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Cementificio Marchino

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Cementizia di prato (cementificio marchino) 01
Cementizia di prato (cementificio marchino) 01

La ex-Cementificio Marchino, noto semplicemente come La Cementizia di Prato, è un complesso produttivo addossato al versante sud della Calvana. È posto a metà strada tra le località "Le Macine" e "La Querce" sulla strada pedemontana che collega Prato con Calenzano (via Firenze).

Estratto dall'articolo di Wikipedia Cementificio Marchino (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Cementificio Marchino
Pista Ciclopedonale di via Firenze, Prato

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Coordinate geografiche (GPS)

Latitudine Longitudine
N 43.865792 ° E 11.132583 °
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Indirizzo

Cementificio Marchino

Pista Ciclopedonale di via Firenze
59100 Prato
Toscana, Italia
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Cementizia di prato (cementificio marchino) 01
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Luoghi vicini

Gonfienti
Gonfienti

Gonfienti è un sito archeologico nell'omonima frazione di Prato, con i resti di un'antica città etrusca estesa per circa 17 ettari fra il fiume Bisenzio, il torrente Marinella e i monti della Calvana, ai margini del bacino lacustre-fluviale Firenze-Prato-Pistoia. Gli scavi sono stati avviati tra il 1996 e il 1997. Risalente alla fine del VII secolo a.C., la città etrusca presso Gonfienti costituiva il baricentro dell'importante via di comunicazione tra l'Etruria centrale e l'Etruria padana ed aveva pianificato l'intera piana tra Firenze e Agliana. Abbandonata intorno alla fine del V secolo a.C. per ragioni ancora ignote, viene riconosciuta come una delle principali città etrusche dell'epoca arcaica, testimoniata dall'importanza dei reperti finora riemersi da scavi ancora nella sua fase iniziale, come le ceramiche attiche di grande pregio recuperate, fra le quali la kylix attribuita a Douris, artista greco attivo ad Atene, tra il 500 e il 475 a.C. La città, anche se intuibile solo parzialmente per la rapida urbanizzazione nella sua area, era quasi certamente collegata commercialmente a Kainua-Marzabotto al fine di favorire gli scambi attraverso l'Appennino, lungo la direttrice che collegava le città di Spina e Pisa nel corso del VI-V secolo a.C. fino a decadere quasi improvvisamente al termine del V secolo a.C., per circostanze ancora non chiare. A seguito della sua scomparsa non si hanno tracce documentarie ma possiamo ipotizzare con buona probabilità che gli stessi abitanti abbiano provveduto a spostarsi in aree più protette, dove la difesa da attacchi esterni (i celti dal nord) sarebbe stata maggiormente garantita. In effetti la città, che non disponeva di mura, si sviluppò partendo da un progetto di pianificazione che sembrerebbe anticipare la struttura delle città ippodamee, fattore reso possibile per la stabilità che si era venuta a creare nell'Etruria Settentrionale nell'arco temporale che separa la battaglia contro i greci focesi (540 a.C.) e la conquista di Veio (396 a.C.) da parte di Roma, ed il conseguente spostamento verso nord del tradizionale baricentro etrusco dell'area meridionale della Toscana. Le aree in questione potevano essere state Artimino, Fiesole e, anche se parzialmente perché più lontana, ma sulla stessa direttrice geografica, Volterra, che nel secolo successivo ampliarono o costruirono la loro cerchia muraria a seguito di un imponente sviluppo demografico. Infine la piana fu abitata dai Romani (vi passava la via Cassia, nel tratto che collegava Firenze con Pistoia, sulla via per Luni). Gli storici hanno collocato nei pressi dell'antica città etrusca la mansione "Ad Solaria" della antica Via Cassia, e riportata nella celebre Tavola Peutingeriana. Recentemente è stata avanzata l'ipotesi (basandosi su alcuni toponimi della zona) che questa possa essere la mitica Camars , che spesso invece è identificata con la latina Clusium, patria del re Porsenna, ovvero Chiusi. In effetti la città aveva assi viari ben pianificati (indicanti quindi una presenza costante nel territorio di genti etrusche), con una strada di oltre dieci metri di larghezza e un'estensione notevole (sono circa 30 gli ettari sottoposti a vincolo dalla soprintendenza). All'interno di essa è stata rinvenuta una "domus" di circa 1440 m² (la più grande dell'Italia antica, prima della Roma Imperiale), sviluppata sul modello delle ville pompeiane (ma di alcuni secoli precedente) con una rete di canali idrici ancora in parte funzionanti e un'eccezionale quantità di ceramiche greche a figure rosse e nere, su cui spicca una kylix attribuita a uno dei più importanti artisti greci del V secolo, Douris e delle pregevoli antefisse a figure femminili. Indizi sull'esistenza in loco di una città etrusca erano già stati ipotizzati nel corso del XVIII secolo, quando vennero raccolti svariati reperti di quell'epoca (tra cui il cosiddetto "offerente" esposto al "British Museum"), suggerendo per essa il nome di Bisenzia, una mitica città etrusca scomparsa secoli fa e citata da locali letterati rinascimentali. Una forte presenza etrusca nel territorio della piana pratese è testimoniata dai tanti reperti trovati in aree limitrofe di Prato: Carmignano, Comeana e nei territori comunali di Sesto Fiorentino e di Calenzano sui monti della Calvana. Già nel 1735, a pochi chilometri da Gonfienti, fu rinvenuto l'offerente bronzeo di Pizzidimonte, oggi conservato presso il British Museum di Londra. Inoltre, non molto distanti da Gonfienti sorgevano le città etrusche di Artimino, Fiesole, nota dal IV secolo a.C. come Vipsul e, sulla via per Felsina, quella di Kainua, nel comune di Marzabotto, probabilmente fondata da coloni provenienti da Gonfienti. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Gonfienti

Villa Aldobrandini (Prato)
Villa Aldobrandini (Prato)

Villa Aldobrandini, detta anche Banchieri Rospigliosi, è un edificio storico di Prato, situata in via Firenze 83. Ai primi del Quattrocento esisteva qui una "casa da signore" della famiglia Banchelli. Nel corso di quel secolo la dimora passò agli Aldobrandini di Firenze, i quali la trasformarono in villa e ne mantennero a lungo la proprietà. Nell'Ottocento, a seguito delle nozze di Camilla di Salvestro Aldobrandini con Giovanni Francesco di Pietro Banchieri, passò ai Banchieri e poi, in seguito alle nozze di Olga di Cesare Banchieri con Bati Rospigliosi, ai Rospigliosi. Posta al termine di un lungo filare di cipressi, alle pendici del poggio Bartoli, ha un aspetto per lo più cinquecentesco, con aggiunte settecentesche. La facciata principale guarda a sud e si sviluppa asimmetricamente per cinque assi su tre piani (quello terreno affonda seminterrato nella collina nella parte posteriore). Per dare un maggiore ordine, nel Settecento vennero dipinti tre ulteriori assi di false finestre e una serie di riquadri, che mascherano efficacemente il disequilibrio. Spostata verso sinistra sporge un'antica torre colombaia, mentre al centro si vede uno stemma marmoreo della famiglia Aldobrandini. A sinistra si trovano alcuni edifici colonici, più bassi; a destra invece si sviluppa una piccola ma adorna facciata orientale, con portale centrale rialzato da gradinata, la cui importanza era dovuta al fatto che fosse l'accesso principale per il piano nobile. Il prospetto posteriore, che guarda alla collina, non venne interessato dai lavori settecenteschi, e presenta un impianto più semplice e irregolare. Al Settecento risale anche il giardino all'italiana, che si trova delimitato da un alto muro sul lato orientale. Diviso in quattro aiuole quadrangolari e adorno di vasi di limoni nel periodo estivo, è abbellito da due fontane con statue alle estremità dell'asse nord-sud, e da un pregevole ninfeo, nell'angolo nord-est, con decorazioni a spugna, mosaici e una statua di Ganimede. Alla villa pertineva anche un oratorio pubblico, per i lavoratori dei campi, che si trova dall'altro lato della moderna strada (all'interno, sotto una volta ughiata, è ricordata una tela di Dio Padre e angeli attorno a una nicchia che conteneva un'antica statua della Madonna col Bambino). La famiglia pregava invece in una cappella privata al piano nobile della villa, situata subito a destra dell'ingresso principale. Cerretelli Claudio, Prato e la sua provincia, Firenze, Giunti, 1996. ISBN 88-09-03425-2 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Villa Rospigliosi

Chiesa di Santa Cristina a Pimonte
Chiesa di Santa Cristina a Pimonte

La chiesa di Santa Cristina a Pimonte si trova su una propaggine collinare di Prato lungo la via omonima ed è dedicata a Santa Cristina di Bolsena, mentre "Pimonte" indica la locazione dell'edificio ai piedi della Calvana da cui Piemonte poi contratto in Pimonte. La chiesa fu edificata agli inizi del Duecento o del Trecento presso un'antica torre di avvistamento (l'attuale sacrestia). Tale torre a base quadrata, prospiciente la via Cassia edificata presumibilmente tra i secoli XI e XII, doveva già essere diroccata quando fu edificata la chiesa, ma comunque servì da appoggio per parte della nuova costruzione. La chiesa presenta un pavimento in pietra alberese, con bella abside semicircolare su cui poggia un piccolo campanile a vela con due archetti. All'interno, in controfacciata e sulla parete destra restano affreschi della seconda metà del Trecento, raffiguranti una Pietà, una Madonna con bambino e San Niccolò, mentre nel presbiterio è un pregevole ciborio (1452) della bottega di Bernardo Rossellino. Il ciborio recherebbe lo stemma degli Inghirami secondo alcuni o dei Buonamici secondo altri, alla sua base la scritta Benedetto del M.o Bartolommeo 1452 e sulla porticina dello stesso un intarsio in legno raffigurante un calice con l'ostia. Al centro della navata si trova la tomba di Ginevra degli Albizi, altre sepolture sono presenti nella zona dell'altare e sul piazzale della chiesa. Dal giardino antistante alla chiesa si può ammirare una meridiana dipinta a parete con stilo polare, linee orarie e indicazione degli equinozi sulla linea meridiana, realizzata dal priore Andrea Tofani che ne realizzò molte altre nella zona di Prato tanto che divenne celebre per il gran numero di orioli. Santa Cristina a Pimonte subì dei primi lavori nel 1943, pare che durante tale intervento furono demoliti e ricostruiti il presbiterio e l'altare maggiore, in seguito la chiesetta, parzialmente in rovina, subì un'opera di restauro tra il 1974 e il 1977 a cura del parroco Tommaso Carlesi al fine di riportarla nello stato originario rimuovendo anche alcune aggiunte degli anni quaranta tra le quali una transenna che divideva il presbiterio dalla platea. Athos Mazzoni, Carlo Paoletti, Sentieri dell'appennino pratese - Guida breve, Club Alpino Italiano - Sezione Emilio Bertini, Prato, 1985, Renzo Fantappiè, Il bel Prato, Edizioni del Palazzo, Prato 1984, pp. 399–401 Padre Tommaso Pierfrancesco Carlesi, Storia fantastica quasi vera di Santa Crisina a Pimonte - Scritta, trascritta e illustrata dal suo priore, Prato 1978. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Cristina Fonte: scheda nei "Luoghi della Fede", Regione Toscana, su web.rete.toscana.it. Diocesi di Prato: S. Cristina a Pimonte, su diocesiprato.it (archiviato dall'url originale il 30 marzo 2009).