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Battaglia del ponte di Arcole

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La Bataille du Pont d'Arcole
La Bataille du Pont d'Arcole

La battaglia del ponte di Arcole, anche nota più semplicemente come battaglia di Arcole, combattuta dal 15 al 17 novembre 1796 presso il comune veronese di Arcole, fu un famoso episodio della prima campagna d'Italia di Napoleone Bonaparte. Lo scontro, avvenne all'interno dei territori della Repubblica di Venezia, risoltosi con una vittoria francese, infranse le speranze del comandante austriaco Alvinczy di riunirsi al generale Davidovich e proseguire quindi per liberare Mantova. Iniziata la campagna d'Italia l'11 aprile 1796, Napoleone Bonaparte sconfisse rapidamente il Regno di Sardegna di Vittorio Amedeo III di Savoia e continuò l'offensiva contro gli austriaci del generale Beaulieu lasciando indietro la guarnigione di Mantova, costringendolo a ritirarsi sull'Adige dopo la battaglia di Lodi. Nel desiderio di liberare la grande fortezza dell'attuale Lombardia, il nuovo comandante in capo austriaco Würmser sferrò una controffensiva che però, a seguito della sconfitta subita a Castiglione il 5 agosto 1796, ebbe come unico risultato la fuga del generale austriaco all'interno di Mantova, nuovamente posta sotto assedio dal generale francese Sahuget. Le redini dell'esercito austriaco in Italia, ancora forte di 46.000 uomini, passarono quindi a Joseph Alvinczy von Berberek e al suo subordinato Paul Davidovich, che avevano l'obiettivo di correre in soccorso dell'esercito austriaco bloccato a Mantova. Il piano elaborato da Alvinczy era costituito da una manovra a tenaglia contro Bonaparte: Davidovich sarebbe disceso lungo la valle dell'Adige con 18.000 uomini, minacciando di arrivare su Verona da nord-ovest; al contempo Alvinczy con oltre 28.000 uomini avrebbe attraversato il Brenta puntando prima su Vicenza e poi su Verona da nord-est; in questo modo Bonaparte dalla sua base operativa di Verona avrebbe dovuto fare fronte all'armata di Alvinczy stando attento contemporaneamente alle proprie spalle e mantenendo sempre una parte della sua Armata bloccata nell'assedio di Mantova. Il piano di Alvinczy sembrò funzionare: Davidovich costrinse il generale francese Vaubois ad abbandonare Trento, tentando una prima difesa all'altezza di Nomi, per poi retrocedere ancora di più per evitare l'accerchiamento, fino a Rivoli, all'imbocco della valle dell'Adige; contemporaneamente Alvinczy avanzò su due colonne, passando il Brenta a Bassano del Grappa e a Fontaniva (malgrado la sanguinosissima opposizione di due contingenti francesi, comandati rispettivamente da Augereau e Massena, inviati da Bonaparte per rallentare gli austriaci) e scontrandosi con i francesi nella battaglia di Caldiero, il 12 novembre, a seguito della quale obbligò il nemico a riparare sulla riva occidentale dell'Adige. Napoleone, con Vaubois bloccato a nord e senza possibilità di prelevare altre truppe da Mantova senza compromettere l'assedio, mise in piedi un piano per radunare tutti i soldati disponibili a Verona per prendere Villanova di San Bonifacio, sperando così di ingaggiare battaglia con Alvinczy nella zona paludosa tra i fiumi Alpone e Adige vanificando la superiorità numerica austriaca. Le forze francesi erano disposte su due divisioni: Comandante in capo: Napoleone Bonaparte Divisione Augereau, su: 4.e Demi-Brigade légère (3 battaglioni) 18.e Demi-Brigade légère (3 battaglioni) 39.e Demi-Brigade de ligne (3 battaglioni) 69.e Demi-Brigade de ligne (3 battaglioni) Divisione Massena, su: 19.e Demi-Brigade de ligne (3 battaglioni) 85.e Demi-Brigade de ligne(3 battaglioni) 93.e Demi-Brigade de ligne (3 battaglioni) aliquote di cavalleria presenti ma non impegnati in combattimento: Riserva di fanteria (Generale Macquart) Riserva di cavalleria (Generale Beaurevoir) Forza totale: 20000 uomini Le forze austriache erano costituite dal Corpo del Friuli: Comandante in capo: Feldzugmeister Alvinczy Corpo del Friuli, su: Infanterie Regiment Hoch und Deutchmeister N.4 (2 battaglioni) Infanterie Regiment Preiss N.24 (2 battaglioni) Infanterie Regiment Kinsky N.36 (3º battaglione) Infanterie Regiment Splényi N.51 (2º e 3º battaglione) Infanterie Regiment Jellačič N.53 (3º e 4º battaglione) Infanterie Regiment Joseph Colloredo N.57 (2º battaglione) Grenz-Infanterie Regiment Warasdiner (4º e 5º battaglione) Grenz-Infanterie Regiment Cārlstadt (6° e 7 battaglione) Grenz-Infanterie Regiment Banalisten (2º e 4º battaglione) Grenz-Infanterie Regiment Banater (5º e 6º battaglione) Grenz-Infanterie Regiment Wallachen (3º battaglione) Husaren Regiment Wurmser N.8 (2 squadroni) Stabs-Dragoner Regiment (4 squadroni) Ulhanen Regiment Mészáros N.10 (4 squadroni) Forza totale: 18500 uomini Il 14 novembre le avanguardie di Alvinczy giunsero in vista di Villanova obbligando Bonaparte a lasciare Verona, la cui caduta avrebbe irrimediabilmente compromesso tutti i suoi movimenti lasciando il solo Vaubois tra Davidovich e Alvinczy, nelle mani del generale François Macquard con agli ordini 3.000 soldati prelevati dalle schiere di Vaubois. La manovra di Alvinczy aveva allungato le vie di comunicazione e di rifornimento degli austriaci, e Bonaparte individuò nel ponte sull'Alpone il punto in cui avrebbe potuto colpire il nemico per isolarlo dai suoi depositi. La notte tra il 14 e il 15 Bonaparte si mise dunque in marcia con 18.000 uomini verso Ronco all'Adige, dove all'alba sistemò un ponte di barche che subito i francesi attraversarono per raggiungere le paludi adiacenti alla riva nord dell'Adige. Le unità di Augereau e Masséna cercarono di occupare il villaggio di Porcile ma furono ingaggiate dalle avanguardie di Giovanni Provera, che comunque non riuscì a contenere l'impeto francese, lasciando a Bonaparte un sicuro fianco occidentale. Augereau tuttavia fallì nell'obiettivo di oltrepassare l'Alpone e conquistare Villanova perché inchiodato dal fuoco austriaco al ponte di Arcole. Bonaparte, resosi conto che ogni ritardo avrebbe reso meno probabile intrappolare Alvinczy, inviò 3.000 soldati di Jean Joseph Guieu a cercare un guado presso Albaredo d'Adige, per aggirare Arcole. Nel frattempo Porcile fu rinforzata da 3.000 soldati austriaci e un simile distaccamento arrivò ad Arcole, coprendo la ritirata di Alvinczy e di metà dei suoi uomini. Per evitare che il generale nemico gli sfuggisse, Bonaparte tentò un nuovo disperato attacco al ponte di Arcole, brandendo un tricolore francese e mettendosi alla testa dei suoi uomini, ma l'azione non ebbe successo e lo stesso Bonaparte, caduto in un fosso, fu salvato dalla cattura dal suo aiutante di campo. Solo alle 19:00 Guieu, che nel frattempo aveva trovato un guado, riuscì a conquistare Arcole da sud. Tale successo fu vanificato dalle preoccupanti notizie inviate da Vaubois, che annunciava di essere stato respinto fino a Bussolengo. Bonaparte di conseguenza prese la difficile decisione di abbandonare Arcole per rischierarsi sull'Adige, nell'eventualità di dover soccorrere in tutta fretta Vaubois. Nonostante ciò, il primo giorno di battaglia comportò ai francesi l'annullamento della minaccia austriaca su Verona, mentre Alvinczy era ormai impossibilitato ad unirsi a Davidovich. Nella mattinata del 16 i francesi, constata l'inattività di Davidovich, tentarono nuovamente di occupare Porcile ed Arcole (ritornate in mano austriaca nella notte), ma riuscirono ad impossessarsi, dopo un'intera giornata di combattimenti, solo della prima località, essendo per giunta fallito il tentativo del generale Honore Vial di passare l'Alpone alla sua foce. Come il giorno precedente, Bonaparte, all'arrivo della sera, ritirò tutti i suoi soldati sull'Adige, sempre per tenersi pronto a soccorrere Vaubois. Nella notte le file francesi vennero rinforzate da 3.000 uomini inviati da Kilmaine. Anche se ancora controllavano Arcole, gli austriaci avevano subito perdite significative, tant'è che all'alba del 17 novembre Alvinczy scrisse a Davidovich di non poter sopportare più di un nuovo attacco francese. Avendo fatto sapere Vaubois che il suo fronte era tranquillo, i francesi si scagliarono per la terza volta contro gli austriaci, le cui forze erano ormai separate in due tronconi con circa un terzo dei soldati (6.000) dislocati nella zona paludosa agli ordini di Provera ed Hohenzollern. Per dare il colpo di grazia al nemico, Bonaparte ordinò un attacco contro il grosso delle forze di Alvinczy. Masséna si preparò quindi ad attirare l'attenzione della guarnigione di Arcole fuori dalla città, schierando una sola brigata nella strada tra Arcole e Porcile lasciando il resto della sua divisione nascosta tra la vegetazione. Gli austriaci caddero nella trappola e, spinti indietro, dovettero cedere una parte di Arcole dopo uno scontro alla baionetta con i francesi. Minor fortuna ebbe invece Augereau, che, mentre parte della sua divisione era in marcia verso Legnago per aggirare Arcole, non riuscì a prendere Albaredo per via della tenace difesa offerta dai soldati di Alvinczy. Per sfruttare la situazione Napoleone radunò quattro trombettieri ed un piccolo numero di "guide" (la sua guardia del corpo) con lo scopo di ingannare il nemico: non visto, il piccolo distaccamento guadò l'Alpone e, grazie al suono degli strumenti musicali, simulò l'avvicinamento di un grande reparto proprio alle spalle degli austriaci acquartierati ad Arcole, che si ritirarono subito verso nord convinti di un imminente attacco in forze francese. Grazie a questo stratagemma i reparti che bloccavano Augereau sbandarono dando l'occasione al generale francese di riunirsi con Masséna nell'ormai libera Arcole, da dove, assieme ai soldati provenienti da Legnago, dilagarono nelle zone circostanti. Alvinczy, di fronte a quella che gli sembrò una grave minaccia alle sue retrovie, ordinò la ritirata su Vicenza a tutto l'esercito. A prezzo di 4.500 perdite in tre giorni di combattimenti, Napoleone aveva definitivamente stroncato il tentativo di Alvinczy di riunirsi con Davidovich. Con 7.000 uomini in meno, morti, feriti o presi prigionieri ad Arcole, Alvinczy riuscì a malapena a ritornare a Trento abbandonando del tutto il progetto di liberare Mantova. Gli ultimi sforzi austriaci sarebbero stati resi vani nella successiva battaglia di Rivoli. David G. Chandler, Le campagne di Napoleone, vol. I, 9ª edizione, Milano, BUR, 2006 [1992], ISBN 88-17-11904-0. Simon Scarrow, Il generale, Newton Compton Editori, 2017. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su battaglia del ponte di Arcole

Estratto dall'articolo di Wikipedia Battaglia del ponte di Arcole (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori, Immagini).

Battaglia del ponte di Arcole
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Arcole
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Arcole (Arcole in veneto) è un comune italiano di 6 394 abitanti della provincia di Verona in Veneto. Arcole si trova in una zona di territorio circa a metà tra le città di Verona e Vicenza. La zona in cui è situato è ricca d'acqua; la Zerpa, zona a ovest dell'Alpone, fino alla metà del XX secolo era infatti paludosa. Nel suo territorio scorre il torrente Alpone, che poco lontano sbocca nell'Adige. Il paese è citato nel 1224. È noto soprattutto per la battaglia del ponte di Arcole che si tenne tra il 15 e il 17 novembre 1796 in cui Napoleone Bonaparte batté gli austriaci. Un obelisco, fatto innalzare da Napoleone stesso, ricorda quell'evento. Le iscrizioni latine presenti alla base dell'obelisco, unico originale dell'epoca napoleonica in Italia, sono state redatte da Calimero Cattaneo. L'incarico era stato dapprima offerto a Foscolo, ma la trattativa non andò in porto. Le memorie napoleoniche si custodiscono in un piccolo museo situato nel centro del paese. Lo stemma comunale è stato riconosciuto con decreto del Capo del Governo del 24 settembre 1931. Nello stemma è raffigurato l'Obelisco Napoleonico che sorge nel territorio di Arcole sulla riva destra del torrente Alpone, alla testata del ponte della strada che scende verso Belfiore, eretto in ricordo della vittoria delle truppe francesi sugli austriaci nella battaglia di Arcole del 1796. Il gonfalone, concesso con regio decreto del 7 luglio 1932, è un drappo di azzurro. Chiesetta dell'Alzana - XVII secolo Villa Ottolini - XVIII secolo Castello - XIII secolo Arco dei Croati - XIV secolo Obelisco Napoleonico - XIX secolo Abitanti censiti Museo Napoleonico Museo Contadino dell'Alzana Fiera degli asparagi Ad aprile di ogni anno si tiene la locale Fiera degli asparagi: il prodotto è rinomato e conosciuto per la sua qualità in tutto il Veneto. Fiera Nazionale di San Martino e Arcole D.O.C. Si tiene il sabato e la domenica più vicini alla Festa di San Martino (11 novembre) e ha lo scopo di promuovere i prodotti tipici, la storia e le tradizioni della provincia di Verona con mostre, rievocazioni storiche e numerosi stand per degustazioni e vendite dirette. Arcole ha due frazioni: Gazzolo e Volpino, situate a nord-nordest del paese. Il paese dà il nome ad un vino DOC. La zona di produzione comprende i comuni di Arcole, Cologna Veneta, Albaredo, Zimella, Veronella, Zevio, Belfiore, Caldiero, San Bonifacio, Soave, Colognola ai Colli, Monteforte, Lavagno, Pressana, Vago di Lavagno e San Martino Buon Albergo in provincia di Verona ed i comuni di Lonigo, Sarego, Alonte, Orgiano e Sossano in provincia di Vicenza. La caratteristica di questo vino è data dai terreni in cui è coltivato, che devono essere sabbiosi. Non esiste un solo tipo di vitigno, possono essere di più vitigni. Arcole è sede della filiale italiana della catena di supermercati Lidl. Cadenet Gemellaggio nel nome di André Estienne, passato alla storia come il piccolo tamburino di Arcole. Anna Maria Ronchin, Nel Tempo della Dea Edar, Vicenza, 2006, p. 124. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Arcole Sito ufficiale, su comunediarcole.it.

Zerpa
Zerpa

La Zerpa (dal latino Scirpus, "giunco") è una regione geografica situata in provincia di Verona, tra il fiume Adige a sud-ovest e il torrente Alpone a est; a nord si estende indicativamente fino alla strada provinciale 38 "Porcilana". La zona, paludosa fino alla metà del XX secolo, è stata bonificata dal consorzio di bonifica Zerpano negli anni del boom economico e ora è dedicata all'agricoltura. In età antica la zona era occupata dai borghi di Porcile, Bionde e Zerpa. Gli ultimi due, citati in documenti precedenti l'anno 1000, andarono gradualmente distrutti dalle ripetute piene dell'Adige, mentre Porcile cambiò successivamente nome in Belfiore. Zerpa, in particolare, è menzionata nel 916 in un documento con cui Berengario donava a un suo vassallo la chiesa di San Salvatore; questa chiesa fu distrutta nel 1796 durante la battaglia di Arcole. Lo stesso Berengario nel 912 aveva fatto costruire una strada, la "via Berengaria" (conosciuta in seguito come "via Porcilana" dato che passava per Porcile), che da San Martino Buon Albergo, dove prendeva inizio dalla via Postumia, raggiungeva Este e Monselice raccordandosi infine con la via Romea. La via Porcilana attraversava la Zerpa oltrepassando l'Alpone nel punto in cui ancora oggi è presente la "botte zerpana", e nel corso dei secoli fu necessario sopraelevarne la carreggiata per preservarla dalle frequenti inondazioni dovute allo straripamento dei fiumi. Nel Cinquecento la Zerpa passò sotto la proprietà dei conti Serego, che nel 1558 decisero di bonificare la zona paludosa e improduttiva. A tale scopo fu chiesto a Cristoforo Sorte di ideare un ponte canale con un dislivello artificiale che permettesse alle acque di scolo della Zerpa di oltrepassare il torrente Alpone; il ponte fu iniziato a costruire dieci anni dopo e fu terminato nel 1574. Esso fu eretto sul punto in cui già all'inizio del XVI secolo era presente un ponte dotato di torrette, forse con funzione di dogana o di chiusa. Già nel 1587, tuttavia, furono evidenziate delle problematiche che rendevano inutile l'opera; nel 1791 fu fatto un ulteriore tentativo di bonifica e fu in quell'occasione che venne costruito il ponte attuale, progettato dall'architetto veronese Simone Bombieri, dotato di una botte sifone e per questo chiamato Botte Zerpana. In assenza di documentazione diretta, a lungo si è creduto che il ponte visibile oggi fosse quello cinquecentesco, che secondo la tradizione sarebbe stato progettato da Andrea Palladio; tuttavia, nonostante sia vero che il famoso architetto abbia lavorato per i Serego nel Cinquecento, non ci sono fonti che confermano questa ipotesi. Anche Napoleone Bonaparte, dopo la battaglia di Arcole, diede ordine di prosciugare la palude, che era stata teatro degli scontri tra le sue truppe e quelle austriache, in modo da celebrare la vittoria francese. La Zerpa, tuttavia, rimase in gran parte paludosa fino all'inizio del XX secolo, quando fu costituito il consorzio di bonifica Zerpano per la sistemazione dell'area. Nel 1915 la zona, visitata da Berto Barbarani, era cosparsa di "casoni", capanni di caccia e pesca costruiti con fango e canne, e solcata da bassi canali in cui gli abitanti di Ronco all'Adige e Belfiore si inoltravano per procurarsi anguille, anatre selvatiche e altra selvaggina. La bonifica completa della Zerpa si è conclusa nel 1978 con la realizzazione di numerosi manufatti, tra cui una nuova botte idraulica che ha messo in comunicazione le acque di scolo della zona con il fiume Fratta.

Pieve della Natività di Maria
Pieve della Natività di Maria

La pieve della Natività di Maria, chiamata anche chiesa della Natività di Maria è una chiesa sussidiaria della parrocchia della Natività di Maria di Ronco all'Adige, in provincia e diocesi di Verona; fa parte del vicariato dell’Est Veronese, precisamente dell'Unità Pastorale Albaredo-Ronco. La pieve di Ronco all’Adige ha radici antiche, visto che nacque per volontà del conte Milone, il quale, sul sito dell’attuale edificio, fece edificare una cappella dedicata alla Vergine Maria nel 929. Milone, nel suo testamento, stabilì che tutti i suoi beni, in caso di mancanza di discendenza, passassero al monastero di San Zaccaria in Venezia, che doveva utilizzarli in suffragio suo, della moglie Vulperga e dei suoi parenti legittimi. Queste disposizioni furono oggetto di contrasti tra i Sambonifacio e il monastero lagunare che andarono avanti per alcuni secoli, fino al 1348, quando i monaci rinunciarono definitivamente ai beni ronchesani. Nella Bolla pontificia di Papa Eugenio III Piae Postulatio Voluntatis del 1145 la chiesa è ricordata come pieve. Il luogo di culto miloniano non subì modifiche salvo le riparazioni in seguito al terremoto del 1117, i lavori fatti eseguire dall’arciprete Galiziano nel 1181 per ripararla e i rifacimenti nel 1400, quando furono ristrutturati l’abside e il presbiterio. Con la visita pastorale dei delegati del Vescovo di Verona Gian Matteo Giberti nel 1526 si viene a sapere che la chiesa è una pieve con arciprete, che il parroco viene eletto e che vi è il giuspatronato della veneziana famiglia Cocco. In questo periodo viene costruita la canonica, demolita nel 1965. Il parroco don Girolamo Manieri fece ricostruire la chiesa nel 1583, come ricorda l’epigrafe sopra il portale d’ingresso, rimasto lo stesso anche dopo la ricostruzione del XIX secolo. Alla fine del Settecento, con parroco don Gaspare Bragadino, si decise di costruire un nuovo altare maggiore assieme all’intero presbiterio e al coro, mentre al 1708 risale la costruzione dell’altare della Madonna delle Grazie. Poco dopo il nuovo parroco don Girolamo Marini decise di ricostruire l’intera chiesa, in stile neoclassico, usando materiale di spoglio. I lavori, iniziati nel 1802 (anche se la prima pietra fu posta il 9 maggio 1805), proseguirono fino al 1892, anno della consacrazione, avvenuta il 2 luglio, del nuovo edificio per mano del Vescovo di Verona Monsignor (e futuro Cardinale) Bartolomeo Bacilieri, mentre era parroco il Beato Giuseppe Baldo. La facciata, su progetto riadattato di Adriano Cristofali, che dà direttamente sulla strada antistante, fu costruita nella sua forma attuale tra il 1903 e il 1904. Nel 1943 si decise di ampliare il tabernacolo dell’altare maggiore e nel 1949 fu inaugurato il presbiterio rinnovato. Nel 1959 fu sistemato il tetto della chiesa. In occasione dell’arrivo in parrocchia dell’urna con le reliquie del patrono della diocesi, San Zeno, tra il 2 e il 3 settembre 1963, il Vescovo di Verona Monsignor (oggi Venerabile) Giuseppe Carraro suggerì al parroco di costruire una nuova chiesa parrocchiale, cosa che avvenne a partire dal 1964. Il trasferimento della statua marmorea della Madonna nel 1967 nel nuovo edificio sacro, adiacente alla vecchia pieve e aperto al culto dal 1965, comportò l’abbandono di quest’ultima, con conseguente degrado, visto che fu trasformata in un magazzino. Nel 2002 si decise di intervenire con un restauro totale del tempio, secondo il progetto dell’ingegnere Alberto Maria Sartori. I lavori durarono fino al 2005 e riportarono la chiesa a nuovo splendore, destinandola ad usi civici La facciata a capanna, su disegno riadattato del Cristofali, in stile neoclassico, è rivolta a nordest. Quattro grandi lesene con capitelli corinzi, poggianti su alte zoccolature, sostengono il timpano con cornice a dente di sega, al cui vertice superiore svetta una grande Croce. Al centro della facciata vi è il portale d’ingresso, con timpano, risalente alla chiesa cinquecentesca. Non esiste più la gradinata di accesso ad esso, contenente reperti romani, andati perduti dopo l’asportazione della stessa negli anni Sessanta del XX secolo. Questo rende tale ingresso inutilizzabile. L’interno è un’unica aula con quattro cappelle laterali. La copertura è costituita da una volta a botte, mentre il pavimento è in lastroni di pietra bianca con motivo geometrico a cornice grecata costituito da intarsi in marmo rosso Verona. Il prospetto interno è ritmato da lesene con capitelli ionici su cui è impostata la trabeazione presente nell’intero perimetro. In controfacciata è presente il soppalco ligneo della cantoria. Dei quattro altari laterali due (quelli della Madonna delle Grazie e del Crocifisso) risalgono al 1719, mentre gli altri sono più recenti. L’altare di maggiore pregio è quello della Madonna delle Grazie, il primo a destra, in marmo finemente lavorato e con nicchia che accoglieva la statua della Madonna, oggi nella nuova chiesa parrocchiale. Presso questo altare vi sono due iscrizioni. Quella a sinistra, voluta dal parroco Beato don Giuseppe Baldo, ricorda la scampata esondazione dell’Adige nel 1882, mentre quella di destra, voluta dal parroco don Agostino Frigo, ricorda il pericolo corso a causa del fiume nel novembre 1719. La decorazione della chiesa è del pittore Adometti, mentre i grandi affreschi sono del pittore Gaetano Miolato e risalgono al 1923, su modelli di Ludovico Seitz. Nell’aula troviamo, a sinistra, partendo dal presbiterio, la Comunità orante (firmato e datato) e lo Sposalizio della Vergine’’, mentre sul lato destro troviamo ‘’Gesù tra i dottori del Tempio e la Fuga in Egitto. Fra queste due opere è collocato il pulpito. Altri affreschi di Miolato, sul lato sinistro, sono l'Annunciazione, la Visita della Vergine Maria a Santa Elisabetta e la Natività. Le vetrate delle quattro finestre a lunetta erano state dipinte da Agostino Pegrassi, ma dopo l’abbandono della chiesa si sono frantumate. Il presbiterio è a base quadrangolare, rialzato di due gradini rispetto all’aula e coperto da una volta a botte con unghie laterali con quattro tondi dove sono raffigurati angeli e simboli sacri. La luce naturale viene introdotta in questa zona dell’edificio da due finestre rettangolari. Il pavimento è in quadrotte di marmo chiaro a corsi diagonali all’interno di un reticolo realizzato con listelli in breccia rosata e tozzetti quadrati in marmo venato nei punti d’intersezione. Nel presbiterio Miolato dipinse una Deposizione di Gesù, una Discesa dello Spirito Santo e una Incoronazione della Vergine in una lunetta. La Natività di Maria è invece una copia di quella nella nuova chiesa. Il campanile è in stile romanico ed è addossato alla parete di fondo del presbiterio. A pianta quadrata, ha un fusto massiccio in mattoni di laterizio a vista, mentre la cella campanaria ha una bifora per lato (di cui risultano parzialmente tamponata quella di nordest). La copertura è a pigna in laterizio, su cui svetta una Croce metallica con banderuola segnavento. Risulta circondata da quattro pinnacoli agli angoli, con Croci metalliche. La torre è stata restaurata nel 1958 e presenta numerosi resti romani, soprattutto nel basamento, tra cui un’ara con iscrizione in latino. I reperti romani perduti della scalinata d’ingresso alla chiesa costituivano un tutt’uno con quelli del campanile. Il concerto campanario presente oggi sulla torre è composto da 6 campane in RE3, montate veronese e a doppio sistema, cioè suonabili sia manualmente sia elettricamente. Questi i dati del concerto: 1 – RE3 – diametro 1264 mm - peso 1153 kg - fusa nel 1894 da Cavadini di Verona. 2 – MI3 – diametro 1100 mm - peso 797 kg - fusa nel 1838 da Cavadini di Verona. 3 – FA#3 – diametro 993 mm – peso 594 kg - fusa nel 1913 da Cavadini di Verona. 4 – SOL3 – diametro 924 mm – peso 476 kg - fusa nel 1838 da Cavadini di Verona. 5 – LA3 – diametro 822 mm – peso 334 kg – fusa nel 1838 da Cavadini di Verona. 6 – SI3 – diametro 710 mm – peso 210 kg – fusa nel 1988 da Capanni di Castelnovo ne' Monti (RE). Viviani Giuseppe Franco (a cura di), Chiese nel veronese 2°, Verona; Vago di Lavagno, Società Cattolica di Assicurazione – La Grafica Editrice, 2006. Pietro Gentile, Campane di Ronco all'adige (Vr), su youtube.com.

Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo (Ronco all'Adige)
Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo (Ronco all'Adige)

La chiesa dei Santi Filippo e Giacomo è la chiesa parrocchiale di Scardevara, frazione del Comune di Ronco all’Adige, in provincia e diocesi di Verona; fa parte del vicariato dell’Est Veronese, precisamente dell'Unità Pastorale Albaredo-Ronco. La chiesa dei Santi Filippo e Giacomo si sviluppò nell’XI secolo su un’isola del fiume Adige per opera di alcuni monaci benedettini stanziati in loco già dal secolo precedente. Da questa piccola comunità monastica si sviluppò successivamente la comunità locale, che veniva a trovarsi in una zona paludosa. Il terremoto del 1117 portò alla sostituzione del precedente edificio sacro con uno nuovo con funzione di pieve, in collegamento con le vicine pievi in stile romanico veronese di San Salvatore in Zerpa, di San Michele in Belfiore, di Santa Maria in Ronco all’Adige e di Sant’Ambrogio in Tombasozana. La chiesa viene citata come pieve nella Bolla pontificia di Eugenio III del 1145, riguardante la diocesi veronese, la Piae Postulatio Voluntatis. Per la costruzione del nuovo edificio sacro si usò materiale del precedente e l’attuale chiesa va datata alla metà del XII secolo e fu costruita da maestranze veronesi. Nel 1389 i benedettini abbandonarono Scardevara per ritirarsi a Verona a San Fermo Minore, mentre quasi un secolo dopo (prima domenica di agosto del 1490) verrà consacrato l’altare maggiore, dopo che vi erano stati rinnovamenti interni dell’edificio. Le visite pastorali ci danno altre informazioni, come quella del 1526 del Vescovo di Verona Gian Matteo Giberti, in cui sono citati per la prima volta i santi titolari e in cui si denuncia il cattivo stato del tetto dell’edificio, nonché il fatto che all’interno cresceva l’erba e gli animali potessero entrare. Qualche anno più tardi, nel 1530, fu rifatto il pavimento e nel 1532 si predisposero i materiali per restaurare il tempio. Momento importante fu quello che avvenne il 20 maggio 1612, con la stipula dell’erezione della parrocchia di Scardevara, smembrandola da quella di Ronco all’Adige. La chiesa versa ancora in cattive condizioni a metà del XIX secolo, come denuncia il parroco all’Amministrazione Comunale. In realtà passarono ancora alcuni decenni fino ad arrivare al 1899, quando il Comune decise di compiere alcuni lavori urgenti. Fu proprio in questa occasione che si decise di dare all’aula liturgica un aspetto notevolmente diverso dall’originale. Molto del materiale altomedievale presente fu riutilizzato come materiale di spoglio e collocato in posizione diversa rispetto a quella originale. Altri lavori furono compiuti nel 1922 con la sistemazione del tetto, con un restauro generale nel 1975 e nel 2005-2006 con un intervento di manutenzione della facciata, delle absidi e, in parte, dell’interno. La facciata a capanna è stata costruita con corsi alternati di conci squadrati di tufo e filari di mattoni di laterizio. Al centro sorge il portale d’ingresso con arco a tutto sesto, sovrastato da un protiro con nicchia trasformata in monofora. Questa parte della facciata è stata ristrutturata tra il Quattrocento e il Cinquecento. Ai lati del protiro vi sono due monofore cieche, mentre in alto, in asse con esso, vi è un piccolo oculo lavorato come un rosone che introduce la luce naturale nella chiesa. Lungo i spioventi è visibile la decorazione ad archetti pensili e al culmine della facciata è collocata una grande Croce metallica. I prospetti esterni delle pareti sono quelli tipici del romanico veronese, con paramento murario a vista, con corsi alternati di mattoni e pietra. Interessante è la zona absidale, rimasta praticamente intatta, richiamando elementi presenti a San Fermo Maggiore in Verona e nella pieve di Tombasozana. Anche qui il coronamento presenta, come in facciata, archetti pensili ed è evidente la bicromia dovuta all’uso del cotto e del tufo. Al di sotto sono presenti tre absidi, con la centrale scandita da lesene con capitelli scolpiti. Ogni abside presenta una monofora strombata, mentre sopra quella maggiore vi è una finestra a forma di croce. L’interno della chiesa, in stile neoclassico, stravolto tra la fine dell’Ottocento e il XX secolo, si presenta a navata unica con tre absidi, e con pianta a croce latina grazie alle due piccole aule laterali che hanno ampliato nel tempo l’edificio. Le pareti sono ritmate da lesene d’ordine tuscanico, su cui è impostata la trabeazione che si sviluppa per l’intero perimetro dell’aula. Nella parte inferiore delle pareti vi è una zoccolatura bassa in marmo rosso Verona, mentre in alto vi sono delle finestre a lunetta che introducono la luce naturale nell’edificio sacro. Il pavimento è in quadrotte alternate di granito grigio e rosso posate in corsi diagonali, mentre il soffitto dell’aula è costituito da una grande volta a padiglione con dipinto al centro. A metà dell’aula si aprono due cappelle laterali, una di fronte all’altra, in cui si trovano rispettivamente sul lato sinistro l’altare di San Giuseppe e sul lato destro l’altare della Beata Vergine Maria. All’interno della chiesa vi sono due dipinti donati nel XX secolo. Uno è la tela dell’Assunzione della Vergine attribuita ad Alessandro Turchi detto l’Orbetto; l’altro, sul lato sinistro rispetto all’ingresso, è la Visita di Maria a Santa Elisabetta, di autore veneto. In una nicchia vi è una statua della Maternità, mentre con i restauri del 2006 è affiorato un affresco con alcuni santi. Tra di essi ben riconoscibile è San Nicola di Bari, con ai piedi una imbarcazione, a conferma della presenza di barcaioli in zona in quanto protettore dei naviganti. Il braccio destro del pseudo-transetto è utilizzabile dai fedeli e vi sono collocati i confessionali, mentre in quello sinistro vi è l’organo. Il presbiterio, rialzato di due gradini rispetto all’aula, è pavimentato con lastre di granito rosso e presenta una volta a crociera. L'intervento di adeguamento liturgico, avvenuto tra il 1975 e il 1980, ha portato all'installazione di un nuovo altare in marmo rivolto verso l’assemblea, a lato del quale sono collocati a sinistra l’ambone e a destra il fonte battesimale. Rialzata di un gradino è la sede del celebrante costituita da sedili mobili in legno intagliato. La chiesa termina con le tre absidi a sviluppo semicircolare. In quella centrale, salendo una doppia rampa con quattro gradini, si accede all’altare su cui è collocato il tabernacolo, tutti elementi probabilmente recuperati dall'altare maggiore antecedente il Concilio Vaticano II. Sul lato sinistro del presbiterio è collocata la sacrestia. Il campanile, risalente al primo decennio del XX secolo e addossato alla struttura attaccata al fianco nord del presbiterio, ha base quadrangolare e presenta un fusto con mattoni a vista. La cella campanaria ha una bifora per lato ed è coronata da quattro pinnacoli con Croce metallica, mentre la copertura a pigna è in laterizio, al cui culmine vi è una grande Croce metallica. In precedenza aveva la forma di torre. Il concerto campanario presente oggi sulla torre è composto da 6 campane in FA#3, montate veronese e a doppio sistema, cioè suonabili sia manualmente sia elettricamente. Questi i dati del concerto: 1 – FA#3 – diametro 970 mm - peso 514 kg - fusa nel 1909 da Cavadini di Verona. 2 – SOL#3 – diametro 870 mm - peso 361 kg - fusa nel 1909 da Cavadini di Verona. 3 – LA#3 – diametro 770 mm – peso 257 kg - fusa nel 1909 da Cavadini di Verona. 4 – SI3 – diametro 720 mm – peso 210 kg - fusa nel 1909 da Cavadini di Verona. 5 – DO#4 – diametro 640 mm – peso 146 kg – fusa nel 1909 da Cavadini di Verona. 6 – RE#4 – diametro 584 mm – peso 104 kg – fusa nel 2017 da Allanconi di Bolzone di Ripalta Cremasca.. Viviani Giuseppe Franco (a cura di), Chiese nel veronese 2°, Verona; Vago di Lavagno, Società Cattolica di Assicurazione – La Grafica Editrice, 2006. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa dei Santi Filippo e Giacomo

Chiesa di Sant'Abbondio alla Motta

La chiesa di Sant’Abbondio alla Motta è una chiesa sussidiaria della parrocchia di Sant’Abbondio in San Bonifacio, in provincia e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Sede plebana, la chiesa di Sant’Abbondio sorge sulle propaggini della Motta, una modesta altura separata dal centro attuale di San Bonifacio dal torrente Alpone dove sorgeva il castello, documentato per la prima volta nel 955 nel testamento del conte Milone. Nel castello era presente una cappella gentilizia dedicata a San Bonifacio, oggi scomparsa, che diede il nome sia alla località sia alla famiglia dei Conti e che probabilmente fu in origine il luogo di culto cristiano della prima comunità residente nel castello. Con la pace di Fontaniva del 1147 i vicentini, per l’aiuto ricevuto nella guerra contro i padovani, ricevettero un esteso territorio, modificando il confine fino ad allora segnato dall’Alpone dal punto di vista politico. Questo non ebbe valore a livello diocesano, con Sant’Abbondio pieve appartenente a Vicenza. Quando Alberto Sambonifacio fece testamento il 15 febbraio 1135 lasciò tutti i suoi beni nel veronese e nel vicentino all’Abbazia di Villanova, ignorando la pieve di Sant’Abbondio, probabilmente perché quest’ultima non esisteva ancora. In ogni caso tale lascito da parte di Alberto fu motivo di una lite tra parrocchia e abbazia che si concluse solo alla chiusura del monastero di Villanova nel 1771. Il primo documento che parla della pieve di Sant’Abbondio risale al 30 agosto 1177 e, nel 1208, si cita la chiesa e le mura che proteggevano l’abitato, costituitosi in libero comune, con la vicinia, l’assemblea degli abitanti che si radunava nella piazza di fronte all’edificio ecclesiastico. Se la comunità era riuscita ad ottenere una certa autonomia dai Conti, fa invece pensare la dedicazione del luogo di culto ad un santo lombardo. Si può spiegare come un’ingerenza dei Sambonifacio, visti i loro antichi legami con la Lombardia. La pieve, in quegli anni, era una collegiata, cioè con un certo numero di presbiteri che vivevano in comune in un edificio annesso alla chiesa, forse collegato dalla porta visibile sul lato meridionale, oggi murata. Gli inizi del XIII secolo furono un periodo difficile, tanto che nel 1207 il castello fu assediato dai Montecchi, nemici dei Conti, e la situazione per il borgo fu più difficile. A questo periodo risale lo spostamento della sede parrocchiale al di là dell’Alpone, nella più grande Santa Maria. Nonostante l’abbandono del castello da parte dei Sambonifacio nel 1243, la chiesa continuò ad essere frequentata come dimostrano gli affreschi che vanno dalla fine del XIV secolo al 1526. Per salvaguardare la chiesa, intorno al 1500 fu creata la Confraternita di Sant’Abbondio, che vi mantenne un cappellano fino alla fine del XVII secolo. Successivamente la chiesa fu pian piano abbandonata, salvo una Messa che veniva celebrata dall’arciprete il 31 agosto, festa del santo comasco, oltre alla tradizione di compiere una processione che partiva dall’antica pieve per dirigersi verso Santa Maria Maggiore all’insediamento del nuovo parroco. Solo nel 1900 iniziarono dei lavori di restauro, progettati dall’ingegnere Antenore Mazzotto, che diedero alla chiesa l’attuale aspetto medievale, eliminando aggiunte successive come le due finestre ai lati dell’ingresso e aggiungendo nuovi elementi come il protiro all’ingresso, il rosone a raggiera, gli archetti pensili e la porta sul lato nord. Il tetto a capriate fu ricostruito in questo periodo, mentre il pavimento fu portato alla quota originale. Il 20 settembre 1903 il Vescovo di Vicenza Antonio Feruglio consacrò il nuovo altare maggiore. Da allora la chiesa è stata utilizzata salutariamente La facciata, rivolta ad ovest, originariamente, doveva essere a capanna, con protiro pensile, una bifora al posto del rosone e archetti rampanti, forse come nella chiesa parrocchiale di Scardevara. La muratura è ancora quella originaria, con corsi orizzontali di mattoni alternati da filari di blocchi squadrati di pietra calcarea, come nell’Abbazia di Vilanova, al Santuario della Madonna della Strà in Belfiore o nella già citata chiesa dei Santi Filippo e Giacomo in Scardevara, tipica del romanico veronese del XII secolo. Il lato sud, adiacente alla corte di palazzo Scudellari, è rimasto com’era, con corsi paralleli di blocchi calcarei squadrati in maniera grossolana e tre finestrelle a doppia strombatura. Una finestra dello stesso tipo è l’unica a nord. I grandi blocchi angolari sembrano poi essere simili a quelli del campanile di Villanova, costruito nel 1149. Questo fa ipotizzare che la chiesa sia stata costruita da maestranze attive in quegli anni nella vicina Abbazia e nell’antica chiesa belfiorese. L’interno, a navata unica, presenta numerosi affreschi. A sinistra dell’ingresso vi sono, su due livelli, degli ex voto databili tra il 1491 e il 1526 raffiguranti varie Madonne in trono con il Bambino Gesù, vari Sant’Abbondio, Santa Lucia, Sant'Antonio Abate, Sant'Antonio di Padova, Sant'Agata (senza testa) e San Bartolomeo. Spesso vi è il nome del donatore, che in alcuni dipinti è presentato al santo. Sopra l’arco trionfale vi è il dipinto più antico, una Annunciazione risalente tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV secolo, mentre nel catino absidale è raffigurante la Santissima Trinità con fasci di luce, angeli e i simboli dei Quattro Evangelisti. Al di sotto vi sono alcuni santi in riquadri incorniciati, come Santa Lucia, Sant’Antonio Abate, Sant'Agapito, San Bovo, San Francesco d'Assisi, Santa Caterina, San Bartolomeo, datati 1491. Vi è anche una Madonna col Bambino, che risulta, da un’iscrizione, dipinta da Pietro di Marino. Secondo il Simeoni l’autore di questa e altre pitture nell’edificio sacro e lo stesso che lasciò altre sue opere in chiese della zona, tra cui Santa Maria Fossa Dragone in Monteforte. Risalente al Quattrocento è anche Sant’Agata sul lato destro dell’arco trionfale, mentre, sempre di Pietro di Marino, sulla parete meridionale, è una scena molto rovinata con soldati e San Pietro Martire. Sulla controfacciata vi sono due statue lignee policrome risalenti al XVIII secolo raffiguranti San Bonifacio e San Tommaso d'Aquino, recentemente restaurate. La statua lignea nella nicchia sul lato meridionale rappresenta il titolare della chiesa, Sant’Abbondio. Nel tempo era stato aggiunto un campanile a vela, rimosso nei lavori di restauro del 1900. In quell’occasione, a nord della chiesa, verso la zona absidale, fu eretto nel 1903 un nuovo campanile, progettato dall’ingegnere Antenore Mazzotto. A base quadrata, presenta file di mattoni alternati a blocchi bianchi in pietra. La cella campanaria, contraddistinta da una cornice marcapiano, vede la presenza di bifore e presenta archetti rampanti al coronamento. La copertura è a pigna, circondata da quattro pinnacoli e coronata da una croce metallica. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. San Bonifacio Parrocchie della diocesi di Vicenza Diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Chiesa di Sant'Abbondio alla Motta, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Chiesa di Santa Maria Maggiore (San Bonifacio)
Chiesa di Santa Maria Maggiore (San Bonifacio)

La chiesa di Santa Maria Maggiore, nota anche come duomo o come chiesa di Sant'Abbondio, è una chiesa parrocchiale di San Bonifacio, in provincia di Verona e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Il primo documento che cita la chiesa di Santa Maria è un atto del 1222. Essa si trovava dove sorge l’attuale luogo di culto, fuori dal castello dei Sambonifacio, in località Corubio. La chiesa, probabilmente di dimensioni simili a quella plebana di Sant’Abbondio, fu edificata a causa delle vicende del castello dei Sambonifacio, obiettivo militare che non garantiva come in passato protezione alla popolazione. Infatti, nel XIII secolo, prima i Montecchi e poi Ezzelino III da Romano assediarono più volte il castello, devastando i dintorni. Al 1241 risale la notizia di un cimitero attorno alla chiesa e di scolari istruiti dall’arciprete in modo che potessero diventare chierici per il servizio liturgico. Nel XIV secolo le notizie sono scarse, ad eccezione della questione della divisione delle decime con l’Abbazia di Villanova. Nella mappa del territorio sambonifacese del 1452 è raffigurata la chiesa di Santa Maria Maggiore, con un oculo in facciata, rivolta ad ovest, due cappelle per lato, e il campanile addossato al lato nord del presbiterio. Proprio agli inizi del Quattrocento, in quanto incapace di contenere i fedeli in seguito alla crescita del centro abitato, era stata ampliata. Per ottenere i fondi necessari il Comune, ottenuta l’autorizzazione del doge Tommaso Mocenigo nel 1417, obbligò i residenti abbienti a contribuire alla costruzione. Successivamente il titolo plebano passò alla chiesa di Santa Maria Maggiore anche se le visite pastorali antecedenti al Concilio di Trento ricordano che l’antica pieve era Sant’Abbondio alla Motta. La chiesa quattrocentesca, ampliata con cappelle sia nel XVI secolo sia nel XVII, risultò nel Settecento inadeguata a contenere i fedeli. Inoltre, la visita pastorale del Vescovo di Vicenza Antonio Marino Priuli del 1745 denunciò il cattivo stato dell’edificio, nonché la volontà della comunità sambonifacese di costruire una chiesa più grande, seppur mancando un'area dove costruirla accanto all’antica. L’unica soluzione che fu trovata per evitare di non avere un luogo di culto per un lungo periodo fu quella di costruire la nuova chiesa attorno alla vecchia, in modo che avrebbe potuto continuare ad essere officiata. Il disegno dell’edificio da costruire fu presentato alla comunità nel 1752 dall’arciprete e la Vicinia diede parere favorevole. Il 22 marzo 1753 l’arciprete Gio. Batta Sgreva, autorizzato dal Vescovo Priuli, benedì la prima pietra della nuova chiesa. La facciata fu la prima parte ad essere completata. Seguirono quasi dieci anni di attività ridotta, a causa della scarsità di risorse, ma probabilmente anche per l’incertezza su come procedere con la costruzione, visto che, per l’avanzamento dei lavori, bisognava demolire parti importanti della vecchia chiesa come la cappella settentrionale della crociera, la sacrestia e il campanile. Solo dopo la morte di don Carlo Cegani, nel 1778, e il conseguente arrivo del nuovo arciprete, don Bernardino Piperata, la costruzione riprese con slancio. Nel 1780, per costruire la cappella di sinistra, si decise di abbattere la parete sinistra della vecchia chiesa e, nel 1784, il campanile cinquecentesco tinto di rosso. Nel 1803 fu completata la nuova sacrestia a nord del presbiterio e nel 1825 l’attuale edificio si può dire completato nelle strutture murarie. Rimanevano da completare gli altari (erano stati riutilizzati quelli della chiesa vecchia) e ci si vide costretti ad ulteriori ampliamenti e aggiunte. Sicuramente nel 1822 la vecchia chiesa esisteva ancora, come testimonia la visita pastorale del Vescovo di Vicenza Giuseppe Maria Peruzzi, seppur fosse stata gradualmente rimossa la copertura e il nuovo luogo di culto era in avanzata fase di costruzione. Nel 1883, dopo 130 anni dall’inizio dei lavori (inizialmente ne erano stati preventivati una ventina), la chiesa fu consacrata alla presenza del Patriarca di Venezia e Cardinale Domenico Agostini. Tra il 1887 e il 1895 sorse la nuova sacrestia sul lato sud del presbiterio, trasformando quella sul lato nord in un Oratorio. Il 21 gennaio 1995 la chiesa ottenne il titolo di duomo, mentre l’ultimo restauro risale tra il 2002 e il 2003. La facciata della chiesa è divisa in due ordini, come capita nelle chiese di impostazione tardo rinascimentale e barocca. Nel primo ordine sei lesene ioniche, poggianti su basamenti, reggono l’architrave, ma solo quattro sostengono il timpano, ai cui lati e sul cui culmine trovano posto tre statue acroteriali raffiguranti a sinistra San Pietro, a destra San Giovanni Battista e al centro la Beata Vergine Maria. La parte superiore della facciata, al cui centro è presente una finestra rettangolare culminata da un timpano, risulta accordata a quella inferiore sui lati tramite delle forme curvilinee. Nel livello inferiore vi è, al centro, la grande porta d’ingresso rettangolare, sormontata da un timpano sostenuto da mensole, mentre ai lati tra due lesene, vi sono due nicchie con le statue di Sant’Abbondio e San Bonifacio, risalenti al XVIII secolo. Sono opera di uno scultore anonimo e collocate intorno al 1769, anno di completamento della facciata, come riportato nella lapide commemorativa posta sopra il timpano del portale. La facciata è ispirata alla tradizione delle chiese della Controriforma e un’opera molto simile è il prospetto della chiesa veronese di San Paolo in Campo Marzio, opera di Alessandro Pompei, antecedente di qualche anno, seppur con degli errori (disegno delle lesene, capitelli dalle forme poco “classiche”) dovute alla modesta preparazione dell’autore. Per queste mancanze e per il gusto cambiato nel frattempo fu nominato nel 1779 il veronese Pietro Maderna come progettista della chiesa e del campanile, ma, per non cadere negli errori compiuti in precedenza, la committenza interpellò due tra i più importanti architetti veronesi del tempo: il conte Ignazio Pellegrini e Adriano Cristofali. Sarà il primo ad apportare le modifiche per aggiornare e adattare il progetto del Maderna. La chiesa presenta una pianta a croce latina con tre cappelle per lato: due a pianta rettangolare e una absidata nel transetto. Evidente è la differenza di stile tra la facciata e l’interno, che richiama l’architettura di Andrea Palladio, in particolare la veneziana Basilica del Redentore molto ampio e luminoso, ad aula unica. Su tutto il perimetro della chiesa si presentano colonne slanciate e semicolonne composite alternate a lesene, che sostengono una trabeazione elaborata. Il pavimento è a scacchiera nella navata e nelle cappelle, con rombi in marmo rosso e bianco su progetto dell’ingegnere Antonio Zanella. Nella parte alta della navata sono presenti delle finestre rettangolari, due per lato, nelle cappelle a base rettangolare delle finestre a lunetta e nelle grandi cappelle del transetto le finestre termali a introdurre la luce naturale nel tempio cattolico. Nel 1834 l’ingegnere Ernesto Vanzetti progettò l’ampliamento e l’innalzamento delle quattro cappelle a base rettangolare. Per esse l’architetto Antonio Diedo progettò i quattro altari, tutti uguali, con due colonne corinzie che vanno a reggere un timpano. Nelle due grandi cappelle del transetto in origine erano stati collocati gli altari più grandi della vecchia chiesa, quello del Salvatore (1687) e della Madonna del Santo Rosario, ma nel 1841 furono venduti alla parrocchia di Brognoligo. Nel 1843 fu sempre l’architetto Diedo a progettare i due nuovi altari, simili a quelli delle cappelle, ma più grandi. Entrando dall’ingresso in facciata, sul lato sinistro abbiamo il primo altare con la Pala di Sant'Antonio Abate e San Pietro Martire di pittore ignoto, probabilmente della seconda metà del Seicento. Il secondo altare presenta la Pala del Sacro Cuore di Gesù, eseguita intorno al 1925 dal pittore veronese di origine trentina Carlo Donati. Interessante come sia raffigurata nella parte inferiore dell’opera sia rappresentato l’insediamento di un nuovo arciprete dalla chiesa di Sant’Abbondio alla Motta a Santa Maria Maggiore. Nell’altare del transetto sinistro è collocato un altorilievo ligneo del 1982, La Chiamata, opera di Nello Sofia, e una statua in pietra di Vicenza di scultore ignoto raffigurante Sant’Abbondio, risalente alla metà del Quattrocento, un tempo nella chiesa dedicata al santo comasco e che prima del restauro del 1997 era coperta da due strati di colore marrone che ne alteravano l’aspetto. In prossimità dell’altare del transetto sinistro è stata collocata la Pala di Sant’Abbondio, attribuita al pittore veronese Marcantonio Bassetti e restaurata nel 1982, mentre tra questa cappella e il presbiterio vi è una statua lignea di San Cristoforo. Nel primo altare sul lato destro è custodita la Pala di San Rocco, opera attribuita a Bonifacio Veronese, forse la più importante opera d’arte della chiesa. Viene citata per la prima volta nelle fonti nel 1535, quando viene affidata la doratura della cornice a Francesco Badile. Il dipinto fu commissionato dalla Confraternita di San Rocco dopo la peste del 1527 e fu restaurato nel 1988. Nel secondo altare è collocata la Pala della Madonna della Salute, opera del 1837 del pittore Domenico Vicari. Nella cappella del transetto destro l’altare custodisce la Pala dell’Assunta, opera di Aurelio Fabi, commissionata nel 1674 per essere collocata sull’altare maggiore della vecchia chiesa. Fu restaurata nel 2000. Sempre nella cappella del transetto, sull’altare, è posta una statua lignea della Madonna del Rosario, di autore ignoto, eseguita all’inizio del Novecento. Tra la cappella del transetto e il presbiterio vi è un’edicola in legno che contiene una piccola scultura, la ‘’Pietà’’, di autore ignoto e della prima metà del Quattrocento. Nell’ambito delle Pietà di scuola tedesca, una simile, datata 1430, è conservata nell’abbazia di Villanova. Nel 1793 furono erette le due isolate colonne che reggono l’arco trionfale a serliana e la copertura del presbiterio, ma per completare quest’ultima fu richiesta la consulenza dell’architetto veronese Luigi Trezza. Il presbiterio, delimitato dalle già citate due colonne e rialzato di alcuni gradini rispetto alla navata, ha base quadrata, su cui si affacciano quattro archi identici, tra cui quello dell’abside, soluzione che si trova in altre chiese del territorio come quelle di Monteforte (1804), Caldiero (1831) e Montecchia di Crosara (1840). Il pavimento è in marmo bianco, rosso e nero, posati con motivi geometrici tridimensionali, mentre sulla volta a crociera sovrastante sono dipinti i Quattro Evangelisti e al centro lo Spirito Santo, opera del pittore Silvio Alberto Albertini (1944). Due finestre termali e altre due monofore introducono la luce naturale nel presbiterio. Sulla balaustra sono collocati i due leggii, di cui quello a sinistra funge da ambone, mentre al centro vi è l’altare ligneo posto dopo l’adeguamento liturgico provvisorio postconciliare. Sul paliotto presenta Gesù fra i dottori nel Tempio. L’altare maggiore preconciliare, posto oggi dietro la sede del celebrante, fu progettato dall’architetto Diedo nel 1847, anno della sua morte. A portare a compimento l’opera fu l’ingegnere soavese Antonio Zanella, che terminò i lavori nel 1852, come inciso sul retro dell’altare. Le due statue degli angeli oranti e quella del Cristo Salvatore (in origine all’apice del frontone dell’edicola) furono realizzate nel 1848 dallo scultore veronese Innocenzo Fraccaroli. Nell’abside a base semicircolare è posta un’altra Pala di Sant’Abbondio, opera del pittore soavese Adolfo Mattielli (XX secolo), con la parte inferiore raffigurante la chiesa di Santa Maria Maggiore, quella di Sant’Abbondio alla Motta e una fantasiosa ricostruzione del castello di San Bonifacio. Inoltre, riporta i nomi di Antonio e Maria Scudellari, forse i committenti dell’opera. Sopra la tela del Mattielli vi è un tondo in pietra di Vicenza al cui interno è scolpita una Madonna col Bambino, attribuito ad Antonio da Mestre, databile alla prima metà del XV secolo. Nel catino absidale trova posto la prima opera d’arte che arricchì la chiesa ancora in costruzione, la Cacciata degli angeli, affrescata tra il 1802 e il 1803 dal pittore veronese Pio Piatti, allievo di Giambettino e Felice Cignaroli. L'organo presente all'interno della chiesa, con due corpi contrapposti nell'abside, è il Mascioni opus 799, costruito nel 1960. Questo strumento dispone di 31 registri, tra cui una percussione (campane) al pedale. L'organo, da fonti, ha subito un restauro con l'aggiunto degli annullatori. La chiesa quattrocentesca disponeva di un campanile che, dalla mappa del territorio sambonifacese del 1452 risulta a pianta quadrata, addossato al presbiterio, con cella campanaria aperta da bifore e copertura conica, con pinnacoli agli angoli, su cui svetta la croce. Si sa che tale torre era stata dipinta di rosso nel XVI secolo e fu abbattuta nel 1780 per costruire la cappella di sinistra del transetto. Un campanile provvisorio in legno, con basamento murario, alto circa 9-10 metri (dalla documentazione si apprende che arrivava al primo cornicione della facciata) fu costruito nel 1784, capace di ospitare le campane e l’orologio. Svolse la sua funzione fino al 1826. Per la costruzione della nuova torre campanaria, che oggi svetta a nord rispetto alla chiesa, di qualche metro arretrata rispetto alla facciata, si decise di non utilizzare il progetto del Maderna, in quanto ritenuto superato, e fu richiesto l’intervento dell’architetto Carlo Barrera. I lavori iniziarono nel 1812, come riportato anche sulla porta d’accesso, e si conclusero nel 1826. Il campanile, alto 64 metri, una base in pietra a pianta quadrata, il fusto in mattoni incorniciato, come l’orologio, da fasce di pietra. La cella campanaria presenta una monofora per lato a tutto sesto, chiusa da balaustra, e la trabeazione è sostenuta da due coppie per lato di paraste ioniche. Su un basamento a pianta ottagonale si eleva la cuspide conica, a suo tempo rivestita in rame, rifatta in cemento nel 1951, alla cui sommità vi è la croce con banderuola segnavento Sul basamento della torre è inserita un’ara romana, probabilmente recuperata durante la demolizione della chiesa quattrocentesca. Dedicata a Mercurio, nella parte superiore presenta un kantharos, una coppetta a destra e a sinistra una daga, mentre un festone superiore separa dalla parte inferiore. L’ara fu voluta da Iuvenzia, madre di Vittorio Festo e Vittorio Severo come scioglimento di un voto. Questi due fratelli sono citati anche in un’epigrafe scoperta a Soave, dalla quale si apprende che erano seviri augustali. Il concerto campanario oggi collocato nella torre risulta composto da 8 campane in DO3 montate alla veronese ed elettrificate. Questi i dati del concerto: 1 – DO3 - diametro 1390 mm - peso 1550 kg - Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 2 – RE3 - diametro 1231 mm - peso 1080 kg – Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 3 – MI3 – diametro 1083 mm - peso 730 kg - Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 4 – FA3 – diametro 1011 mm - peso 600 kg - Fusa nel 1935 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 5 – SOL3 – diametro 904 mm - peso 430 kg - Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 6 – LA3 – diametro 812 mm - peso 310 kg - Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 7 – SI3 – diametro 767 mm - peso 260 kg - Fusa nel 1964 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 8 – DO4 – diametro 717 mm - peso 210 kg - Fusa nel 1964 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI). Nel 1829 le campane erano cinque in MI3, fuse da Cavadini di Verona, che le rifuse successivamente in RE3 Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. Sancassani Pietro, Le mie campane. Storia di un’arte e di una tradizione del Millenovecento, a cura di Rognini Luciano, Sancassani Laura, Tommasi Giancarlo, Verona, Offset Print Veneta, 2001. Luigi Gardoni, Diario Veronese (1826-1850), a cura di Nicola Patria, Verona, Archivio Storico Curia Diocesana, 2010. San Bonifacio (Italia) Diocesi di Vicenza Parrocchie della diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Santa Maria Maggiore Parrocchia di S.BONIFACIO-S.ABBONDIO, su pmap.it. URL consultato il 20 luglio 2020.

Oratorio di San Giovanni Bosco

L’oratorio di San Giovanni Bosco è una chiesa sussidiaria della parrocchia di Sant’Abbondio a San Bonifacio in provincia di Verona e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Nel 1906 la parrocchia di Sant’Abbondio acquistò un terreno per far sorgere un oratorio per i ragazzi. Successivamente gli spazi aumentarono grazie all’acquisto di altro terreno. Furono costruiti un teatro, una scuola e sistemato un campetto da calcio. Quando Papa Pio XI, nel 1934, beatificò don Giovanni Bosco, fu posta la prima pietra di questo oratorio dedicato a lui, primo edificio in Veneto con tale intitolazione. Il progetto della chiesa è dell’ingegnere (ex salesiano) Livio Martinelli con la partecipazione di Giuseppe Lussana, Pietro Zanella, Nello Bertagnin (che realizzò anche gli affreschi con il professor Albertini) e Nello Sofia. L’edificio fu inaugurato l’8 settembre 1935. La facciata a capanna, in pietra bianca lungo i contorni e a mattoni a vista nella parte centrale, presenta un portale con protiro e lunetta con l’immagine di San Giovanni Bosco. Ai fianchi del portale due finestre allungate, mentre in alto vi è un rosone. Sopra, una cornice di archetti pensili, mentre sul vertice della facciata sorge una croce. La chiesa si presenta a navata unica, con varie aperture su entrambi le pareti e copertura a capriate lignee. Delimitato da una balaustra vi è il presbiterio con l’altare maggiore e, in una nicchia, la statua di San Giovanni Bosco. Sulla parete retrostante il presbiterio vi sono degli affreschi di Nello Bertagnin, realizzati con la collaborazione del professor Albertini, con scene di vita del santo di Castelnuovo Don Bosco, attorniato dai ragazzi. Risulta presente anche lo stesso oratorio e il Santuario di Maria Ausiliatrice in Torino. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. San Bonifacio Parrocchie della diocesi di Vicenza Diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Oratorio di San Giovanni Bosco, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

San Bonifacio (Italia)
San Bonifacio (Italia)

San Bonifacio (San Bonifaso in veneto) è un comune italiano di 21 394 abitanti della provincia di Verona in Veneto. San Bonifacio dista 26 chilometri a est di Verona. Confina con la provincia di Vicenza. È facilmente raggiungibile grazie all'autostrada A4 (uscita Soave-San Bonifacio), alla strada regionale 11 ed alla linea ferroviaria Milano - Venezia. Come giurisdizione ecclesiastica il Comune di San Bonifacio appartiene alla diocesi di Vicenza e comprende le parrocchie del Duomo (patrono Sant'Abbondio, ma chiesa dedicata a Santa Maria Maggiore), del quartiere Praissola (San Giuseppe lavoratore), di Villanova (San Pietro; titolo abbaziale), di Prova (patrono San Biagio, ma chiesa dedicata alla Presentazione della Vergine Maria), di Lobia (Santa Lucia) e di Locara (San Giovanni Battista). È distante 29 km da Vicenza, 60 km da Padova, 95 km da Venezia, 100 km da Treviso, 70 km da Rovigo e 145 km da Belluno. Il territorio comunale è attraversato da tre fiumi: l'Alpone; il torrente Chiampo e il Tramigna con gli ultimi due fiumi che confluiscono nel fiume Alpone prima del centro abitato Nella zona di San Bonifacio probabilmente esistevano piccoli villaggi (vicus o pagus) fin da epoche remote con epicentro sull'altura della Motta, tuttavia non se ne hanno prove documentarie o archeologiche. Di epoca romana abbiamo l'ara dedicata a Mercurio (attualmente murata, come pietra angolare, nel campanile della chiesa parrocchiale), un'ara di marmo dedicata a Giove, una lapide funeraria (entrambe nella cripta dell'abbazia di Villanova) e iscrizioni trovate a Villabella (ora in musei di Verona). La via Postumia attraversava (probabilmente) a nord il territorio di San Bonifacio. In particolare, a Villanova, venne trovato nel 1942 (in occasione dell'allargamento dell'ex SS 11), a circa due metri sotto il letto del torrente Tramigna (che qui si getta nell'Alpone) un ponte romano sovrastato da una via romana dai caratteristici blocchi di sasso nero, consumati dal passaggio di ruote. Si è inoltre confermato che già in epoca romana i confini tra Verona e Vicenza passavano per la frazione Locara: infatti la strada Lobia - Locara costituiva l'ultimo cardine orientale della centuriazione dell'agro veronese di Colognola ai Colli (oltre questa strada iniziava la centuriazione di Lonigo). Nella frazione di Lobia, nel 1490, venne scoperto un importantissimo cippo romano (attualmente presso il Museo Lapidario Maffeiano di Verona) che indicava i confini tra il territorio romano d'Este e quello di Vicenza. Questo confine fu mantenuto anche durante il periodo medievale fino ad arrivare ai nostri giorni, nonostante modesti cambiamenti. Importante è la località chiamata "Torri di Confine" con la sua chiesetta dedicata a San Michele Arcangelo, venerato (specie dai Longobardi) come difensore dei confini. È proprio un luogo di culto come la chiesetta di San Michele a Torri di Confine in Locara a testimoniare la presenza longobarda sul territorio del comune sambonifacese mentre monaci benedettini, tra VI e VII secolo d.C. edificarono l'abbazia di Villanova dedicandola a San Pietro (probabilmente in sostituzione di un antico tempio pagano dedicato a Giove). La storia riferisce che intorno al 763, sant'Anselmo del Friuli, fondatore del monastero di Nonantola, fece costruire una chiesetta ai confini della diocesi vicentina, dedicandola a San Pietro. Questa si presume possa essere stata, nella sua struttura originaria, nell'abside destra dell'abbazia di Villanova. I benedettini chiamarono a raccolta gli abitanti del luogo e col loro aiuto bonificarono l'intera campagna che dalla Postumia si estendeva fino all'Adige. Nel periodo carolingio la zona di San Bonifacio rientrava nel Comitato Vicentino che si estendeva verso occidente ben oltre gli attuali confini della provincia di Vicenza visto che comprendeva località come Porcile (l'odierna Belfiore), Montecchia di Crosara, Arcole ed Albaredo d'Adige. Di pari estensione era la Diocesi vicentina, tant'è che ancora il Comune di San Bonifacio, pur essendo in provincia di Verona, ne fa parte. Dissolto l'impero carolingio, la minaccia veniva da est ed erano gli Ungari: probabilmente il castello della Motta venne costruito in tal occasione. Nella zona "sambonifacese" esistevano già degli agglomerati rurali e, con la disgregazione del Comitato vicentino, il marchese Milone di San Bonifacio, di origine franca e capostipite della famiglia dei Conti di San Bonifacio, approfittò della situazione per estendere i suoi domini anche in queste terre "sambonifacesi" dando così l'attuale nome al paese. La Famiglia dei Conti di San Bonifacio primeggiò per quasi due secoli nella Città di Verona, della quale i San Bonifacio furono anche spesso Conti e Podestà. Il testamento di Milone (955) parla di un castello e di una cappella dedicata a San Bonifacio. Questa chiesetta, di cui non resta nulla (ma si sa che si trovava all'interno delle mura del castello sulla Motta) diede probabilmente il nome al castello ma anche a tutto il territorio (da qui il nome del paese) in parte incolto e coperto da boschi e paludi e in parte coltivato (terre appartenenti ai Conti ma anche all'abbazia di Villanova). Intorno al XII secolo, nel territorio fra il castello della Motta e l'abbazia, stava nascendo una numerosa comunità rurale; per tale motivo si costruì una nuova chiesa dedicata a Sant'Abbondio (vicino alle mura del castello), una pieve che possedeva alcuni terreni nella zona. Sempre nel XII nacquero alcune realtà rurali come i Comuni di San Bonifacio, di Villanova e Locara (ma sarà il primo ad avere un territorio molto grande). Non è un caso che la chiesa di Sant'Abbondio venga costruita fuori dalle mura e a Locara si costruisca una nuova chiesa indipendente dall'abbazia di Villanova: questi sono segni di una volontà d'indipendenza come quella di un comune rurale. Nel 1222 abbiamo il primo documento che dimostra l'esistenza della chiesa di Santa Maria Maggiore (dove ora sorge, con stesso titolo, il duomo), chiesa nella quale si trasferì l'arciprete di Sant'Abbondio ancora prima della distruzione del castello. Sia la chiesa di Sant'Abbondio che la chiesetta di San Bonifacio, infatti, vennero distrutte nel 1243 assieme al castello dal tiranno Ezzelino da Romano (che già aveva assediato il castello nel 1237). San Bonifacio, passata sotto il dominio scaligero, divenne così una villa di confine e la sua Pieve dipendeva dalla Diocesi di Vicenza. Per assicurarsi la fedeltà dei sambonifacesi, nel 1299 Bartolomeo della Scala stipulò un patto col Comune di San Bonifacio (ripreso da tutti i successivi dominatori di Verona). Sotto Cansignorio della Scala il territorio scaligero venne ordinato in Capitaniati ovvero aggregazioni di Comuni; la zona sambonifacese apparteneva al Capitaniato con centro Soave. I Capitaniati, ebbero però breve durata e a fine Trecento furono sostituiti dai "Vicariati" aventi minore estensione. Sede del Vicariato nella zona divenne San Bonifacio con giurisdizione su località come Torri di Confine, Locara e Villanova. Ad una maggior potenza del Comune sambonifacese corrispondeva il periodo di decadenza dell'abbazia di Villanova. La dominazione veneziana portò (con la pace) un aumento dei traffici e degli scambi commerciali tra i prodotti rurali e quelli della città. Per questo nel secolo XV San Bonifacio godette di una gran prosperità arricchendosi di estese campagne, ricostruendo molte case in muratura, allargando l'area abitativa del paese e vedendosi riconfermare nel 1407 i privilegi concessi dal patto del 1299. Dell'aumentata ricchezza della zona ne approfittano anche l'Abate di Villanova e l'Arciprete della pieve di San Maria Maggiore. Il primo, Guglielmo da Modena, tra fine Trecento e inizio Quattrocento fece restaurare l'abbazia dopo un lungo periodo di decadenza e le restituì gran parte del perduto prestigio. Fu lui a far elevare l'enorme cuspide del campanile di Villanova e, probabilmente, fu sempre lui ad arricchire la chiesa con l'ancona absidale. L'Arciprete della pieve, invece, nel 1417 promosse l'ampliamento della chiesa di Santa Maria-Sant'Abbondio, ormai incapace ad accogliere le persone che in sempre maggior numero assistevano alle celebrazioni sacre. Oltre alla chiesa appena citata venne costruita anche un'altra chiesa (dove ora si trova il Cinema Centrale) detta di Santa Maria della Misericordia oppure della Disciplina, con accanto un piccolo ospedale (adesso entrambi distrutti). Sarà presa invece a fine Quattrocento la decisione di ricostruire la chiesa di Sant'Abbondio nel luogo dove si trovava (ovvero fuori dalle mura del distrutto castello). La rinascita dell'abbazia di Villanova durò poco visto che dal 1450 al 1562 venne data in "commenda perpetua e talora ereditaria" ad altissimi prelati (molti dei quali vissero a Roma) facendo così cadere la vita monastica e l'interesse per la cura d'anime a favore di riscossione di decime e livelli. Nel 1562, a seguito del Concilio di Trento, i frati benedettini rinunciarono all'abbazia di Villanova e a loro subentrarono gli Olivetani, anch'essi aventi per regola quella benedettina. San Pietro di Villanova restò dunque per qualche tempo aggregato al monastero (olivetano anch'esso) di Santa Maria in Organo di Verona ma poi, a fine Cinquecento, la vita monastica riprese. Dopo la peste del 1630 e le guerre (specie nel Cinquecento) la popolazione lentamente si stava riprendendo. Nel 1743 l'arciprete di Santa Maria Maggiore segnalò al Comune la cattiva situazione della sua chiesa (tanto che una visita pastorale del 1745 segnalerà la mancanza di vetri alle finestre) che era divenuta piccola per le necessità dell'epoca. Nel 1753 iniziarono i lavori (mentre la chiesa vecchia veniva incapsulata in quella nuova, permettendo così la continuità dei divini offici) ma questi durarono a lungo e procedettero con lentezza (per motivi finanziari ma anche di continui cambi di direzione della costruzione) fino agli anni sessanta dell'Ottocento. L'8 settembre 1883 la chiesa venne consacrata ufficialmente. Mentre si edificava la nuova parrocchiale, il Senato della Serenissima soppresse il monastero di San Pietro di Villanova (1771). L'abbazia diveniva così sottoposta alla giurisdizione della Diocesi vicentina. Era arrivata l'epoca napoleonica e l'11 novembre 1796, prima della celebre battaglia d'Arcole, Napoleone fu sconfitto a Villanova in uno scontro furioso contro il generale austriaco Alvinczy che vi aveva posto il quartier generale. Dello scontro restano alcune tracce (lasciate dai proiettili dei cannoni) visibili sulle murature dell'abbazia e del suo campanile. Oltre 400 soldati francesi, feriti o ammalati, furono ammassati nell'antico complesso monastico. In seguito, comunque, il generale francese vinse ad Arcole: San Bonifacio risentì solo marginalmente della battaglia. Ciò che cambiò profondamente il paesaggio sambonifacese sarà, negli anni cinquanta dell'Ottocento il tracciato della "strada ferrata lombardo-veneta" detta anche "Ferdinandea". Essa aveva una stazione (eretta nel 1849) nel Comune di San Bonifacio e lo attraversava interamente collegando Milano a Venezia. Fu una fortuna per l'economia locale. Vista l'importanza come centro del Distretto austriaco, il livello economico di molti cittadini e la facilità di comunicazione con i comuni vicini e con le città di Verona e Vicenza, San Bonifacio fu uno dei pochi comuni dotati di un teatro stabile durante la dominazione austriaca: era il "Teatro Adelfico". Nel 1876, con San Bonifacio nel regno d'Italia, si costruì l'odierno Municipio, realizzato su disegno di Antonio Caregaro Negrin. Nello stesso anno si sostituì il vecchio ponte sull'Alpone (quello che conduceva alla Motta) con un altro avente strutture in ferro ma più basso degli argini. Per favorire l'attività produttiva agricola, nel 1892, venne costituita l'Associazione Agraria del Basso Veronese che prese successivamente il nome di Unione dei Consorzi Agrari di Legnago, Cologna Veneta, Isola della Scala, Sanguinetto e San Bonifacio. Fu grazie all'Unione che si sviluppò in maniera particolare la coltivazione delle barbabietole da zucchero che portarono alla costruzione dello zuccherificio a Villanova (edificio esistente, esempio di archeologia industriale seppure in stato di abbandono. Da poco completamente restaurato ed abito a sale polifunzionali). Altro campo d'intervento fu la zootecnia per cui venne rilanciata l'antica Fiera di San Marco in occasione del 25 aprile e continuò la felice tradizione della Fiera di San Michele (che prima si svolgeva a Torri di Confine) il 29 settembre. Verso la fine del XIX secolo Locara volle dotarsi di una chiesa più grande per soddisfare le esigenze della popolazione aumentata. Così nel 1875 vennero gettate le fondamenta del nuovo edificio sacro poco lontano dalla vecchia chiesa del 1750. I lavori però si bloccarono e ripresero solamente nel 1906 e, nel 1911, il parroco benediceva il nuovo edificio (consacrato, in seguito a nuovi lavori, nel 1927). Agli inizi del XX secolo venne restaurata anche l'antica chiesa di Sant'Abbondio. Altri episodi da segnalare nella prima metà del Novecento sono la bonifica della valle Zerpana nel primo dopoguerra, la nascita della parrocchia di Lobia (1925), l'inaugurazione dell'ospedale Zavarise Manani (1933), la nascita dell'oratorio con la chiesa di San Giovanni Bosco (1935), la costruzione della nuova chiesa di parrocchiale di Prova (anni quaranta). Durante la seconda guerra mondiale, causa la linea ferroviaria e il ponte per Monteforte d'Alpone, il paese e le sue vicinanze subirono bombardamenti e mitragliamenti intensi (provocando anche alcuni morti e sfiorando l'abbazia di Villanova). Nel 2014 il ponte della Motta viene rimosso per poter consentire la messa in sicurezza degli argini e sostituito da una passerella pedonale. Il ponte nuovo viene inaugurato dal sindaco il 19 ottobre 2017. Lo stemma adottato dal comune di San Bonifacio è rappresentato da uno scudo inquartato: nel primo e nel quarto di azzurro, alla stella di sei raggi d'oro; nel secondo e nel terzo palato di nero e d'argento; il tutto col capo di azzurro, alla croce d'oro. Ornamenti esteriori da Comune. Esso riprende con qualche modifica il blasone della famiglia Sambonifacio (o San Bonifacio): inquartato: nel 1° e 4° di azzurro, alla stella di sei raggi d'oro; nel 2° e 3° palato d'argento e di nero; il tutto col capo di argento, alla croce di rosso. Gli smalti del palato sono stati invertiti e il capo sostituito dalla croce d'oro in campo azzurro simbolo di Verona. Il gonfalone è costituito da un drappo di stoffa bianca, caricato dello stemma comunale, con la iscrizione dorata "Comune di San Bonifacio", terminante in basso a greca a tre punte con frange. Abbazia di San Pietro - VII secolo L'abbazia romanica di San Pietro di Villanova, sicuramente l'edificio storico più interessante del paese, venne costruita nel VII secolo, è facilmente visibile (e raggiungibile) vista la sua vicinanza all'ex-SS 11 (ora strada regionale). È una chiesa in stile romanico a tre navate con tre absidi rivolte verso est. Duomo di Santa Maria Maggiore - XII secolo La chiesa parrocchiale (e Duomo), che chiude a sud la piazza centrale del paese, piazza Costituzione, intitolata a Santa Maria Maggiore, fu costruita all'inizio del XII secolo e ricostruita nel 1417. Successivamente venne trascurata a tal punto che fu riedificata nel 1769 ed ampliata nel 1837 in stile ottocentesco e consacrata l'8 settembre 1883. Attualmente si presenta ad un'unica navata e con sei altari laterali. Da segnalare la pala di San Rocco attribuita a Bonifacio de' Pitati. Pochi anni fa è stato restaurato l'alto campanile che si slancia alla sinistra della facciata; da notare che nella costruzione venne usata, come pietra angolare, un'ara romana dedicata al dio Mercurio. Chiesetta di Sant'Abbondio alla Motta - XV secolo Poco lontana dal Duomo, verso sud, al di là dell'Alpone, si trova la chiesetta romanica di Sant'Abbondio, ad un'unica navata, ricostruita nel biennio 1491 - 1493 sopra i resti di una precedente chiesetta dedicata ai Santi Abbondio e Bonifacio (distrutta con il castello dei Conti di San Bonifacio nel 1243 ad opera di Ezzelino da Romano). All'interno vi sono vari affreschi (opera di anonimi), dipinti, alcuni ex voto, una statua dedicata al Santo titolare e una Pietà in terracotta. Vicino alla chiesa, la vegetazione del “Parco della Rimembranza”, sulla collinetta della Motta nasconde i ruderi del distrutto castello dei Conti di San Bonifacio, coloro che diedero il nome al paese. Chiesetta di San Biagio - XVII secolo Dall'altro lato della strada che delimita villa Carlotti, troviamo, addossata alla corte Lora, la chiesetta (detta anche oratorio) di San Biagio, prima chiesa parrocchiale di Prova (con la costituzione della parrocchia nel 1838). L'edificio (sotto il quale si trova una cantina a volta) venne terminato nel 1695, come attesta una lapide sopra l'altare, che attribuisce la costruzione al marchese Giulio Carlotti. Il portale d'ingresso è probabilmente proveniente da un'altra chiesa, più antica e anch'essa dedicata a San Biagio, che doveva trovarsi non lontano e che andò in rovina. La chiesetta è ricca internamente di affreschi di pregevole valore storico, è stata restaurata negli anni novanta del XX secolo. La pianta è di forma poligonale secondo una metodologia tipica del periodo barocco; l'originale copertura a capriate lignee della navata è attualmente occultata da un controsoffitto. Al centro dell'altare troviamo la pala (attribuita al Prunati ma sicuramente precedente) dedicata a San Biagio tra San Carlo Borromeo e San Francesco, anch'essa restaurata per motivi di conservazione ma anche a causa di un trafugamento che aveva subito. Oratorio di San Michele Arcangelo - XVII secolo Oratorio di Villa Thiene in località Torri di Confine, nel territorio del Comune di Gambellara, fa però parte della parrocchia di San Giovanni Battista in Locara. Cappella di San Francesco - XVII secolo Cappella di Villa Negri, in località Perarolo, è stata restaurata nel 2008. Chiesa parrocchiale di Lobia - XVII secolo Passata la frazione di Prova, sulla strada per Lonigo, troviamo il paese di Lobia e la sua chiesa dedicata a Santa Lucia. Venne eretta nel 1645 ad unica navata e fu affidata alla gestione di un curato che dipendeva dalla pieve di San Giovanni di Locara (in quanto Lobia era, all'epoca, contrada di Locara). Nel 1925 venne costituita la parrocchia di Lobia e per l'occasione la chiesa venne ampliata con due navate laterali; un ulteriore ampliamento fu realizzato nel 1935. Chiesa parrocchiale di Locara - XX secolo L'attuale chiesa parrocchiale di Locara fu ricostruita a tre navate negli anni 1906-1909 e fu consacrata il 23 luglio 1927. È dedicata a San Giovanni Battista e si trova a pochi metri dalla precedente chiesetta del 1750. In realtà l'esistenza della parrocchia è documentata già precedentemente dai registri parrocchiali di metà '600; inoltre è probabile che risalga al VII secolo il ruolo di Locara come oratorio (luogo di preghiera) dipendente da Montecchia di Crosara. Interessante è la presenza di una statua di San Benedetto all'interno della chiesa in quanto ricorda i benedettini di Villanova (è documentata, nel X secolo, la presenza a Locara di una cappella sottoposta all'abbazia di San Pietro) mentre sull'altare dedicato a San Giovanni Battista è posta una tela della "Natività" del santo, opera di scuola veneziana del Tiziano (questo era anche l'altare maggiore della vecchia chiesa; tutti gli altari della parrocchiale e il fonte battesimale provengono dalla vecchia chiesa). Accanto alla sacrestia c'è la cappella con l'altare barocco in marmo dedicato alla Madonna della Salute la cui immagine viene portata in processione il 15 agosto e nella festa del Santo Rosario. Oratorio di San Giovanni Bosco - XX secolo Chiesa dell'oratorio di San Bonifacio, costruita tra il 1934 e il 1935. Chiesa parrocchiale di Prova - XX secolo Dedicata alla Presentazione della Beata Vergine Maria, fu costruita tra il 1940 e il 1942. Chiesa di San Giuseppe Lavoratore - XX secolo Chiesa parrocchiale del quartiere Praissola, costruita tra il 1978 e il 1982. Villa Carlotti - XVIII secolo Uscendo dal centro e dirigendosi verso Lonigo, nella campagna ad est della frazione Prova abbiamo villa Carlotti (ora abitata dalla famiglia Colli) avente struttura tipica di un palazzo signorile del primo settecento: a tre piani, vastissima, con ampie sale ad ogni piano ed in ottimo stato di conservazione. All'altezza del tetto si erge un attico, al centro del quale si trova una statua raffigurante "Giove con aquila" ai cui piedi è sistemato lo stemma dei marchesi Carlotti con la data 1704 (anno in cui si completò il rinnovamento della primitiva villa). La statua della divinità greca, attribuita a "Francesco Filippini", è probabilmente l'unico pezzo superstite di un più ampio ciclo di sculture raffigurante divinità dell'Olimpo e resta unico segno dello splendore settecentesco che il palazzo ha smarrito con la perdita degli arredi originali. Villa Gritti - XV secolo Si tratta della villa più nota di San Bonifacio, e proprio la sua gradevolezza ha finito col trasmettere il nome alla frazione (Villabella). Si trova collocata su un'antica terrazzatura dell'Adige dominante la vasta pianura sottostante. Probabilmente i primi proprietari furono dei componenti della famiglia Cavalli, ricchi possidenti veronesi che troviamo nel territorio di San Bonifacio e in quello di Soave all'indomani della vendita delle proprietà della "fattoria scaligera" da parte di Venezia tra il 1406 e il 1417. Pietro Cavalli infatti nel 1408 concluse un ingente acquisto di terreni nella zona. Nel 1480 la fabbrica venne ceduta a Bianca Malaspina, marchesa di Fosdinovo e moglie di Gabriele Malaspina, quest'ultima maritava in seconde nozze Virgilio Sforza di Attendolo, conte di Cotignola il quale nel 1522 diede la villa e tutti i possedimenti annessi in dote alla figlia Giulia sposa al nobile veneziano Alvise Gritti. Fu la famiglia Gritti che provvide ad ingrandire la villa dandole le dimensioni attuali, trasformandone l'organizzazione col trasferimento delle barchesse dal lato Est a quello Ovest della casa padronale come si desume dal confronto tra due cabrei datati rispettivamente 1619 e 1687. I Gritti tennero per circa tre secoli la proprietà che tra il 1687 ed il 1795 doveva aggirarsi sui 1100 campi come è attestato dai disegni di Matteo Alberti e Stefano Codroipo e da quello di Gaetano Pellesina eseguito per Franco e Marcantonio Gritti; poi Francesco Gritti nel 1830 la cedette ai Camuzzoni che la rilevarono pressoché in stato di abbandono, situazione questa dovuta forse sia ai numerosi straripamenti dei fiumi ad essa vicini, sia a causa delle conseguenze patite per le battaglie napoleoniche combattute qualche decennio prima nei territori circostanti. Fu in particolare Giulio Camuzzoni che si occupò di riportare la villa alla sua antica bellezza, anzi sotto la sua proprietà essa raggiunse il massimo dello splendore con le migliorie che egli vi apportò come: l'ingresso al giardino con la cancellata, disegnata dall'amico patriota Carlo Montanari, tra due pilastri decorati da vasi in pietra che fu chiamata "Albertina" in onore di una componente della famiglia; la costruzione delle serre in stile neomoresco, caratterizzate da slanciati contrafforti poligonali terminanti in pinnacoli che suddividono uno spazio in cui si aprono delle finestre di chiara foggia araba; l'edificazione della torre in cotto ornata da merli, suddivisa in una parte più bassa, denominata con titolazione familiare, "Antonietta" (1856) e in una più elevata detta "Eleonora" (1890); le modifiche al prospetto dell'edificio padronale in stile neoclassico più sotto descritto, così come le trasformazioni di altri edifici nelle facciate secondo lo stile neomedioevale. L'insieme viene così ad assumere l'aspetto tipico dell'eclettismo della seconda metà dell'ottocento, caratterizzato dalla compresenza di una pluralità di stili architettonici. Il complesso si presenta assai differente nelle due facciate che lo caratterizzano: la facciata Nord è la più importante, quella di rappresentanza, arricchita dal bel giardino all'italiana, è caratterizzata dal corpo centrale in stile neoclassico con un frontone triangolare modanato sorretto da quattro semicolonne di ordine ionico poggianti su di un alto plinto. Una doppia gradinata conduce direttamente al piano nobile caratterizzato da finestre architravate di forma allungata sormontate da timpani aggettanti. L'edificio è affiancato da due fabbricati a due piani; quello a nord-est è in stile eclettico, e l'altro a nord-ovest è in stile moresco. La facciata Sud è invece molto più semplice, essa costituisce la parte produttiva della villa; si apre su una grande aia, con pavimento in cotto, bordata in tufo, con numerosi corpi di fabbrica che la delimitano come le grandi barchesse dai volti ad arco ribassato e le case dei "laorenti" a testimonianza della grossa azienda agricola qui esistente, dedita in particolar modo, sia nel periodo dei Gritti che in quello dei Camuzzoni, alla risicultura. A questo proposito, in fondo al giardino che circonda l'aia, si trova un rustico del tardo Cinquecento con porticato a piano terra costituito da colonne doriche in tufo di epoca settecentesca, denominato "La Pila". Dietro il porticato vi è il rustico con doppia destinazione di abitazione e magazzino. Parte dell'edificio ed il porticato, con pavimentazione in pietra, erano adibiti alla pilatura del riso. Tutta la proprietà è interessata da un insieme di canalizzazioni ideate da Giulio Camuzzoni che servivano nella zona meridionale della proprietà a scopo irriguo, mentre a Nord erano sfruttate per creare giochi d'acqua al fine di abbellire il giardino arricchito anche da accorgimenti tecnologici, come il mulino posto a Nord Est nel parco, da realizzazioni artistiche ad esempio la vasca con fontana ingentilita agli angoli da alti pilastri in pietra e posta nei pressi delle serre. Chiude l'angolo Nord-Ovest del giardino la chiesa dedicata a San Matteo che originariamente si trovava in posizione diametralmente opposta nella proprietà, ma qui collocata durante il riordino funzionale della villa apportato come già detto dai Gritti, ornata di un campanile a tre campane fu restaurata nel 1926 in seguito alla sepoltura di Rosabianca Cazzola, figlia di Stanislao, proprietario che succedette ai Camuzzoni. La facciata sobria presenta un frontone sorretto da due coppie di lesene con capitello ionico. Subito dopo la seconda guerra mondiale la villa passò dai Cazzola ai Matarazzo e dal 1973 alla famiglia Conforti. Villa Scudellari - XVII secolo La villa è situata in località Motta, sulle pendici di un piccolo colle di origine vulcanica (si tratta di una lingua di rocce magmatiche effusive di natura basaltica, un rilievo isolato nella pianura, ma di eguale derivazione di quelli della fascia collinare lessinea). In questo luogo, il cui toponimo Motta indica appunto un rialzo del terreno, era situato il castello di San Bonifacio della omonima famiglia, possente maniero sito in posizione rilevata e protetto dal fiume e dalle estese aree paludose circostanti, ciononostante preso nel 1243 da Ezzelino III da Romano e successivamente (dopo il 1276) demolito dagli scaligeri in ottemperanza alle disposizioni di pace sottoscritte con i Padovani che prevedevano la demolizione di tutte le fortificazioni ad oriente della val d'Alpone verso Vicenza e Padova. Attorno al castello era sorto il primo nucleo abitato di San Bonifacio e ancor oggi l'impianto urbanistico di questa zona è assai interessante perché ricalca chiaramente quella antica disposizione. L'attuale aspetto della villa ci suggerisce di datarla verso la fine del Settecento - inizi Ottocento, anche se molto probabilmente il suo impianto è molto più antico. Sarà utile sottolineare come oggi essa si trovi su un piano assai più rialzato rispetto alla chiesa di Sant'Abbondio, quando invece in immagini d'epoca (un'antica cartolina) essa appariva sullo stesso livello della chiesa. La stranezza deriva dal fatto che durante dei lavori di restauro della antica pieve di Sant'Abbondio effettuati nel 1900, ci si accorse che il livello del pavimento originario della chiesa si trovava almeno un metro e mezzo più in basso. Si provvide perciò a operare uno scavo che riportasse l'altezza della costruzione ai valori primitivi, cosicché la villa adiacente risultò sopraelevata nei riguardi della chiesa. Probabilmente il rialzo fu dovuto alla distesa di rovine del castello demolito per ordine di Alberto Della Scala, macerie che avevano riempito l'antico vallo situato attorno a una delle tre cinte di mura del Castello, ove oggi passa la strada, seppellendo parzialmente anche la chiesa che comunque, anche se in certa misura invasa dalle rovine, continuò a essere utilizzata dal momento che subì altri interventi come dimostrano gli affreschi della zona absidale (bella annunciazione della fine del Trecento) e i numerosi ex-voto successivi ad un ripristino strutturale avvenuto nel 1491. Attualmente il palazzo è di proprietà della famiglia Burato che la acquisì dal amministrazione comunale di San Bonifacio. Questa ne era venuta in possesso a seguito di una permuta con la Parrocchia di Sant'Abbondio, la quale a sua volta l'aveva ricevuta dal Seminario di Vicenza beneficiario del lascito nel 1952 di Maria Annunciata Scudellari. La Scudellari era l'ultima discendente di una famiglia che aveva detenuto la villa da lungo tempo assieme a un'ampia dotazione di campi e di caseggiati. Secondo alcune notizie sembra che nel XVI secolo la chiesa e l'annessa casa siano state date in gestione ai Morando, nobile famiglia veronese, che a San Bonifacio possedeva ampie proprietà e almeno un'altra villa, in località Fossabassa. Tuttavia lo stemma riportato sopra il portale d'ingresso del palazzo della Motta, non corrisponde a questa famiglia e nemmeno a quello di nessun'altra tra le casate nobili veronesi, aprendo così un'interessante questione circa la vera attribuzione della proprietà di questo stabile.La facciata principale della villa è orientata ad ovest, essa si sviluppa su due piani più il granaio e presenta solamente quattro finestre per piano, a differenza della facciata ad est (più antica nei caratteri) che ne presenta sei. Il prospetto ad ovest è databile, come già ricordato, tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, ciò si evince dagli elementi architettonici visibili al primo piano, mentre il portale d'ingresso ad arco, di pregevole fattura, con il famoso fregio, sembra presentare forme del '6-700. La struttura dell'edificio ha la tipica disposizione della casa veneta con salone centrale, stanze e scale che si aprono sui lati di questo. Sul lato orientale si apre la corte che si trova su una sorta di terrazza che domina e che sporge sul piano di campagna sottostante raggiungibile per mezzo di una scala. Delle semplici barchesse cingono i lati del cortile. Di qualche interesse architettonico è un piccolo deposito con due aperture ad arco ribassato costruito alle spalle della chiesa che ne ingloba l'abside. In una mappa del 1614 è già visibile il complesso della villa che presenta una colombara, ora non più esistente, posto in corrispondenza all'attuale accesso carraio alla corte. Villa Thiene - XV secolo La villa è situata a Torri di Confine, frazione di Gambellara. Il toponimo Torri di confine induce a ritenere che in questo luogo doveva esserci un importante confine amministrativo tale da determinare l'edificazione di una o più torri, vale a dire una fortificazione. Attualmente, come sappiamo, qui passa il confine tra la Provincia di Verona e la Provincia di Vicenza, ma nel passato non era sempre stato così, visto che il confine in epoca carolingia tra il distretto veronese e quello vicentino si fermava sull'Alpone. Fu solo in seguito alla pace di Fontaniva (28 marzo 1147) stipulata tra Vicenza e Padova, che a Verona, alleata di Vicenza, furono cedute da quest'ultima le ville di Costalunga, Montecchia di Crosara, Locara, Villanova, San Bonifacio, Zimella e Cologna Veneta. Il territorio del comune di San Bonifacio passò quindi dalla pertinenza vicentina a quella veronese solamente dalla data della pace di Fontaniva. Si può ritenere che da questo momento in poi il sito sia divenuto importante agli scopi confinari. Esso lo fu almeno fino a quando gli Scaligeri non acquisirono i territori vicentini (1311); specialmente nei cinquant'anni precedenti tale data quando imperversavano le scorrerie dei Carraresi signori di Padova, che in più occasioni cercarono di acquisire Lonigo e il suo territorio rendendo così assai critica la condizione di tutta l'area e in particolare della zona di confine con Verona. È da considerare quindi che furono gli Scaligeri a ordinarne le fortificazioni. Il documento più antico che possediamo su Torri di Confine è l'immagine riportata in una mappa quattrocentesca anonima, senza titolo, in cui è riportato il toponimo con la seguente dicitura: "Tore de confin soto Sanbonifacio" , e in cui è rappresentato un edificio munito di grossa torre. Dopo la dedizione a Venezia (1405) ogni valore difensivo fu definitivamente perduto e la fortificazione fu trasformata in villa rustica. Sembra che i primi acquirenti di questo bene, alienato assieme agli altri facenti parte della cosiddetta Fattoria Scaligera, siano stati i Da Lisca con il milite Giovanni nel 1407. Quindi la proprietà passò alla nobile famiglia dei Thiene di cui resta traccia nello stemma scolpito sopra il portone d'ingresso carraio del grande edificio lungo la strada. Probabilmente furono i membri di quest'ultima famiglia a far costruire il fabbricato che costeggia la Statale, la cui tipica lavorazione riprende motivi tratti da esempi romani e ci induce a datarne l'edificazione alla fine del 400. Il complesso si discosta dal modello di villa, vertendo maggiormente in senso di edificio urbano, probabilmente perché la propria funzione riguardava anche l'essere stazione di posta verosimilmente in sostituzione della vecchia mansiones romana, di qui poco lontana, tuttavia a proprio corredo presenta i tipici annessi rurali delle ville come la colombara e la cappella consegnandoci così una costruzione dotata di caratteristiche distintive. È anche assai interessante effettuare un paragone con il contemporaneo palazzo Miniscalchi in via Marconi a San Bonifacio in cui si possono notare importanti analogie. Il complesso è costituito da due edifici posti ortogonalmente tra loro, la parte più antica comprende la torre costituita da muratura mista in mattoni e pietrame e l'edificio collegato avente nella facciata esterna una piccola finestra a volto acuto che ne consente una datazione nei primi del 400. La facciata verso la strada, la più recente, doveva essere originariamente simmetrica, con l'elemento centrale più alto, caratterizzato dal grande volto. Tutta l'ala sinistra, successivamente trasformata in stalla, presenta nella muratura evidenti segni dei contorni delle finestre assai simili a quelli del lato destro. L'ingresso dell'abitazione avveniva dal sottoportico, i due balconcini nel corpo centrale sono successivi e derivano dalla trasformazione di due finestre in porte. Dalla parte opposta della strada statale, in comune di Gambellara, si trova la piccola cappella dedicata a San Michele Arcangelo. L'attuale edificio risale al 1700 e presenta una struttura assai rimaneggiata. La sua origine sembra assai più antica. Sicuramente originale il contorno della porta d'ingresso con timpano spezzato e stemma della famiglia Thiene. Da sottolineare come l'antica fiera di San Michele per il bestiame, prendesse origine in questo luogo proprio in forza di questa cappella, e solo successivamente fosse spostata a San Bonifacio. Villa Negri - Ca' Dell'Ora - XVIII secolo Nelle mappe dell'800 la zona in cui è ubicata questa villa è indicata come proprietà dei Negri, una famiglia della nobiltà vicentina, che aveva grandi possedimenti in questa parte di San Bonifacio. È del resto evidente come la proprietà terriera collegata all'altra villa Negri di Perarolo, si estenda oltre la strada statale, fino al torrente Chiampo in un'area contigua a quella di Cà dell'Ora. Questa villa fu fatta erigere dalla famiglia Negri. La si può ammirare dalla strada Statale (venendo da Vicenza a destra) un po' all'interno, circondata da un'estesa campagna. Fu probabilmente la residenza di Pier Eleonoro Negri, eroe del risorgimento. Le forme sono quelle del Neopalladianesimo della fine '700, primi '800, un po' rigide e senza invenzioni.La casa, un volume compatto e pulito, risulta un po' isolata in uno spazio vuoto che neanche il bel giardino riesce a colmare e gli annessi rustici, piuttosto consistenti ma semplici, sono a una distanza tale da non poter interferire. La casa è stata restaurata qualche decennio fa ed è stato aggiunto un consistente corpo di fabbrica a nord, che risulta invisibile almeno dalla vista frontale. Inoltre la scelta dei coppi scuri, ha aumentato il senso di alterigia che già di per sé l'edificio promana. Tra le ville venete sambonifacesi, questa è senz'altro quella in cui la rappresentatività è messa al primo posto, arrivando alla soluzione della casa tempio. Questo genere inventato dal Palladio, nelle mani del grande architetto, ha prodotto dei veri capolavori di armonia di tutto l'insieme. Le opere del '700 - '800 che hanno ripreso i modelli Palladiani, solo raramente sono riusciti a ricrearne la suggestione. La facciata a sud è la parte più significativa della villa: l'impostazione è classica, con l'elemento centrale a pronao, che emerge leggermente dal volume compatto dell'edificio e crea, al piano nobile il forte chiaroscuro della loggia con le quattro colonne ioniche sorreggenti il timpano. Nella trabeazione si legge la scritta: "LAN IX DE LEMPIRE DE NAPOLEON LE GRAND", quindi 1813. Non è certo che questa sia l'effettiva data di costruzione della villa, o solo un motto celebrativo. La datazione rimane un'incognita. Tutto il piano terra è rivestito in marmo, creando forse volutamente, un netto stacco col piano superiore invece molto ricco di elementi decorativi. Nel complesso le proporzioni della facciata risultano ben equilibrate. Gli annessi costituiscono un lungo edificio allineato alla casa padronale. Comprendono una barchessa e le case dei "laorenti". L'insieme non presenta particolari significativi: la povertà delle finiture contrasta nettamente con la solennità dell'edificio padronale, ma questa distinzione è sicuramente voluta. Nell'evoluzione della villa veneta dai primi esempi del '400 fino alla fine del '700, si assiste al progressivo allontanamento degli annessi rustici dalla casa del padrone, questo anche per dimostrare simbolicamente il distacco, richiesto alla nobiltà dal lavoro. L'uso della villa diventa quindi sempre più per svago e rappresentatività che per un effettivo controllo, com'era in origine, dello svolgimento delle attività agricole. Museo Civico Geopaleontologico Sede: Il Museo Civico Geopaleontologico di San Bonifacio "Abate Don Giuseppe Dalla Tomba" è situato all'interno del complesso dell'Abbazia di San Pietro. L'origine e l'allestimento museale: Il Museo nasce dalla donazione fatta al Comune di San Bonifacio nel 1984 della collezione di reperti geopaleontologici di Don Giuseppe Dalla Tomba, Abate a Villanova di San Bonifacio dal 1939 fino al 1980, con il vincolo di offrire loro, un'adeguata esposizione museale. Il materiale geopaleontologico è stato esposto inizialmente nel museo situato presso il Palazzo della Cultura in via Marconi e inaugurato nell'ottobre del 1994. Successivamente, il 4 ottobre 2003, è stato trasferito nell'attuale sede. Il progetto scientifico di allestimento è stato elaborato dal geologo Dott. Enrico Castellaccio. I materiali del Museo sono esposti in 21 vetrine all'interno di due sale. Il Museo illustra gli aspetti geologici del territorio di San Bonifacio e, attraverso una ricca collezione di fossili provenienti da molte aree diverse, rappresenta tutte le Ere geologiche in un viaggio nel tempo che ci permette di capire le trasformazioni più importanti delle forme di vita avvenute sulla Terra fin dal lontanissimo Archeozoico (circa 4,6 miliardi di anni fa). Tra i fossili esposti ci sono alcuni esemplari provenienti dalle località fossilifere di Bolca. Inoltre si possono osservare 78 minerali raccolti in due vetrine. Abitanti censiti Come in buona parte del Veneto, anche San Bonifacio è caratterizzato da una nutrita presenza di cittadini stranieri, che al 1 gennaio 2022 risultavano essere 3 101, ovvero il 14,40% della popolazione del comune. Il museo civico geopanteologico espone testimonianze archeologiche e naturalistiche della val d’Alpone e della valle del Chiampo L'opera Oberto, Conte di San Bonifacio di Giuseppe Verdi narra dei conti di San Bonifacio a seguito della sconfitta da parte di Ezzelino III da Romano Palio delle contrade - sabato e domenica della prima settimana di settembre Fiera di San Marco Parcheggio Palù (vicino al centro di San Bonifacio) intorno al 25 aprile Festa di San Giuseppe lavoratore Quartiere Praissola intorno al 1º maggio Festa di San Bonifacio Il sabato più prossimo al 5 di giugno Festa di Sant'Antonio a Coalonga Piazza Sant'Antonio verso il 13 giugno Festa della Sorana A Locara in agosto Sagra di Sant'Abbondio Ultima settimana di agosto presso la chiesa di Sant'Abbondio (località Motta) Truck Festival Festival dei camion a Lobia in maggio Sagra di San Biagio A Prova, nei weekend adiacenti al 3 febbraio piazzale Michelangelo Sagra Madonna della Neve A San Bonifacio, Piazzetta Asiago, inizio agosto. Concerto "Il Sorriso del Natale" A cura dell'associazione New Sambo Big Band - Banda Spettacolo di Prova APS - Teatro Centrale - 26 dicembre Concerto di Capodanno Orchestra da Camera "Alio Modo Ensemble" (dal 2001) - Sala Barbarani, 1º gennaio ore 17.00 Concerto della domenica delle Palme Rassegna Teatrale "Il febbraio del sabato sera" Teatro Centrale, tutti i sabato di febbraio Rassegna Teatrale "Teatro in Villa" Villa Gritti (Villanova di San Bonifacio), luglio Mercato Settimanale Ogni Mercoledì mattina (per le vie del centro) Mercato KM ZERO Ogni Venerdì pomeriggio (in Piazza Costituzione) Nel territorio di San Bonifacio sono presenti tre asili nido, diverse Scuole dell'Infanzia, quattro scuole primarie, le scuole medie "Bonturi" e "Piubello", Il liceo "Guarino Veronese", il centro di formazione professionale “San Gaetano” e l'istituto tecnico statale "Luciano Dal Cero". Questa è una zona di produzione del vino Arcole DOC e Soave DOC San Bonifacio presenta nel territorio comunale molte aziende sviluppatosi a seguito del boom degli anni '80 tra cui conosciute a livello globale come: Pakelo; Pedrollo e Ferroli. Nella periferia del comune si trovano coltivazioni di mais, frumento, soia, uva, frutta e ortaggi. Numerosi sono i negozi all'interno del centro storico oltre alla presenza di un centro commerciale situato lungo la SP7. L'ospedale Girolamo Fracastoro è il più grande e più attrezzato centro di assistenza sanitaria dell'est Veronese e in esso sono attivi i dipartimenti di: medicina generale (medicina interna di: malattie infettive, malattie metaboliche e diabetiche, gastroenterologia - endoscopia digestiva, pneumologia, oncologia medica, radioterapia e medicina nucleare); medicina specialistica (cardiologia, nefrologia – dialisi, neurologia); servizi (radiologia, laboratorio analisi, anatomia e istologia patologica); chirurgia (chirurgia generale, oculistica, otorinolaringoiatria, ortopedia, urologia, odontostomatologia); continuità assistenziale (geriatria, recupero rieducazione funzionale, lungodegenza); materno infantile (pediatria, ostetricia - ginecologia); dipartimento interaziendale (farmacia ospedaliera, trasfusionale ed immunologia); urgenze - emergenze (anestesia – rianimazione, prontosoccorso). Sono inoltre presenti farmacie nei vari centri abitati ed una casa di riposo nel centro cittadino. A San Bonifacio è presente il casello di Soave - San Bonifacio dell'autostrada A4; la città è inoltre interessata dalle strade provinciali SP12 (da Lonigo), SP7 (da Cologna Veneta), SP38 (da Belfiore) e dalla Strada statale 11 Padana Superiore. La stazione ferroviaria si trova in Corso Venezia, vicina al centro ed è posta sulla ferrovia Milano-Venezia; vi fermano i treni regionali svolti da Trenitalia nell'ambito del contratto di servizio con la Regione Veneto inoltre Il trasporto pubblico è garantito anche da autocorse svolte dalla società Azienda Trasporti Verona (ATV). La località svolse inoltre, fra il 1881 e il 1956, un'importante funzione di nodo tranviario, per la presenza delle tranvia Verona-Caldiero-San Bonifacio, che percorreva la suddetta statale, della San Bonifacio-Lonigo-Cologna Veneta e della diramazione San Bonifacio-San Giovanni Ilarione. La tranvia per Verona fu sostituita nel 1959 da una filovia, soppressa nel 1981. Il comune di San Bonifacio ha aderito alla lista dei comuni gemellati con la fondazione "Città della Speranza . Inoltre il comune fa parte del movimento patto dei sindaci. Dopo la promozione in Lega Pro Seconda Divisione del 2007-2008 la Sambonifacese è stata la terza squadra professionistica di calcio della provincia di Verona dopo Hellas Verona e Chievo Verona. Il campo di casa è lo stadio Renzo Tizian. Inoltre nel corso della sua storia è stata fondamentale per la crescita di numerosi giocatori conosciuti successivamente a livello internazionale tra cui Jorginho. Nel 2019 cambia denominazione in A.S.D. Prosambonifacese 1921 e attualmente milita in Promozione. Altre squadre presenti nel territorio sono: l’US Provese che rappresenta la frazione di Prova dal 1963 ed attualmente milita in seconda categoria e il Locara Calcio che dal 1967 rappresenta l’omonima frazione. Attualmente milita in prima categoria. Nel basket maschile la Pallacanestro San Bonifacio è la squadra del territorio. Presente con attività dal 1962, nel 1976 ha sfiorato la promozione in A2 disputando gli spareggi del campionato di serie B a Forlì. Nella stagione 2012/2013 partecipa per il quarto anno consecutivo alla Divisione Nazionale C. Il campo di casa è il Palaferroli, realizzato dal main sponsor e donato all'Amministrazione comunale. L'impianto da 1.500 posti è stato inaugurato il 9 ottobre 2010. Attualmente milita in Serie B Interregionale Nella pallacanestro femminile la New Polibasket San Bonifacio è stato il club più prestigioso della provincia di Verona e vantava molte stagioni nella Serie A2. A seguito dello scioglimento è nata la società: Victoria Basket San Bonifacio che attualmente milita in Serie C. Nella pallavolo femminile sono presenti sul territorio: Sambo volley che si occupa del settore giovanile. Nella frazione di Locara è presente l’US pallavolo Locara che milita in Serie C. Inoltre la prima squadra dell’Unione Volley Montecchio Maggiore che milita in Serie A2 disputa i propri allenamenti e gli incontri presso il PalaFerroli. Basilio Garbin, (San Bonifacio, 3 gennaio 1887 – San Bonifacio, 6 aprile 1963) aspirante ufficiale del 12º Reggimento bersaglieri, medaglia d’argento al valore militare, cadde ferito gravemente sul Monte Tondarecar il 4 dicembre 1917. Adelfino Nestori: San Bonifacio nella storia, 1992 Fausto Rossi: San Bonifacio e le sue frazioni, 1995 Ernesto Santi: Chiese romaniche nel territorio dell'Est veronese: secoli IX - XII, Premariacco (UD), 1998 Guida rossa del Touring Club: Veneto, 2005 Sambonifacio, omonima nobile famiglia Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su San Bonifacio Sito ufficiale, su comune.sanbonifacio.vr.it. San Bonifàcio, su sapere.it, De Agostini. Associazione città del vino, su cittadelvino.it. Associazione Vita e Benessere, su vitaebenessere.org. URL consultato il 29 dicembre 2011 (archiviato dall'url originale il 28 dicembre 2011).

Chiesa di Santa Maria Presentata al Tempio
Chiesa di Santa Maria Presentata al Tempio

La chiesa di Santa Maria presentata al Tempio è la chiesa parrocchiale di Prova, frazione di San Bonifacio in provincia di Verona e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Il primo nucleo abitato di Prova si formò nei pressi della chiesetta di San Biagio, proprietà della famiglia Cavalli assieme all’edificio padronale più noto come Villa Carlotti, visto che questa famiglia acquisì le proprietà dei Cavalli in più tempi. Prova, grazie ai lavoratori agricoli alle dipendenze dei Carlotti, passò dai circa quattrocento abitanti della metà del XIX secolo ai novecento degli inizi del XX secolo, facendo in modo che San Biagio risultasse insufficiente a contenere tutti i fedeli. Il 10 dicembre 1936 vennero radunati dal nuovo cappellano di Prova (e futuro primo parroco), don Marco Viale, tutti i capifamiglia, i quali decisero per la costruzione di una nuova e capiente chiesa. Sabato 16 novembre 1940 iniziò così la costruzione della chiesa dedicata alla Presentazione della Beata Vergine Maria con la posa della prima pietra da parte del Vescovo di Vicenza mons. Ferdinando Rodolfi. Nonostante la Seconda Guerra Mondiale si decise si portare a termine la costruzione, che fu inaugurata il 22 novembre 1942 dal servita mons. fra Prospero Gustavo M. Bernardi, primo Vescovo della diocesi di Rio Branco in Brasile, all’epoca residente presso il Santuario della Madonna di Monte Berico e sostituto in questa e altre occasioni del Vescovo Rodolfi, gravemente ammalato. La chiesa sorge nella piazza principale di Prova, lungo la strada che da San Bonifacio porta a Lonigo. Nel 1944 fu creata la parrocchia di Prova, nel 1954 si completarono le finiture e le decorazioni della chiesa e nel 1990 il Vescovo di Vicenza Pietro Nonis consacrò l’edificio sacro La facciata è a salienti, evidenziando già dall’esterno la divisione interna in tre navate. La muratura a vista disegna tre grandi archi a tutto sesto coronati da archetti pensili e un fregio in pietra scolpito con motivi classici. Gli stili sono mescolati, passando dal paleocristiano al romanico, dal gotico fino al primo Rinascimento. Al centro della facciata, rialzato di tre gradini, vi è un portale strombato con lunetta in cui è dipinta la Presentazione di Maria, mentre nell’architrave risulta scolpita l’epigrafe che ricorda l’anno d’inaugurazione dell’edificio sacro. In asse col portale vi è un rosone simil tardogotico; sopra l’arcata in mattoni vi è un orologio e al culmine della facciata una croce in pietra. Nelle arcate laterali si apre, in alto, un oculo. La chiesa è suddivisa in tre navate sostenute da colonne con capitelli corinzi con archi a tutto sesto. Nella parte alta della navata centrale alcune monofore introducono la luce solare all’interno dell’edificio. Altre monofore sono presenti nelle navate laterali. Le coperture risultano essere piane. Al di sopra della porta d’ingresso due epigrafi ricordano l’inaugurazione del 1942 e la consacrazione del 1990. Nelle navate laterali vi sono due cappelle per parte a base semicircolare, una sorta di absidi. Nella prima a sinistra vi è la tomba di don Mario Viale, il cui corpo fu qui portato nel 1992, mentre nella seconda vi è l’altare di San Biagio, contitolare della parrocchia, opera del 1947. Il primo altare di destra è dedicato alla Beata Vergine Maria, con statua della Madonna col Bambino Gesù, mentre il secondo presenta un altare del XVIII secolo con statua del 1840 raffigurante il Sacro Cuore di Gesù. Il presbiterio è anticipato da un grande arco trionfale ed è chiuso da un’abside a base semicircolare con catino dipinto e riportante la scritta in latino Ubi caritas et amor Deus ibi est cioè Dov’è carità e amore qui c’è Dio. L'altare maggiore, con alle estremità due angeli adoranti, ricorda quello del Duomo di San Bonifacio. Sul lato sinistro della chiesa, addossato alla zona presbiterale, è presente un campanile di base rettangolare, con cella campanaria che presenta una monofora sul lato corto e una trifora con colonnine sul lato lungo. La copertura è piramidale, rivestita in rame, al cui vertice è collocata una croce metallica. Il concerto campanario collocato nella torre è composto da 5 campane in DO4 montate alla veronese e suonabili manualmente. Questi i dati del concerto: DO4 - diametro 685 mm - peso 175 kg - Fusa nel 1946 da Cavadini di Verona RE4 - diametro 618 mm - peso 125 kg – Fusa nel 1946 da Cavadini di Verona MI4 – diametro 550 mm - peso 90 kg - Fusa nel 1946 da Cavadini di Verona FA4 - diametro 510 mm - peso 70 kg - Fusa nel 1946 da Cavadini di Verona SOL4 - diametro 460 mm - peso 50 kg - Fusa nel 1946 da Cavadini di Verona. Mario Gecchele, Dario Bruni e Irnerio De Marchi (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. fra Pacifico M. Branchesi, osm, Mons. fra Prospero Gustavo M. Bernardi (1870-1944), dell'ordine dei servi di Maria, un frate esemplare ed impegnato (PDF), su servidimaria.net. URL consultato il 6 ottobre 2023. San Bonifacio Diocesi di Vicenza Parrocchie della diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su chiesa di Santa Maria Presentata al Tempio Chiesa di Santa Maria Presentata al Tempio, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana. Storia della costruzione della chiesa di Prova 22 novembre 1942, su upsanbonifacio.it. URL consultato il 6 ottobre 2023.