'Asti 1997 Sergio Pace, Torri Pitagora, in Vera Comoli, Carlo Olmo (a cura di), Guida di Torino. Architettura, Allemandi, Torino 1999, p. 219 Maria Luisa Barelli, Davide Rolfo, Il palazzo dell'Obelisco di Jaretti e Luzi. Progetto e costruzione, Gangemi, Roma 2018. Casa dell'Obelisco Torre Mirafiori (Torino) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Torri Pitagora