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Grotta della Tartaruga

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La Grotta della Tartaruga è una grotta naturale presente lungo la lama Giotta a Torre a Mare, poco a sud di Bari, che presenta tracce di ampliamento e insediamenti umani risalenti all'età neolitica e all'età del Bronzo. La grotta è registrata nel catasto delle grotte della Puglia con il numero PU_1863, è sita all'incrocio della statale E55 con la SP 57 che collega Torre a Mare a Noicattaro ed ha come accesso un corridoio artificiale che si apre sotto il pilone sud del ponte della statale Adriatica.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Grotta della Tartaruga (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Grotta della Tartaruga
Strada Statale 16 Adriatica, Bari Torre a Mare

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Latitudine Longitudine
N 41.083183 ° E 16.999989 °
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Indirizzo

Strada Statale 16 Adriatica

Strada Statale 16 Adriatica
70045 Bari, Torre a Mare
Puglia, Italia
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Luoghi vicini

Torre a Mare
Torre a Mare

Torre a Mare, fino al 1938 Torre Pelosa, è un quartiere di Bari appartenente dal 2014 al I municipio (ex V circoscrizione). Il quartiere è situato all'estrema periferia sud-est della città di Bari, a circa 13 km dal centro, e confina: a nord-ovest con il quartiere San Giorgio, appartenente alla medesima circoscrizione; a ovest con il comune di Mola di Bari; a sud con il comune di Noicattaro Il centro storico, di modeste dimensioni, è raccolto attorno ad una torre cinquecentesca che si erge isolata in mezzo ad una spaziosa piazza, di recente ristrutturata, affacciata sul porto. Questo è attrezzato sia per le imbarcazioni da pesca, sia per quelle da diporto. Le recenti zone residenziali sono costituite principalmente da complessi di ville. Soprattutto nei fine settimana la piazzetta e il molo sono fra le mete più frequentate per lo svago. In piazzetta Mar del Plata è presente Il monumento al pescatore di Mario Piergiovanni, una statua raffigurante Nettuno che con il suo tridente infilza un grosso polpo. Il monumento è stato posizionato nel 2002 e riprende una precedente statua raffigurante lo stesso tema intitolata La Fendàne du Pescatòre realizzata da Tommaso Piscitelli nel 1925, rimossa nella seconda guerra mondiale per esigenze belliche. Inoltre, si dice che toccare un tentacolo del polpo di questa statua sia di buon auspicio per le donne che desiderano una gravidanza. Nel territorio dell'attuale Torre a Mare sono state rinvenute tracce della presenza umana risalenti al IV millennio a.C. nelle grotte di Cala Colombo sulla costa sud e nella grotta della Tartaruga in prossimità dello sbocco a mare di lama Giotta. In epoca romana, la località era posta lungo la via Appia-Traiana che congiungeva Barium (l'antica Bari) ed Egnatia. Alcuni storici ritengono che la Turris Juliana, una stazione di posta per il cambio di cavalli che l'Itinerarium Burdigalense (333-334 d.C.) collocava 11 miglia a sud di Barium, fosse in contrada Scamuso poco a sud di Torre a Mare. Intorno al 1500, allo scopo di difendere la costa dalle incursioni dei pirati e dei predoni che infestavano il mare Adriatico, fu edificata una torre di avvistamento, tuttora esistente al centro della piazza principale, facente parte di una catena di torri costiere. Da allora la località prese il nome di "Torre Apellosa" o "Torre Lapillosa", trasformato successivamente in "Torre Pelosa", e divenne un piccolo borgo di pescatori che vivevano per lo più in trulli e grotte naturali e riparavano le proprie imbarcazioni nel porticciolo alla foce di lama Giotta. Per molti secoli Torre Pelosa fu la marina del vicino centro di Noja. Dopo l'Unità d'Italia (1861), questo comune mutò nome in Noicattaro, recuperando dalla leggenda il toponimo Cattaro, dal nome di una città preromana (peraltro probabilmente mai esistita) sita dove sorge oggi Torre a Mare. Secondo molti studiosi, invece, il nome significa "Nuova Cattaro", dal nome della omonima città sita sulla costa del Montenegro, molto legata alla Puglia; per molti secoli - infatti - la diocesi di Cattaro dipendeva direttamente dall'Arcivescovo di Bari. Nel 1865 la località fu dotata di una stazione lungo la ferrovia Bari-Lecce, stazione realizzata soprattutto a beneficio di Noicattaro e dei paesi dell'interno. A quell'epoca Torre Pelosa era un villaggio di pescatori, il borgo si trovava intorno alla torre cinquecentesca, i terreni lungo la costa appartenevano prevalentemente alle famiglie Positano, ad eccezione dell'appezzamento di terra lungo la lama fino alla torre, che risultava proprietà del comune di Noja, e che fu oggetto di una diatriba legale prima della lottizzazione. Le uniche costruzioni al tempo, oltre le case dei pescatori, erano poche maestose ville situate lungo la vecchia via litoranea Bari-Brindisi; tra queste si ricordano le ville Trojani, Suglia-Passeri, Scarpelli, De Mattia, e quelle dei vari rami della famiglia Positano. Pochi anni dopo ebbe luogo un primo sviluppo urbanistico, promosso dall'avv. Vittorio Positano De Vincentiis, quando il comune di Noicattaro pianificò la costruzione di alcuni lotti di case unifamiliari sul suolo di proprietà comunale attorno alla torre cinquecentesca. Intanto, nel 1893 fu costruita ex novo una chiesa intitolata a San Nicola (patrono dei marinai), in luogo della piccola e malmessa cappella precedente. Rapidamente, Torre Pelosa divenne luogo prediletto di villeggiatura da parte non solo dei cittadini di Noicattaro, ma anche di quelli di Bari, Rutigliano e Triggiano. Essi si aggiungevano ai residenti che, secondo il censimento del 1921, erano 864. Appena fu terminata la costruzione del molo e deliberato un ulteriore ampliamento della chiesa, affidato all'architetto Saverio Dioguardi, nel 1934 Torre Pelosa venne annessa, insieme alla frazione di San Giorgio del Comune di Triggiano, al Comune di Bari nell'ambito di un ampliamento della città voluto dal regime fascista, diventandone una frazione al pari di Palese e Santo Spirito (staccate da Modugno e Bitonto) e gli ex Comuni autonomi Loseto, Carbonara di Bari e Ceglie del Campo, che furono soppressi. Pochi anni dopo ne venne modificata la denominazione in "Torre a Mare". Nel 1943 fu costituita una sede del SOE (Special Operations Executive) ed in questa base si incontrarono segretamente il primo ministro inglese, Winston Churchill ed il capo di stato jugoslavo, Josip Tito. Tra 1940 e 1950 vi risiede il compositore Nino Rota. È possibile raggiungere il quartiere Torre a Mare con i seguenti mezzi pubblici: Linee di autobus dell'AMTAB: 12, 12/; Linee di autobus Miccolis; Treni regionali Trenitalia, stazione Bari Torre a Mare; Tangenziale di Bari SS 16, uscite Torre a Mare (Via Bari, Via Dogali, Via Coppa di Bari). Stazione di Bari Torre a Mare Wikiquote contiene citazioni di o su Torre a Mare Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Torre a Mare

San Giorgio (Bari)

San Giorgio è un quartiere di Bari, appartenente dal 2014 al I municipio (ex V circoscrizione). Il quartiere si trova nella parte sud-est della città e confina: a nord con il quartiere Japigia; a sud con il quartiere Torre a Mare; a sud-ovest con il comune di Triggiano; Il quartiere San Giorgio, ubicato a circa 4 km dal centro di Bari, era un tempo noto come la "Marina di Triggiano" in quanto faceva parte del territorio di quel comune. Con la legge dell'11 agosto 1934, San Giorgio fu aggregato a Bari insieme al territorio di Torre a Mare, quest'ultimo appartenente al comune di Noicattaro, costituendo una nuova frazione, oggi quartiere, denominata a quei tempi Torrepelosa. La delibera del Consiglio comunale di Bari del 24 gennaio e del 26 gennaio 1970, incluse il quartiere San Giorgio, insieme ai quartieri Japigia e Torre a Mare, nel territorio della V circoscrizione. Nato come un piccolo villaggio di pescatori, divenuto oggi un piccolo centro turistico, il quartiere San Giorgio deve molta importanza soprattutto alla sua storia: nell'anno 1087, infatti, le tre navi baresi reduci dall'aver trafugato da Myra le spoglie di San Nicola fecero sosta in quel luogo prima di sbarcare a Bari. Di questo avvenimento furono testimoni il monaco Niceforo e l'arcidiacono Giovanni, entrambi baresi, che raccontarono di essersi fermati nel porto di San Giorgio per riporre in un reliquiario le ossa, trasportate in una botticella, dopo averle prese dal sepolcro. La bellezza naturale della cala di San Giorgio è inoltre arricchita dalle numerose ville sparse lungo la costa e da un attrezzato villaggio turistico sportivo. La presenza di una piccola cappella con una statua di San Nicola contribuisce a mantenere vivo il ricordo della traslazione. In occasione della tradizionale festa barese di San Nicola il corteo storico prende inizio proprio da San Giorgio, dove un'immagine del Santo viene collocata su un'imbarcazione e portata fino al Lungomare Nazario Sauro. Va ricordato che San Giorgio è stato il secondo presidio di sorveglianza più importante dopo quello di Torre a Mare quando, verso la fine del Settecento, la costa veniva sorvegliata mediante torri e baracche. La popolazione del quartiere San Giorgio, costituita da poche migliaia di abitanti, aumenta notevolmente durante i mesi della stagione estiva, quando numerosi turisti si accingono ad abitare le tante ville disseminate nella zona. A partire dagli anni '70-'80 parte della costa di San Giorgio è stata deturpata dall'abusivismo edilizio. La nota spiaggia barese di Torre Quetta, al confine col quartiere Japigia, fu chiusa nel 2004 per la presenza di amianto e dopo un lungo intervento di bonifica da amianto in acqua (il primo in Italia) è stata riaperta a luglio 2010. Con l'espansione di Japigia verso Sud, Il territorio di San Giorgio venne ridisegnato, cedendo a quest'ultimo negli anni, la Zona interessata. La cappella di San Domenico (di proprietà privata); La chiesa parrocchiale di San Benedetto, al suo interno si venera la Madonna della Stella. È possibile raggiungere il quartiere San Giorgio con i seguenti mezzi pubblici: Linee di autobus dell'AMTAB: 12, 12/; Tangenziale di Bari SS 16, uscita Bari San Giorgio.

Celia peuceta
Celia peuceta

Celia peuceta (o semplicemente Cælia) fu un antico insediamento di età arcaico-classica che sorgeva sul sito dell'odierno quartiere di Ceglie del Campo, nel comune di Bari, in Puglia. Non va confusa con l'omonima città, situata nella Provincia di Brindisi. L'antico centro peuceta di Καιλία, identificato con la romana Caelia, sorgeva a 70 m s.l.m., su un pianoro delimitato a est e a ovest dai torrenti Fitta e Picone, 5 km a sud di Bari, dove oggi insistono gli abitati moderni di Ceglie del Campo e Carbonara di Bari. Le fonti letterarie non dicono nulla sulla sua origine, sebbene la si trovi citata da numerosi scrittori e storici latini e greci, tra cui Strabone, Tolomeo e da fonti geografiche e itinerarie (Tabula Peutingeriana, Anonimo Ravennate e Guidone). Le recenti indagini archeologiche hanno dimostrato che il pianoro su cui sorse la città e il territorio circostante erano già frequentati in età protostorica, con modalità al momento non ancora ben definite. L'età del Ferro è attestata da alcuni frammenti di ceramica di impasto rinvenuti sia lungo il percorso della lama Fitta, sia in alcune grotticelle artificiali in località Reddito, Buterrito, Tufaia, localizzabili a est dell'abitato moderno. I secoli VII-VI a.C. sono documentati da aree di necropoli, individuate all'interno del circuito murario: la principale sembra essere quella in località Sant'Angelo a nord-ovest del centro moderno di Ceglie. La tipologia delle tombe è varia: a fossa, scavate nel banco roccioso con il defunto deposto in posizione rannicchiata e con il corredo disposto intorno (per lo più formato da ceramica geometrica apula e ceramica acroma); a sarcofago, chiuse da lastroni di pietra talvolta con tracce di decorazione pittorica, e tombe più monumentali del tipo a semicamera, dotate di ricco corredo. Tra il V e il IV sec. a.C. si assiste allo sviluppo di un vero e proprio abitato urbano, difeso da una cinta muraria lunga 5 km, ora conservata in pochi tratti a causa di un sistematico smantellamento effettuato durante i primi anni del secolo scorso (i blocchi furono infatti reimpiegati per la realizzazione del lungomare di Bari). La struttura, dotata di quattro porte, era a doppia cortina, realizzata con blocchi sbozzati di varie dimensioni alloggiati senza malta con l'impiego di zeppe, e riempimento interno costituito da pietrame. Il percorso è ben ricostruibile in base ai resti rinvenuti ed alle tracce da fotografia aerea sia a oriente che a occidente, anche perché condizionato dalla presenza dei due torrenti. Risulta ancora visibile per alcuni tratti sul lato meridionale, in località Porta Mura, mentre il tratto settentrionale è più problematico: alcuni studiosi infatti propendono per includere buona parte del moderno centro di Carbonara di Bari, mentre altri tendono a farle girare prima, a nord-ovest dell'attuale Ceglie del Campo. In età ellenistica la città raggiunge il suo pieno sviluppo dimostrato dal rinvenimento di numerose tombe, con corredi ricchi di ceramiche dipinte a vernice nera o a figure rosse, appartenenti al ceto dirigente fortemente ellenizzato. Nei corredi tombali di V sec. a.C. si ritrovano infatti vasi di notevole pregio di provenienza attica, come quelli attribuiti al Pittore delle Niobidi, al Pittore di Eretria, al Pittore di Calliope e di Crodo, e anche ambre figurate prodotte in Lucania e in Daunia, e statue di metallo, come quella dell'Apollo saettante, di produzione metapontina. Verso la metà del secolo diventa sempre più preferenziale il rapporto della città con il mercato delle colonie magnogreche, testimoniato dalla presenza delle prime produzioni della scuola “protolucana” (Pittore di Amycos), ma anche dei prodotti di grandi ceramisti attivi nella colonia di Thurii (Pittore delle Carnee e il Pittore della Nascita di Dioniso). La città conserva una posizione di rilievo anche in età romana quando divenne civitas sociorum, come attestano le emissioni monetali in argento e in bronzo di III sec. a.C. con legenda in greco ΚΑΙΛΙΝΩΝ. Relative a questo periodo sono anche alcune strutture abitative che testimoniano l'espansione della città su buona parte del pianoro. Sul finire del III sec. a.C. si è constatato un progressivo impoverimento dei corredi, segno di una crisi del centro forse anche per la progressiva ascesa della città di Barium, le cui strutture portuali vengono sempre più potenziate. Le uniche testimonianze relative all'occupazione dell'area in età tardorepubblicana provengono dagli scavi condotti in località Sant'Angelo, dove sono state portate alla luce numerose cisterne e fosse di scarico databili tra il III e il I secolo a.C. Inoltre in località San Nicola lo scavo ha permesso di documentare una frequentazione arcaica e classica, alla quale si sovrappongono tombe del III secolo a.C. coperte poi da uno strato di tufina pressata che dimostra una nuova destinazione abitativa dell'area in età tardorepubblicana, confermata ulteriormente dal rinvenimento di resti di un'altra abitazione articolata in più ambienti e datata alla stessa fase. Nella riorganizzazione del territorio effettuata a partire dalla guerra sociale (89 a.C.), la città strutturata a municipio viene ascritta alla tribù Claudia, insieme a Barium e Rubi. Probabilmente in questo periodo venne posta sotto la guida di quattorviri, così come è attestato da un'iscrizione di I secolo d.C. In età imperiale con la costruzione della via Traiana, si assiste allo sviluppo dello scalo portuale di Barium, che contribuisce alla decadenza di diversi centri della Peucezia interna tra cui Caelia stessa. Delle vestigia dell'antica Caelia sono visibili alcune necropoli e sparuti lacerti della cinta muraria. R. del Monte, S. Landriscina, Ceglie del Campo - Caelia, in Archeologia delle Regioni d'Italia: Puglia, Bologna, 2014. Ceglie del Campo Azetium Peucezia

Azetium
Azetium

Azetium fu un antico insediamento attestato archeologicamente a partire dall'età del ferro nell'antica Apulia (già Iapigia, odierna Puglia centrale), nei pressi dell'attuale Rutigliano. Sorse su di un'area già frequentata durante l'età neolitica e sistematicamente occupata a partire dal Bronzo finale. L'area archeologica, tuttora caratterizzata dalla presenza delle mura di difesa di epoca classica (IV secolo a.C.), si trova a Nord-Est dell'odierno abitato di Rutigliano, in contrada Torre Castiello. Il sito archeologico di Torre Castiello, ubicato sul poggio omonimo a Nord-Est della cittadina barese di Rutigliano, conserva le rovine della città peuceta di Azetium, che precorse la nascita dell'attuale borgo medievale. L'insediamento, che ha restituito tracce di frequentazione umana che risalgono all'età neolitica, fu occupato sporadicamente a partire dal Bronzo Finale (XI - VIII secolo a.C.) e durante la successiva età del Ferro. La bassa collina, che racchiude un'area oggi intensamente coltivata a vigneti a tendone, è lambita sul suo margine meridionale e sud-occidentale da un solco erosivo di origine carsica, anticamente percorso dalle acque, e noto come Lama di Mosca - Giotta. Oltre ad aver fornito le risorse idriche necessarie al fabbisogno delle genti che si stanziarono sui pianori prospicienti, l'ampia e scoscesa vallata del torrente carsico costituì per l'insediamento una difesa naturale. Il promontorio assunse fisionomia urbana probabilmente soltanto a partire dall'età classica, allorché venne eretto un poderoso circuito murario in buona parte tuttora conservato in situ. Infatti, attorno alla seconda metà del IV secolo a.C., le ostilità che contrapposero la città magno-greca di Taranto alle popolazioni dei villaggi messapi e peuceti della Puglia centro-meridionale contribuirono a fare in modo che la maggior parte dei centri indigeni si dotasse di ben più sicure opere di fortificazione e di difesa. Il pianoro di Castiello risulta infatti tutt'oggi circondato da un'imponente muraglia della lunghezza complessiva di 3450 metri, costituita da un doppio paramento con émplekton centrale di riempimento. La fortificazione è composta da enormi blocchi isodomici di base (in opera poligonale) assemblati a secco, sovrastati da conci di misura via via inferiore. A seconda dello stato di conservazione, la sua altezza varia fra i 4 ed i 6 metri, mentre la profondità, in alcuni punti, raggiunge picchi di 5 metri. Lungo il perimetro, la cintura muraria presenta alcuni avancorpi a pianta quadrata e doveva essere intervallata da torri di vedetta: se ne conservano alcune sul versante esposto a Nord, fra cui l'erta "Torre Belvedere". Sul margine settentrionale, le mura raggiungono infatti dimensioni considerevoli e sono affiancate da una cortina esterna che corre parallela ad essa nella direzione in cui l'abitato si protende verso l'Adriatico e pertanto doveva risultare maggiormente aggredibile. Sul versante meridionale, invece, la muraglia si mostra meno robusta, essendo direttamente affacciata sulla forra della lama di Mosca da cui è naturalmente difesa. L'ingresso alla città da Sud era assicurato da un viadotto conosciuto localmente come "Ponte Romano", il quale consentiva di scavalcare agevolmente il profondo solco torrentizio. Lo sconvolgimento dell'assetto idrogeologico del territorio, in gran parte dovuto alle trasformazioni agrarie dell'ultimo secolo (impianto di viti da tavola a tendone), ne determinò l'inesorabile crollo durante una poderosa piena alluvionale, occorsa nel gennaio del 1984. L'insediamento dovette assumere fisionomia propriamente urbana durante l'età classica, periodo al quale si attribuiscono diverse sepolture a fossa, a semicamera e a cassa litica, la maggior parte delle quali già depredate al momento del rinvenimento. La continuità di vita del centro indigeno è ben documentata in epoca ellenistica, quando probabilmente in cima al pianoro era collocata l'acropoli che ospitava un edificio di carattere pubblico, ipotizzato sulla scorta dei numerosi rocchi di colonne con scanalature rinvenute in passato in posizione di crollo (oggi irreperibili). In epoca repubblicana il centro continuò a svilupparsi, avvantaggiandosi della sua collocazione lungo un percorso viario noto come "mulattiera di Strabone", identificato con la via Minucia, variante interna della via Traiana subcostiera. Tale arteria collegava Bitonto ad Egnazia passando per i centri intermedi di Caelia (Ceglie del Campo), Azetium (Rutigliano) e Norba (Conversano). Inoltre era adeguatamente dotata di percorsi secondari che la collegavano alla costa adriatica, tuttora ravvisabili nelle diverse strade vicinali che dalla contrada di Castiello conducono sino al litorale (località "Cala Paduano", probabile sbocco portuale azetino, oggi fra Torre a Mare e Mola di Bari). Il toponimo della città archeologica, di probabile origine paleo-italica (da Ausetium), si desume da diverse fonti di età imperiale (Plinio il Vecchio, l'Anonimo Ravennate, Guidone) e dalla fondamentale Tabula Peutingeriana o Todosiana (III-IV secolo d.C.), che riporta "Ehetium" (donde "Azetium", italianizzata in Azezio) come dislocata sulla direttrice interna di origine indigena prima menzionata, a metà strada fra "Celia" (Ceglie) e "Norve" (Conversano). La sopravvivenza della città è documentata, ma solo sporadicamente, sino alla tarda età imperiale (V-VI secolo d.C.) attraverso rinvenimenti ceramici di superficie. L'antico abitato di Azetium sorge su una modesta altura, in località Torre Castiello, circa 2,5 km a nord-est di Rutigliano. Il primo studioso moderno che ne riporta la localizzazione è il Romanelli nel 1818. Infatti, le prime notizie relative a questo insediamento, noto per la sopravvivenza del circuito murario, risalgono agli inizi del XIX secolo e sono per lo più segnalazioni di rinvenimenti fortuiti, non localizzati con precisione, o acquisti di materiali archeologici da parte di musei regionali o, ancora, sequestri in relazione a scavi clandestini. I primi interventi di scavo, effettuati dal paletnologo Franco Biancofiore, risalgono al 1955 e vengono effettuati lungo il settore nord della fortificazione. La ceramica rinvenuta indica fasi di vita dell'abitato comprese fra l'età del Bronzo Finale e l'età tardoellenistica e repubblicana. Le prime tracce di frequentazione ad Azetium sono rappresentate da alcuni frammenti di ceramica neolitica, raccolti in superficie nella parte meridionale della collina, probabilmente da porre in relazione con il vicino insediamento di Torre delle Monache, situato sulla sponda opposta della Lama Giotta. Più cospicua è la presenza di ceramica della prima età del Ferro, particolarmente concentrata nella zona settentrionale del promontorio. Si tratta di frammenti di vasi d'impasto bruno e nero lucido, e di resti di intonaco, che testimoniano l'esistenza di un insediamento stabilem costituito con ogni probabilità da un piccolo nucleo di capanne d'argilla e paglia, del tipo già attestato in numerosi villaggi iapigi disseminati nel territorio. Con l'inizio dell'età storica le testimonianze di vita sul pianoro si diradano notevolmente, concentrandosi invece nelle zone adiacenti, a sud-est, dove si riscontra la presenza di abbondante ceramica di età arcaico-classica e di coppi dipinti in rosso di tipo laconico (contrada Petruso, Pappalepore, Le Rene). Ciò rende credibile l'ipotesi secondo la quale, in questa fase storica, la zona pianeggiante a sud-est della collina di Azetium doveva corrispondere alla sede di uno o più nuclei insediativi, dotati di edifici con fondazioni in pietra e coperture fittili policrome. Una nuova fase di occupazione del promontorio si apre nel IV secolo a.C., protraendosi per tutta l'età ellenistica, e corrisponde al periodo di massima espansione edilizia ed economica dell'abitato, che assume ora una fisionomia propriamente urbana. I rinvenimenti fortuiti proseguono spesso in occasione di lavori agricoli o dovuti a studiosi locali. Fra di essi si segnala il rinvenimento di una tomba databile al IV sec. a.C. e di un tesoretto di 80 denarii di età repubblicana. Alla fine degli anni '70 si individua una cisterna a fiasca genericamente databile, in base alla ceramica e a tre monete presenti nel suo interno, all'età imperiale. Negli anni '80 riprendono gli scavi nel settore nord delle mura e vengono individuate e scavate otto tombe a fossa databili fra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., periodo al quale di ascrive la costruzione della fortificazione e il maggior sviluppo dell'abitato. Alla fine degli anni '80, durante indagini sistematiche nella parte sud-est della collina, vengono evidenziati due edifici. Il primo doveva essere costituito da una pars dominica e una pars rustica (settore di residenza e settore produttivo di una villa rustica). Le strutture della prima erano in blocchi calcarei e tufo, rivestite da intonaci con decorazioni a fresco e cornici in stucco; i pavimenti di terra pressata con pietrisco e frammenti ceramici costituiti da tegole infisse di taglio nel terreno e coperte da malta. Il settore produttivo, invece, doveva essere costruito in modo meno accurato, caratterizzato da una cisterna e grossi contenitori interrati. Grazie al rinvenimento, al di sotto delle predette strutture, di una tomba a semicamera, di ceramica e di una moneta d'argento, rinvenuti all'interno di quest'ultima, è stato possibile datare il complesso fra III e I sec. a.C. Il secondo edificio, individuato più a sud, è realizzato anch'esso in blocchi di calcare e tufo rivestiti da intonaci decorati e cornici in stucco e si impianta su precedenti strutture di cui è stata evidenziata una grande vasca. La datazione dell'impianto, dovuta anche al rinvenimento di tre assi in bronzo, è compresa fra la fine del III e la metà del II sec.a.C. Alla fine degli anni '90 sono state condotte indagini sistematiche di superficie all'interno dell'abitato, al fine di ubicare con precisione i rinvenimenti editi e di appurare lo stato di conservazione delle evidenze archeologiche. Il rinvenimento di ceramica ad impasto bruno ha potuto accertare la presenza dell'abitato, o comunque di un'occupazione dell'area, già durante l'età del Ferro. Alla scarsità di materiali relativi all'età arcaica e classica fa riscontro l'abbondante presenza di ceramiche di età ellenistica, già da IV sec.a.C. A questa fase si riferisce la costruzione del circuito murario difensivo, lungo circa 3,5 km, che doveva delimitare un'area di 6 ettari. La sua sopravvivenza è oggi nei muretti a secco che ne ricalcano il circuito e nella presenza di blocchi delle mura riutilizzati nella costruzione di trulli e capanni presenti nell'area. La costruzione delle mura di questo insediamento si inserisce in un fenomeno di urbanizzazione già conosciuto nel territorio grazie ad abitati come Bari, Monte Sannace, Ceglie e Turi. Fra il IV e il III sec.a.C. le testimonianze restituite da Azetium sono soprattutto di carattere funerario. L'esistenza di una fase edilizia risalente a questo periodo, che le indagini sistematiche degli anni '90 hanno lasciato intravedere, attendono una verifica dall'ulteriore approfondimento delle ricerche. Sembra evidente, tuttavia, che già in questa fase, e in particolare nel III secolo a.C., la comunità di Azetium si trovasse in una situazione di stabile equilibrio sociale ed economico, dovuta alle ampie possibilità di sfruttamento agricolo del territorio ed ai fiorenti commerci. Tali attività erano rese possibili dalle presenza di una fitta rete di tratturi, che consentiva i collegamenti con l'entroterra e con i vicini insediamenti costieri (Paduano), ma certamente anche da fattori di carattere politico-istituzionale, potendo usufruire, insieme a poche altre comunità della Peucezia, della condizione di civitas sociorum. Risalgono a questo secolo, del resto, le emissioni monetali in bronzo recanti l'etnico AIETINΘN, come pure un elemento architettonico con iscrizione in alfabeto "apulo" riferibile ad un edificio pubblico, che costituisce uno dei rarissimi documenti epigrafici della località. Nei decenni successivi alla seconda guerra punica, caratterizzati in Peucezia dalla totale disgregazione del precedente sistema produttivo e dall'estinguersi di molti insediamenti, la situazione riscontrata ad Azetium rappresenta senza dubbio una eccezione. Le testimonianze relative all'abitato consentono di attribuire alla comunità di II secolo a.C. condizione di particolare benessere economico, che perdurano almeno fino alla metà del I secolo a.C. Oltre questo periodo si avverte una netta cesura nella documentazione archeologica, certamente legata al momento di profonda crisi dovuto agli esiti della guerra sociale (91-88 a.C.) al quale va ricondotto, fra l'altro, il seppellimento del tesoretto tardorepubblicano. Si ritiene che, a seguito del riassetto amministrativo che seguì alla fine della guerra sociale con la concessione della cittadinanza romana (90 - 88 a.C.), anche gli abitanti di Azetium dovettero essere inseriti fra le tribù rustiche cui era concesso il diritto di voto. Si suppone che le comunità dell'area peuceta fossero state attribuite nel loro insieme alla tribù Claudia (come attestato epigraficamente per Barium, Celia e Rubi). La città sarebbe stata quindi promossa al rango di municipium. Infatti gli elenchi di città italiche e di comunità locali redatte da Plinio il Vecchio (fra cui figurano gli "Aezetini") dipendono direttamente da documenti amministrativi (liste censitarie dei cives) di età pre-augustea, ragion per cui le entità urbane menzionate sono da considerare come dotate di autonomia municipale acquisita a seguito del riordinamento dell'assetto territoriale preesistente (fatto di civitatis sociorum) già definito al momento della conquista romana. La precedente condizione di civitas sociorum è invece indiziata dall'attestazione della coniazione monetale cittadina (AIETINΩΝ) in un'epoca precedente alla guerra sociale, attestata, nel III secolo a.C., anche per Barium, Butuntum, Celia, Rubi, Grumum, Neapolis, Sidis-Silvium, Graxa. L'altura di Castiello fu frequentata, in un primo momento, in età neolitica nel suo tratto meridionale in prossimità di Lama Giotta. Durante il Bronzo Finale e la prima età del Ferro fu occupato il margine settentrionale della collinetta. Al villaggio protostorico iapigio ed alla successiva occupazione della piana a sud-est in età arcaico-classica, segue, dal IV secolo a.C., un insediamento stabile che si estende su tutta la collina. Alla seconda metà del IV secolo a.C., in coincidenza con gli eventi bellici che opposero Taranto alle popolazioni indigene, culminati nella spedizione di Alessandro il Molosso (fra 334-332 a.C.), si ascrive la costruzione delle mura di cinta. Allo stesso periodo risalgono, infatti, le cerchie murarie che racchiudono altri importanti insediamenti della Peucezia, come Thuriae - Monte Sannace, Celia - Ceglie, Sidion, Altamura, nei quali si assiste contemporaneamente ad una decisiva evoluzione dell'articolazione degli spazi interni, dell'organizzazione sociale ed economica. Una contrazione dell'abitato nella parte meridionale dell'altura è ben rappresentato, per le epoche successive (II-I sec.a.C.), dalla presenza di ceramica a pasta grigia. Ancor più esigue le ceramiche relative alla fase imperiale. Fra gli ultimi anni della repubblica e la prima età imperiale, i profondi mutamenti imposti dalla penetrazione romana nel sistema insediativo e nelle strutture produttive del territorio dovettero influire notevolmente sulla vita dell'abitato. Nelle fasi successive al I sec.a.C. si ha dunque una graduale crisi e contrazione dell'abitato. La sua sopravvivenza, seppure in tono minore, è tuttavia documentata da alcuni resti e dai riferimenti delle fonti, che ne indicano la presenza lungo il percorso di importanti arterie viarie, sino al suo definitivo abbandono allorché l'altura diviene, come ancora oggi, area agricola densamente coltivata. Il sito di inestimabile valore storico-archeologico (oltre che ambientale e paesaggistico, per via dell'adiacente habitat naturale della lama) versa in colpevole stato di abbandono, in preda alle deturpazioni operate periodicamente dai coltivatori diretti che, in barba alle norme di tutela del sito archeologico istituite dagli anni ottanta del secolo scorso, seguitano a incrementare le piantagioni di vigneti a tendone, eseguendo finanche i proibiti e dannosi derocciamenti ("scassi") con frangipietre e arature profonde. Le stesse spesso riportano alla luce frammenti di ceramiche di pregio con tracce di decorazioni, insieme ad anse e altre porzioni di recipienti di ceramica d'uso. Delle vestigia dell'antica Azetium è attualmente visibile l'intero circuito murario di fortificazione in opera poligonale che circondava l'acropoli della città antica. A. Riccardi, L'insediamento di Azetium, in Bollettino di numismatica, n. 34-35, gennaio-dicembre 2000. S. Tagarelli, Azetium, Molfetta, 1960. F. De Luca, Rutigliano - Azetium, in Archeologia delle Regioni d'Italia: Puglia, Bologna, 2014. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Azetium Documentario su Azetium Documentario "Le mura e i frammenti archeologici" Documentario "La distruzione del patrimonio archeologico" Documentario "Salviamo la muraglia di Azezio" Due scassi ad Azetium, l'archeologia in frantumi

Chiesa di Santa Maria della Colonna e San Nicola
Chiesa di Santa Maria della Colonna e San Nicola

La chiesa di Santa Maria della Colonna e San Nicola è la parrocchiale di Rutigliano, in città metropolitana di Bari e diocesi di Conversano-Monopoli; fa parte della zona pastorale di Rutigliano. La collegiata di Rutigliano sorse nel X-XI secolo con la conformazione a un'unica navata; nel XII secolo l'edificio fu interessato da un ampliamento che lo portò a tre navate. La chiesa venne dichiarata nel 1059 da papa Niccolò II nullius dioecesis, divenendo dunque indipendente da qualsiasi diocesi. Il luogo di culto fu rimaneggiato nel XV secolo; nel 1662 lo status di nullius dioecesis fu abolito e la chiesa entrò a far parte della diocesi di Conversano. Nel Settecento si provvide a realizzare il coronamento barocco del campanile e a restaurare la collegiata. La facciata a salienti della chiesa, rivolta a oriente, presenta centralmente il portale maggiore: esso è protetto dal protiro, che si sorregge su due colonne poggianti su leoni stilofori, ed è sormontato da una lunetta ospitante un affresco con soggetto la Madonna col Bambino con due Angeli turiboli e quindici bassorilievi raffiguranti l'Annunciazione e gli apostoli. Sempre nella parte mediana del prospetto si apre, più in alto, il rosone murato, mentre nell'ala laterale sinistra vi sono l'ingresso secondario e una monofora; l'ala destra, invece, è nascosta dalla torre campanaria. Annesso alla parrocchiale è il campanile a base quadrata, la cui cella presenta su ogni lato una trifora ed è sormontata dalla cupola a bulbo. L'interno dell'edificio si compone di tre navate, separate da pilastri abbelliti da lesene e semicolonne e sorreggenti degli archi a tutto sesto e la trabeazione modanata e aggettante sopra la quale si impostano le volte; al termine dell'aula si sviluppa il presbiterio, rialzato complessivamente di quattro gradini, delimitato da balaustre e chiuso dall'abside di forma semicircolare. Qui sono conservate diverse opere di pregio, tra le quali il polittico raffigurante la Madonna col Bambino insieme a Gesù risorto e a otto Santi, eseguito intorno al 1470 dal veneto Antonio Vivarini, gli stalli del coro, intagliati nel XVIII secolo, lacerti di affreschi del XV secolo, la pala ritraente l'Ultima Cena, dipinta da Domenico Antonio Carella, un'icona bizantina risalente al Trecento, e il settecentesco organo, costruito forse dalla bottega dei De Simone. Diocesi di Conversano-Monopoli Regione ecclesiastica Puglia Rutigliano Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Santa Maria della Colonna S. Maria della Colonna e S. Nicola – Rutigliano, su diocesiconversanomonopoli.it. URL consultato il 26 maggio 2024.

Basilica di Santa Maria del Pozzo
Basilica di Santa Maria del Pozzo

La basilica di Santa Maria del Pozzo di Capurso con l'annesso convento alcantarino, progettata dall'architetto barese G. Sforza, fu ultimata nel 1770. Per volontà di papa Pio IX, venne elevata al rango di basilica minore e in seguito, per interessamento della famiglia reale di Napoli, i Borbone delle Due Sicilie, a reale basilica. Al suo interno si conserva ed è venerata l'icona bizantina della Madonna, ritrovata il 30 agosto 1705 da don Domenico Tanzella all'interno del pozzo sito nella contrada Piscino, nella periferia campestre di Capurso. Il culto a Capurso della Madonna del Pozzo è tra le più importanti realtà di turismo religioso mariano dell'Italia meridionale. Don Domenico Tanzella decise di affidare il culto della Madonna del Pozzo all'ordine religioso dei frati francescani alcantarini. Don Lorenzo Pappacoda, marchese di Capurso, sollecitato dal Tanzella, nel 1713 si rivolse alla Santa Sede per il nulla osta, primo atto necessario, per la fondazione di un convento alcantarino accanto alla cappella patronale del sacerdote Tanzella in Capurso. Dopo una lunga serie di cavilli e ricorsi burocratici, che si protrassero dal 1714 al 1728, solo con papa Benedetto XIII, domenicano e ammiratore degli alcantarini, il 31 gennaio 1729, nella pienezza dell'autorità apostolica, il papa emanò finalmente il breve di fondazione che fu reso esecutivo dal diretto intervento dell'imperatore Carlo VI il 30 maggio 1733. Gli alcantarini, il 5 novembre 1737, con il beneplacito dell'arcivescovo di Bari, Maurizio Gaeta II, furono immessi nel pieno, pacifico e definitivo possesso della cappella di San Lorenzo e dei beni a essa connessi. Subito dopo, si solennizzò la posa della prima pietra del convento, su progetto dell'architetto barese Giuseppe Sforza. Gli alcantarini volevano costruire la chiesa e il convento sul pozzo del miracoloso rinvenimento ma, non avendo ottenuto il terreno appartenente al Capitolo, ripiegarono sul fondo offerto da Lorenzo Tanzella, fratello di don Domenico, sempre sulla via di Noicattaro, ma più vicino al paese. Agli inizi del 1738 la fabbrica presentava un'altezza media di 3 metri. Il breve definitivo della fabbrica lo emanò, il 26 settembre 1746, papa Benedetto XIV. I frati alcantarini recuperarono molti donativi, libri, documenti e somme di denaro che negli anni si erano ritenuti ormai dispersi. Si poté completare la costruzione del convento, la cui facciata volgeva verso Capurso e misurava un fronte di 43 metri. Di forma quadrata, al piano terra si apriva un imponente porticato con due pozzi centrali; al piano superiore, sistemate su 4 corridoi, si snodavano 38 celle monastiche. In un ampio vano del piano terra fu allestita, in attesa della costruzione della basilica, una provvisoria chiesetta, chiamata cappella interna al convento, che ospitò l'icona della Madonna del Pozzo dal 24 agosto 1748 al 27 agosto 1778. Non ancora ultimato il convento, nell'estate del 1750 i frati alcantarini iniziarono a costruire una grande chiesa per la definitiva collocazione dell'icona della Madonna del Pozzo. La benedizione della prima pietra avvenne il 5 luglio 1750. La fabbrica della chiesa in un primo momento ebbe alcuni problemi durante l'edificazione, tanto che l'architetto Sforza, nel 1751, decise di demolirla e ricominciare ex novo i lavori di costruzione. Completata nel 1770 la possente mole della facciata, i lavori continuarono all'interno. La traslazione definitiva dell'icona della Madonna del Pozzo avvenne il 27 agosto 1778: fu collocata sull'altare maggiore in una nicchia ricavata nella parete e mai più rimossa. Anche ai visitatori e pellegrini del nostro tempo, la basilica si presenta maestosa. Alla imponenza della facciata, in tufo locale come il convento, corrisponde la maestosità dell'interno, a una sola navata con pianta basilicale del seicento classico. Entrando nella chiesa, con un sol colpo d'occhio si osservano i poderosi pilastri con gli arconi delle cappelle laterali, l'altare maggiore con la parete di fondo, al cui centro risalta la nicchia della Madonna del Pozzo. Il pavimento è di marmo bianco con fascioni di bardiglio, gli altari risplendono di marmi policromi e pregiati. La parete di fondo, autentica opera d'arte per la preziosità dei marmi e la tecnica compositiva, fu rivestita nel 1830 dal maestra Raffaele Trinchese, su disegno dell'architetto Antonio Barletta, ambedue napoletani. L'altare maggiore è consacrato a Santa Maria del Pozzo - Madre e Regina di Misericordia, e Papa Gregorio XVI lo dichiarò "Privilegiato Quotidiano Perpetuo" con breve del 28 maggio 1839. All'ingresso sulla destra la cappella che conserva la venerata statua processionale della Madonna del Pozzo, scultura in legno, di arte napoletana di pregiata fattura dell'inizio ottocento. Michele Mariella, Il Santuario di Capurso, nella storia e nella tradizione, Edizioni LMP, Capurso Rino Cammilleri, Tutti i giorni con Maria, calendario delle apparizioni, Milano, Edizioni Ares, 2020, ISBN 978-88-815-59-367. Madonna del Pozzo Domenico Tanzella Capurso Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su basilica di Santa Maria del Pozzo Sito della basilica della Madonna del Pozzo, su madonnadelpozzo.org.