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Monastero di San Nicolò l'Arena

Monastero di San Nicolò l'ArenaPagine che utilizzano collegamenti magici ISBNPagine con mappeUniversità di CataniaVoci con codice GND
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Il Monastero di San Nicolò l'Arena (o "la Rena"; dove per rena si intende la rena rossa, termine che indica la sabbia vulcanica presente nel territorio) è un complesso ecclesiastico del centro storico di Catania, situato in piazza Dante, costituito da un importante edificio monastico benedettino e da una monumentale chiesa settecentesca. Fu fondato da monaci provenienti dall'omonimo monastero situato nei pressi di Nicolosi che a metà del XVI secolo chiesero al senato cittadino l'autorizzazione a edificare entro le mura, poiché minacciati dalle eruzioni dell'Etna e dalla presenza di briganti. Data la superficie occupata, circa 210 x 130 m., è ritenuto per estensione il secondo monastero benedettino più grande d'Europa (secondo solo al Monastero di Mafra in Portogallo). Il monastero fu dichiarato monumento nazionale con regio decreto del 15 agosto 1869. Nel 2002 viene inserito nell'elenco del patrimonio mondiale dell'UNESCO come "gioiello del tardo-barocco siciliano" facente parte all'itinerario del "tardo-barocco siciliano del Val di Noto" e nel 2008 la Regione Siciliana dichiara di “importante interesse artistico” il progetto guida riguardante la ristrutturazione del complesso dei Benedettini a Catania firmato da Giancarlo De Carlo. Oggi è sede del DISUM - Dipartimento di Scienze Umanistiche dell'Università degli Studi di Catania.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Monastero di San Nicolò l'Arena (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Monastero di San Nicolò l'Arena
Vico Reale, Catania Centro storico

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Luoghi vicini

Fortino (Catania)

Il Fortino (Futtinu in dialetto catanese) è un quartiere della zona sudoccidentale della città di Catania, facente parte della I Circoscrizione (già I Municipalità, quella del Centro Storico), comprendente anche i quartieri Angeli Custodi, Antico Corso, Civita, Giudecca, San Berillo e San Cristoforo. Il nome ricorda un fortino fatto costruire dall'allora viceré di Sicilia, Claude Lamoral I di Ligne, quasi subito dopo la colata lavica del 1669, in una zona che già all'epoca era oltre le mura cinquecentesche di Carlo V, ed è chiamata oggi "Fortino Vecchio", dato che prende il nome dal monumento: di questa fortificazione rimane solo una porta in "via Sacchero", con una decorazione raffigurante Napoleone Bonaparte a cavallo. Il nome venne attribuito poi ad una porta celebrativa molto più grande, ovvero la "Porta Ferdinandea", fra "piazza Crocifisso Maiorana" ad est e "piazza Palestro" ad ovest, denominata in seguito "Porta Garibaldi" e detta comunemente in dialetto "Potta do Futtìnu". Il Fortino confina a nord-ovest con il quartiere Curìa, a nord con Chiusa del Tindaro, ad est con San Cosimo alle Chianche, a sud-est con Fortino Vecchio, a sud-ovest con Monte Pidocchio e ad ovest con Gioeni; alcuni di questi quartieri sono comunemente considerati dai Catanesi come facenti parte del Fortino, essendo zone attigue e per questo attribuibili ad esso. Il quartiere comprende gli ultimi tratti di due fra le vie principali del centro storico di Catania, quasi paralleli ma che proprio qui divergono più che altrove: via Vittorio Emanuele II, che finisce più a nord e ad ovest, e via Giuseppe Garibaldi, che finisce più a sud e ad est. In particolare via Giuseppe Garibaldi finisce in "piazza Crocifisso Maiorana", la quale ha più ad ovest la Porta Garibaldi, che, a sua volta, ha più ad occidente "piazza Palestro", la più grande del quartiere essendo lunga 100 metri e larga 50, da cui parte ancora più ad ovest "via Palermo", ideale continuo di via Giuseppe Garibaldi, e che, in quanto tale, dopo il Fortino attraversa i quartieri di San Leone, dove ad un certo punto si dirige verso nord, e quindi Nesima; essa, dopo aver varcato il confine comunale, diventa la Strada statale 121, detta "la Catanese", proseguendo fino a Palermo. Invece, Via Vittorio Emanuele II, finisce in "piazza del Risorgimento", la quale è divisa fra i quartieri Curìa e Gioeni. Nonostante la vicinanza i quartieri di Curìa, Nesima, San Leone, Gioeni e Zammataro sono della V Circoscrizione, formata nel 2013 dalle ex VII e VIII Municipalità, mentre il Fortino e Monte Pidocchio fanno parte invece della I Circoscrizione, già I Municipalità. La chiesa principale, del Sacro Cuore di Gesù al Fortino, si affaccia a nord-ovest di piazza Palestro ed è stata costruita nell'Ottocento sul luogo di una precedente chiesa dedicata alle Anime del Purgatorio, che oggi costituisce la cripta della chiesa stessa. L'altra chiesa del quartiere è quella del Santissimo Crocifisso Maiorana ad est, nella piazza omonima più piccola, da dove si affaccia a nord, ed è stata costruita nel Settecento. Il monumento civile principale è la "Porta Ferdinandea", una porta celebrativa chiamata così dal futuro Ferdinando I delle Due Sicilie, in onore del cui matrimonio venne eretta nel 1768, e dopo il 1860 denominata "Porta Garibaldi", dall'omonima via alla cui fine è posta: essa è comunemente conosciuta anche come "Porta del Fortino" e separa piazza Crocifisso Maiorana ad est dalla più grande (100 x 50 metri) piazza Palestro ad ovest. Chiesa del Sacro Cuore di Gesù al Fortino, piazza Palestro Chiesa del Santissimo Crocifisso Maiorana, piazza Crocifisso Maiorana Porta Garibaldi (Catania) Claude Lamoral I di Ligne

Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico G. Rodolico - San Marco

L'Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico G. Rodolico - San Marco" è un'azienda sanitaria pubblica con sede a Catania che raggruppa i presidi ospedalieri "San Marco” e "Gaspare Rodolico”. L'Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico « Gaspare Rodolico - San Marco » di Catania viene istituita nel 2009, risultato dell'accorpamento di cinque Enti nati nel corso di otto secoli di attività. Le origini del nosocomio coincidono con quelle dell'Ospedale San Marco, istituito nel XIV secolo per decisione del Senato catanese. Verso la fine del XIX secolo, l'Ospedale San Marco venne trasferito in un nuovo complesso edilizio realizzato in stile architettonico eclettico-liberty, costruito su un ampio terreno appartenuto ai monaci benedettini, situato proprio nei pressi del Monastero di San Nicolò l'Arena. L'Ospedale civico Vittorio Emanuele - così intitolato a nome di Vittorio Emanuele II di Savoia, primo Re d'Italia - fu inaugurato nel 1881, e dotato di molti reparti, di istituti chimici, di padiglioni di isolamento, di attrezzature idonee ad una grande e moderna struttura. Nel 1956 fu inaugurato un nuovo padiglione che ospitava il reparto di maternità. Dopo l'istituzione del Servizio sanitario nazionale attraverso la legge 23 dicembre 1978, n. 833, con cui i servizi sanitari divenivano totalmente a carico statale, e la creazione delle unità sanitarie locali (USL), l'OVE venne inserito nella USL n. 35 Catania assieme ai presidi ospedalieri Ferrarotto Alessi, Santa Marta e Santo Bambino. Nel 1995 i quattro presidi ospedalieri facente parte dell'USL n. 35 Catania, vennero accorpati in un'unica entità amministrativa denominata Azienda Ospedaliera Vittorio Emanuele-Ferrarotto-Santo Bambino, come stabilito dalla legge regionale n. 34 dell'11 aprile 1995. Nel 2009 un protocollo d'intesa stipulato tra la Regione Sicilia e l'Università degli Studi di Catania, e la successiva approvazione del decreto assessoriale n. 1759 del 31 agosto 2009, portarono alla costituzione dell'Azienda Ospedaliero - Universitaria "Policlinico - Vittorio Emanuele'', che oltre ai presidi ospedalieri dell'Azienda Ospedaliera Vittorio Emanuele-Ferrarotto-Santo Bambino, comprende anche il policlinico universitario Azienda Ospedaliero-Universitaria "Policlinico G. Rodolico". Istituito come sanatorio per l'assistenza dei malati poveri di tubercolosi polmonare nel 1905 per iniziativa del comm. Antonino Ferrarotto Alessi, presidente dell'Ospedale Vittorio Emanuele, che donò 80.000 lire per la sua realizzazione. Entrato in funzione nel 1911, primo direttore fu il professor Maurizio Ascoli, dimessosi nel 1913. Nel 1974 venne realizzato un nuovo padiglione che ospitò un reparto specializzato per le grandi ustioni, il primo in tutta l'Italia meridionale. Successivamente, il presidio venne potenziato con l'inaugurazione delle unità operative di anestesiologia e di cardiochirurgia, e dell'Istituto di Chirurgia Cardiaca dell'Università di Catania. Nel 2013 all'Ospedale Ferrarotto è stata effettuata un'operazione chirurgica di impianto di valvola cardiaca transcatetere, la prima in assoluto in un ospedale italiano. L'Ospedale dei Santi Marta, Maddalena e Lazzaro fu fondato nel 1755 per opera dei sacerdoti don Pietro Finocchiaro e don Domenico Rosso dei baroni di San Giorgio, e sorse nell'abitazione del primo come lazzaretto per la cura dei malati incurabili. L'istituzione si reggeva inizialmente con mezzi privati e dai proventi della questua. Nel 1759 su commissione del Rosso, fu fatta costruire a sue spese la nuova sede su progetto dell'architetto Antonio Battaglia, accanto alla Chiesa di Santa Marta, situata al Monte Vergine. Nel 1825 la reggenza dell'ospedale fu affidata a frà Cesare Borgia (1776-1837), commendatore dell'Ordine del Santo Sepolcro, fuggito da Malta a seguito dell'occupazione napoleonica dell'isola. Il Borgia fece ricostruire l'edificio dell'ospedale danneggiato dal terremoto del 1818, e vi costruì inoltre una sala anatomica per l'insegnamento libero di Euplio Reina. Essendo questi direttore dell'Accademia Gioenia, da allora iniziarono le collaborazioni con quest'ultimo ente, e dal 1840 all'interno dell'ospedale si svolgevano lezioni di clinica chirurgica dell'Università di Catania. Con Regio Decreto n. 1705 emanato il 30 novembre 1931, viene stabilita la fusione tra l'Ospedale di Santa Marta e l'Ospedale Villermosa, dando così origine ad un unico ente ospedaliero denominato Ospedali riuniti di Santa Marta e Villermosa. L'Ospedale Villermosa, fu fondato nel 1858, per volontà testamentaria rilasciata da Emilio Tedeschi, barone di Villermosa, a cui destinava una rendita annua di onze 600 elevabili a 800. Nel dopoguerra, il nosocomio subì degli interventi edilizi che ne modificarono la facciata principale, e fu gradualmente trasformato in clinica per la cura di malattie oftalmiche. Fu istituito come opera pia nel 1776, per opera del religioso Francesco Giuffrida Nicotra, canonico della Collegiata, sotto il nome di Reclusorio del Santo Bambino, che sorgeva in via dello Stazzone, per ospitare donne nubili in stato di gravidanza, catanesi e forestiere, permettendo loro di partorire segretamente, e per assistere e nutrire gli esposti. L'opera era finalizzata soprattutto alla prevenzione dell'aborto e dell'infanticidio. Fu uno dei primi ospedali per bambini illegittimi sorti in Europa, ed eretto in ente morale il 3 agosto 1782, venne trasferito in uno stabilimento fatto edificare dal sacerdote Vincenzo Scammacca Paternò Castello dei baroni della Bruca, attiguo ad una chiesa, nel quartiere catanese dell'Antico Corso, nell'odierna via Plebiscito, e grazie anche all'apporto dei canonici Giuseppe Florio e Pietro Paolo Mazza. Il reclusorio subì un ulteriore ingrandimento nel XIX secolo grazie alle successive donazioni fatte dalla nobildonna Eleonora Statella, ma soprattutto da Giovanni Paternò Castello Asmundo, barone di Bicocca, che con testamento fatto il 12 giugno 1835, lasciò l'intera eredità all'istituto. Con l'eredità del Barone di Bicocca, al Santo Bambino venne incorporato la Pia Opera delle Ree pentire, un'istituzione assistenziale per quelle donne che, dopo il parto, intendevano rimanervi a servizio. Il Reclusorio venne aggregato all’Ospedale Vittorio Emanuele II nel 1890, conservando un'amministrazione separata. Divenuto Ospedale di Maternità Santo Bambino, nel 1957, a seguito di lavori di ampliamento e di costruzione di nuovi padiglioni, fu inaugurata la nuova clinica ostetrica, e con essa un centro per la lotta contro la sterilità, e da allora fu ente ospedaliero autonomo. Nel 1970, la struttura viene ulteriormente ampliata con l'inaugurazione di un nuovo padiglione (destinato alle madri nubili e vedove bisognose), e successivamente dichiarato ente ospedaliero provinciale specializzato di ostetricia e ginecologia con decreto della Regione Sicilia nel 1971. Policlinico universitario, è sorto a seguito del progetto della Città Universitaria di Catania, la cui ubicazione sulla collina di Santa Sofia venne scelta da Luigi Piccinato, consulente del Comune di Catania e collaboratore dell'Università degli Studi di Catania, i lavori per la sua edificazione ebbero avvio nel 1961, e il complesso in cui ha sede prese forma negli anni Settanta. Nato con il nome Centro Universitario Santa Sofia, e successivamente Azienda Policlinico dell'Università di Catania, dal 1978 ha fatto parte dell'USL n. 34 Catania. Dal 2006 venne ridenominata Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico « Gaspare Rodolico », poiché intitolata al professore Gaspare Rodolico, rettore dell'ateneo catanese dal 1974 al 1994. Nel 2009 è stato aggregato all'Ospedale Vittorio Emanuele, costituendo un'unica azienda ospedaliera. L'AOU Policlinico - Vittorio Emanuele è una struttura sanitaria pubblica integrata con l'Università degli Studi di Catania per la presenza di numerosi insegnamenti e cliniche universitarie, di scuole di specializzazione per medici e di corsi di laurea delle professioni sanitarie della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'ateneo catanese. Serve un importante bacino d'utenza che comprende la popolazione delle cinque province della Sicilia orientale; maggiore ospedale dell'area per dimensioni, al 2017 era dotato di 820 posti letto, di cui 701 per la degenza ordinaria, 119 per le attività di day hospital e 10 per l'attività di riabilitazione. Al 2012 il numero complessivo di dipendenti in servizio era pari a 2.872 unità. Gran parte delle attività dell'AOU Policlinico - Vittorio Emanuele vengono svolte nei presidi ospedalieri "Vittorio Emanuele" e "Gaspare Rodolico". Il primo, ubicato in pieno centro storico in via Plebiscito 628, è dotato di un pronto soccorso generale e pediatrico, ed è sede dell'attività di emergenza-urgenza dell'azienda infatti in essa insistono i reparti di ortopedia, l'UTIC, la chirurgia toracica e diversi reparti di chirurgia generale. Il secondo, ubicato in via Santa Sofia 78 - sede amministrativa dell'AOU - è deputato alla formazione degli studenti e degli specializzandi, e in esso insistono numerose cliniche universitarie e vi convivono specialità di base con alte specialità quali la neurochirurgia e la chirurgia vascolare e dei trapianti. Gli altri tre presidi sono invece di specializzazione: il '"Ferrarotto Alessi" è sede di numerosi reparti di alta specializzazione, quali la cardiochirurgia, la cardiologia interventistica, l'ematologia con trapianto di midollo osseo e l'odontoiatria speciale per pazienti disabili; il "Santo Bambino" è sede del reparto di ostetricia e ginecologia dell'AOU, con attività di ricovero ordinari e in day hospital, e dotato di un pronto soccorso ginecologico; il "Santa Marta" è sede di ambulatori di clinica oculistica. A. Toscano Deodati, L'ospedale di Maternità e la chiesa del S. Bambino in Catania, Catania, Tipografia La Celere, 1950. M. Alberghina, Ospedalità antica in Sicilia. Un millennio di medicina e assistenza sanitaria, Acireale, Bonanno, 2014, ISBN 889695083X. Sito ufficiale, su policlinicovittorioemanuele.it.

Porta Garibaldi (Catania)
Porta Garibaldi (Catania)

La porta Ferdinandea, dopo il 1860 intitolata porta Garibaldi, è un arco trionfale costruito nel 1768 a Catania su progetto di Stefano Ittar e Francesco Battaglia per commemorare il centenario della storica eruzione del 1669 che aveva seppellito la zona ovest della città. In quel periodo Ferdinando di Borbone e Maria Carolina convolarono a nozze e si decise di chiamare l'arco Porta Ferdinandea in onore dei due sovrani. Si trova tra piazza Palestro e piazza Crocifisso, alla fine di via Giuseppe Garibaldi, nel quartiere Fortino, in dialetto catanese Furtinu. Il monumento è realizzato alternando pietra bianca di Siracusa e blocchi di lava scura locale. In alto al centro dell'arco si trova ora un orologio, circondato da simboli allegorici, tra cui un'aquila e un elefante, simbolo di Catania. In origine, al posto di un orologio, c'era un busto marmoreo del re Borbone. Al secondo livello si trovano due angeli con trombe, al terzo due Trofei d'armi, con raffigurazioni scultoree di armi e armature e sono scritte due frasi: una dice Litteris armatur (armato con le lettere) e l'altra Armis decoratur (decorato con le armi). Sul lato Est lo scudo del timpano raffigura una Fenice che risorge dalle fiamme con un cartiglio che recita Melior de cinere surgo (Migliore dalle ceneri risorgo). La zona è chiamata 'u Furtinu in ricordo di un fortino costruito dal viceré Claudio Lamoraldo, principe di Ligne, dopo l'eruzione lavica del 1669 che colpì la città su tutto il lato occidentale, annullandone le difese medievali. Dell'opera di fortificazione avanzata che sorgeva a sud di piazza Palestro, ormai scomparsa, rimane solo una porta in via Sacchero. Alcuni palazzi collegati alla porta furono demoliti negli anni trenta, altri oggi sono abbastanza poveri e tutt'altro che simmetrici. La riqualificazione della piazza ha dato sicuramente un altro aspetto alla porta, ma è comunque tutt'altro rispetto ai progetti originari. Vittorio Consoli (a cura di), Enciclopedia di Catania, Catania, Tringale editore, 1987. Stefano Ittar Francesco Battaglia Ferdinando I delle Due Sicilie Maria Carolina d'Asburgo-Lorena Fortino (Catania) Eruzione dell'Etna del 1669 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta Garibaldi

Chiesa di Sant'Euplio
Chiesa di Sant'Euplio

La Chiesa di Sant'Euplio era un luogo di culto di Catania nel quartiere "Porta di Aci", di fronte quello di "Sant'Euplio ad Martyres", distrutta dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Oggi rimangono in piedi il transetto e la parete di destra dell'unica navata del vecchio edificio, che si è ricostruito ed inaugurato verso il 1964 in un'altra zona della città, nel quartiere "Petriera". La chiesa, dedicata al compatrono della città, venne costruita nel 1548 sull'area occupata in precedenza da un tempio paleocristiano. Apparteneva alla Confraternita di Sant'Euplio, che nel 1598 la affidò ai Frati Cappuccini e costoro nel 1606 ai Frati Minori Francescani. Questa chiesa era segnalata nelle stampe cinquecentesche, originate dal rilievo della città "a volo d'uccello" dei cartografi Frans Hogenberg e Georg Braun e nell'opera dell'architetto Sebastiano Ittar se ne può vedere pure il rilievo planimetrico. L'edificio sacro appare in quest'ultimo lavoro con ingresso ad occidente, a navata unica e con un profondo presbiterio segnato da un arco trionfale. L'edificio di culto ebbe la fortuna di reggere al Terremoto del Val di Noto del 1693. Questo luogo sacro, invece, non resse quando l'8 luglio 1943 fu colpito in pieno da uno degli ordigni lanciati in quell'anno durante l'attacco aereo degli Alleati della Seconda guerra mondiale. Le uniche due pareti di questo ex luogo di culto rimaste intatte, quella settentrionale e quella occidentale, vennero risparmiate dalla ricostruzione post-bellica, mentre venne ripavimentato in cotto siciliano il suolo su cui si estendeva l'ex chiesa. Nel presbiterio del sito dell'ex edificio di culto sono stati appesi dodici calchi in rilievo con le immagini degli Apostoli, realizzati nel 1887, che originariamente erano destinate al Cimitero monumentale di Catania e che sono dal 1978 esposte definitivamente sulla parete occidentale dell'ex chiesa. Nel 1964 venne inaugurata la nuova chiesa a sud di piazza Maria Montessori, nel quartiere "Petriera", che si andava urbanizzando proprio in quegli anni: questo luogo di culto fu realizzato ex novo in questo sito su progetto dell'architetto Giacomo Leone. Sulla base della già citata planimetria dell'Ittar, degli esigui resti e sull'unica descrizione accurata antecedente al 1943 ad opera di Giuseppe Rasà Napoli, possiamo ipotizzare l'aspetto che dovette avere la chiesa prima della sua distruzione. L'altare maggiore doveva essere affrescato con immagini dei "santi Euplio e Antonio innanzi al trono di Maria con un coro di angioli, i quattro Evangelisti, l'Apoteosi di sant'Euplio, la predicazione dello stesso santo" ed era ornato da semi-colonne con capitelli di stile corinzio, ancora oggi visibili. La chiesa disponeva poi di due altari laterali che erano affrescati; quello di destra aveva una "predicazione di sant'Antonio Abate nel deserto" di Tullio Allegra, mentre quello di sinistra rappresentava un "santissimo Crocifisso senza simulacri ma con gli Angioli della passione" dello stesso Allegra. Il prospetto verso occidente era in pietra calcarea e sull'unica porta vi erano come decorazioni una mitra poggiata su un libro chiuso e un pastorale con un campanello legatovi, i quali costituiscono i simboli di sant'Antonio Abate, e un libro aperto il quale è invece il segno distintivo di sant'Euplio. All'ingresso, sul lato sinistro del pavimento, era una botola che conduceva ai locali sottostanti di epoca romana. La botola venne definitivamente tolta e venne realizzata la prosecuzione della scaletta in muratura che conduce ancora all'ambiente ipogeo ornato da pitture un tempo leggibili e da diverse nicchie laterali, caratterizzato da un altare costituito da un capitello di epoca romana, ipotizzato dalla tradizione quale il luogo della prigionia del santo, ipotizzato come sepolcro da diversi studiosi e certamente luogo di culto in età tardo-antica. Al locale si accede ancora in occasione dei riti religiosi per la data del martirio di sant'Euplio, il 12 agosto. Per tale data si effettua anche la messa celebrativa al santo nei resti della chiesa superiore. Giuseppe Rasà Napoli, Guida alle chiese di Catania, Catania, Tringali editore, 1984 (ristampa anastatica del 1900). Maria Teresa Di Blasi, Il Filo di Arianna - Chiesa di S. Euplio Monumento funerario romano (ipogeo), Catania, Maimone editore, 1997. URL consultato il 1º febbraio 2012 (archiviato dall'url originale il 10 luglio 2013). Via Sant'Euplio Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Sant'Euplio

Giudecca di Catania

La Giudecca di Catania (Judeka in dialetto giudaico-catanese) è stato l'antico quartiere ebraico sorto a ridosso delle mura nell'allora periferia a ovest e a sud della città. La definizione di ghetto è impropria, in quanto la comunità ebraica catanese non era chiusa e isolata in un quartiere, ma più propriamente spalmata in diverse parti della parte occidentale e meridionale della città. La presenza di una giudecca a Catania la si può ipotizzare già a partire dal III-IV secolo, quando cioè appaiono le prime lapidi funebri relative a defunti Ebrei. Una delle più importanti, rinvenuta durante i lavori per la messa in posa di cavi telefonici nel mese di maggio 1929 nella zona est del vecchio abitato presso la chiesa di Santa Teresa, risalirebbe – sulla base dei caratteri latini usati – alla fine del IV secolo. Non esistono fonti relative al periodo seguente, mentre, in un periodo non meglio precisato, la comunità ebraica di Catania si insedia nell'area corrispondente alla pianura detta di Cipriana, dove è presente nel 1235, situato entro le mura di nord-ovest, mentre nel corso del XIV secolo si distribuisce senza soluzione di continuità nella zona a sud, in uno spazio urbano compreso tra la Piana e il Porto, giungendo alle porte della Platea Magna, oggi nell'area di piazza Duomo. La giudecca si dota di due sinagoghe, un ospedale, un macello e persino un cimitero poco fuori le mura, certamente accessibile da una Porta della Judeca, forse situata alla Cipriana. La comunità ebraica di Catania era prevalentemente in affari con il mercato del pesce e come era d'abitudine si affacciava su di un fiume, nel caso catanese sull'Amenano che prese da essi a chiamarsi Judicello propriamente per la presenza della giudecca, adoperato per i bagni rituali delle donne. La presenza ebraica è attestata anche presso le maestranze che lavorarono nella realizzazione del Castello Ursino (1239-1250), come pure dimostrano taluni riferimenti alle simbologie giudaiche impresse dagli operai a decorazione del fortilizio svevo. La giudecca venne quindi spopolata a partire dal 18 giugno 1492 a causa del Decreto dell'Alhambra voluto da Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia che espelleva gli ebrei non convertiti dalla Spagna. L'area, anticamente occupata da una numerosa comunità ebraica, cadde nel totale abbandono e nel degrado, presentandosi nel 1554 in pessime condizioni, quando il Senato civico cedette il territorio della Cipriana ai cassinesi, provenienti dal cenobio nicolosita sull'Etna, insieme a quello « del Parco ». I due quartieri noti si trovavano prevalentemente nella zona a nordovest e a sud della città. Una sorta di linea di demarcazione tra due giudecche distingueva la parte collinare, in posizione più elevata, da quella situata nella parte pianeggiante della città. Il primo quartiere era detto Judeca Soprana (יודקה סופרנה, Iudeka Suprana, Giudecca superiore), o in siciliano Judeca di Susu, e corrispondeva al Piano della Cipriana, quartiere che dopo l'esilio degli Ebrei dalla Sicilia venne acquisito dai Padri Benedettini Cassinesi che nel 1558 iniziarono, alla presenza del viceré di Sicilia Juan de la Cerda, duca di Medinaceli, il primo impianto di quello che sarebbe poi stato il Monastero di San Nicolò l'Arena, il maggiore del Regno. Il quartiere si estendeva tra le attuali via della Cipriana (che è una piccola traversa di via Quartarone, la via che collega piazza Dante Alighieri a via Vittorio Emanuele II), via Maura (che in ebraico significa Moro), piazza Dante Alighieri e il monastero benedettino. In via Sant'Anna era la mezkita di questo quartiere, termine ebraico-medioevale che indicava la sinagoga. Il secondo era invece la Judeca Suttana (יודקה סוטנה, Iudeka Sutana o Giudecca inferiore) detta anche Judeca di Jusu, dov'è oggi la Pescheria: qui infatti dovette pure esserci un grande mercato del pesce. La zona era piuttosto paludosa e talora malsana a causa della presenza del fiume Amenano che qui scorreva a vista e prendeva il nome di Judicello, propriamente a causa della Giudecca. Interessante notare come nella cartografia della Sicilia di XVI e XVII secolo il fiume fosse sempre segnalato con tale nome e mai come Amenano. Era compreso tra le attuali chiesa di Sant'Agata alle Sciare, la Pescheria (più precisamente presso il Pozzo di Gammazita) e via Marano. La sinagoga di questo quartiere era ubicata dov'è oggi la via Recupero, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano. La dislocazione della comunità ebraica si può desumere anche dalla toponomastica: via Marano viene propriamente da marrano ("porco" in spagnolo), cioè il termine dispregiativo riferito agli Ebrei convertiti al Cristianesimo, accusati di continuare a professare il loro culto di nascosto, mentre via Gisira viene dal termine islamico jizia, cioè la tassa che veniva versata per la libertà di culto. Indirettamente invece via Santa Maria della Catena indica la presenza della giudecca: infatti in Sicilia tutti i toponimi che indicano catena e le chiese titolate Santa Maria della Catena sono rispettivamente contrade abitate in quel tempo da giudei e sedi di antiche sinagoghe. Nicolò Bucaria, Sicilia Judaica - guida alle antichità giudaiche della Sicilia, Flaccovio editore, Palermo 1996. Comunità ebraica di Catania Ebraismo Ebraismo in Sicilia Giudecca (quartiere ebraico) Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giudecca di Catania Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Giudecca di Catania "Visitando l'Italia ebraica - Sicilia" su E-brei.net Domenico Ventura, «Medici Ebrei a Catania», in M. Alberghina, Medici e medicina a Catania dal Quattrocento ai primi del Novecento, Catania, Giuseppe Maimone Editore, 2001. Catania Judaica di Matilde Russo, 19 agosto 2011, su cataniagiovani.wordpress.com