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Museo dei Cappuccini (Milano)

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Milan Museo Cappuccini 20200218175659
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Il Museo dei Beni Culturali Cappuccini, denominato pure Museo dei Cappuccini di Milano, raccoglie la documentazione della storia dei Frati Minori Cappuccini in Lombardia, presenti in loco dal 1535. Il Museo dei Cappuccini di Milano è stato fondato nel 2001 e ha sede nel Palazzo Kramer, confinante al convento del Sacro Cuore di Gesù di viale Piave.. Il primo nucleo di opere era già pervenuto all’Archivio Provinciale dei frati minori Cappuccini di Lombardia per diverse ragioni quali la necessità di una conservazione più adeguata, la sicurezza e la chiusura di conventi. Oltre al compito della corretta conservazione il Museo ha offerto l’occasione di presentare al pubblico la realtà dell’Ordine religioso presente in Lombardia dal 1535. Ora, attraverso l’arte, i frati Cappuccini che lungo la storia hanno saputo farsi apprezzare dalla popolazione per il loro quotidiano servizio tra la gente, continuano a farsi vicini e offrendo a tutti la possibilità di uno sguardo sulla Bellezza. La tradizionale collezione di arte sacra del Museo (XV-XIX secolo) è stata arricchita nel 2019 dalla Collezione Rusconi, una raccolta di opere d’arte moderna del primo Novecento italiano. In questa collezione figurano opere di Umberto Boccioni, Mario Sironi, Filippo De Pisis e i Chiaristi lombardi. Il Museo dei Cappuccini di Milano è nato per la necessità di conservare, tutelare e valorizzare il vasto patrimonio di beni culturali dell’Ordine dei frati minori Cappuccini della Provincia lombarda. Il Museo presenta il pensiero e l'attività dei Cappuccini, l’ambito culturale e religioso nel quale hanno operato, inserito in ampi percorsi della tradizione e della storia di Milano. L'offerta della collezione permanente, infatti, affiancata da esposizioni temporanee, persegue lo scopo di conservare, studiare e diffondere storia, arte e cultura, con lo spirito che da sempre pervade l’attività dei frati minori Cappuccini di Lombardia. È in questa linea che, nel tempo, importanti lasciti e donazioni hanno arricchito il patrimonio museale ed è proprio per questo che le opere d'arte del patrimonio dell’Ordine dei frati minori Cappuccini, vengono "restituite", attraverso il Museo affinché tutti ne possano godere. Per questa ragione l'ingresso è, e sempre sarà, gratuito, rimettendosi ancora una volta alla generosità di ciascuno per il sostegno dell'attività del Museo. Una sezione evidenzia i rapporti dei cappuccini con Alessandro Manzoni e i Promessi Sposi, e porta come testimonianza l'assistenza al Lazzaretto. Vi si trova la Madonna col Bambino detta del Lazzaretto, opera di Antonio Rossellino che proviene dal Lazzaretto di Porta Orientale, ora Porta Venezia, un quadro di Pasquale Canna proveniente dalla Chiesa dell'Immacolata e un ritratto fotografico dello stesso Manzoni. Questa sezione mostra la vita dei frati cappuccini e anche di altri membri della famiglia francescana nei conventi, fondata sulla preghiera, in autonomia e in comunità, e sul tempo libero passato a chiedere l'elemosina e ad aiutare poveri e infermi. Qui si trova un quadro di un frate cappuccino con una scatola del tabacco in mano, olio su tela degli anni '70 del 1800 di Teofilo Patini, e una cesta per la questua, intrecciata dalle suore cappuccine nel diciannovesimo secolo. Questa sezione è incentrata sulla figura di Francesco d'Assisi che, come fondatore e guida dei francescani, è rappresentato in numerose opere di loro proprietà Si trova una Natività di Vincenzo Civerchio, un'Immacolata Concezione con Francesco di Camillo Procaccini e varie altre opere a lui dedicate, spesso anonime o con attribuzione non chiara- In questa sezione si trova oggetti adoperati comunemente dai frati per la loro vita conventuale: si trova un quadro di Crispino da Viterbo del diciannovesimo secolo e un autoritratto di Camillo Kaiser nel suo studio. Questa sezione mostra la fede cristiana vista dalle tecniche artistiche francescane. Si trova un'adorazione dei Magi del Civerchio, una croce proveniente dallo studio di Carlo Borromeo, oltre alla sua maschera funeraria, un quadro di Santa Chiara che ha una visione di Francesco, una Via Crucis illustrata e una Madonna col Bambino. Nella sezione delle donazioni, denominata "l'arte di donare l'arte", sono in mostra le opere donate ai conventi cappuccini della Lombardia in cinquecento anni, in principio per ragione devozionale ma, col passare del tempo, anche a fini di custodia. Si trovano quadri di Ugo Gheduzzi, Umberto Boccioni, Pio Sanquirico, Filippo Palizzi, Paolo De Majo e Leonardo Bazzaro e, in una stanzetta autonoma, un Ecce Homo moderno di Jacques-Alain Lachant. I tesori della pinacoteca, dell'archivio, della biblioteca e della vasta collezione di reperti provenienti da vari conventi qui esposti sono accessibili al pubblico per la prima volta in assoluto. La collezione comprende anche quadri antichi (XVI-XVII secolo), codici, manoscritti e altri oggetti di valore. Alcune delle imperdibili opere della collezione che danno rilievo al museo sono: Ortensio Crespi, San Francesco d’Assisi in estasi, inizio secolo XVII. Bottega di Antonio Rossellino, Madonna delle candelabre (o Madonna del lazzaretto), ultimo quarto secolo XV - primo quarto secolo XVI. Ritratto fotografico con ciocca di capelli e autografo di Alessandro Manzoni, secolo XIX. Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, Il Velo della Veronica, metà secolo XVII. Jacopo Negretti detto Palma il Giovane, Angelo Annunciante e Madonna Annunciata, sec. XVI-XVII. Camillo Procaccini, Immacolata Concezione con san Francesco (Lilium inter spinas), ante 1599. Giuseppe Nuvolone, Santa Chiara d’Assisi con ostensorio e apparizione di Francesco d’Assisi, secolo XVII-XVIII. Ugo Gheduzzi, L'aratura, 1920 ca. Angelo Morbelli, Giardino alla Colma, 1911. Umberto Boccioni, Donna in poltrona, 1909 (Collezione Rusconi). Mario Sironi, Periferia, 1921-1923 (Collezione Rusconi). Filippo De Pisis, Palazzo Ducale, 1947 (Collezione Rusconi). Direttore: Rosa Giorgi Erminia Giacomini Miari, Paola Mariani, Musei religiosi in Italia, Touring, Milano, 2005, p. 139, ISBN 9788836536535. Touring Club Italiano (a cura di), Milano, collana "Guide Rosse", Touring, Milano, 2005, p. 590, ISBN 9770390107016. beni culturali - Museo dei Cappuccini Musei on line milanoguida themaprogetto Instagram @museodeicappuccinimilano Sito ufficiale, su museodeicappuccini.it. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Museo dei Cappuccini

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Museo dei Cappuccini (Milano)

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Monumento a san Francesco d'Assisi
Monumento a san Francesco d'Assisi

Il monumento a San Francesco d'Assisi si trova in Piazza Risorgimento a Milano. Il monumento venne inaugurato nel 1926 dall'allora cardinale di Milano, Eugenio Tosi, in occasione del VII centenario della morte di san Francesco. La statua, alta più di cinque metri e deposta su una elevata colonna, è opera del noto scultore ed incisore Domenico Trentacoste, che la realizzò a titolo gratuito. La statua del santo di Assisi è stata fusa con 150 quintali di bronzo e lo raffigura in atteggiamento benedicente del popolo, con le braccia protese in avanti. La colonna su cui poggia la statua, che consente di rendere visibile il monumento anche a lunga distanza, venne progettata dagli architetti Portaluppi e Gadda e riporta due altorilievi che rappresentano rispettivamente "San Francesco che riporta la pace tra famiglie e lavoratori" e "San Francesco riceve le stimmate". Il finanziamento per l'acquisto dei materiali per l'opera avvenne tramite una raccolta di elemosine condotta casa per casa, organizzata da fra Cecilio Maria Cortinovis, un frate cappuccino del convento di Porta Monforte che venne scelto dall'artista come modello per la statua, dopo che Benito Mussolini rifiutò di finanziarne l'esecuzione . La statua venne ufficialmente inaugurata con una solenne benedizione nel 1926 dall'allora arcivescovo di Milano, il cardinale Eugenio Tosi. Sebastiano Citroni, Sogni e bisogni a Milano, Ledizioni Ledipubblishing, 2010 Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su monumento a san Francesco d'Assisi

Porta Monforte
Porta Monforte

Porta Monforte è stata una delle cinque porte più recenti di Milano, ricavata lungo i bastioni spagnoli, oggi demoliti, per consentire una più diretta comunicazione fra la città e il nuovo asse stradale costituito dagli attuali Corso Concordia e Corso Indipendenza. Posta a est della città, si costituiva di due caselli daziari (1889), demoliti nel 1919. Sorgeva al centro dell'attuale Piazza del Tricolore, allo sbocco di Corso Monforte. Sorta lungo lo stesso asse della Pusterla di Monforte medievale, fu l'ultima fra le porte di Milano ad essere realizzata, in ottemperanza al Piano Beruto del 1889, che prevedeva un nuovo asse radiale di sviluppo cittadino che prendesse sostanzialmente forma uscendo dal perimetro dei vecchi bastioni spagnoli, proseguendo lungo Corso Concordia e Corso Indipendenza. Fu completata il 24 ottobre 1888. La porta era in origine caratterizzata dalla presenza di due caselli daziari, posti nell'attuale Piazza del Tricolore, uniti da un'elegante cancellata in ferro, interrotta da quattro pilastri anch'essi in ferro, che terminavano con un lampione a gas. Se ne ordinò la demolizione nel 1919, in quanto ritenuti "di ingombro tecnico e prospettico, tanto più grave in quanto, con l'abolizione della cinta daziaria, costituivano né un monumento architettonico apprezzabile, né una memoria storica interessante". Porta Monforte, a cui non fanno capo direttrici extraurbane, è rimasta da sempre uno snodo di importanza decisamente minore. Il piazzale, ornato da giardini, porta oggi il nome di Piazza del Tricolore. Il nome della porta (ereditato dal corso che qui vi sbuca da Piazza San Babila, sarebbe da ricondursi a un fatto storico risalente all'XI secolo. Nel 1028 il vescovo di Milano Ariberto da Intimiano era impegnato nella visita della diocesi suffraganea di Torino: interrogando il capo di un gruppo religioso sospettato di eresia, venne a sapere che gli abitanti di Monforte d'Alba (oggi in Provincia di Cuneo) interpretavano in modo allegorico il dogma trinitario, negavano la necessità dei sacramenti e quindi del clero, molto probabilmente avendo abbracciato la dottrina dei catari. In quello stesso anno pertanto, forze militari alle dipendenze di Ariberto da Intimiano assediarono ed espugnarono il castello di Monforte: la sua popolazione venne deportata a Milano ed invitata ad abiurare la propria fede. Coloro che rifiutarono - la maggior parte - vennero arsi sul rogo. La zona di Milano in cui sarebbero stati imprigionati gli eretici prese dunque il nome dal loro paese di provenienza, dando il nome al futuro Corso Monforte, che a sua volta l'avrebbe passato alla relativa porta. Emidio De Albentiis, La breve vita della porta Monforte a Milano , in Arte Lombarda, n. 120, 1997, pp. 82-90. Giuseppe De Finetti, Milano. Costruzione di una città (a cura di Giovanni Cislaghi, Mara De Benedetti, Piergiorgio Marabelli), Hoepli, Milano 2002. ISBN 88-203-3092-X Bruno Pellegrino, Così era Milano Porta Vercellina Porta Ticinese Porta Romana Porta Orientale Porta Nuova Porta Comasina, "Edizioni Meneghine", 2011. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Porta Monforte

Istituto dei Ciechi di Milano
Istituto dei Ciechi di Milano

L'Istituto dei Ciechi di Milano è un edificio storico di Milano situato in via Vivaio al civico 7. L'edificio fu costruito a partire dal 1892 su un terreno occupato perlopiù da giardini per fornire lo spazio necessario all'Istituto dei ciechi di Milano, fondato da Michele Barozzi. Il complesso, realizzato da Giuseppe Pirovano, ricorda per stile le ville suburbane neoclassiche del milanese, con un avancorpo scandito da tre ordini di lesene nella disposizione classica: dorico, ionico e corinzio, con il piano terreno decorato a bugnato liscio e il piano nobile con finestre a serliana. La facciata è sormontata da un grande timpano a fondo liscio. Notevoli sono l'atrio arricchito con busti e ritratti dei benefattori dell'ente e il salone dei concerti (Sala Barozzi) decorato da affreschi di elementi floreali e medaglioni con ritratti di famosi musicisti, nonché dotato di uno splendido organo Vegezzi-Bossi. Attilia Lanza, Marilea Somarè, Milano e i suoi palazzi - Porta Orientale, Romana e Ticinese, Milano, Libreria Meravigli editrice, 1992. Livia Negri, I palazzi di Milano: dall'edilizia rinascimentale fino alle creazioni dell'architetura del Novecento, arte, storia, aneddoti e curiosità dei grandi edifici della metropoli lombarda, Newton & Compton, 1998, ISBN 978-88-8289-013-1. Rossana Apicella, Milano com'è: la cultura nelle sue strutture dal 1945 a oggi : inchiesta, Feltrinelli, 1962. URL consultato il 20 febbraio 2023. Ville e palazzi di Milano Wikibooks contiene testi o manuali sulle disposizioni foniche degli organi a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Istituto dei Ciechi di Milano

Bagno di Diana
Bagno di Diana

Il Bagno di Diana era uno stabilimento pubblico per la balneoterapia sorto a Milano presso la allora Porta Orientale, oggi Porta Venezia, nel 1842 su progetto dall'architetto Andrea Pizzala (1798-1862). Il complesso venne demolito nel 1906 per fare posto al Kursaal Diana (gennaio 1907-ottobre 1908). Il Bagno di Diana venne ideato ed eretto da una società di azionisti condotta dal signor Giuseppe Nervo e inaugurato il 9 luglio 1842 come "stabilimento per la scuola di nuoto" ad opera dell'architetto Andrea Pizzala, già progettista della rinomata Galleria de Cristoforis (1832) e successivamente del Grand Hotel et de Milan (1850-1864). Lo stabilimento fu la prima scuola di nuoto regolarmente aperta a Milano e sorse fra le ortaglie che ancora dominavano l'area circostante Porta Orientale; il Bagno resistette alle vaste trasformazioni urbane che interessarono la zona nel corso dell'Ottocento, venendo demolito soltanto per far posto al Kursaal Diana, elegante impianto di lusso in stile tardo-liberty, realizzato nel 1908 su progetto dell'architetto Achille Manfredini. Nel 1900 ospitò il primo Campionato italiano di tuffi, pochi anni dopo la nascita in Germania della disciplina sportiva moderna. Il campionato fu organizzato dalla Nettuno Milano, fondata da Ferdinando Bezzi nell'aprile 1898, società sportiva pioniera nei tuffi, nel nuoto femminile, e nella pallanuoto. Il complesso era particolarmente sviluppato e si estendeva sull'isolato compreso fra le attuali viale Piave, via Nino Bixio, Giuseppe Sirtori e Paolo Mascagni; era fornito di vasca lunga 100 metri e larga 25 che si sviluppava parallelamente ai bastioni, lungo l'allora viale Monforte, oggi viale Piave; a uso dei frequentatori erano disponibili ottantaquattro "camerini da bagno", un ampio spazio per divertimenti, spazi per gli esercizi ginnici, sale da bigliardo e da scherma, un ristorante, un caffè e un elegante giardino ornato di pioppi, ippocastani e salici piangenti. Era disponibile anche un tiro al bersaglio o tirassegno composto di 3 corsie per la pistola e 2 per la carabina. Durante l'inverno la grande vasca era utilizzata per il pattinaggio su ghiaccio. L'acqua che alimentava la piscina del Bagno di Diana era originariamente quella della Gerenzana, roggia privata che prende l'acqua della Martesana prima della confluenza con il Seveso in corrispondenza della via Melchiorre Gioia e la porta fino a Melegnano. La roggia Gerenzana si sviluppa al di sotto della attuale via Tonale, proseguendo all'incirca fino in piazza Lima, da dove si immette sotto via Spallanzani e sotto via Sirtori. Oltre ad alimentare il Bagno di Diana, le sue acque erano storicamente utilizzate anche per riempire gli abbeveratoi dei cavalli della vicina rimessa Sirtori. (Per approfondimenti vedere voce Idrografia di Milano). Con l'andare del tempo, però, gli scarichi a monte di acque poco pulite nel corso della Gerenzana avevano reso quell’acqua inadatta all'alimentazione della vasca da nuoto. In via di esperimento si era tentato per due anni di sostituire alle acque della Gerenzana le acque di sottosuolo, pompate con un apposito impianto a motore elettrico, ma quel sistema non aveva dato prove soddisfacenti dal punto di vista della temperatura troppo bassa dell’acqua, nonostante evidentemente la limpidezza e la purezza ne avevano tratto grandi benefici. La sera del 30 maggio 1843 il salone delle feste del Bagno di Diana fu teatro di un grande banchetto che chiuse la cerimonia della posa della pietra auspicale della erigenda Stazione di Milano Porta Tosa; in funzione dal 1846, la stazione permise di collegare Milano con Treviglio come parte della Ferrovia Ferdinandea che dal 1857, sotto il Regno Lombardo-Veneto, unirà Milano con Venezia. Al banchetto sedevano settanta azionisti delle nuova strada ferrata e i massimi promotori del progetto ferroviario. Nel periodo successivo alle Cinque giornate di Milano il Bagno di Diana e il Lazzaretto, che sorgeva poco distante, erano gli unici luoghi dove fosse permesso il tiro al bersaglio, come stabilito dal decreto dell'11 aprile 1848 del Governo Provvisorio Centrale di Lombardia. Il Bagno di Diana fu filmato nel 1896 da Giuseppe Filippi per conto dei fratelli Lumière; il breve filmato che li riguarda è il numero 277 del Catalogo Lumière. Nel 1898 lo scrittore verista Paolo Valera (1850-1926) polemicamente annotava che l'acqua della vasca del Bagno di Diana veniva ricambiata solo una volta alla settimana e scriveva in Milano sconosciuta e Milano moderna: «Quando vi andiamo coll’illusione di rinfrescarci, ci vediamo come circondati dagli occhi del grassume dimenticato dai nuotatori che ci hanno preceduti. Ci pare di essere in un’acqua morta, in un’acqua carica, in un’acqua plumbea, in un’acqua che ci dà, fendendola, le bollicine del liquido untuoso.» Attualità interessanti: Bagno di Diana, in Bazar di novita artistiche, letterarie e teatrali, Anno II, n. 59, Milano, Ronchetti e Ferreri, 23 luglio 1842, pp. 233-234. Gino Cervi, Sergio Giuntini, Milano nello sport, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 2014, ISBN 978-88-203-6316-1, OCLC 904250411. Società milanese di nuoto Nettuno Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Bagno di Diana

Stazione di Milano Porta Tosa
Stazione di Milano Porta Tosa

La stazione di Milano Porta Tosa era una stazione ferroviaria di Milano attiva fra il 1846 ed il 1864 come scalo di testa della ferrovia per Treviglio. Fu la seconda in ordine di apertura nella città ambrosiana dopo quella di Porta Nuova entrata in servizio nel 1840 sulla ferrovia Milano-Monza. Secondo la pubblicazione Ricordi di Rotaie (1997) la chiusura definitiva di Porta Tosa avvenne nel 1873, quando fu soppresso il servizio merci. La stazione sorgeva lungo il viale di circonvallazione (oggi viale Premuda), fra la Porta Tosa (oggi Vittoria) e la Porta Orientale (oggi Venezia) in un punto fra le attuali via Marcona e Archimede, in modo che i passeggeri potessero entrare nel centro della città attraverso i bastioni di circonvallazione. La cerimonia della posa della pietra auspicale si tenne il 30 maggio 1843, giorno di San Ferdinando, onomastico dell'imperatore Ferdinando II, da cui la linea per Venezia prese il nome. Alla cerimonia erano presenti fra gli altri il viceré arciduca Ranieri Giuseppe d'Asburgo-Lorena, l'arcivescovo di Milano cardinale Carlo Gaetano II di Gaisruck, il governatore di Milano conte Giovanni Battista Spaur, il conte Vitaliano Borromeo. Per l'occasione venne coniata una medaglia commemorativa incisa da Luigi Cossa e reputata immensamente rara dal Bollettino di numismatica e di arte della medaglia del Circolo Numimatico milanese nel 1906. La stazione, ospitata in un edificio provvisorio, venne inaugurata il 15 febbraio 1846 alla presenza dell'Arciduca Viceré come capolinea della ferrovia per Treviglio, primo tronco lombardo della linea Ferdinandea per Venezia. Entrò in servizio due giorni dopo, martedì 17 febbraio. A causa dei problemi economici della Imperial Regia Privilegiata Ferrovia Lombardo-Veneta Ferdinandea che stava costruendo la linea, la stazione non era quella prevista dal progetto dell'ingegner Giovanni Milani ma un edificio provvisorio come inizialmente lo furono tutte le stazioni della Ferdinandea. Nel numero del periodico Cosmorama pittorico del 21 marzo 1846, in cui viene fatta la cronaca del giorno dell'inaugurazione della linea ferroviaria, la stazione non viene neppure descritta (nonostante quel giornale fosse abitualmente generoso in descrizioni particolareggiate e immagini a corredo delle notizie): l'unico cenno al fabbricato della stazione riferisce di una «provvisoria Stazione addobbata all'infretta di vago padiglione»; «in faccia al padiglione», fortunatamente, "i viaggiatori nella nuova stazione di Porta Tosa disponevano di maggiori comodità grazie alla presenza del “Caffè Gnocchi”, che svolgeva funzioni di biglietteria, sala d'attesa, toilettes". Contrariamente alle stazioni delle altre città, però, lo stato di provvisorietà rimase tale fino alla dismissione della stazione e al suo successivo smantellamento. La mancata costruzione del Fabbricato Viaggiatori secondo il progetto di Milani fu dovuta alle vicissitudini finanziarie della Società Ferroviaria che aveva dato inizio alla "Ferdinandea". Dopo che l'intera società aveva conosciuto una forma di statalizzazione (9 giugno 1852), era stata nuovamente privatizzata e ceduta - con altre linee costruite ed in via di costruzione - alla Imperial Regia Privilegiata Società delle ferrovie Lombardo-Venete con la "Convenzione concernente l'assunzione, la costruzione e l'esercizio delle ferrovie nel regno Lombardo-Veneto", firmata in Vienna il 14 marzo 1856. Con questa Convenzione la Società delle Ferrovie Lombardo-Venete acquistava due stazioni (Porta Nuova e, appunto, Porta Tosa) non collegate fra loro essendo nate come terminali di due diverse società. La società nuova proprietaria decise di costruire una Stazione Centrale, come previsto già nel testo della Concessione. Le stazioni esistenti divenute ridondanti sarebbero quindi state vendute. Nel frattempo vennero provvisoriamente unite da un Raccordo che correva lungo i viali di Circonvallazione. Questo Raccordo, di cui la società ferroviaria aveva necessità ma la cui costruzione fu affrettata, se non proprio decisa, per trasportare le truppe alleate francesi e "sarde" verso oriente, fu costruito, sotto la direzione dell'ing. G.B. Bossi, uno dei principali aiutanti dell'ingegner Milani fin dagli inizi della progettazione della "Ferdinandea", nel frattempo diventato Ingegnere in Capo, mentre si attendeva di passare al progetto esecutivo per Milano Centrale ed entrò in funzione domenica 26 giugno 1859. Nel 1861 la stazione di Porta Tosa divenne capolinea anche della linea per Piacenza e nel 1862, con l'innesto della linea per Pavia nella Milano-Piacenza a Rogoredo, anche quei treni fecero capo a Porta Tosa. Nel 1864, con l'apertura della stazione centrale prevista come da Convenzione, l'intero nodo ferroviario cittadino fu dunque riconfigurato, chiudendo anche Porta Tosa. Secondo Ricordi di Rotaie la stazione rimase tuttavia in servizio per il traffico merci fino al 1º gennaio 1873, quindi fu dismessa e demolita nel tempo. Prima della dismissione definitiva, però, già nelle edizioni del 1870 e del 1871 del periodico Guida di Milano, i locali della vecchia stazione di Porta Vittoria e della soppressa stazione di Porta Vittoria vengono segnalati come occupati da una fabbrica di vetri e cristalli e da una fabbrica di tela da vele almeno fino al 1879. Nel luglio 1883 tutta l'area di 100 000 m² della dismessa stazione ("una sterile area abbandonata dal governo, nel luogo dove sorgeva la stazione ferroviaria di Porta Tosa") venne venduta con l'approvazione dei due rami del Parlamento per la somma di L. 270 120 alla Società edificatrice di abitazioni operaie che, costituitasi nel 1879, fra gli anni 1884 e il 1892 costruisce, senza tuttavia terminarlo, il quartiere operaio oggi noto come villaggio operaio di via Lincoln, in origine quartiere operaio di Porta Vittoria. A oggi rimane traccia della linea ferroviaria e della stazione nell'andamento delle vie Archimede e Marcona e Sottocorno, ruotato rispetto alla maglia stradale del quartiere. Il 22 marzo 1848, nell'ultima delle Cinque giornate di Milano, la stazione e il Caffè Gnocchi vengono incendiati dagli austriaci in fuga Il 1º febbraio 1857 giunge alla stazione di Porta Tosa il re Massimiliano di Baviera, accolto dall'Imperatore Il 19 aprile 1857 sbarca alla stazione l'arciduca Massimiliano che, percorrendo il bastione e il corso di Porta Orientale, si reca in veste pubblica al palazzo di Corte Il 14 gennaio 1858 dalla stazione di Porta Tosa la salma del Feldmaresciallo Radetzky, a lungo governatore del Lombardo-Veneto, parte alla volta di Venezia, Trieste e infine Vienna dove il vecchio militare venne sepolto. Giovanna D'Amia, Il collegamento ferroviario tra Milano e Como nell'età della restaurazione e le prime stazioni milanesi, in Enzo Godoli, Mauro Cozzi (a cura di), Architettura ferroviaria in Italia. Ottocento. Dario Flaccovio editore, 2004, pp. 83–102. ISBN 88-7758-599-4. Comandini, Alfredo, L'Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata, III, Milano, Antonio Vallardi, 1907-1918. Silvio Gallio, Milano Porta Tosa. Alla ricerca di una stazione scomparsa, Modena, Artestampa, 2020, ISBN 978-88-6462-733-5. Wikisource contiene il testo completo del Progetto di una Stazione Centrale in Milano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stazione di Milano Porta Tosa di G.B. Bossi Wikisource contiene il testo completo di Apertura del tronco della strada ferrata Ferdinandea da Milano a Treviglio Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su stazione di Milano Porta Tosa di Faustino Sanseverino Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla stazione di Milano Porta Tosa Binari a Milano: gli esordi, su miol.it. Immagine della stazione come avrebbe dovuto apparire. Litografia di G. Elena conservata presso la "Raccolta delle Stampe "Achille Bertarelli"" di Milano (JPG), su vecchiamilano.files.wordpress.com.

Fontana a Pinocchio
Fontana a Pinocchio

La fontana a Pinocchio è una fontana ornamentale, situata a Milano nei giardini di corso Indipendenza, con una statua del burattino di Attilio Fagioli (1877-1966). L'opera, dono della "Famiglia Artistica" alla città di Milano, si trova nel campo giochi dei giardinetti spartitraffico. La statua, in bronzo, fu realizzata nel 1955 e venne inaugurata il 19 maggio 1956. I giornali locali diedero molto risalto all'opera che con orgoglio campanilistico fu pubblicizzata come il Pinocchio della Madonnina sottolineando come il personaggio rappresentato da Fagioli fosse ben diverso e maggiormente realistico di quello realizzato dallo scultore Emilio Greco per il paese di Collodi. L'opera, fusa presso la fonderia artistica Battaglia, ritrae Pinocchio diventato bambino che osserva il corpo inanimato del burattino che era. Ai lati del basamento sono raffigurati il Gatto e la Volpe. Al centro, nel pilastro che sorregge Pinocchio, è inscritta una frase del poeta Antonio Negri che ha ispirato l'opera dello scultore: Il gruppo scultoreo subì nel tempo vari danneggiamenti e lo stesso Fagioli, molto affezionato a questo che fu uno degli ultimi lavori, si adoperò più volte al suo restauro. Il successivo e protratto stato di incuria in cui versava la scultura è stato oggetto di una interrogazione parlamentare da parte di Delmastro Delle Vedove al Ministro per i beni e le attività culturali nel settembre 2004. L'opera infatti si presentava visibilmente danneggiata dagli atti vandalici: il Gatto era stato rubato e rimanevano solamente le impronte delle zampe; il naso di Pinocchio era stato spaccato. Inoltre la fontana era da tempo inattiva. Alcune persone negli ultimi anni si erano mobilitate per riportare la fontana nelle sue condizioni originarie, tra cui Sandra Tofanari, nipote dell'autore della statua, che si è offerta di eseguire personalmente il restauro. La scultura, riportata alle condizioni originarie, è stata nuovamente inaugurata dopo il restauro il 18 dicembre 2013. La fontana a Pinocchio, su chieracostui.com. URL consultato il 13 agosto 2014.

Palazzo Civita
Palazzo Civita

Il Palazzo Civita è un edificio residenziale multipiano di Milano situato in piazza Eleonora Duse al civico 2, adibito ad appartamenti signorili. Sorge in una delle zone più prestigiose del centro cittadino, a poca distanza da corso Venezia, nei pressi dei Giardini pubblici Indro Montanelli. Il palazzo venne eretto dal 1933 al 1934 nell'ambito di un piano di lottizzazione dell'area ad est di corso Venezia, articolato intorno alla nuova piazza Duse. Il nome deriva dalla famiglia che lo fece costruire: il terreno era di proprietà dell'imprenditore Carlo Civita, padre di Cesare e Vittorio Civita (noti editori in Sud America, il primo attivo principalmente in Argentina, il secondo in Brasile). Il progetto dell'edificio fu elaborato da Luigi Gigiotti Zanini, di formazione pittore, membro del gruppo artistico del "Novecento", e cognato dei Civita. L'edificio si sviluppa su 8 piani fuori terra e presenta rivestimenti in ceppo, travertino e pietra del Caradosso e prospetta sulla piazza Duse, con due ali minori lungo le vie laterali, che contornano un cortile interno. Il disegno della facciata è studiato secondo schemi lineari, che individuano aree geometriche differenziate cromaticamente e in parte plasticamente; tale stile compositivo deriva dalla formazione pittorica di Zanini, e conduce ad un risultato che alcuni critici hanno paragonato alla casa sul Michaelerplatz di Vienna, progettata da Adolf Loos. La decorazione si basa su elementi classici disposti con sobrietà e misura, coerentemente con lo stile novecentista proprio dell'autore. Annegret Burg, Novecento milanese, Milano, Federico Motta Editore, 1991, pp. 164-165, ISBN 88-7179-025-1. Cesare Civita, La mia vita, Milano, Mondadori, 1987, pp. 94-98, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\LO1\1737677. Maurizio Grandi e Attilio Pracchi, Milano. Guida all'architettura moderna, Bologna, Zanichelli, 1998 [1980], p. 159, ISBN 88-08-05210-9. Giuliana Gramigna e Sergio Mazza, Milano. Un secolo di architettura milanese dal Cordusio alla Bicocca, Milano, Hoepli, 2001, p. 148, ISBN 88-203-2913-1. Ville e palazzi di Milano