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Fontana della Spinacorona

Fontane di Napoli
Spina corona
Spina corona

La fontana della Spinacorona (detta "delle zizze") è una delle fontane di Napoli. Addossata alla chiesa di Santa Caterina della Spina Corona, si erge nel centro antico, in Via Giuseppina Guacci Nobile (vicino a Piazza Nicola Amore). Le sue origini sono incerte. La sua presenza è attestata per la prima volta in un documento del 1498 relativo alla distribuzione idrica in città: la Platea delle acque. Fu restaurata e modificata per volere del viceré don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga su disegno di Giovanni da Nola nella prima metà del XVI secolo, come attestato dalla presenza dello stemma di Carlo V. L'opera scultorea costituisce una testimonianza del passaggio dai gusti medievali alle prime forme e decorazioni barocche. Il soggetto principale è la sirena (icona mitologica di Napoli) che è in procinto di spegnere le fiamme del vulcano Vesuvio (non più integro) con l'acqua che le sgorga dai seni (il tutto è spiegato in una lapide di marmo con l'incisione Dum Vesevi Syrena Incendia Mulcet): la rappresentazione sta ad indicare che la bellezza di Napoli impedisca al Vesuvio di sommergerla nelle sue fiamme. L'originale statuetta della sirena dagli anni venti del XX secolo è custodita presso il Museo nazionale di San Martino, mentre come sua sostituta vi è una sua identica copia, riprodotta e scolpita da Achille D'Orsi. La ricca vasca rettangolare in marmo bianco è abbellita da altorilievi, ghirlande ed ulteriori stemmi del viceré. È coronata dalla raffigurazione del Vesuvio e dalla sirena Partenope.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Fontana della Spinacorona (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Fontana della Spinacorona
Via Santa Caterina Spina Corona, Napoli Porto

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Spina corona
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Luoghi vicini

Palazzo Bonifacio a Portanova
Palazzo Bonifacio a Portanova

Il palazzo Bonifacio è un palazzo monumentale di Napoli ubicato in via Portanova. Venne costruito nel primo ventennio del XV secolo, in un luogo poco distante dal Seggio di Portanova, per volontà di Roberto Bonifacio, il quale, così come i suoi antenati e successori, ricoprì numerosi incarichi di prestigio su mandato reale; infatti, durante la proprietà di Dragonetto Bonifacio, è doveroso ricordare che il palazzo ebbe una notevole fama per aver ospitato l'ambasciatore di Firenze presso la corte degli Aragonesi e per essere stato teatro delle nozze, volute dal re, di Antonio Moccia con la figlia di Paolo Poderico. Con il figlio di Dragonetto, Roberto II Bonifacio, l'edificio ospitò altri due ambasciatori, quello di Turchia e quello di Venezia. Il XVI secolo fu un periodo "nero" per il palazzo e per la casata: infatti Roberto II ebbe una discussione con l'eletto di un altro seggio e questo gli costò la prigionia, mentre nel 1510 venne accusato di soprusi e a furor di popolo venne rimosso dal suo incarico dal viceré Raimondo de Cardona. Il palazzo passò quindi a Gian Bernardino Bonifacio, che lo tenne per poco perché aderì al luteranesimo. Dopo i Bonifacio fu proprietà di Alvaro de Santi che lo fittò a Cesare Mormile; il de Santi vendette il palazzo alla sorella di Gian Bernardino, Costanza Bonifacio, che lo riottenne. Tra il XVIII secolo e il XIX secolo venne adattato a carceri e quindi subì notevoli modifiche strutturali; infine venne adattato come luogo per manganare i tessuti e le ulteriori trasformazioni della fabbrica causarono la perdita della struttura originaria ad eccezione del portale d'accesso. Il portale presenta un arco depresso in stile catalano iscritto in un riquadro. Negli angoli del portale ci sono dei riquadri con stemma della famiglia Bonifacio, con una banda a scacchi che divide il campo attraversato dai due leoni, l'uno sormontato da una testa femminile e l'altro da una testa leonina.