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Oratorio di San Giovanni Bosco

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L’oratorio di San Giovanni Bosco è una chiesa sussidiaria della parrocchia di Sant’Abbondio a San Bonifacio in provincia di Verona e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Nel 1906 la parrocchia di Sant’Abbondio acquistò un terreno per far sorgere un oratorio per i ragazzi. Successivamente gli spazi aumentarono grazie all’acquisto di altro terreno. Furono costruiti un teatro, una scuola e sistemato un campetto da calcio. Quando Papa Pio XI, nel 1934, beatificò don Giovanni Bosco, fu posta la prima pietra di questo oratorio dedicato a lui, primo edificio in Veneto con tale intitolazione. Il progetto della chiesa è dell’ingegnere (ex salesiano) Livio Martinelli con la partecipazione di Giuseppe Lussana, Pietro Zanella, Nello Bertagnin (che realizzò anche gli affreschi con il professor Albertini) e Nello Sofia. L’edificio fu inaugurato l’8 settembre 1935. La facciata a capanna, in pietra bianca lungo i contorni e a mattoni a vista nella parte centrale, presenta un portale con protiro e lunetta con l’immagine di San Giovanni Bosco. Ai fianchi del portale due finestre allungate, mentre in alto vi è un rosone. Sopra, una cornice di archetti pensili, mentre sul vertice della facciata sorge una croce. La chiesa si presenta a navata unica, con varie aperture su entrambi le pareti e copertura a capriate lignee. Delimitato da una balaustra vi è il presbiterio con l’altare maggiore e, in una nicchia, la statua di San Giovanni Bosco. Sulla parete retrostante il presbiterio vi sono degli affreschi di Nello Bertagnin, realizzati con la collaborazione del professor Albertini, con scene di vita del santo di Castelnuovo Don Bosco, attorniato dai ragazzi. Risulta presente anche lo stesso oratorio e il Santuario di Maria Ausiliatrice in Torino. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. San Bonifacio Parrocchie della diocesi di Vicenza Diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Oratorio di San Giovanni Bosco, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Estratto dall'articolo di Wikipedia Oratorio di San Giovanni Bosco (Licenza: CC BY-SA 3.0, Autori).

Oratorio di San Giovanni Bosco
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Chiesa di Santa Maria Maggiore (San Bonifacio)
Chiesa di Santa Maria Maggiore (San Bonifacio)

La chiesa di Santa Maria Maggiore, nota anche come duomo o come chiesa di Sant'Abbondio, è una chiesa parrocchiale di San Bonifacio, in provincia di Verona e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Il primo documento che cita la chiesa di Santa Maria è un atto del 1222. Essa si trovava dove sorge l’attuale luogo di culto, fuori dal castello dei Sambonifacio, in località Corubio. La chiesa, probabilmente di dimensioni simili a quella plebana di Sant’Abbondio, fu edificata a causa delle vicende del castello dei Sambonifacio, obiettivo militare che non garantiva come in passato protezione alla popolazione. Infatti, nel XIII secolo, prima i Montecchi e poi Ezzelino III da Romano assediarono più volte il castello, devastando i dintorni. Al 1241 risale la notizia di un cimitero attorno alla chiesa e di scolari istruiti dall’arciprete in modo che potessero diventare chierici per il servizio liturgico. Nel XIV secolo le notizie sono scarse, ad eccezione della questione della divisione delle decime con l’Abbazia di Villanova. Nella mappa del territorio sambonifacese del 1452 è raffigurata la chiesa di Santa Maria Maggiore, con un oculo in facciata, rivolta ad ovest, due cappelle per lato, e il campanile addossato al lato nord del presbiterio. Proprio agli inizi del Quattrocento, in quanto incapace di contenere i fedeli in seguito alla crescita del centro abitato, era stata ampliata. Per ottenere i fondi necessari il Comune, ottenuta l’autorizzazione del doge Tommaso Mocenigo nel 1417, obbligò i residenti abbienti a contribuire alla costruzione. Successivamente il titolo plebano passò alla chiesa di Santa Maria Maggiore anche se le visite pastorali antecedenti al Concilio di Trento ricordano che l’antica pieve era Sant’Abbondio alla Motta. La chiesa quattrocentesca, ampliata con cappelle sia nel XVI secolo sia nel XVII, risultò nel Settecento inadeguata a contenere i fedeli. Inoltre, la visita pastorale del Vescovo di Vicenza Antonio Marino Priuli del 1745 denunciò il cattivo stato dell’edificio, nonché la volontà della comunità sambonifacese di costruire una chiesa più grande, seppur mancando un'area dove costruirla accanto all’antica. L’unica soluzione che fu trovata per evitare di non avere un luogo di culto per un lungo periodo fu quella di costruire la nuova chiesa attorno alla vecchia, in modo che avrebbe potuto continuare ad essere officiata. Il disegno dell’edificio da costruire fu presentato alla comunità nel 1752 dall’arciprete e la Vicinia diede parere favorevole. Il 22 marzo 1753 l’arciprete Gio. Batta Sgreva, autorizzato dal Vescovo Priuli, benedì la prima pietra della nuova chiesa. La facciata fu la prima parte ad essere completata. Seguirono quasi dieci anni di attività ridotta, a causa della scarsità di risorse, ma probabilmente anche per l’incertezza su come procedere con la costruzione, visto che, per l’avanzamento dei lavori, bisognava demolire parti importanti della vecchia chiesa come la cappella settentrionale della crociera, la sacrestia e il campanile. Solo dopo la morte di don Carlo Cegani, nel 1778, e il conseguente arrivo del nuovo arciprete, don Bernardino Piperata, la costruzione riprese con slancio. Nel 1780, per costruire la cappella di sinistra, si decise di abbattere la parete sinistra della vecchia chiesa e, nel 1784, il campanile cinquecentesco tinto di rosso. Nel 1803 fu completata la nuova sacrestia a nord del presbiterio e nel 1825 l’attuale edificio si può dire completato nelle strutture murarie. Rimanevano da completare gli altari (erano stati riutilizzati quelli della chiesa vecchia) e ci si vide costretti ad ulteriori ampliamenti e aggiunte. Sicuramente nel 1822 la vecchia chiesa esisteva ancora, come testimonia la visita pastorale del Vescovo di Vicenza Giuseppe Maria Peruzzi, seppur fosse stata gradualmente rimossa la copertura e il nuovo luogo di culto era in avanzata fase di costruzione. Nel 1883, dopo 130 anni dall’inizio dei lavori (inizialmente ne erano stati preventivati una ventina), la chiesa fu consacrata alla presenza del Patriarca di Venezia e Cardinale Domenico Agostini. Tra il 1887 e il 1895 sorse la nuova sacrestia sul lato sud del presbiterio, trasformando quella sul lato nord in un Oratorio. Il 21 gennaio 1995 la chiesa ottenne il titolo di duomo, mentre l’ultimo restauro risale tra il 2002 e il 2003. La facciata della chiesa è divisa in due ordini, come capita nelle chiese di impostazione tardo rinascimentale e barocca. Nel primo ordine sei lesene ioniche, poggianti su basamenti, reggono l’architrave, ma solo quattro sostengono il timpano, ai cui lati e sul cui culmine trovano posto tre statue acroteriali raffiguranti a sinistra San Pietro, a destra San Giovanni Battista e al centro la Beata Vergine Maria. La parte superiore della facciata, al cui centro è presente una finestra rettangolare culminata da un timpano, risulta accordata a quella inferiore sui lati tramite delle forme curvilinee. Nel livello inferiore vi è, al centro, la grande porta d’ingresso rettangolare, sormontata da un timpano sostenuto da mensole, mentre ai lati tra due lesene, vi sono due nicchie con le statue di Sant’Abbondio e San Bonifacio, risalenti al XVIII secolo. Sono opera di uno scultore anonimo e collocate intorno al 1769, anno di completamento della facciata, come riportato nella lapide commemorativa posta sopra il timpano del portale. La facciata è ispirata alla tradizione delle chiese della Controriforma e un’opera molto simile è il prospetto della chiesa veronese di San Paolo in Campo Marzio, opera di Alessandro Pompei, antecedente di qualche anno, seppur con degli errori (disegno delle lesene, capitelli dalle forme poco “classiche”) dovute alla modesta preparazione dell’autore. Per queste mancanze e per il gusto cambiato nel frattempo fu nominato nel 1779 il veronese Pietro Maderna come progettista della chiesa e del campanile, ma, per non cadere negli errori compiuti in precedenza, la committenza interpellò due tra i più importanti architetti veronesi del tempo: il conte Ignazio Pellegrini e Adriano Cristofali. Sarà il primo ad apportare le modifiche per aggiornare e adattare il progetto del Maderna. La chiesa presenta una pianta a croce latina con tre cappelle per lato: due a pianta rettangolare e una absidata nel transetto. Evidente è la differenza di stile tra la facciata e l’interno, che richiama l’architettura di Andrea Palladio, in particolare la veneziana Basilica del Redentore molto ampio e luminoso, ad aula unica. Su tutto il perimetro della chiesa si presentano colonne slanciate e semicolonne composite alternate a lesene, che sostengono una trabeazione elaborata. Il pavimento è a scacchiera nella navata e nelle cappelle, con rombi in marmo rosso e bianco su progetto dell’ingegnere Antonio Zanella. Nella parte alta della navata sono presenti delle finestre rettangolari, due per lato, nelle cappelle a base rettangolare delle finestre a lunetta e nelle grandi cappelle del transetto le finestre termali a introdurre la luce naturale nel tempio cattolico. Nel 1834 l’ingegnere Ernesto Vanzetti progettò l’ampliamento e l’innalzamento delle quattro cappelle a base rettangolare. Per esse l’architetto Antonio Diedo progettò i quattro altari, tutti uguali, con due colonne corinzie che vanno a reggere un timpano. Nelle due grandi cappelle del transetto in origine erano stati collocati gli altari più grandi della vecchia chiesa, quello del Salvatore (1687) e della Madonna del Santo Rosario, ma nel 1841 furono venduti alla parrocchia di Brognoligo. Nel 1843 fu sempre l’architetto Diedo a progettare i due nuovi altari, simili a quelli delle cappelle, ma più grandi. Entrando dall’ingresso in facciata, sul lato sinistro abbiamo il primo altare con la Pala di Sant'Antonio Abate e San Pietro Martire di pittore ignoto, probabilmente della seconda metà del Seicento. Il secondo altare presenta la Pala del Sacro Cuore di Gesù, eseguita intorno al 1925 dal pittore veronese di origine trentina Carlo Donati. Interessante come sia raffigurata nella parte inferiore dell’opera sia rappresentato l’insediamento di un nuovo arciprete dalla chiesa di Sant’Abbondio alla Motta a Santa Maria Maggiore. Nell’altare del transetto sinistro è collocato un altorilievo ligneo del 1982, La Chiamata, opera di Nello Sofia, e una statua in pietra di Vicenza di scultore ignoto raffigurante Sant’Abbondio, risalente alla metà del Quattrocento, un tempo nella chiesa dedicata al santo comasco e che prima del restauro del 1997 era coperta da due strati di colore marrone che ne alteravano l’aspetto. In prossimità dell’altare del transetto sinistro è stata collocata la Pala di Sant’Abbondio, attribuita al pittore veronese Marcantonio Bassetti e restaurata nel 1982, mentre tra questa cappella e il presbiterio vi è una statua lignea di San Cristoforo. Nel primo altare sul lato destro è custodita la Pala di San Rocco, opera attribuita a Bonifacio Veronese, forse la più importante opera d’arte della chiesa. Viene citata per la prima volta nelle fonti nel 1535, quando viene affidata la doratura della cornice a Francesco Badile. Il dipinto fu commissionato dalla Confraternita di San Rocco dopo la peste del 1527 e fu restaurato nel 1988. Nel secondo altare è collocata la Pala della Madonna della Salute, opera del 1837 del pittore Domenico Vicari. Nella cappella del transetto destro l’altare custodisce la Pala dell’Assunta, opera di Aurelio Fabi, commissionata nel 1674 per essere collocata sull’altare maggiore della vecchia chiesa. Fu restaurata nel 2000. Sempre nella cappella del transetto, sull’altare, è posta una statua lignea della Madonna del Rosario, di autore ignoto, eseguita all’inizio del Novecento. Tra la cappella del transetto e il presbiterio vi è un’edicola in legno che contiene una piccola scultura, la ‘’Pietà’’, di autore ignoto e della prima metà del Quattrocento. Nell’ambito delle Pietà di scuola tedesca, una simile, datata 1430, è conservata nell’abbazia di Villanova. Nel 1793 furono erette le due isolate colonne che reggono l’arco trionfale a serliana e la copertura del presbiterio, ma per completare quest’ultima fu richiesta la consulenza dell’architetto veronese Luigi Trezza. Il presbiterio, delimitato dalle già citate due colonne e rialzato di alcuni gradini rispetto alla navata, ha base quadrata, su cui si affacciano quattro archi identici, tra cui quello dell’abside, soluzione che si trova in altre chiese del territorio come quelle di Monteforte (1804), Caldiero (1831) e Montecchia di Crosara (1840). Il pavimento è in marmo bianco, rosso e nero, posati con motivi geometrici tridimensionali, mentre sulla volta a crociera sovrastante sono dipinti i Quattro Evangelisti e al centro lo Spirito Santo, opera del pittore Silvio Alberto Albertini (1944). Due finestre termali e altre due monofore introducono la luce naturale nel presbiterio. Sulla balaustra sono collocati i due leggii, di cui quello a sinistra funge da ambone, mentre al centro vi è l’altare ligneo posto dopo l’adeguamento liturgico provvisorio postconciliare. Sul paliotto presenta Gesù fra i dottori nel Tempio. L’altare maggiore preconciliare, posto oggi dietro la sede del celebrante, fu progettato dall’architetto Diedo nel 1847, anno della sua morte. A portare a compimento l’opera fu l’ingegnere soavese Antonio Zanella, che terminò i lavori nel 1852, come inciso sul retro dell’altare. Le due statue degli angeli oranti e quella del Cristo Salvatore (in origine all’apice del frontone dell’edicola) furono realizzate nel 1848 dallo scultore veronese Innocenzo Fraccaroli. Nell’abside a base semicircolare è posta un’altra Pala di Sant’Abbondio, opera del pittore soavese Adolfo Mattielli (XX secolo), con la parte inferiore raffigurante la chiesa di Santa Maria Maggiore, quella di Sant’Abbondio alla Motta e una fantasiosa ricostruzione del castello di San Bonifacio. Inoltre, riporta i nomi di Antonio e Maria Scudellari, forse i committenti dell’opera. Sopra la tela del Mattielli vi è un tondo in pietra di Vicenza al cui interno è scolpita una Madonna col Bambino, attribuito ad Antonio da Mestre, databile alla prima metà del XV secolo. Nel catino absidale trova posto la prima opera d’arte che arricchì la chiesa ancora in costruzione, la Cacciata degli angeli, affrescata tra il 1802 e il 1803 dal pittore veronese Pio Piatti, allievo di Giambettino e Felice Cignaroli. L'organo presente all'interno della chiesa, con due corpi contrapposti nell'abside, è il Mascioni opus 799, costruito nel 1960. Questo strumento dispone di 31 registri, tra cui una percussione (campane) al pedale. L'organo, da fonti, ha subito un restauro con l'aggiunto degli annullatori. La chiesa quattrocentesca disponeva di un campanile che, dalla mappa del territorio sambonifacese del 1452 risulta a pianta quadrata, addossato al presbiterio, con cella campanaria aperta da bifore e copertura conica, con pinnacoli agli angoli, su cui svetta la croce. Si sa che tale torre era stata dipinta di rosso nel XVI secolo e fu abbattuta nel 1780 per costruire la cappella di sinistra del transetto. Un campanile provvisorio in legno, con basamento murario, alto circa 9-10 metri (dalla documentazione si apprende che arrivava al primo cornicione della facciata) fu costruito nel 1784, capace di ospitare le campane e l’orologio. Svolse la sua funzione fino al 1826. Per la costruzione della nuova torre campanaria, che oggi svetta a nord rispetto alla chiesa, di qualche metro arretrata rispetto alla facciata, si decise di non utilizzare il progetto del Maderna, in quanto ritenuto superato, e fu richiesto l’intervento dell’architetto Carlo Barrera. I lavori iniziarono nel 1812, come riportato anche sulla porta d’accesso, e si conclusero nel 1826. Il campanile, alto 64 metri, una base in pietra a pianta quadrata, il fusto in mattoni incorniciato, come l’orologio, da fasce di pietra. La cella campanaria presenta una monofora per lato a tutto sesto, chiusa da balaustra, e la trabeazione è sostenuta da due coppie per lato di paraste ioniche. Su un basamento a pianta ottagonale si eleva la cuspide conica, a suo tempo rivestita in rame, rifatta in cemento nel 1951, alla cui sommità vi è la croce con banderuola segnavento Sul basamento della torre è inserita un’ara romana, probabilmente recuperata durante la demolizione della chiesa quattrocentesca. Dedicata a Mercurio, nella parte superiore presenta un kantharos, una coppetta a destra e a sinistra una daga, mentre un festone superiore separa dalla parte inferiore. L’ara fu voluta da Iuvenzia, madre di Vittorio Festo e Vittorio Severo come scioglimento di un voto. Questi due fratelli sono citati anche in un’epigrafe scoperta a Soave, dalla quale si apprende che erano seviri augustali. Il concerto campanario oggi collocato nella torre risulta composto da 8 campane in DO3 montate alla veronese ed elettrificate. Questi i dati del concerto: 1 – DO3 - diametro 1390 mm - peso 1550 kg - Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 2 – RE3 - diametro 1231 mm - peso 1080 kg – Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 3 – MI3 – diametro 1083 mm - peso 730 kg - Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 4 – FA3 – diametro 1011 mm - peso 600 kg - Fusa nel 1935 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 5 – SOL3 – diametro 904 mm - peso 430 kg - Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 6 – LA3 – diametro 812 mm - peso 310 kg - Fusa nel 1927 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 7 – SI3 – diametro 767 mm - peso 260 kg - Fusa nel 1964 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI) 8 – DO4 – diametro 717 mm - peso 210 kg - Fusa nel 1964 da Colbachini di Angarano (Bassano del Grappa, VI). Nel 1829 le campane erano cinque in MI3, fuse da Cavadini di Verona, che le rifuse successivamente in RE3 Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. Sancassani Pietro, Le mie campane. Storia di un’arte e di una tradizione del Millenovecento, a cura di Rognini Luciano, Sancassani Laura, Tommasi Giancarlo, Verona, Offset Print Veneta, 2001. Luigi Gardoni, Diario Veronese (1826-1850), a cura di Nicola Patria, Verona, Archivio Storico Curia Diocesana, 2010. San Bonifacio (Italia) Diocesi di Vicenza Parrocchie della diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Wikibooks contiene testi o manuali sulla disposizione fonica dell'organo a canne Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla chiesa di Santa Maria Maggiore Parrocchia di S.BONIFACIO-S.ABBONDIO, su pmap.it. URL consultato il 20 luglio 2020.

Chiesa di Sant'Abbondio alla Motta

La chiesa di Sant’Abbondio alla Motta è una chiesa sussidiaria della parrocchia di Sant’Abbondio in San Bonifacio, in provincia e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Sede plebana, la chiesa di Sant’Abbondio sorge sulle propaggini della Motta, una modesta altura separata dal centro attuale di San Bonifacio dal torrente Alpone dove sorgeva il castello, documentato per la prima volta nel 955 nel testamento del conte Milone. Nel castello era presente una cappella gentilizia dedicata a San Bonifacio, oggi scomparsa, che diede il nome sia alla località sia alla famiglia dei Conti e che probabilmente fu in origine il luogo di culto cristiano della prima comunità residente nel castello. Con la pace di Fontaniva del 1147 i vicentini, per l’aiuto ricevuto nella guerra contro i padovani, ricevettero un esteso territorio, modificando il confine fino ad allora segnato dall’Alpone dal punto di vista politico. Questo non ebbe valore a livello diocesano, con Sant’Abbondio pieve appartenente a Vicenza. Quando Alberto Sambonifacio fece testamento il 15 febbraio 1135 lasciò tutti i suoi beni nel veronese e nel vicentino all’Abbazia di Villanova, ignorando la pieve di Sant’Abbondio, probabilmente perché quest’ultima non esisteva ancora. In ogni caso tale lascito da parte di Alberto fu motivo di una lite tra parrocchia e abbazia che si concluse solo alla chiusura del monastero di Villanova nel 1771. Il primo documento che parla della pieve di Sant’Abbondio risale al 30 agosto 1177 e, nel 1208, si cita la chiesa e le mura che proteggevano l’abitato, costituitosi in libero comune, con la vicinia, l’assemblea degli abitanti che si radunava nella piazza di fronte all’edificio ecclesiastico. Se la comunità era riuscita ad ottenere una certa autonomia dai Conti, fa invece pensare la dedicazione del luogo di culto ad un santo lombardo. Si può spiegare come un’ingerenza dei Sambonifacio, visti i loro antichi legami con la Lombardia. La pieve, in quegli anni, era una collegiata, cioè con un certo numero di presbiteri che vivevano in comune in un edificio annesso alla chiesa, forse collegato dalla porta visibile sul lato meridionale, oggi murata. Gli inizi del XIII secolo furono un periodo difficile, tanto che nel 1207 il castello fu assediato dai Montecchi, nemici dei Conti, e la situazione per il borgo fu più difficile. A questo periodo risale lo spostamento della sede parrocchiale al di là dell’Alpone, nella più grande Santa Maria. Nonostante l’abbandono del castello da parte dei Sambonifacio nel 1243, la chiesa continuò ad essere frequentata come dimostrano gli affreschi che vanno dalla fine del XIV secolo al 1526. Per salvaguardare la chiesa, intorno al 1500 fu creata la Confraternita di Sant’Abbondio, che vi mantenne un cappellano fino alla fine del XVII secolo. Successivamente la chiesa fu pian piano abbandonata, salvo una Messa che veniva celebrata dall’arciprete il 31 agosto, festa del santo comasco, oltre alla tradizione di compiere una processione che partiva dall’antica pieve per dirigersi verso Santa Maria Maggiore all’insediamento del nuovo parroco. Solo nel 1900 iniziarono dei lavori di restauro, progettati dall’ingegnere Antenore Mazzotto, che diedero alla chiesa l’attuale aspetto medievale, eliminando aggiunte successive come le due finestre ai lati dell’ingresso e aggiungendo nuovi elementi come il protiro all’ingresso, il rosone a raggiera, gli archetti pensili e la porta sul lato nord. Il tetto a capriate fu ricostruito in questo periodo, mentre il pavimento fu portato alla quota originale. Il 20 settembre 1903 il Vescovo di Vicenza Antonio Feruglio consacrò il nuovo altare maggiore. Da allora la chiesa è stata utilizzata salutariamente La facciata, rivolta ad ovest, originariamente, doveva essere a capanna, con protiro pensile, una bifora al posto del rosone e archetti rampanti, forse come nella chiesa parrocchiale di Scardevara. La muratura è ancora quella originaria, con corsi orizzontali di mattoni alternati da filari di blocchi squadrati di pietra calcarea, come nell’Abbazia di Vilanova, al Santuario della Madonna della Strà in Belfiore o nella già citata chiesa dei Santi Filippo e Giacomo in Scardevara, tipica del romanico veronese del XII secolo. Il lato sud, adiacente alla corte di palazzo Scudellari, è rimasto com’era, con corsi paralleli di blocchi calcarei squadrati in maniera grossolana e tre finestrelle a doppia strombatura. Una finestra dello stesso tipo è l’unica a nord. I grandi blocchi angolari sembrano poi essere simili a quelli del campanile di Villanova, costruito nel 1149. Questo fa ipotizzare che la chiesa sia stata costruita da maestranze attive in quegli anni nella vicina Abbazia e nell’antica chiesa belfiorese. L’interno, a navata unica, presenta numerosi affreschi. A sinistra dell’ingresso vi sono, su due livelli, degli ex voto databili tra il 1491 e il 1526 raffiguranti varie Madonne in trono con il Bambino Gesù, vari Sant’Abbondio, Santa Lucia, Sant'Antonio Abate, Sant'Antonio di Padova, Sant'Agata (senza testa) e San Bartolomeo. Spesso vi è il nome del donatore, che in alcuni dipinti è presentato al santo. Sopra l’arco trionfale vi è il dipinto più antico, una Annunciazione risalente tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV secolo, mentre nel catino absidale è raffigurante la Santissima Trinità con fasci di luce, angeli e i simboli dei Quattro Evangelisti. Al di sotto vi sono alcuni santi in riquadri incorniciati, come Santa Lucia, Sant’Antonio Abate, Sant'Agapito, San Bovo, San Francesco d'Assisi, Santa Caterina, San Bartolomeo, datati 1491. Vi è anche una Madonna col Bambino, che risulta, da un’iscrizione, dipinta da Pietro di Marino. Secondo il Simeoni l’autore di questa e altre pitture nell’edificio sacro e lo stesso che lasciò altre sue opere in chiese della zona, tra cui Santa Maria Fossa Dragone in Monteforte. Risalente al Quattrocento è anche Sant’Agata sul lato destro dell’arco trionfale, mentre, sempre di Pietro di Marino, sulla parete meridionale, è una scena molto rovinata con soldati e San Pietro Martire. Sulla controfacciata vi sono due statue lignee policrome risalenti al XVIII secolo raffiguranti San Bonifacio e San Tommaso d'Aquino, recentemente restaurate. La statua lignea nella nicchia sul lato meridionale rappresenta il titolare della chiesa, Sant’Abbondio. Nel tempo era stato aggiunto un campanile a vela, rimosso nei lavori di restauro del 1900. In quell’occasione, a nord della chiesa, verso la zona absidale, fu eretto nel 1903 un nuovo campanile, progettato dall’ingegnere Antenore Mazzotto. A base quadrata, presenta file di mattoni alternati a blocchi bianchi in pietra. La cella campanaria, contraddistinta da una cornice marcapiano, vede la presenza di bifore e presenta archetti rampanti al coronamento. La copertura è a pigna, circondata da quattro pinnacoli e coronata da una croce metallica. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. San Bonifacio Parrocchie della diocesi di Vicenza Diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Chiesa di Sant'Abbondio alla Motta, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Abbazia di San Pietro (San Bonifacio)
Abbazia di San Pietro (San Bonifacio)

L'abbazia di San Pietro è un edificio religioso nonché chiesa parrocchiale di Villanova, frazione del Comune di San Bonifacio, in provincia di Verona e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Edificata lungo l’antica Via Postumia e oggi stretta tra la Strada Regionale 11 e la linea ferroviaria Milano-Venezia, l’Abbazia di San Pietro in Villanova fu uno degli insediamenti monastici benedettini più importanti della regione. Non sono giunti a noi documenti antecedenti al 1134, ma l’analisi delle strutture di alcune parti dell’edificio ecclesiale fanno ritenere che la costruzione può essere avvenuta nella seconda metà dell’XI secolo, con una ricostruzione avvenuta dopo il terremoto di Verona del 1117. Alberto Sambonifacio, con il suo testamento del 1135, dotò il monastero di estese proprietà, le quali furono fondamentali per l’ascesa dello stesso nel XII secolo. Sulla vita del monastero ai suoi inizi si sa poco. Inizialmente vi erano i benedettini neri, poi quelli cluniacensi, ma sempre in piccolo numero. Il primo abate di cui ci è giunto il nome è Uberto, della famiglia Sambonifacio, che nel 1140 è presente alla consacrazione della chiesa di Sant’Elena a Verona e nel 1149 è citato sull’iscrizione del campanile. Verso la fine del XII sia il Vescovo di Verona sia quello di Vicenza concessero all’abbazia i diritti di decima in un territorio che va da Caldiero a Locara. Questa nuova realtà ecclesiale portò al sorgere di contrasti con la pieve di Sant’Abbondio, nei pressi del castello della Motta, ma i privilegi furono confermati dai pontefici Alessandro III nel 1169 e Lucio III nel 1185. Successivamente un diploma dell’imperatore Enrico VI di Svevia del 1193 diede all’abbazia la giurisdizione su Villanova e Locara. Alla fine del XII secolo l’abbazia raggiunse il suo apice, visti i possedimenti in varie località del veronese e anche nel ferrarese e la giurisdizione ecclesiastica sulle chiese di San Nicola, San Vito, San Zeno e San Giovanni di Locara, di San Nicola a Bardolino e Chiesa di San Tomaso Cantuariense a Verona. Fa riflettere che proprio in quel periodo, nel 1195, il monastero avesse solamente dieci monaci. Nel XIII secolo l’abbazia si trovò coinvolta negli scontri tra i Sambonifacio ed Ezzelino III da Romano. Non sembra casuale la mancanza di documenti sul monastero dal 1204 al 1263 e il bando dal territorio veronese dei Sambonifacio nel 1239 tolse all’abbazia i suoi storici protettori. Con la salita al potere degli Scaligeri, desiderosi di espandersi nel vicentino, la torre campanaria, come ai tempi dei Sambonifacio, tornò ad essere strumento di controllo sul territorio. I lavori realizzati in quel periodo indicano un uso prettamente militare del campanile. In quegli anni, e pure successivamente, a gestire i beni abbaziali e a usarli a loro piacimento fu la famiglia Cavalli, vicina ai Della Scala. In compenso due abati di Villanova salirono di grado: prima Sperandio, divenuto Vescovo di Vicenza nel 1315 dopo essere stato per un anno abate di San Zeno in Verona; poi Nicolò, Vescovo di Verona nel 1332. Durante il dominio visconteo la situazione materiale e spirituale dell’abbazia ebbe nuova vita anche grazie all’abate Guglielmo da Modena, che completò il campanile, fece ricostruire il chiostro in forme gotiche, rifece il tetto della chiesa, che dotò del rosone in facciata e di altre opere d'arte. Nonostante questo periodo felice, pochi anni dopo, causa la carenza di monaci, l’abbazia diventò una commenda, con l’abate commendatario, nominato dal Papa, che gestiva i beni monastici solo come fonte di reddito e senza essere obbligato a risiedere nell’abbazia. Tra gli abati commendatari di Villanova vi furono importanti personalità, ma la più famosa è certamente quella dell’umanista e cardinale Pietro Bembo, abate commendatario dal 1517 al 1547, che, prima delle nomine alle sedi episcopali di Gubbio e di Bergamo e l'ascesa al cardinalato, si diede da fare per ricostruire e abbellire l’abbazia nonché nella gestione dei terreni. Dopo il Concilio di Trento e l’abolizione delle commende, a Villanova arrivarono i benedettini Olivetani dell’Abbazia di Santa Maria in Organo di Verona. Alla fine del XVI secolo erano presenti solo sei monaci, che cominciarono a recuperare terreni e affitti usurpati per poi vendere le proprietà lontane e scomode da gestire in cambio di altre vicine. Queste azioni portano all’inizio del XVII all’ampliamento della corte rurale e alla ristrutturazione degli edifici monastici, mentre al XVII secolo risalgono altre migliorie e opere d’arte, come la sopraelevazione del monastero, le volte del chiostro, gli altari e la scalinata che conduce al presbiterio. Il 12 settembre 1771, in applicazione del decreto della Serenissima del 7 settembre 1768 che stabiliva l’abolizione dei monasteri con meno di dodici religiosi e la conseguente confisca di tutti i beni e rendite, il monastero fu soppresso. I monaci rimasti furono trasferiti e già il 21 settembre arrivò un sacerdote a dirigere la parrocchia, mentre al 20 luglio 1772 risale la stima dei beni abbaziali. La chiesa diventò così solo sede parrocchiale e fu privata delle proprietà terriere, del complesso monastico, della corte rurale e pure della cripta, acquistati dalla famiglia Erizzo, che ebbe anche il giuspatronato sulla parrocchia, con diritto di nomina del parroco fino alla fine del XIX secolo. Don Gaetano Martinelli, parroco dal 1901 al 1939, riuscirà, nel 1925, a riunire nuovamente la cripta alla chiesa e far tornare visibile, nel 1934, gli affreschi sulla vita di San Benedetto da Norcia. Il suo successore, don Giuseppe Dalla Tomba, parroco dal 1939 al 1985, continuò l’opera di rinascita dell’abbazia con scoperte e recuperi, ottenendo da Papa Pio XII il titolo di abate – parroco pro-tempore di Villanova nel 1949. Nel 1994 la parrocchia ha acquisito l’ex monastero e cominciato i lavori di restauro, terminati nel 2001. Al 2016, con parroco don Giorgio Derna, risale il restauro esterno e interno del campanile. La facciata, rivolta ad ovest, fu ricostruita dopo il terremoto del 1117 ed è a salienti, con lesene di sagoma triangolare che denunciano la divisione interna in tre navate, mentre sul loro vertice è evidente lo stemma olivetano. Nella parte inferiore sono collocati grandi blocchi squadrati di pietra mentre in quella superiore vi è la muratura caratteristica del romanico veronese con fasce alternate di pietra e mattoni e il coronamento di archetti pensili e cornice a dente di sega. Sopra il portale rettangolare, a cui si accede salendo alcuni gradini, è ancora presente la traccia del protiro pensile, mentre oggi, sopra di esso, vi è una finestra rettangolare, che assieme alle due finestre rettangolari sui lati risale al XVIII secolo. Il rosone quattrocentesco, oggi murato in seguito all’abbassamento del soffitto della chiesa, fu probabilmente costruito dove era collocata una piccola bifora. Anche le statue ai vertici della facciata sono un'aggiunta settecentesca. La parete settentrionale è composta da blocchetti di pietra squadrati in maniera grezza ed è quanto rimane della costruzione originaria pre-sisma del 1117. Verso la facciata la linea di giunzione obliqua tradisce la ricostruzione post-sisma. Le tre absidi, rivolte ad oriente, presentano anch’esse le forme del romanico veronese, seppur ognuna presenti una lavorazione diversa dall’altra, testimoni di ricostruzioni ed aggiunte. La più antica è quella meridionale, ipoteticamente pre-sisma del 1117, costruita come la muratura arcaica della parete settentrionale. L’abside centrale e quella a nord sono, in basso, formate da conci di pietra calcarea intervallati da un unico corso di mattoni romani, tecnica utilizzata all’inizio del XII secolo. Nella parte superiore la muratura è totalmente in pietra che si conclude, nell’abside centrale, con degli archetti a doppia ghiera e denti di sega. L’attuale chiostro monastico non ha nulla di quello primitivo, segnalato per la prima volta nel 1199. Rimaneggiato nel XVIII secolo, conserva nei lati meridionale e occidentale, all’interno della muratura, le arcate gotiche dei lavori voluti dall’abate Guglielmo da Modena nel XV secolo. Nella sala capitolare, prima stanza nel lato orientale verso la chiesa, sono emerse due bifore datata alla fine dell’XI secolo. Nel lato meridionale si trovano il refettorio con annesso lavatoio, mentre nell’angolo sud-ovest la cucina. Nel piano terra del lato occidentale vi era il deposito dei prodotti alimentari (cellario) e, sopra questo, la foresteria. Su questo lato si trovava anche il dormitorio dei monaci. Tutto il complesso è stato recentemente restaurato ed ospita, tra l'altro, il Museo geopaleontologico "Giuseppe Dalla Tomba", il Museo storico-archeologico e d'arte sacra, il Museo reperti bellici e delle Guerre Mondiali e il Museo arti e mestieri della Civiltà Contadina. L’interno della chiesa si presenta a tre navate, con pilastri e colonne alternati, come in molte chiese romaniche veronesi dei primi decenni del XII secolo. La copertura originale a capriate è stata coperta, nel XVII secolo, dalle volte ancora esistenti. I capitelli del lato meridionale sono di recupero. Il primo risale al X secolo, mentre il secondo è di epoca romana (II secolo). Quelli del lato settentrionale sono tutti di epoca romanica. Verso la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo furono aggiunte alcune opere di gusto barocco come gli angeli, la scalinata che conduce al presbiterio e gli otto angeli con cornucopia in pietra di Nanto, opera della bottega vicentina dei due scultori, fratelli, Angelo e Francesco Marinali. Su una colonna della navata centrale della chiesa (la prima a sinistra, entrando dall'ingresso) è incisa una figura a forma di sandalo: è il "sandalo del pellegrino". Partendo da sinistra rispetto all’ingresso troviamo la pala d’altare raffigurante San Bernardo Tolomei, il fondatore degli Olivetani, a cui appare la Beata Vergine Maria col Bambino, opera risalente alla fine del XVII secolo ed attribuita al pittore veronese Giovanni Murari. Lo segue un altare risalente all’inizio del Settecento, opera probabile della bottega veronese di Giovanni Battista Ranghieri. Vi è conservata una Pietà di scuola tedesca, datata 1430, attribuibile allo scultore Egidio da Wiener Neustadt. Nella navata destra, subito dopo l’ingresso, vi è un ciclo di affreschi, rimesso in luce nel 1935, raffigurante la Vita di San Benedetto secondo i Dialoghi di San Gregorio Magno, sicuramente una delle rappresentazioni d’epoca medievali più complete della vita del Santo di Norcia. I diciotto riquadri si sviluppano dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra e rappresentano i miracoli di San Benedetto, la sua morte e i solenni funerali. Il ciclo è stato attribuito alla bottega di Martino da Verona e fu realizzato all’inizio del XV secolo mentre era abate Guglielmo da Modena. Segue l’altare di Sant'Agata, coevo a quello della Pietà e sempre opera della bottega del Ranghieri, che custodisce la pala raffigurante il martirio della Santa catanese, di recente attribuito al pittore Simone Brentana. Subito dopo un dipinto murale con Santa Caterina e Sant'Agostino, risalente all’inizio del XV secolo. Nella fiancata meridionale della navata centrale si apriva una serie di finestre romaniche che, oggi scomparse, hanno lasciato il posto a tre finestre a lunetta barocche. Salendo la scala settecentesca che conduce nel presbiterio sono visibili tre quadri, di cui due i due alle estremità raffigurano L’apparizione di Cristo a Santa Brigida di Svezia e Sant'Antonio di Padova al cospetto della Madonna col Bambino, attribuiti a Biagio Falcieri, pittore veronese della seconda metà del Seicento. Il quadro centrale è una delle opere d’arte più importanti dell’abbazia, cioè la Pala di Santa Francesca Romana del Guercino. Per anni ritenuta una copia del dipinto oggi presente alla Galleria Sabauda, oggi la si ritiene un originale uscito dalla bottega del Guercino. Il piano del presbiterio è molto più alto rispetto alla navata e gli arconi ribassati del presbiterio sono un intervento post-sisma del 1117 per ampliare lo spazio eliminando una colonna intermedia e liberando da sostegni la cripta sottostante. Le tre absidi, internamente, sono divise da due semicolonne con capitello a cubo risalenti alla chiesa pre-sisma. Dal presbiterio si accede a settentrione al campanile e a meridione alla sacrestia Nell’abside centrale vi è un coro ligneo del Seicento. Lo sovrasta, con due monofore che la affiancano (e una retrostante), la grande ancona attribuita allo scultore Antonio da Mestre risalente all’inizio del Quattrocento. Essa è suddivisa in tre registri. Nel primo, in cinque nicchie, vi sono, partendo da sinistra, i Santi Paolo, Benedetto, Pietro in cattedra, Andrea e Nicola. Nel secondo registro vi sono, sempre partendo da sinistra, alcune formelle: la Pesca miracolosa, la Tempesta sedata, la Crocifissione, il Processo di Sant’Agata e il Martirio di Sant’Agata. Nei pinnacoli sono inseriti i simboli dei Quattro Evangelisti e, al centro, Cristo in mandorla. Probabilmente il piccolo monaco che San Benedetto presenta a San Pietro è l’abate Guglielmo da Modena. Nel catino absidale vi è il grande affresco, risalente al 1703, con San Benedetto in gloria, raffigurazione che presenta le figure principali dell’Ordine Olivetano (San Bernardo Tolomei e Santa Francesca Romana). L’autore è stato recentemente riconosciuto nel pittore Giovanni Murari. Nel muro nord del presbiterio vi sono frammenti di una vasta scena affrescata con al centro una Madonna col Bambino in trono affiancata da una serie di santi. La decorazione dell’area presbiterale è incorniciata da un disegno a quadri concentrici scalinati che continua fino alle capriate lignee sopra la volta. Tali affreschi, datati al secondo-terzo decennio del Trecento, hanno somiglianze con quelli presenti nelle chiese di San Fermo Maggiore e della Santissima Trinità a Verona e può essere identificato nel Maestro del Redentore. Nell’abside destra, in alto, vi è un’Annunciazione sempre della scuola del Maestro del Redentore, databile all’inizio del Trecento, mentre sul lato meridionale del presbiterio vi sono tre piccoli quadri. San Giuseppe col Bambino e la Madonna col Bambino sono riconducibili all’ambito del francese Louis Dorigny, mentre un altro ‘’San Giuseppe col Bambino’’ è stato recentemente attribuito al pittore Antonio Zanchi. Accanto ai tre piccoli quadri vi è una tempera su tavola raffigurante San Michele Arcangelo che conduce un gruppo di Santi verso il Paradiso. Per anni attribuita alla bottega veneziana dei Vivarini, si è potuto stabilire che l’autore è il cretese Theodoros Poulakis. Sottostante al presbiterio e raggiungibile da due scale nelle navate laterali, l’ampia cripta è sorretta da colonne e da un sistema di volte a crociera. I capitelli sono quasi tutti a otto spicchi, di influenza bizantini, simili alla colonna presente nella navata. Anche la cripta fu, assieme alle absidi, ricostruita subito dopo il sisma del 1117, consentendo di utilizzare la chiesa almeno in parte. Con la costruzione della scalinata d’accesso al presbiterio nel Settecento i due accessi centrali furono chiusi e aperti gli altri due all’estremità, ma solo nel 1927 la cripta tornò a far parte del luogo di culto (da segnalare come in passato la cripta fosse stata parzialmente murata ed usata come cantina). Sulla parete sinistra della cripta sono affrescate le Storie di Sant’Agata, anche se piuttosto rovinate. Il fatto che Sant’Agata sia raffigurata più volte nell’Abbazia di Villanova risale alla presunta scoperta dei resti della santa catanese da parte del Vescovo di Verona Pietro della Scala e collocati nell’arca nella navata destra della Cattedrale di Verona nel 1353. Nel piccolo altare all’interno dell’abside di sinistra vi è una delle sculture più preziose e antiche dell’Abbazia, un paliotto scolpito con una coppia di pavoni che bevono al kantharos alla base della croce con intrecci di vimini, fiori, tralci e grappoli d’uva che ricordano sculture di epoca longobarda. La datazione va dalla fine dell’VIII secolo e l'inizio del IX. Nell’abside destra vi è un'"Annunciazione" formata da due pezzi in altorilievo, attribuiti allo scultore Antonio da Mestre, risalenti agli anni Venti del Quattrocento e qualitativamente superiori all’ancona presente nel presbiterio della chiesa. Nel pavimento vi sono reperti della prima epoca romana come una lapide funeraria (usata come base di una colonna) e un vaso cinerario. Nella cripta si trova un sarcofago nel quale riposa il corpo del venerabile don Giuseppe Ambrosini (del quale è in corso la causa di beatificazione). Il campanile è addossato alla parete settentrionale della chiesa, precisamente all’area presbiterale, è di base quadrata e misura 8,7 metri di lato, con lo spessore dei muri che raggiunge i 2,5 metri. Nella parete orientale un’iscrizione ricorda come l’edificazione della torre sia iniziata nel 1149 grazie all’abate Uberto di Sambonifacio. Del campanile romanico è rimasta solo la base, fino a 14 metri d’altezza, costituita da grandi blocchi di pietra. La parte terminale della torre fu completata in epoca scaligera per un uso militare, mentre fu intorno al 1400 che l’abate Guglielmo da Modena fece erigere l’attuale cella campanaria con trifore gotiche ad arco acuto e la grande cuspide conica, con al culmine una croce metallica e con quattro pinnacoli agli angoli. Restaurato internamente ed esternamente nel 2016, è possibile oggi ai visitatori salire dalla scala romanica fino alla cella campanaria. Il concerto campanario collocato nella torre risulta composto da 6 campane in FA3 montate alla veronese ed elettrificate. Questi i dati del concerto: 1 – FA3 - diametro 1060 mm - peso 676 kg - Fusa nel 1930 da Cavadini di Verona 2 – SOL3 - diametro 947 mm - peso 482 kg – Fusa nel 1930 da Cavadini di Verona 3 – LA3 – diametro 865 mm - peso 345 kg - Fusa nel 1930 da Cavadini di Verona 4 – SIb3 – diametro 800 mm - peso 287 kg - Fusa nel 1871 da Cavadini di Verona 5 – DO4 – diametro 703 mm - peso 190 kg - Fusa nel 1871 da Cavadini di Verona 6 – RE4 – diametro 630 mm - peso 140 kg - Fusa nel 1871 da Cavadini di Verona. Come ricorda il suonatore di campane Pietro Sancassani, al concerto del 1871 furono aggiunte altre tre campane più grandi e un nuovo castello per sostenere il concerto. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. Sancassani Pietro, Le mie campane. Storia di un'arte e di una tradizione del Millenovecento, a cura di Rognini Luciano, Sancassani Laura, Tommasi Giancarlo, Verona, Offset Print Veneta, 2001. Veneto, collana Guide verdi d'Italia, Milano, Touring editore, 2015, p. 185. S.Bonifacio (Vr) - Abbazia di S.Pietro di Villanova - La Chiesa Costruita Su Una Quercia Celtica, su Luoghi Misteriosi. URL consultato il 7 aprile 2015. Angelo Passuello, L'abbazia di S. Pietro Apostolo a Villanova presso San Bonifacio (VR) in periodo olivetano (1562-1771), in Benedictina, LIX, n. 1, 2013, pp. 107-135. URL consultato il 1º giugno 2015. San Bonifacio (Italia) Diocesi di Vicenza Parrocchie della diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Ordine di San Benedetto Congregazione olivetana Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su abbazia di San Pietro Sito ufficiale, su abbaziavillanova.org. Abbazia di S. Pietro, su Comune di San Bonifacio, 13 marzo 2013. URL consultato il 2 dicembre 2019. Anna Roda, L'abbazia di San Pietro a Villanova. Un gioiello sulla via Postumia, su Don Gabriele Mangiarotti (a cura di), CulturaCattolica, 5 giugno 2015. URL consultato il 2 dicembre 2019 (archiviato dall'url originale il 18 gennaio 2021).

San Bonifacio (Italia)
San Bonifacio (Italia)

San Bonifacio (San Bonifaso in veneto) è un comune italiano di 21 394 abitanti della provincia di Verona in Veneto. San Bonifacio dista 26 chilometri a est di Verona. Confina con la provincia di Vicenza. È facilmente raggiungibile grazie all'autostrada A4 (uscita Soave-San Bonifacio), alla strada regionale 11 ed alla linea ferroviaria Milano - Venezia. Come giurisdizione ecclesiastica il Comune di San Bonifacio appartiene alla diocesi di Vicenza e comprende le parrocchie del Duomo (patrono Sant'Abbondio, ma chiesa dedicata a Santa Maria Maggiore), del quartiere Praissola (San Giuseppe lavoratore), di Villanova (San Pietro; titolo abbaziale), di Prova (patrono San Biagio, ma chiesa dedicata alla Presentazione della Vergine Maria), di Lobia (Santa Lucia) e di Locara (San Giovanni Battista). È distante 29 km da Vicenza, 60 km da Padova, 95 km da Venezia, 100 km da Treviso, 70 km da Rovigo e 145 km da Belluno. Il territorio comunale è attraversato da tre fiumi: l'Alpone; il torrente Chiampo e il Tramigna con gli ultimi due fiumi che confluiscono nel fiume Alpone prima del centro abitato Nella zona di San Bonifacio probabilmente esistevano piccoli villaggi (vicus o pagus) fin da epoche remote con epicentro sull'altura della Motta, tuttavia non se ne hanno prove documentarie o archeologiche. Di epoca romana abbiamo l'ara dedicata a Mercurio (attualmente murata, come pietra angolare, nel campanile della chiesa parrocchiale), un'ara di marmo dedicata a Giove, una lapide funeraria (entrambe nella cripta dell'abbazia di Villanova) e iscrizioni trovate a Villabella (ora in musei di Verona). La via Postumia attraversava (probabilmente) a nord il territorio di San Bonifacio. In particolare, a Villanova, venne trovato nel 1942 (in occasione dell'allargamento dell'ex SS 11), a circa due metri sotto il letto del torrente Tramigna (che qui si getta nell'Alpone) un ponte romano sovrastato da una via romana dai caratteristici blocchi di sasso nero, consumati dal passaggio di ruote. Si è inoltre confermato che già in epoca romana i confini tra Verona e Vicenza passavano per la frazione Locara: infatti la strada Lobia - Locara costituiva l'ultimo cardine orientale della centuriazione dell'agro veronese di Colognola ai Colli (oltre questa strada iniziava la centuriazione di Lonigo). Nella frazione di Lobia, nel 1490, venne scoperto un importantissimo cippo romano (attualmente presso il Museo Lapidario Maffeiano di Verona) che indicava i confini tra il territorio romano d'Este e quello di Vicenza. Questo confine fu mantenuto anche durante il periodo medievale fino ad arrivare ai nostri giorni, nonostante modesti cambiamenti. Importante è la località chiamata "Torri di Confine" con la sua chiesetta dedicata a San Michele Arcangelo, venerato (specie dai Longobardi) come difensore dei confini. È proprio un luogo di culto come la chiesetta di San Michele a Torri di Confine in Locara a testimoniare la presenza longobarda sul territorio del comune sambonifacese mentre monaci benedettini, tra VI e VII secolo d.C. edificarono l'abbazia di Villanova dedicandola a San Pietro (probabilmente in sostituzione di un antico tempio pagano dedicato a Giove). La storia riferisce che intorno al 763, sant'Anselmo del Friuli, fondatore del monastero di Nonantola, fece costruire una chiesetta ai confini della diocesi vicentina, dedicandola a San Pietro. Questa si presume possa essere stata, nella sua struttura originaria, nell'abside destra dell'abbazia di Villanova. I benedettini chiamarono a raccolta gli abitanti del luogo e col loro aiuto bonificarono l'intera campagna che dalla Postumia si estendeva fino all'Adige. Nel periodo carolingio la zona di San Bonifacio rientrava nel Comitato Vicentino che si estendeva verso occidente ben oltre gli attuali confini della provincia di Vicenza visto che comprendeva località come Porcile (l'odierna Belfiore), Montecchia di Crosara, Arcole ed Albaredo d'Adige. Di pari estensione era la Diocesi vicentina, tant'è che ancora il Comune di San Bonifacio, pur essendo in provincia di Verona, ne fa parte. Dissolto l'impero carolingio, la minaccia veniva da est ed erano gli Ungari: probabilmente il castello della Motta venne costruito in tal occasione. Nella zona "sambonifacese" esistevano già degli agglomerati rurali e, con la disgregazione del Comitato vicentino, il marchese Milone di San Bonifacio, di origine franca e capostipite della famiglia dei Conti di San Bonifacio, approfittò della situazione per estendere i suoi domini anche in queste terre "sambonifacesi" dando così l'attuale nome al paese. La Famiglia dei Conti di San Bonifacio primeggiò per quasi due secoli nella Città di Verona, della quale i San Bonifacio furono anche spesso Conti e Podestà. Il testamento di Milone (955) parla di un castello e di una cappella dedicata a San Bonifacio. Questa chiesetta, di cui non resta nulla (ma si sa che si trovava all'interno delle mura del castello sulla Motta) diede probabilmente il nome al castello ma anche a tutto il territorio (da qui il nome del paese) in parte incolto e coperto da boschi e paludi e in parte coltivato (terre appartenenti ai Conti ma anche all'abbazia di Villanova). Intorno al XII secolo, nel territorio fra il castello della Motta e l'abbazia, stava nascendo una numerosa comunità rurale; per tale motivo si costruì una nuova chiesa dedicata a Sant'Abbondio (vicino alle mura del castello), una pieve che possedeva alcuni terreni nella zona. Sempre nel XII nacquero alcune realtà rurali come i Comuni di San Bonifacio, di Villanova e Locara (ma sarà il primo ad avere un territorio molto grande). Non è un caso che la chiesa di Sant'Abbondio venga costruita fuori dalle mura e a Locara si costruisca una nuova chiesa indipendente dall'abbazia di Villanova: questi sono segni di una volontà d'indipendenza come quella di un comune rurale. Nel 1222 abbiamo il primo documento che dimostra l'esistenza della chiesa di Santa Maria Maggiore (dove ora sorge, con stesso titolo, il duomo), chiesa nella quale si trasferì l'arciprete di Sant'Abbondio ancora prima della distruzione del castello. Sia la chiesa di Sant'Abbondio che la chiesetta di San Bonifacio, infatti, vennero distrutte nel 1243 assieme al castello dal tiranno Ezzelino da Romano (che già aveva assediato il castello nel 1237). San Bonifacio, passata sotto il dominio scaligero, divenne così una villa di confine e la sua Pieve dipendeva dalla Diocesi di Vicenza. Per assicurarsi la fedeltà dei sambonifacesi, nel 1299 Bartolomeo della Scala stipulò un patto col Comune di San Bonifacio (ripreso da tutti i successivi dominatori di Verona). Sotto Cansignorio della Scala il territorio scaligero venne ordinato in Capitaniati ovvero aggregazioni di Comuni; la zona sambonifacese apparteneva al Capitaniato con centro Soave. I Capitaniati, ebbero però breve durata e a fine Trecento furono sostituiti dai "Vicariati" aventi minore estensione. Sede del Vicariato nella zona divenne San Bonifacio con giurisdizione su località come Torri di Confine, Locara e Villanova. Ad una maggior potenza del Comune sambonifacese corrispondeva il periodo di decadenza dell'abbazia di Villanova. La dominazione veneziana portò (con la pace) un aumento dei traffici e degli scambi commerciali tra i prodotti rurali e quelli della città. Per questo nel secolo XV San Bonifacio godette di una gran prosperità arricchendosi di estese campagne, ricostruendo molte case in muratura, allargando l'area abitativa del paese e vedendosi riconfermare nel 1407 i privilegi concessi dal patto del 1299. Dell'aumentata ricchezza della zona ne approfittano anche l'Abate di Villanova e l'Arciprete della pieve di San Maria Maggiore. Il primo, Guglielmo da Modena, tra fine Trecento e inizio Quattrocento fece restaurare l'abbazia dopo un lungo periodo di decadenza e le restituì gran parte del perduto prestigio. Fu lui a far elevare l'enorme cuspide del campanile di Villanova e, probabilmente, fu sempre lui ad arricchire la chiesa con l'ancona absidale. L'Arciprete della pieve, invece, nel 1417 promosse l'ampliamento della chiesa di Santa Maria-Sant'Abbondio, ormai incapace ad accogliere le persone che in sempre maggior numero assistevano alle celebrazioni sacre. Oltre alla chiesa appena citata venne costruita anche un'altra chiesa (dove ora si trova il Cinema Centrale) detta di Santa Maria della Misericordia oppure della Disciplina, con accanto un piccolo ospedale (adesso entrambi distrutti). Sarà presa invece a fine Quattrocento la decisione di ricostruire la chiesa di Sant'Abbondio nel luogo dove si trovava (ovvero fuori dalle mura del distrutto castello). La rinascita dell'abbazia di Villanova durò poco visto che dal 1450 al 1562 venne data in "commenda perpetua e talora ereditaria" ad altissimi prelati (molti dei quali vissero a Roma) facendo così cadere la vita monastica e l'interesse per la cura d'anime a favore di riscossione di decime e livelli. Nel 1562, a seguito del Concilio di Trento, i frati benedettini rinunciarono all'abbazia di Villanova e a loro subentrarono gli Olivetani, anch'essi aventi per regola quella benedettina. San Pietro di Villanova restò dunque per qualche tempo aggregato al monastero (olivetano anch'esso) di Santa Maria in Organo di Verona ma poi, a fine Cinquecento, la vita monastica riprese. Dopo la peste del 1630 e le guerre (specie nel Cinquecento) la popolazione lentamente si stava riprendendo. Nel 1743 l'arciprete di Santa Maria Maggiore segnalò al Comune la cattiva situazione della sua chiesa (tanto che una visita pastorale del 1745 segnalerà la mancanza di vetri alle finestre) che era divenuta piccola per le necessità dell'epoca. Nel 1753 iniziarono i lavori (mentre la chiesa vecchia veniva incapsulata in quella nuova, permettendo così la continuità dei divini offici) ma questi durarono a lungo e procedettero con lentezza (per motivi finanziari ma anche di continui cambi di direzione della costruzione) fino agli anni sessanta dell'Ottocento. L'8 settembre 1883 la chiesa venne consacrata ufficialmente. Mentre si edificava la nuova parrocchiale, il Senato della Serenissima soppresse il monastero di San Pietro di Villanova (1771). L'abbazia diveniva così sottoposta alla giurisdizione della Diocesi vicentina. Era arrivata l'epoca napoleonica e l'11 novembre 1796, prima della celebre battaglia d'Arcole, Napoleone fu sconfitto a Villanova in uno scontro furioso contro il generale austriaco Alvinczy che vi aveva posto il quartier generale. Dello scontro restano alcune tracce (lasciate dai proiettili dei cannoni) visibili sulle murature dell'abbazia e del suo campanile. Oltre 400 soldati francesi, feriti o ammalati, furono ammassati nell'antico complesso monastico. In seguito, comunque, il generale francese vinse ad Arcole: San Bonifacio risentì solo marginalmente della battaglia. Ciò che cambiò profondamente il paesaggio sambonifacese sarà, negli anni cinquanta dell'Ottocento il tracciato della "strada ferrata lombardo-veneta" detta anche "Ferdinandea". Essa aveva una stazione (eretta nel 1849) nel Comune di San Bonifacio e lo attraversava interamente collegando Milano a Venezia. Fu una fortuna per l'economia locale. Vista l'importanza come centro del Distretto austriaco, il livello economico di molti cittadini e la facilità di comunicazione con i comuni vicini e con le città di Verona e Vicenza, San Bonifacio fu uno dei pochi comuni dotati di un teatro stabile durante la dominazione austriaca: era il "Teatro Adelfico". Nel 1876, con San Bonifacio nel regno d'Italia, si costruì l'odierno Municipio, realizzato su disegno di Antonio Caregaro Negrin. Nello stesso anno si sostituì il vecchio ponte sull'Alpone (quello che conduceva alla Motta) con un altro avente strutture in ferro ma più basso degli argini. Per favorire l'attività produttiva agricola, nel 1892, venne costituita l'Associazione Agraria del Basso Veronese che prese successivamente il nome di Unione dei Consorzi Agrari di Legnago, Cologna Veneta, Isola della Scala, Sanguinetto e San Bonifacio. Fu grazie all'Unione che si sviluppò in maniera particolare la coltivazione delle barbabietole da zucchero che portarono alla costruzione dello zuccherificio a Villanova (edificio esistente, esempio di archeologia industriale seppure in stato di abbandono. Da poco completamente restaurato ed abito a sale polifunzionali). Altro campo d'intervento fu la zootecnia per cui venne rilanciata l'antica Fiera di San Marco in occasione del 25 aprile e continuò la felice tradizione della Fiera di San Michele (che prima si svolgeva a Torri di Confine) il 29 settembre. Verso la fine del XIX secolo Locara volle dotarsi di una chiesa più grande per soddisfare le esigenze della popolazione aumentata. Così nel 1875 vennero gettate le fondamenta del nuovo edificio sacro poco lontano dalla vecchia chiesa del 1750. I lavori però si bloccarono e ripresero solamente nel 1906 e, nel 1911, il parroco benediceva il nuovo edificio (consacrato, in seguito a nuovi lavori, nel 1927). Agli inizi del XX secolo venne restaurata anche l'antica chiesa di Sant'Abbondio. Altri episodi da segnalare nella prima metà del Novecento sono la bonifica della valle Zerpana nel primo dopoguerra, la nascita della parrocchia di Lobia (1925), l'inaugurazione dell'ospedale Zavarise Manani (1933), la nascita dell'oratorio con la chiesa di San Giovanni Bosco (1935), la costruzione della nuova chiesa di parrocchiale di Prova (anni quaranta). Durante la seconda guerra mondiale, causa la linea ferroviaria e il ponte per Monteforte d'Alpone, il paese e le sue vicinanze subirono bombardamenti e mitragliamenti intensi (provocando anche alcuni morti e sfiorando l'abbazia di Villanova). Nel 2014 il ponte della Motta viene rimosso per poter consentire la messa in sicurezza degli argini e sostituito da una passerella pedonale. Il ponte nuovo viene inaugurato dal sindaco il 19 ottobre 2017. Lo stemma adottato dal comune di San Bonifacio è rappresentato da uno scudo inquartato: nel primo e nel quarto di azzurro, alla stella di sei raggi d'oro; nel secondo e nel terzo palato di nero e d'argento; il tutto col capo di azzurro, alla croce d'oro. Ornamenti esteriori da Comune. Esso riprende con qualche modifica il blasone della famiglia Sambonifacio (o San Bonifacio): inquartato: nel 1° e 4° di azzurro, alla stella di sei raggi d'oro; nel 2° e 3° palato d'argento e di nero; il tutto col capo di argento, alla croce di rosso. Gli smalti del palato sono stati invertiti e il capo sostituito dalla croce d'oro in campo azzurro simbolo di Verona. Il gonfalone è costituito da un drappo di stoffa bianca, caricato dello stemma comunale, con la iscrizione dorata "Comune di San Bonifacio", terminante in basso a greca a tre punte con frange. Abbazia di San Pietro - VII secolo L'abbazia romanica di San Pietro di Villanova, sicuramente l'edificio storico più interessante del paese, venne costruita nel VII secolo, è facilmente visibile (e raggiungibile) vista la sua vicinanza all'ex-SS 11 (ora strada regionale). È una chiesa in stile romanico a tre navate con tre absidi rivolte verso est. Duomo di Santa Maria Maggiore - XII secolo La chiesa parrocchiale (e Duomo), che chiude a sud la piazza centrale del paese, piazza Costituzione, intitolata a Santa Maria Maggiore, fu costruita all'inizio del XII secolo e ricostruita nel 1417. Successivamente venne trascurata a tal punto che fu riedificata nel 1769 ed ampliata nel 1837 in stile ottocentesco e consacrata l'8 settembre 1883. Attualmente si presenta ad un'unica navata e con sei altari laterali. Da segnalare la pala di San Rocco attribuita a Bonifacio de' Pitati. Pochi anni fa è stato restaurato l'alto campanile che si slancia alla sinistra della facciata; da notare che nella costruzione venne usata, come pietra angolare, un'ara romana dedicata al dio Mercurio. Chiesetta di Sant'Abbondio alla Motta - XV secolo Poco lontana dal Duomo, verso sud, al di là dell'Alpone, si trova la chiesetta romanica di Sant'Abbondio, ad un'unica navata, ricostruita nel biennio 1491 - 1493 sopra i resti di una precedente chiesetta dedicata ai Santi Abbondio e Bonifacio (distrutta con il castello dei Conti di San Bonifacio nel 1243 ad opera di Ezzelino da Romano). All'interno vi sono vari affreschi (opera di anonimi), dipinti, alcuni ex voto, una statua dedicata al Santo titolare e una Pietà in terracotta. Vicino alla chiesa, la vegetazione del “Parco della Rimembranza”, sulla collinetta della Motta nasconde i ruderi del distrutto castello dei Conti di San Bonifacio, coloro che diedero il nome al paese. Chiesetta di San Biagio - XVII secolo Dall'altro lato della strada che delimita villa Carlotti, troviamo, addossata alla corte Lora, la chiesetta (detta anche oratorio) di San Biagio, prima chiesa parrocchiale di Prova (con la costituzione della parrocchia nel 1838). L'edificio (sotto il quale si trova una cantina a volta) venne terminato nel 1695, come attesta una lapide sopra l'altare, che attribuisce la costruzione al marchese Giulio Carlotti. Il portale d'ingresso è probabilmente proveniente da un'altra chiesa, più antica e anch'essa dedicata a San Biagio, che doveva trovarsi non lontano e che andò in rovina. La chiesetta è ricca internamente di affreschi di pregevole valore storico, è stata restaurata negli anni novanta del XX secolo. La pianta è di forma poligonale secondo una metodologia tipica del periodo barocco; l'originale copertura a capriate lignee della navata è attualmente occultata da un controsoffitto. Al centro dell'altare troviamo la pala (attribuita al Prunati ma sicuramente precedente) dedicata a San Biagio tra San Carlo Borromeo e San Francesco, anch'essa restaurata per motivi di conservazione ma anche a causa di un trafugamento che aveva subito. Oratorio di San Michele Arcangelo - XVII secolo Oratorio di Villa Thiene in località Torri di Confine, nel territorio del Comune di Gambellara, fa però parte della parrocchia di San Giovanni Battista in Locara. Cappella di San Francesco - XVII secolo Cappella di Villa Negri, in località Perarolo, è stata restaurata nel 2008. Chiesa parrocchiale di Lobia - XVII secolo Passata la frazione di Prova, sulla strada per Lonigo, troviamo il paese di Lobia e la sua chiesa dedicata a Santa Lucia. Venne eretta nel 1645 ad unica navata e fu affidata alla gestione di un curato che dipendeva dalla pieve di San Giovanni di Locara (in quanto Lobia era, all'epoca, contrada di Locara). Nel 1925 venne costituita la parrocchia di Lobia e per l'occasione la chiesa venne ampliata con due navate laterali; un ulteriore ampliamento fu realizzato nel 1935. Chiesa parrocchiale di Locara - XX secolo L'attuale chiesa parrocchiale di Locara fu ricostruita a tre navate negli anni 1906-1909 e fu consacrata il 23 luglio 1927. È dedicata a San Giovanni Battista e si trova a pochi metri dalla precedente chiesetta del 1750. In realtà l'esistenza della parrocchia è documentata già precedentemente dai registri parrocchiali di metà '600; inoltre è probabile che risalga al VII secolo il ruolo di Locara come oratorio (luogo di preghiera) dipendente da Montecchia di Crosara. Interessante è la presenza di una statua di San Benedetto all'interno della chiesa in quanto ricorda i benedettini di Villanova (è documentata, nel X secolo, la presenza a Locara di una cappella sottoposta all'abbazia di San Pietro) mentre sull'altare dedicato a San Giovanni Battista è posta una tela della "Natività" del santo, opera di scuola veneziana del Tiziano (questo era anche l'altare maggiore della vecchia chiesa; tutti gli altari della parrocchiale e il fonte battesimale provengono dalla vecchia chiesa). Accanto alla sacrestia c'è la cappella con l'altare barocco in marmo dedicato alla Madonna della Salute la cui immagine viene portata in processione il 15 agosto e nella festa del Santo Rosario. Oratorio di San Giovanni Bosco - XX secolo Chiesa dell'oratorio di San Bonifacio, costruita tra il 1934 e il 1935. Chiesa parrocchiale di Prova - XX secolo Dedicata alla Presentazione della Beata Vergine Maria, fu costruita tra il 1940 e il 1942. Chiesa di San Giuseppe Lavoratore - XX secolo Chiesa parrocchiale del quartiere Praissola, costruita tra il 1978 e il 1982. Villa Carlotti - XVIII secolo Uscendo dal centro e dirigendosi verso Lonigo, nella campagna ad est della frazione Prova abbiamo villa Carlotti (ora abitata dalla famiglia Colli) avente struttura tipica di un palazzo signorile del primo settecento: a tre piani, vastissima, con ampie sale ad ogni piano ed in ottimo stato di conservazione. All'altezza del tetto si erge un attico, al centro del quale si trova una statua raffigurante "Giove con aquila" ai cui piedi è sistemato lo stemma dei marchesi Carlotti con la data 1704 (anno in cui si completò il rinnovamento della primitiva villa). La statua della divinità greca, attribuita a "Francesco Filippini", è probabilmente l'unico pezzo superstite di un più ampio ciclo di sculture raffigurante divinità dell'Olimpo e resta unico segno dello splendore settecentesco che il palazzo ha smarrito con la perdita degli arredi originali. Villa Gritti - XV secolo Si tratta della villa più nota di San Bonifacio, e proprio la sua gradevolezza ha finito col trasmettere il nome alla frazione (Villabella). Si trova collocata su un'antica terrazzatura dell'Adige dominante la vasta pianura sottostante. Probabilmente i primi proprietari furono dei componenti della famiglia Cavalli, ricchi possidenti veronesi che troviamo nel territorio di San Bonifacio e in quello di Soave all'indomani della vendita delle proprietà della "fattoria scaligera" da parte di Venezia tra il 1406 e il 1417. Pietro Cavalli infatti nel 1408 concluse un ingente acquisto di terreni nella zona. Nel 1480 la fabbrica venne ceduta a Bianca Malaspina, marchesa di Fosdinovo e moglie di Gabriele Malaspina, quest'ultima maritava in seconde nozze Virgilio Sforza di Attendolo, conte di Cotignola il quale nel 1522 diede la villa e tutti i possedimenti annessi in dote alla figlia Giulia sposa al nobile veneziano Alvise Gritti. Fu la famiglia Gritti che provvide ad ingrandire la villa dandole le dimensioni attuali, trasformandone l'organizzazione col trasferimento delle barchesse dal lato Est a quello Ovest della casa padronale come si desume dal confronto tra due cabrei datati rispettivamente 1619 e 1687. I Gritti tennero per circa tre secoli la proprietà che tra il 1687 ed il 1795 doveva aggirarsi sui 1100 campi come è attestato dai disegni di Matteo Alberti e Stefano Codroipo e da quello di Gaetano Pellesina eseguito per Franco e Marcantonio Gritti; poi Francesco Gritti nel 1830 la cedette ai Camuzzoni che la rilevarono pressoché in stato di abbandono, situazione questa dovuta forse sia ai numerosi straripamenti dei fiumi ad essa vicini, sia a causa delle conseguenze patite per le battaglie napoleoniche combattute qualche decennio prima nei territori circostanti. Fu in particolare Giulio Camuzzoni che si occupò di riportare la villa alla sua antica bellezza, anzi sotto la sua proprietà essa raggiunse il massimo dello splendore con le migliorie che egli vi apportò come: l'ingresso al giardino con la cancellata, disegnata dall'amico patriota Carlo Montanari, tra due pilastri decorati da vasi in pietra che fu chiamata "Albertina" in onore di una componente della famiglia; la costruzione delle serre in stile neomoresco, caratterizzate da slanciati contrafforti poligonali terminanti in pinnacoli che suddividono uno spazio in cui si aprono delle finestre di chiara foggia araba; l'edificazione della torre in cotto ornata da merli, suddivisa in una parte più bassa, denominata con titolazione familiare, "Antonietta" (1856) e in una più elevata detta "Eleonora" (1890); le modifiche al prospetto dell'edificio padronale in stile neoclassico più sotto descritto, così come le trasformazioni di altri edifici nelle facciate secondo lo stile neomedioevale. L'insieme viene così ad assumere l'aspetto tipico dell'eclettismo della seconda metà dell'ottocento, caratterizzato dalla compresenza di una pluralità di stili architettonici. Il complesso si presenta assai differente nelle due facciate che lo caratterizzano: la facciata Nord è la più importante, quella di rappresentanza, arricchita dal bel giardino all'italiana, è caratterizzata dal corpo centrale in stile neoclassico con un frontone triangolare modanato sorretto da quattro semicolonne di ordine ionico poggianti su di un alto plinto. Una doppia gradinata conduce direttamente al piano nobile caratterizzato da finestre architravate di forma allungata sormontate da timpani aggettanti. L'edificio è affiancato da due fabbricati a due piani; quello a nord-est è in stile eclettico, e l'altro a nord-ovest è in stile moresco. La facciata Sud è invece molto più semplice, essa costituisce la parte produttiva della villa; si apre su una grande aia, con pavimento in cotto, bordata in tufo, con numerosi corpi di fabbrica che la delimitano come le grandi barchesse dai volti ad arco ribassato e le case dei "laorenti" a testimonianza della grossa azienda agricola qui esistente, dedita in particolar modo, sia nel periodo dei Gritti che in quello dei Camuzzoni, alla risicultura. A questo proposito, in fondo al giardino che circonda l'aia, si trova un rustico del tardo Cinquecento con porticato a piano terra costituito da colonne doriche in tufo di epoca settecentesca, denominato "La Pila". Dietro il porticato vi è il rustico con doppia destinazione di abitazione e magazzino. Parte dell'edificio ed il porticato, con pavimentazione in pietra, erano adibiti alla pilatura del riso. Tutta la proprietà è interessata da un insieme di canalizzazioni ideate da Giulio Camuzzoni che servivano nella zona meridionale della proprietà a scopo irriguo, mentre a Nord erano sfruttate per creare giochi d'acqua al fine di abbellire il giardino arricchito anche da accorgimenti tecnologici, come il mulino posto a Nord Est nel parco, da realizzazioni artistiche ad esempio la vasca con fontana ingentilita agli angoli da alti pilastri in pietra e posta nei pressi delle serre. Chiude l'angolo Nord-Ovest del giardino la chiesa dedicata a San Matteo che originariamente si trovava in posizione diametralmente opposta nella proprietà, ma qui collocata durante il riordino funzionale della villa apportato come già detto dai Gritti, ornata di un campanile a tre campane fu restaurata nel 1926 in seguito alla sepoltura di Rosabianca Cazzola, figlia di Stanislao, proprietario che succedette ai Camuzzoni. La facciata sobria presenta un frontone sorretto da due coppie di lesene con capitello ionico. Subito dopo la seconda guerra mondiale la villa passò dai Cazzola ai Matarazzo e dal 1973 alla famiglia Conforti. Villa Scudellari - XVII secolo La villa è situata in località Motta, sulle pendici di un piccolo colle di origine vulcanica (si tratta di una lingua di rocce magmatiche effusive di natura basaltica, un rilievo isolato nella pianura, ma di eguale derivazione di quelli della fascia collinare lessinea). In questo luogo, il cui toponimo Motta indica appunto un rialzo del terreno, era situato il castello di San Bonifacio della omonima famiglia, possente maniero sito in posizione rilevata e protetto dal fiume e dalle estese aree paludose circostanti, ciononostante preso nel 1243 da Ezzelino III da Romano e successivamente (dopo il 1276) demolito dagli scaligeri in ottemperanza alle disposizioni di pace sottoscritte con i Padovani che prevedevano la demolizione di tutte le fortificazioni ad oriente della val d'Alpone verso Vicenza e Padova. Attorno al castello era sorto il primo nucleo abitato di San Bonifacio e ancor oggi l'impianto urbanistico di questa zona è assai interessante perché ricalca chiaramente quella antica disposizione. L'attuale aspetto della villa ci suggerisce di datarla verso la fine del Settecento - inizi Ottocento, anche se molto probabilmente il suo impianto è molto più antico. Sarà utile sottolineare come oggi essa si trovi su un piano assai più rialzato rispetto alla chiesa di Sant'Abbondio, quando invece in immagini d'epoca (un'antica cartolina) essa appariva sullo stesso livello della chiesa. La stranezza deriva dal fatto che durante dei lavori di restauro della antica pieve di Sant'Abbondio effettuati nel 1900, ci si accorse che il livello del pavimento originario della chiesa si trovava almeno un metro e mezzo più in basso. Si provvide perciò a operare uno scavo che riportasse l'altezza della costruzione ai valori primitivi, cosicché la villa adiacente risultò sopraelevata nei riguardi della chiesa. Probabilmente il rialzo fu dovuto alla distesa di rovine del castello demolito per ordine di Alberto Della Scala, macerie che avevano riempito l'antico vallo situato attorno a una delle tre cinte di mura del Castello, ove oggi passa la strada, seppellendo parzialmente anche la chiesa che comunque, anche se in certa misura invasa dalle rovine, continuò a essere utilizzata dal momento che subì altri interventi come dimostrano gli affreschi della zona absidale (bella annunciazione della fine del Trecento) e i numerosi ex-voto successivi ad un ripristino strutturale avvenuto nel 1491. Attualmente il palazzo è di proprietà della famiglia Burato che la acquisì dal amministrazione comunale di San Bonifacio. Questa ne era venuta in possesso a seguito di una permuta con la Parrocchia di Sant'Abbondio, la quale a sua volta l'aveva ricevuta dal Seminario di Vicenza beneficiario del lascito nel 1952 di Maria Annunciata Scudellari. La Scudellari era l'ultima discendente di una famiglia che aveva detenuto la villa da lungo tempo assieme a un'ampia dotazione di campi e di caseggiati. Secondo alcune notizie sembra che nel XVI secolo la chiesa e l'annessa casa siano state date in gestione ai Morando, nobile famiglia veronese, che a San Bonifacio possedeva ampie proprietà e almeno un'altra villa, in località Fossabassa. Tuttavia lo stemma riportato sopra il portale d'ingresso del palazzo della Motta, non corrisponde a questa famiglia e nemmeno a quello di nessun'altra tra le casate nobili veronesi, aprendo così un'interessante questione circa la vera attribuzione della proprietà di questo stabile.La facciata principale della villa è orientata ad ovest, essa si sviluppa su due piani più il granaio e presenta solamente quattro finestre per piano, a differenza della facciata ad est (più antica nei caratteri) che ne presenta sei. Il prospetto ad ovest è databile, come già ricordato, tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, ciò si evince dagli elementi architettonici visibili al primo piano, mentre il portale d'ingresso ad arco, di pregevole fattura, con il famoso fregio, sembra presentare forme del '6-700. La struttura dell'edificio ha la tipica disposizione della casa veneta con salone centrale, stanze e scale che si aprono sui lati di questo. Sul lato orientale si apre la corte che si trova su una sorta di terrazza che domina e che sporge sul piano di campagna sottostante raggiungibile per mezzo di una scala. Delle semplici barchesse cingono i lati del cortile. Di qualche interesse architettonico è un piccolo deposito con due aperture ad arco ribassato costruito alle spalle della chiesa che ne ingloba l'abside. In una mappa del 1614 è già visibile il complesso della villa che presenta una colombara, ora non più esistente, posto in corrispondenza all'attuale accesso carraio alla corte. Villa Thiene - XV secolo La villa è situata a Torri di Confine, frazione di Gambellara. Il toponimo Torri di confine induce a ritenere che in questo luogo doveva esserci un importante confine amministrativo tale da determinare l'edificazione di una o più torri, vale a dire una fortificazione. Attualmente, come sappiamo, qui passa il confine tra la Provincia di Verona e la Provincia di Vicenza, ma nel passato non era sempre stato così, visto che il confine in epoca carolingia tra il distretto veronese e quello vicentino si fermava sull'Alpone. Fu solo in seguito alla pace di Fontaniva (28 marzo 1147) stipulata tra Vicenza e Padova, che a Verona, alleata di Vicenza, furono cedute da quest'ultima le ville di Costalunga, Montecchia di Crosara, Locara, Villanova, San Bonifacio, Zimella e Cologna Veneta. Il territorio del comune di San Bonifacio passò quindi dalla pertinenza vicentina a quella veronese solamente dalla data della pace di Fontaniva. Si può ritenere che da questo momento in poi il sito sia divenuto importante agli scopi confinari. Esso lo fu almeno fino a quando gli Scaligeri non acquisirono i territori vicentini (1311); specialmente nei cinquant'anni precedenti tale data quando imperversavano le scorrerie dei Carraresi signori di Padova, che in più occasioni cercarono di acquisire Lonigo e il suo territorio rendendo così assai critica la condizione di tutta l'area e in particolare della zona di confine con Verona. È da considerare quindi che furono gli Scaligeri a ordinarne le fortificazioni. Il documento più antico che possediamo su Torri di Confine è l'immagine riportata in una mappa quattrocentesca anonima, senza titolo, in cui è riportato il toponimo con la seguente dicitura: "Tore de confin soto Sanbonifacio" , e in cui è rappresentato un edificio munito di grossa torre. Dopo la dedizione a Venezia (1405) ogni valore difensivo fu definitivamente perduto e la fortificazione fu trasformata in villa rustica. Sembra che i primi acquirenti di questo bene, alienato assieme agli altri facenti parte della cosiddetta Fattoria Scaligera, siano stati i Da Lisca con il milite Giovanni nel 1407. Quindi la proprietà passò alla nobile famiglia dei Thiene di cui resta traccia nello stemma scolpito sopra il portone d'ingresso carraio del grande edificio lungo la strada. Probabilmente furono i membri di quest'ultima famiglia a far costruire il fabbricato che costeggia la Statale, la cui tipica lavorazione riprende motivi tratti da esempi romani e ci induce a datarne l'edificazione alla fine del 400. Il complesso si discosta dal modello di villa, vertendo maggiormente in senso di edificio urbano, probabilmente perché la propria funzione riguardava anche l'essere stazione di posta verosimilmente in sostituzione della vecchia mansiones romana, di qui poco lontana, tuttavia a proprio corredo presenta i tipici annessi rurali delle ville come la colombara e la cappella consegnandoci così una costruzione dotata di caratteristiche distintive. È anche assai interessante effettuare un paragone con il contemporaneo palazzo Miniscalchi in via Marconi a San Bonifacio in cui si possono notare importanti analogie. Il complesso è costituito da due edifici posti ortogonalmente tra loro, la parte più antica comprende la torre costituita da muratura mista in mattoni e pietrame e l'edificio collegato avente nella facciata esterna una piccola finestra a volto acuto che ne consente una datazione nei primi del 400. La facciata verso la strada, la più recente, doveva essere originariamente simmetrica, con l'elemento centrale più alto, caratterizzato dal grande volto. Tutta l'ala sinistra, successivamente trasformata in stalla, presenta nella muratura evidenti segni dei contorni delle finestre assai simili a quelli del lato destro. L'ingresso dell'abitazione avveniva dal sottoportico, i due balconcini nel corpo centrale sono successivi e derivano dalla trasformazione di due finestre in porte. Dalla parte opposta della strada statale, in comune di Gambellara, si trova la piccola cappella dedicata a San Michele Arcangelo. L'attuale edificio risale al 1700 e presenta una struttura assai rimaneggiata. La sua origine sembra assai più antica. Sicuramente originale il contorno della porta d'ingresso con timpano spezzato e stemma della famiglia Thiene. Da sottolineare come l'antica fiera di San Michele per il bestiame, prendesse origine in questo luogo proprio in forza di questa cappella, e solo successivamente fosse spostata a San Bonifacio. Villa Negri - Ca' Dell'Ora - XVIII secolo Nelle mappe dell'800 la zona in cui è ubicata questa villa è indicata come proprietà dei Negri, una famiglia della nobiltà vicentina, che aveva grandi possedimenti in questa parte di San Bonifacio. È del resto evidente come la proprietà terriera collegata all'altra villa Negri di Perarolo, si estenda oltre la strada statale, fino al torrente Chiampo in un'area contigua a quella di Cà dell'Ora. Questa villa fu fatta erigere dalla famiglia Negri. La si può ammirare dalla strada Statale (venendo da Vicenza a destra) un po' all'interno, circondata da un'estesa campagna. Fu probabilmente la residenza di Pier Eleonoro Negri, eroe del risorgimento. Le forme sono quelle del Neopalladianesimo della fine '700, primi '800, un po' rigide e senza invenzioni.La casa, un volume compatto e pulito, risulta un po' isolata in uno spazio vuoto che neanche il bel giardino riesce a colmare e gli annessi rustici, piuttosto consistenti ma semplici, sono a una distanza tale da non poter interferire. La casa è stata restaurata qualche decennio fa ed è stato aggiunto un consistente corpo di fabbrica a nord, che risulta invisibile almeno dalla vista frontale. Inoltre la scelta dei coppi scuri, ha aumentato il senso di alterigia che già di per sé l'edificio promana. Tra le ville venete sambonifacesi, questa è senz'altro quella in cui la rappresentatività è messa al primo posto, arrivando alla soluzione della casa tempio. Questo genere inventato dal Palladio, nelle mani del grande architetto, ha prodotto dei veri capolavori di armonia di tutto l'insieme. Le opere del '700 - '800 che hanno ripreso i modelli Palladiani, solo raramente sono riusciti a ricrearne la suggestione. La facciata a sud è la parte più significativa della villa: l'impostazione è classica, con l'elemento centrale a pronao, che emerge leggermente dal volume compatto dell'edificio e crea, al piano nobile il forte chiaroscuro della loggia con le quattro colonne ioniche sorreggenti il timpano. Nella trabeazione si legge la scritta: "LAN IX DE LEMPIRE DE NAPOLEON LE GRAND", quindi 1813. Non è certo che questa sia l'effettiva data di costruzione della villa, o solo un motto celebrativo. La datazione rimane un'incognita. Tutto il piano terra è rivestito in marmo, creando forse volutamente, un netto stacco col piano superiore invece molto ricco di elementi decorativi. Nel complesso le proporzioni della facciata risultano ben equilibrate. Gli annessi costituiscono un lungo edificio allineato alla casa padronale. Comprendono una barchessa e le case dei "laorenti". L'insieme non presenta particolari significativi: la povertà delle finiture contrasta nettamente con la solennità dell'edificio padronale, ma questa distinzione è sicuramente voluta. Nell'evoluzione della villa veneta dai primi esempi del '400 fino alla fine del '700, si assiste al progressivo allontanamento degli annessi rustici dalla casa del padrone, questo anche per dimostrare simbolicamente il distacco, richiesto alla nobiltà dal lavoro. L'uso della villa diventa quindi sempre più per svago e rappresentatività che per un effettivo controllo, com'era in origine, dello svolgimento delle attività agricole. Museo Civico Geopaleontologico Sede: Il Museo Civico Geopaleontologico di San Bonifacio "Abate Don Giuseppe Dalla Tomba" è situato all'interno del complesso dell'Abbazia di San Pietro. L'origine e l'allestimento museale: Il Museo nasce dalla donazione fatta al Comune di San Bonifacio nel 1984 della collezione di reperti geopaleontologici di Don Giuseppe Dalla Tomba, Abate a Villanova di San Bonifacio dal 1939 fino al 1980, con il vincolo di offrire loro, un'adeguata esposizione museale. Il materiale geopaleontologico è stato esposto inizialmente nel museo situato presso il Palazzo della Cultura in via Marconi e inaugurato nell'ottobre del 1994. Successivamente, il 4 ottobre 2003, è stato trasferito nell'attuale sede. Il progetto scientifico di allestimento è stato elaborato dal geologo Dott. Enrico Castellaccio. I materiali del Museo sono esposti in 21 vetrine all'interno di due sale. Il Museo illustra gli aspetti geologici del territorio di San Bonifacio e, attraverso una ricca collezione di fossili provenienti da molte aree diverse, rappresenta tutte le Ere geologiche in un viaggio nel tempo che ci permette di capire le trasformazioni più importanti delle forme di vita avvenute sulla Terra fin dal lontanissimo Archeozoico (circa 4,6 miliardi di anni fa). Tra i fossili esposti ci sono alcuni esemplari provenienti dalle località fossilifere di Bolca. Inoltre si possono osservare 78 minerali raccolti in due vetrine. Abitanti censiti Come in buona parte del Veneto, anche San Bonifacio è caratterizzato da una nutrita presenza di cittadini stranieri, che al 1 gennaio 2022 risultavano essere 3 101, ovvero il 14,40% della popolazione del comune. Il museo civico geopanteologico espone testimonianze archeologiche e naturalistiche della val d’Alpone e della valle del Chiampo L'opera Oberto, Conte di San Bonifacio di Giuseppe Verdi narra dei conti di San Bonifacio a seguito della sconfitta da parte di Ezzelino III da Romano Palio delle contrade - sabato e domenica della prima settimana di settembre Fiera di San Marco Parcheggio Palù (vicino al centro di San Bonifacio) intorno al 25 aprile Festa di San Giuseppe lavoratore Quartiere Praissola intorno al 1º maggio Festa di San Bonifacio Il sabato più prossimo al 5 di giugno Festa di Sant'Antonio a Coalonga Piazza Sant'Antonio verso il 13 giugno Festa della Sorana A Locara in agosto Sagra di Sant'Abbondio Ultima settimana di agosto presso la chiesa di Sant'Abbondio (località Motta) Truck Festival Festival dei camion a Lobia in maggio Sagra di San Biagio A Prova, nei weekend adiacenti al 3 febbraio piazzale Michelangelo Sagra Madonna della Neve A San Bonifacio, Piazzetta Asiago, inizio agosto. Concerto "Il Sorriso del Natale" A cura dell'associazione New Sambo Big Band - Banda Spettacolo di Prova APS - Teatro Centrale - 26 dicembre Concerto di Capodanno Orchestra da Camera "Alio Modo Ensemble" (dal 2001) - Sala Barbarani, 1º gennaio ore 17.00 Concerto della domenica delle Palme Rassegna Teatrale "Il febbraio del sabato sera" Teatro Centrale, tutti i sabato di febbraio Rassegna Teatrale "Teatro in Villa" Villa Gritti (Villanova di San Bonifacio), luglio Mercato Settimanale Ogni Mercoledì mattina (per le vie del centro) Mercato KM ZERO Ogni Venerdì pomeriggio (in Piazza Costituzione) Nel territorio di San Bonifacio sono presenti tre asili nido, diverse Scuole dell'Infanzia, quattro scuole primarie, le scuole medie "Bonturi" e "Piubello", Il liceo "Guarino Veronese", il centro di formazione professionale “San Gaetano” e l'istituto tecnico statale "Luciano Dal Cero". Questa è una zona di produzione del vino Arcole DOC e Soave DOC San Bonifacio presenta nel territorio comunale molte aziende sviluppatosi a seguito del boom degli anni '80 tra cui conosciute a livello globale come: Pakelo; Pedrollo e Ferroli. Nella periferia del comune si trovano coltivazioni di mais, frumento, soia, uva, frutta e ortaggi. Numerosi sono i negozi all'interno del centro storico oltre alla presenza di un centro commerciale situato lungo la SP7. L'ospedale Girolamo Fracastoro è il più grande e più attrezzato centro di assistenza sanitaria dell'est Veronese e in esso sono attivi i dipartimenti di: medicina generale (medicina interna di: malattie infettive, malattie metaboliche e diabetiche, gastroenterologia - endoscopia digestiva, pneumologia, oncologia medica, radioterapia e medicina nucleare); medicina specialistica (cardiologia, nefrologia – dialisi, neurologia); servizi (radiologia, laboratorio analisi, anatomia e istologia patologica); chirurgia (chirurgia generale, oculistica, otorinolaringoiatria, ortopedia, urologia, odontostomatologia); continuità assistenziale (geriatria, recupero rieducazione funzionale, lungodegenza); materno infantile (pediatria, ostetricia - ginecologia); dipartimento interaziendale (farmacia ospedaliera, trasfusionale ed immunologia); urgenze - emergenze (anestesia – rianimazione, prontosoccorso). Sono inoltre presenti farmacie nei vari centri abitati ed una casa di riposo nel centro cittadino. A San Bonifacio è presente il casello di Soave - San Bonifacio dell'autostrada A4; la città è inoltre interessata dalle strade provinciali SP12 (da Lonigo), SP7 (da Cologna Veneta), SP38 (da Belfiore) e dalla Strada statale 11 Padana Superiore. La stazione ferroviaria si trova in Corso Venezia, vicina al centro ed è posta sulla ferrovia Milano-Venezia; vi fermano i treni regionali svolti da Trenitalia nell'ambito del contratto di servizio con la Regione Veneto inoltre Il trasporto pubblico è garantito anche da autocorse svolte dalla società Azienda Trasporti Verona (ATV). La località svolse inoltre, fra il 1881 e il 1956, un'importante funzione di nodo tranviario, per la presenza delle tranvia Verona-Caldiero-San Bonifacio, che percorreva la suddetta statale, della San Bonifacio-Lonigo-Cologna Veneta e della diramazione San Bonifacio-San Giovanni Ilarione. La tranvia per Verona fu sostituita nel 1959 da una filovia, soppressa nel 1981. Il comune di San Bonifacio ha aderito alla lista dei comuni gemellati con la fondazione "Città della Speranza . Inoltre il comune fa parte del movimento patto dei sindaci. Dopo la promozione in Lega Pro Seconda Divisione del 2007-2008 la Sambonifacese è stata la terza squadra professionistica di calcio della provincia di Verona dopo Hellas Verona e Chievo Verona. Il campo di casa è lo stadio Renzo Tizian. Inoltre nel corso della sua storia è stata fondamentale per la crescita di numerosi giocatori conosciuti successivamente a livello internazionale tra cui Jorginho. Nel 2019 cambia denominazione in A.S.D. Prosambonifacese 1921 e attualmente milita in Promozione. Altre squadre presenti nel territorio sono: l’US Provese che rappresenta la frazione di Prova dal 1963 ed attualmente milita in seconda categoria e il Locara Calcio che dal 1967 rappresenta l’omonima frazione. Attualmente milita in prima categoria. Nel basket maschile la Pallacanestro San Bonifacio è la squadra del territorio. Presente con attività dal 1962, nel 1976 ha sfiorato la promozione in A2 disputando gli spareggi del campionato di serie B a Forlì. Nella stagione 2012/2013 partecipa per il quarto anno consecutivo alla Divisione Nazionale C. Il campo di casa è il Palaferroli, realizzato dal main sponsor e donato all'Amministrazione comunale. L'impianto da 1.500 posti è stato inaugurato il 9 ottobre 2010. Attualmente milita in Serie B Interregionale Nella pallacanestro femminile la New Polibasket San Bonifacio è stato il club più prestigioso della provincia di Verona e vantava molte stagioni nella Serie A2. A seguito dello scioglimento è nata la società: Victoria Basket San Bonifacio che attualmente milita in Serie C. Nella pallavolo femminile sono presenti sul territorio: Sambo volley che si occupa del settore giovanile. Nella frazione di Locara è presente l’US pallavolo Locara che milita in Serie C. Inoltre la prima squadra dell’Unione Volley Montecchio Maggiore che milita in Serie A2 disputa i propri allenamenti e gli incontri presso il PalaFerroli. Basilio Garbin, (San Bonifacio, 3 gennaio 1887 – San Bonifacio, 6 aprile 1963) aspirante ufficiale del 12º Reggimento bersaglieri, medaglia d’argento al valore militare, cadde ferito gravemente sul Monte Tondarecar il 4 dicembre 1917. Adelfino Nestori: San Bonifacio nella storia, 1992 Fausto Rossi: San Bonifacio e le sue frazioni, 1995 Ernesto Santi: Chiese romaniche nel territorio dell'Est veronese: secoli IX - XII, Premariacco (UD), 1998 Guida rossa del Touring Club: Veneto, 2005 Sambonifacio, omonima nobile famiglia Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su San Bonifacio Sito ufficiale, su comune.sanbonifacio.vr.it. San Bonifàcio, su sapere.it, De Agostini. Associazione città del vino, su cittadelvino.it. Associazione Vita e Benessere, su vitaebenessere.org. URL consultato il 29 dicembre 2011 (archiviato dall'url originale il 28 dicembre 2011).

Chiesa di Santa Maria Fossa Dragone

La chiesa di Santa Maria Fossa Dragone o chiesa dei Cappuccini è una chiesa sussidiaria della parrocchia di Santa Maria Maggiore in Monteforte d’Alpone; fa parte del vicariato dell'Est Veronese, precisamente dell'Unità Pastorale Soave - Monteforte. Della chiesa, oggi all’interno del cimitero di Monteforte, non si è a conoscenza dell’anno di costruzione, mentre è certo che è sempre stata una proprietà comunale. Il primo documento che ne parla è un atto del 1383 in cui il Vescovo di Verona Pietro della Scala assegna a ser Fermo detto Cleregino, a nome di Zampietro di Giovanni, nativo di Isola della Scala, ma abitante a Verona, riceve un terreno. In tale atto compare la denominazione di Santa Maria, la stessa della chiesa parrocchiale di Monteforte, già esistente nel Duecento. La denominazione con cui è conosciuta oggi, Santa Maria di Fossa Dragone, appare la prima volta nel testamento di Bona Femmina, vedova di un notaio montefortiano, nel 1410. Essa dona una somma per la sistemazione del tetto della chiesa. A metà del Quattrocento è attestata la presenza di un eremita, il quale godeva dell’usufrutto di alcuni terreni, mentre da un testamento coevo si apprende l’esistenza di un cimitero attiguo al luogo di culto. Al 1473 risale l’assegnazione da parte di Antonio de Rexanis, arciprete di Santa Maria Maggiore, al custode della chiesa, fra’ Agostino da Pisa, di quattro pezze di terra. Lui e i suoi successori avrebbero potuto dimorare nel romitorio solo con il consenso della comunità di Monteforte. Nel XV secolo la chiesa venne ampliata e riqualificata in quanto aveva assunto una certa importanza e frequentazione come santuario mariano. Conclusi i lavori, fu consacrata, come attestano le croci alle pareti ed un’iscrizione, il 21 settembre 1489 da Marco Cattaneo, Arcivescovo di Durazzo e vicario di Giovanni Michiel, Vescovo di Verona. Nella prima metà del Cinquecento, per iniziativa del Vescovo di Verona Gian Matteo Giberti arrivarono nel territorio diocesano i Cappuccini, che presero il posto dell’eremita custode della chiesa. Risale al gennaio 1568 la convenzione tra i frati e la comunità di Monteforte con cui ai religiosi veniva assegnata la chiesa, il romitorio, l’orto e i terreni del beneficio. Questo comportò la costruzione di un convento a sud della chiesa, con diciotto celle per i frati, tre per gli infermi e due per i laici, nonché l’edificazione del coro, a nord della navata. Nel 1769 la Repubblica di Venezia soppresse il convento e l’anno successivo Alessandro Duodo, aggiunto sopra i monasteri, ripristinò la comunità religiosa nel diritto di patronato sulla chiesa con obbligo della Santa Messa festiva e uso e usufrutto dei beni parrocchiali. Nel 1789 tutta la struttura divenne temporaneamente un ospedale, mentre al 1817 risale l’uso di seppellire i morti di Monteforte nell’area antistante la chiesa, vista la dismissione del vecchio cimitero a fianco della parrocchiale. Il convento fu completamente abbattuto nella seconda metà dell’Ottocento e al 1884 risale la proibizione di celebrare l’Eucarestia all’interno del luogo di culto da parte del Vescovo di Verona, il Cardinale Luigi di Canossa in quanto inservibile al culto divino. Nel 1950 fu abbattuta la sacrestia, dietro al presbiterio, e nel 1954 fu la volta del coro a favore delle tombe dei sacerdoti. Tra il 2003 e il 2004 grazie a vari entri, la chiesa fu restaurata La facciata a capanna, rivolta ad ovest, presenta un portale rettangolare marmoreo sovrastato da una lunetta con arco a sesto acuto. Ai lati, a metà della lunetta, troviamo due grandi finestre rettangolari mentre in asse con il portale vi è un oculo. L’interno è un’aula a pianta rettangolare, con copertura a capriate lignee sostenute da modiglioni in pietra nella parte riservata ai fedeli. Alla sinistra della porta, un affresco trecentesco con la Madonna allattante tra i santi Giovanni e Pietro. Sulla parete sinistra vi è un arco del XVII secolo, oggi murato, attraverso cui si entrava nel coro fatto erigere dai Cappuccini. Sulla chiave di volta vi è lo stemma dell’ordine. Ai lati dell’arco trionfale vi sono due altari in muratura, entrambi privati delle pale su di essi collocate, oggi in altri edifici: l’Adorazione dei Magi, del 1623, nel palazzo municipale; la Madonna e i santi Anna, Francesco d'Assisi, Carlo Borromeo e Chiara, del 1622, oggi nella cappella del Palazzo vescovile montefortiano. Entrambe sono opera del pittore Giovanni Camozzoni. Era presente anche L’Assunta con i santi Francesco e Domenico, attribuita a Felice Riccio detto Brusasorzi, oggi in municipio. Il presbiterio, elevato di un gradino rispetto all’aula, ha una volta a crociera ed è sorto dopo la demolizione della preesistente piccola abside. Al centro è presente l’altare maggiore ligneo del Quattrocento, di autore ignoto, staccato da terra e ancorato alla parete. Composto da due colonne con capitelli corinzi e timpano, al suo interno contiene una struttura più ridotta, con un trittico ed una predella, sovrastati da una lunetta. Nella parte mediana, divisa da lesene vi sono scolpiti in altorilievo i santi Giovanni Battista e Andrea. La nicchia centrale, oggi vuota, accoglieva fino al 1970 la statua della ‘’Madonna del drago, custodita attualmente nell’oratorio di San Luigi Gonzaga, adiacente alla parrocchiale di S. Maria Maggiore. La Vergine, seduta, a mani giunte, con una lunga veste gialla e un velo rosso, tiene sulle ginocchia il Bambino Gesù, contemplato con sguardo amoroso. Sotto i piedi della Madonna un drago (interpretato come il vicino torrente Alpone, spesso devastatore delle zone circostanti alla chiesa con le sue piene) dalla pelle verdastra, con ali di pipistrello, zampe di leone, testa canina e coda di serpente sollevata, a farlo apparire domato, ma ancora fremente. Databile alla seconda metà del Quattrocento, è attribuita alla scuola di Giovanni Zebellana. Nella seconda metà del Quattrocento il presbiterio fu decorato dalle pitture di Pietro di Marino, rimesse in luce e restaurate recentemente. A sinistra la Madonna in trono tra i santi Antonio Abate e Bernardino da Siena, con l’anacoreta egiziano a sfiorare la testa di un uomo canuto affiancato dalla moglie, sicuramente i committenti del dipinto, raffiguranti con le mani giunte. Tra la Vergine e San Bernardino vi è un castello su un colle, mentre sulla pedana del trono è riportato l’anno 1488. Sul lato destro del presbiterio vi è un affresco, sempre del 1488, composto da due riquadri: nel primo San Bovo, mentre nel secondo una ‘’Madonna in trono col Bambino’’ e un orante inginocchiato ai suoi piedi, probabilmente il committente. Un’altra opera d’arte che era presente nella chiesa, oggi in una cornice in municipio, risale al 1669, quando la comunità di Monteforte commissionò alla suora di clausura veneziana Elisabetta Piccini una lastra di rame incisa con l’immagine della Madonna miracolosa del drago, come riportato sul cartiglio dell’opera, con la presenza dello stemma dei Vescovi di Verona Sebastiano Pisani I e II, zio e nipote. In basso vi sono i Cappuccini, i miracolati, il paese di Monteforte, Sant’Antonio Abate, il Palazzo vescovile e la processione verso la chiesa, mentre in alto San Pietro pesca spade, archi e frecce a ricordare la guerra contro i Turchi. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. Monteforte d'Alpone Parrocchie della diocesi di Verona Diocesi di Verona Regione ecclesiastica Triveneto Puntata di Imago Ecclesiae in cui si parla anche della chiesa di Santa Maria Fossa Dragone, su youtube.com.

Chiesa di San Giuseppe Lavoratore (San Bonifacio)

La chiesa di San Giuseppe Lavoratore è la chiesa parrocchiale di Praissola, quartiere di San Bonifacio in provincia di Verona e diocesi di Vicenza; fa parte del vicariato di San Bonifacio-Montecchia di Crosara, più precisamente dell'Unità Pastorale San Bonifacio. Praissola, quartiere ad est di San Bonifacio, con l’industrializzazione del paese vide aumentare la sua popolazione oltre alla presenza di strutture come lo stadio Renzo Tizian, l’Istituto Superiore per ragionieri e geometri dedicato a Luciano Dal Cero e la Scuola Media statale. La distanza tra Praissola e il centro del paese, dove sorge la chiesa (oggi duomo) di Santa Maria Maggiore, e il fatto che la parrocchia di Sant’Abbondio avesse undicimila fedeli negli anni Settanta del XX secolo portò alla decisione, nel 1976 di costruire una nuova chiesa nel quartiere. Furono consultati i capifamiglia e la votazione vide duecentottanta voti favorevoli e quattro contrari. Mons. Giovanni Bernardi, parroco di Sant’Abbondio, rivelò che la prima idea di una nuova chiesa nacque con la morte di una ragazzina di prima media, Daniela, abitante nella vicina via Fiume, travolta da un mezzo pesante il 18 maggio 1974 mentre si recava al catechismo. La prima pietra fu posta il 16 aprile 1978 e i lavori, seguiti dall’ingegnere Guido Taddei, iniziarono all’inizio di ottobre dello stesso anno basandosi sul progetto dell’architetto vicentino Giuseppe Nori. Mentre venivano innalzate le murature, fu costruito un seminterrato sotto il pavimento della futura chiesa con una cappella e aule per il catechismo. La prima Santa Messa nel seminterrato fu celebrata il 24 dicembre 1979. Tra il 1979 e il 1981 i lavori furono sospesi per difficoltà edilizie derivate dal reperimento dei fondi e dal peso del tetto. Questo era previsto senza il supporto di colonnato e la consultazione di docenti di statica dell’Università di Padova confermò i timori. Gli ingegneri tedeschi della ditta costruttrice incaricata delle travature diedero parere positivo per la costruzione in cambio di piccole modifiche della struttura complessiva della copertura. I lavori ripresero il 15 settembre 1981 ed il tetto fu completato con una slanciata cupola a torrione, il tutto ricoperto con laminato di rame. Il 10 ottobre 1982 il parroco di Sant’Abbondio, monsignor Bernardi, a nome del Vescovo di Vicenza Arnoldo Onisto, inaugurò la nuova parrocchia e la chiesa, che fu dedicata a San Giuseppe Lavoratore per richiamare la vicina zona industriale. In quel giorno prese possesso della sua parrocchia il primo parroco, don Pietro Cailotto. Nell’ottobre 1983 fu completata la canonica, sistemati i grandi finestroni e perlinato il soffitto ligneo. Al 1985 risale il pavimento in granito rosa porrino, le porte in legno di rovere, la sistemazione del sagrato della chiesa con le scalinate e il porticato che congiunge il luogo di culto alla canonica. Per i dieci anni della parrocchia, fu sistemato definitivamente il presbiterio su progetto di padre Angelo Polesello, con il nuovo altare, la sede del presidente, l’ambone, il tabernacolo, il fonte battesimale e la particolare lumiera a forma di spirale che scende dal soffitto. Sempre nel 1992 ricevette una collocazione definitiva la statua di San Giuseppe Lavoratore con Gesù ragazzino, opera dello scultore di Ortisei, donata il 16 settembre 1984 alla parrocchia dalla Congregazione delle Piccole Figlie di San Giuseppe di Verona. Al 2005 risale la realizzazione delle vetrate istoriate e del nuovo fonte battesimale progettato dall’architetta e artista suor Michelangela Ballan; nel 2006 fu invece realizzata la nicchia dove è collocata la statua in legno di castagno della Madonna del Rosario, sempre opera dello scultore Flavio Pancheri e consegnata alla parrocchia il 7 ottobre 1984. Il 24 settembre 2016 si tenne la celebrazione eucaristica con cui iniziò il cammino della nuova Unità Pastorale di San Bonifacio. La chiesa, collocata al centro del quartiere, mostra un’architettura tipicamente contemporanea, con la cupola a torrione sovrastata da una croce in legno lamellare alta sette metri e con il braccio trasversale di tre metri, risulta visibile a distanza, specialmente da chi arriva da est verso il territorio comunale sambonifacese. L’edificio non presenta una facciata vera e propria, seppur con un ingresso principale in asse con l’altare. Sono presenti invece ampi atri che introducono all’aula. Il tutto può ricordare la prua di una nave o una tenda che ricade e s’innalza in maniera irregolare. La chiesa è ad aula unica di forma irregolare, come a ricordare la diversità delle persone che entrano in chiesa, ma che tendono ad essere unite andando verso l’altare. La disposizione dei banchi, presenti dal 1999, a raggiera rispetto al presbiterio. Il soffitto, in perline di abete, lascia a vista le ventotto travi che terminano in un serramento nella parte superiore della cupola a forma di torrione. Al suo interno vi è la lumiera a forma di spirale, proprio sopra l’altare. A destra e a sinistra dell’ingresso principale vi è la Via Crucis dell’artista Marina Bertagnin, composta da opere scultoree già presenti a cui la stessa ha aggiunto sfondi di colore tenue e intenso. Sul lato destro rispetto all’ingresso vi è il fonte battesimale, collocato nel 2005 assieme alla vetrata sovrastante, entrambi opera di suor Michelangela Ballan. Quest’ultima raffigura un albero dalla ricca chioma, che ha le sue radici proprio nel fonte. Il presbiterio ospita i poli liturgici, tutti in toto o in parte lignei, dall’altare all’ambone sulla sinistra, dal grande Crocifisso al tabernacolo e alla sede del celebrante. Le pareti sono state arricchite più tardi da elementi di colore dall’artista Bertagnin. Il presbiterio è affiancato sulla destra dalla sacrestia e a sinistra da uno spazio, con finestra dai colori caldi, a forma di croce. Esso è delimitato da colonne, utilizzato dai cori e come altare della reposizione il Giovedì santo. Dietro al presbiterio vi è la grande “vetrata mani” ideata da suor Michelangela Ballan, chiamata così perché tre mani si protendono verso il cielo, alla ricerca di Dio, ma richiamano sia la Trinità sia le tre Virtù teologali. Nel 2008 fu acquistato l’organo. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. Quarant’anni insieme. Ricordi di una Comunità in cammino. 10 ottobre 1982-10 ottobre 2022, San Bonifacio, Parrocchia di San Giuseppe Lavoratore in Praissola (Unità Pastorale di San Bonifacio) – Azienda Grafica “Faltracco”, 2023. San Bonifacio Diocesi di Vicenza Parrocchie della diocesi di Vicenza Regione ecclesiastica Triveneto Chiesa di San Giuseppe Lavoratore, su BeWeB, Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana.

Chiesa della Beata Vergine delle Grazie (Monteforte d'Alpone)

La chiesa della Beata Vergine delle Grazie, meglio conosciuta come La Madonnina, è una chiesa sussidiaria della parrocchia di Santa Maria Maggiore in Monteforte d’Alpone; fa parte del vicariato dell'Est Veronese, precisamente dell'Unità Pastorale Soave - Monteforte. La chiesa sorge oggi al centro di una rotatoria piuttosto trafficata, in quanto vi passa il traffico in uscita dalla Val d'Alpone diretto a San Bonifacio (Italia) o verso il casello Soave – San Bonifacio dell’Autostrada A4. Alla metà del Seicento la strada per Soave si staccava da quella conduceva a San Bonifacio, formando un’ampia curva, come visibile anche da una pergamena del Cinquecento. All’interno della curva già allora era presente un sacello denominato Capitel novo (Capitello nuovo), con un’immagine della Vergine Maria affrescata, che nel tempo si rivelò miracolosa. Viste le grazie elargite dalla Madonna e l’afflusso di devoti montefortiani e di altre località, si decise di costruire nello stesso luogo una chiesa. L’11 aprile 1672 l’edificio sacro fu terminato e l’altare veniva benedetto con il titolo di Santa Maria delle Grazie. Il 13 settembre 1707 il Vescovo di Verona e futuro Cardinale Gianfrancesco Barbarigo visitò il luogo di culto, denominato qui per la prima volta come “La Madonnina”, probabilmente a causa delle dimensioni dell’edificio. Esso aveva un solo altare di marmo e i fedeli vi facevano celebrare una Santa Messa nel giorno di sabato, tradizionalmente dedicato alla Madonna. Il 21 maggio 1731 il Vescovo di Verona Francesco Trevisan visitò la chiesa, confermando che l’immagine dipinta sul muro era conosciuta come miracolosa e molto venerata. Il 6 ottobre 1845 il Vescovo di Verona Giovanni Pietro Aurelio Mutti, nella sua visita pastorale, constatò che l’immagine mariana era così deteriorata da rimanerne poche tracce. I responsabili della chiesa volevano restaurare il dipinto, ma il Vescovo, visto che la Madonnina rimaneva un luogo di culto frequentato, decise di lasciarlo così com’era. L’edificio, che non subì danni durante la Seconda Guerra Mondiale, rischiò nella seconda metà del XX secolo di essere demolito in quanto ritenuto un intralcio alla circolazione stradale e un pericolo per gli utenti della strada. Vi furono degli attentati e tentativi d’incendio che però non riuscirono a danneggiarla pesantemente. I lavori per ripristinare l’esterno dell’edificio furono eseguiti nell’estate 1979, restaurando la muratura danneggiata, ricostruendo la finestra e il portale distrutti, ma non si ricollocarono i due antichi sedili in pietra. Fu installata una nuova porta lignea, nonché telai e vetri semidoppi alle finestre. Si ristrutturò il tetto. Nel 1996, grazie ad un comitato voluto dagli abitanti della contrada (che prende il nome dalla chiesa), fu rifatto il controsoffitto danneggiato da un incendio, ridato l’intonaco sia all’interno sia all’esterno (cui seguì la tinteggiatura) e acquistati dei nuovi banchi, il tutto quando da qualche anno la viabilità era stata sistemata con la creazione della rotonda in cui è collocata la chiesa La facciata a capanna, rivolta a sud, presenta un portale scolpito in tufo di Vicenza, con timpano spezzato sostenuto da modiglioni, affiancato da due finestre rettangolari. In alto il frontone triangolare con cornice sporgente presenta un piccolo oculo ed è coronato al suo vertice da un pinnacolo con croce metallica. L’interno è un’aula a pianta rettangolare senza decorazioni pittoriche, con due ampie finestre sulle pareti laterali. Nel presbiterio, elevato di un gradino rispetto all’aula, è collocato l’altare in stile barocco del 1672, in marmo rosato e bianco, con colonne composite, forse opera di lapicidi della Valpolicella. La pala in esso presente sostituisce l’originaria immagine miracolosa ed è opera del pittore veronese Luigi Marai, eseguita nel 1884 e raffigurante Maria bambina e Sant'Anna. Sulla sommità dell’altare, a ricordare che fu la comunità montefortiana a volere la costruzione della chiesa, un angelo stringe tra le ali l’antico stemma del paese. Sul vertice destro del frontone triangolare della facciata è collocato il campanile in pietra, con cella campanaria aperta da monofore a tutto sesto e coronato da un tamburo a base ottagonale coperto da un cupolino su cui svetta una croce metallica. Attualmente il campanile è privo della campana. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. Monteforte d'Alpone Parrocchie della diocesi di Verona Diocesi di Verona Regione ecclesiastica Triveneto UnGiroinComune- La Chiesa della Madonnina pt.1 Monteforte d'Alpone, su youtube.com. URL consultato il 27 settembre 2023.

Brognoligo
Brognoligo

Brognoligo è una frazione di Monteforte d'Alpone in provincia di Verona. Conta circa 1 200 abitanti ed è situata a 2-3 km a nordest del capoluogo. Ci si arriva proseguendo dalla strada che passa di fianco al municipio. La vecchia chiesa di Brognoligo. Già menzionata nel 1188 come «Ecclesia Brognanico» nel testamento di Albertino Malacapella, appartenente alla famiglia comitale vicentina, rogato a Montecchia di Crosara il 6 agosto 1188, alla presenza anche dell'arciprete della pieve, Alioto. La chiesa parrocchiale è dedicata a Santo Stefano. Risale alla prima metà del XIX secolo ed ha al suo interno un altare con ciborio e tempietto in stile barocco. Di notevole interesse sono i due dipinti ai lati del presbiterio: "La visita dei pastori", opera di Pietro Bartolomeo Cittadella, datata 1690 e la Fuga in Egitto del pittore vicentino Giovanni Antonio De Pieri realizzata verso il 1735-40. Grotta di Lourdes rifacimento della grotta di Massabielle a Lourdes, costruita nel 1946 sulla collina che domina il paese come ex-voto ed inaugurata nel 1948 Palazzo Montanari - Durlo. Edificio cinquecentesco al cui interno la "stua grande" riscaldava tutto il palazzo attraverso molti condotti di cotto. Sagra delle ciliegie (a fine maggio/inizio giugno) M. Bertolazzi, Il Vino Santo di Brognoligo nella Valle d'Alpone, T- Studio, giugno 2008. M. Bertolazzi, Opere sconosciute di due pittori vicentini, 2008. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Brognoligo Vin santo di Brognoligo, su tigulliovino.it.

Monteforte d'Alpone
Monteforte d'Alpone

Monteforte d'Alpone (Monteforte d'Alpon in veneto) è un comune italiano di 8 906 abitanti della provincia di Verona in Veneto. È famoso per il vino Soave, la Montefortiana, il carnevale, la festa dell'uva e l'alto campanile, divenuto il simbolo del paese. Esso dista circa 25 chilometri da Verona. Rispetto al capoluogo si trova ad est, ed è posto allo sbocco della Val d'Alpone. Dal punto di vista ecclesiastico il comune di Monteforte è suddiviso tra le diocesi di Verona (parrocchia di Monteforte) e di Vicenza (parrocchie di Brognoligo e Costalunga). Abitato fin dall'epoca preistorica, Monteforte prende il nome da un castello costruito forse prima dell'anno mille sul colle dove oggi si trova la chiesetta di Sant'Antonio Abate. Dopo essere appartenuto ai conti San Bonifacio, Monteforte nel 1207 fu ceduto dal comune di Verona al vescovo Adelardo e ai suoi successori, in cambio della giurisdizione su Legnago, Tregnago e altre località. Iniziò così il periodo più importante, quello del governo dei vescovi di Verona, che si concretizzò in un vicariato laicale che aveva il compito di esercitare la giustizia civile e di sovrintendere al buon ordine e all'amministrazione della comunità. Questo periodo durò ininterrottamente fino alla caduta della Repubblica di Venezia, avvenuta verso la fine del XVIII secolo. Nel 1811 Monteforte divenne capoluogo del Cantone VIII, aggregando Brognoligo e Costalunga che dal Duecento erano un comune autonomo. Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con regio decreto del 21 giugno 1942. Il gonfalone è un drappo di azzurro con la bordatura di rosso. Chiesa (Oratorio) di Sant'Antonio - XIII secolo Fu eretta dai vescovi verso la fine del Duecento sulle rovine del castello (e con materiali dello stesso) e venne dedicata a Sant'Antonio Abate. La chiesa fu rimaneggiata all'esterno nel 1537; nel 1650 venne innalzato sia l'elegante altare barocco con statue e colonne di finto marmo a spirale, sia l'abside che per anni custodì un antico Crocifisso ligneo del Cinquecento, il cosiddetto "Cristo Moro", attualmente conservato nella chiesa parrocchiale. Chiesa di S. Maria Fossa Dragone detta dei Cappuccini - XIV secolo Di epoca trecentesca, è posta a sud del paese. Deve il nome al convento, oggi scomparso, di Cappuccini che qui risiedettero dal 1568 al 1769. Nel suo interno si trovano bellissimi affreschi del Trecento, Quattrocento e Seicento; un tempo era custodita la statua lignea policroma della Madonna del Drago (XV secolo), ora conservata nell'oratorio di San Luigi. La porta gotica fu realizzata nella seconda metà del Quattrocento mentre le due finestre laterali risalgono al Settecento. Chiesa di Santa Croce - XIV secolo Sorge lungo la strada tra il centro di Monteforte e la frazione di Sarmazza. Di antica costruzione, conserva alcuni affreschi d'inizio Trecento. L'abside con la volta a botte venne costruita nella prima metà del XVII secolo, mentre a sinistra si può ammirare un altare in marmo del Settecento. Sulla parete di fondo, a fianco dell'altar maggiore in marmo rosso di Verona, si trovano affreschi del Seicento raffiguranti i santi Agostino e Monica. Oratorio di San Carlo Borromeo - XVII secolo Eretto all'incrocio tra via San Carlo e viale Europa, era l'oratorio privato della famiglia Boniotti. Dopo anni di notevole abbandono, è stato radicalmente restaurato tra il 2020 e il 2021. Chiesa della Beata Vergine delle Grazie (La Madonnina) - XVII secolo Oggi al centro della rotonda all'inizio del paese per chi arriva da Soave e da San Bonifacio, fu costruita dalla comunità di Monteforte in seguito alle grazie e ai miracoli elargiti dalla Vergine Maria. Al suo interno conserva una pala con Maria bambina e Sat'Anna dipinta da Luigi Marai verso la fine dell'Ottocento. Oratorio di San Giovanni Battista - XVIII secolo Luogo di culto lungo la strada, a ovest del muro di cinta della villa Bur i- Portalupi - Spinola - Tessari a Costalunga. Sacello di San Giovanni Nepomuceno - XVIII secolo Già attestato nel 1634, anticipando di quasi un secolo la canonizzazione del sacerdote ceco, fu costruito nei pressi del ponte sull'Alpone probabilmente per chiedere protezione dalle alluvioni del torrente. Chiesa parrocchiale di Costalunga - XIX secolo È dedicata a S. Brizio. Nel presbiterio sono custodite due tele: il Martirio di santa Eurosia e l'Ultima Cena, tutte e due della metà del Settecento, di scuola vicentina. Chiesa parrocchiale di Brognoligo - XIX secolo Dedicata a S. Stefano, fu iniziata nel 1838 e ultimata nel 1841. Qui si trova un altare con ciborio e tempietto in stile barocco, mentre ai lati del presbiterio si notano due tele del Settecento: Adorazione dei pastori di Bartolomeo Cittadella (1636–1704) e Fuga in Egitto attribuita a Giovanni Antonio De Pieri (1671-1751). Chiesa parrocchiale di Monteforte - XIX secolo Dedicata a S. Maria Maggiore, fu eretta a partire dal 1805 su progetto dell'architetto veronese Bartolomeo Giuliari e terminata nel 1904 col completamento degli affreschi. Una vasta scalinata conduce ad un largo pronao, composto da 14 colonne corinzie alte 12 metri. L'interno presenta un'importante decorazione pittorica dovuta a Giovanni Bevilacqua (1871-1968). Notevoli sono alcune tele, come Gesù e la Samaritana al pozzo attribuita a Girolamo dai Libri (1474-1555), La tentazione di Cristo attribuita a Francesco Caroto (1480-1555), la Visitazione di Giovanni Caliari (dipinta nel 1838) e la Madonna col Bambino (sagrestia) della scuola di Giambettino Cignaroli. Il campanile della chiesa, costruito tra il 1894 e il 1897, è alto 79 metri ed è uno tra i più alti del Veneto; ospita 9 campane alla veronese in scala maggiore di Si. Oratorio del Sacro Cuore - XIX secolo Sorge sul muro di cinta della corte dei Nardello, voluto da don Luigi Nardello per celebrarvi la Santa Messa nei giorni di maltempo o di malattia. Chiesa sussidiaria di Sarmazza - XX secolo Dedicata all'Assunta, fu eretta tra il 1928 e il 1940, in sostituzione di un edificio sacro eretto sempre nel Novecento ma divenuto presto insufficiente a contenere i fedeli della frazione condivisa con Gambellara. La chiesa sorge a pochi metri dal confine comunale e provinciale. Grotta di Lourdes - XX secolo Si trova a Brognoligo ed è un'imitazione dell'originale realizzata da Fra' Claudio Granzotto. È stata terminata nel 1948 per adempiere ad un voto fatto dalla cittadinanza l'11 febbraio del 1944. Palazzo Vescovile - XV secolo Venne innalzato dal vescovo di Verona Ermolao Barbaro, su progetto di Michele da Caravaggio, tra il 1454 e il 1471, sul luogo di un precedente edificio gotico, del quale rimase solo una torre, al cui interno fu ricavata la cappella. Nel XVI secolo fu rimaneggiato e notevolmente abbellito dal vescovo Giberti. Di aspetto imponente e massiccio, racchiude al suo interno un elegante cortile a duplice loggiato tutto a colonne in marmo rosso con capitelli a grosse foglie negli angoli, che incorniciano un chiostro rinascimentale con al centro il pozzo. Un po' ovunque è riportato l'anello gentilizio dei Barbaro. Nella cappella si può ammirare la Natività di Maria, affresco del 1534 di Francesco Torbido. Palazzo Montanari - Durlo XV secolo La corte occupa un ampio spazio contornato da antichi edifici tra i quali la Colombara del Quattrocento, affiancata al palazzo. La facciata presenta finestre timpanate frutto del rifacimento settecentesco. All'interno dell'edificio è visibile la "Stua grande", ottocentesca, fatta realizzare dai Durlo, subentrati ai conti Montanari nel 1810. La stufa, di fattura trentina e con un ingegnoso sistema di condotti in cotto, riscaldava tutte le stanze. Nel piazzale è visibile l'antico pozzo dove fino alla metà del Novecento si attingeva l'acqua. Palazzo Comunale - XIX secolo Venne costruito durante la dominazione napoleonica tra il 1811-1813, su progetto di Bartolomeo Giuliari, quale sede del capoluogo del cantone VIII del dipartimento dell'Adige. Al suo interno si possono osservare alcune interessanti opere pittoriche: la Vergine Assunta e i santi Francesco e Domenico di Felice Brusasorzi (1539-1605) nella sala consiliare; Adorazione dei Magi di Giovanni Camozzoni (1591-1659) e la Madonna con Bambino attribuita a Pietro Rotari (1707-1762) nell'ufficio del sindaco. Il percorso circolare dei Dieci Capitelli è un percorso tra sentieri che si snodano tra le colline di produzione del vino Soave Classico. Il percorso, che è segnalato da frecce di tipo turistico, è lungo dieci chilometri. Dieci sono anche i capitelli che si trovano lungo il tragitto. Il punto di partenza e di arrivo è piazza Silvio Venturi, accanto alla chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore. Abitanti censiti Montefortiana (in occasione dell'antica Sagra di Sant'Antonio Abate). 1º fine settimana dopo il 17 gennaio. Manifestazione podistica nata nel 1976 a cui partecipano ogni anno oltre 20.000 sportivi provenienti da tutta Italia e dall'estero. La Montefortiana è considerata una delle manifestazioni podistiche più importanti perché apre la stagione delle competizioni podistiche a livello internazionale. sabato: Marcia per il sorriso dei Bimbi. A questa gara, che si svolge attorno all'abitato di Monteforte, partecipano gli studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado della provincia di Verona. Il ricavato della corsa è devoluto in beneficenza. sabato: Passi nel tempo. Marcia guidata non competitiva lungo un percorso di 10 km tra Monteforte e Soave, durante la quale si sosta in luoghi storici poco conosciuti e si visitano alcune caratteristiche cantine. domenica: Marcia di Sant'Antonio Abate. Gara non competitiva a cui partecipano circa 18.000 podisti provenienti da tutta Italia e da molti stati dell'Unione Europea. Il percorso della marcia, che si divide in quattro circuiti da 9, 14, 21 e 29 km, si snoda tra le colline del Soave. Durante il tragitto sono presenti numerosi ristori nei quali si possono degustare famosi piatti della gastronomia locale. domenica: Ecomaratona Clivus. Gara competitiva di 43 km, arricchita da un dislivello positivo di 2250 metri, tra le colline della Val d'Alpone, Val Tramigna e Val d'Illasi a cui partecipano circa 700 atleti. domenica: Ecorun Collis. Gara competitiva di 26 km con un dislivello di 900 metri a cui partecipano circa 500 atleti. domenica: Maratonina Falconeri. Gara competitiva di 21 km tra le colline del Soave a cui partecipano circa 1.000 atleti. domenica: Gran Premio Pedrollo Giovani Promesse. Corsa su strada per gli alunni della scuola secondaria di primo grado. domenica: Montefortiana Turà. È stata una delle gare internazionali di podismo più spettacolari e affascinanti della FIDAL di 10,065 km per i maschi e di 6,060 km per le femmine, che ha visto passare negli anni i più grandi atleti italiani e mondiali. Si è svolta per 34 anni nel centro storico di Monteforte. Sagraspin. Gennaio, lunedì dopo la sagra. Antica festa montefortiana, quasi scomparsa, che si festeggiava nelle famiglie con polenta e mortadèla (salsiccia). Carnevalon de l'Alpon. Febbraio o marzo (prima delle Ceneri). Venerdì sera: venerdì gnoccolaro con gara di gnocchi tra le otto contrade. Sabato sera: grande Sfilata notturna di carri allegorici e gruppi mascherati nel centro storico. Domenica: Carnevale dei Bambini a Brognoligo e Costalunga con sfilata di carri per bambini; Carnevale Arcobaleno con musica, giochi e sorprese per bambini. Lunedì sera: Luni Pignatàro, storica e divertente serata di cabaret con musicisti, comici, barzellettieri e cantanti. Martedì: Ultima grande Sfilata di carri allegorici e gruppi mascherati nel centro storico. Il Carnevale è una delle feste più importanti di Monteforte e ogni anno richiama migliaia di turisti da tutto il Veneto. Viene celebrato con sfilate, balli e scherzi per concludersi, tra una marea di folla, con la grande sfilata dei carri allegorici del martedì grasso, che ha fatto diventare questo appuntamento uno dei più importanti a livello regionale. La prima edizione del Carnevalon risale al 1949, quindi quella di Monteforte è una delle manifestazioni carnevalesche più antiche del veronese. Festa degli aquiloni. 25 aprile. Costruzione e lancio di aquiloni. Sagra di San Giuseppe. Inizio maggio a Costalunga. Stand gastronomici e musica. Divinus Bike Clivus. 3ª domenica di maggio. Corsa di mountain bike tra le colline del Soave che richiamava ogni anno circa 1700 biker. La gara era divisa in due percorsi: Marathon di 76 km (percorso del Vulcano) con 3000 metri di dislivello e Classic di 42 km (percorso delle Ciliegie). La Divinus Bike era considerata una delle manifestazioni di mountain bike più frequentate ed apprezzate d'Italia, sia per l'accoglienza riservata agli ospiti, nonché per la buona organizzazione e gli incantevoli paesaggi offerti dai percorsi. L'ultima gara si è svolta nel 2016. Festa del vino. 4º fine settimana di maggio. Sabato sera: spettacoli ed intrattenimento. Domenica: raduno macchine d'epoca, spettacoli, giochi di una volta e gara del vino tra le otto contrade. Erano presenti stand gastronomici e di degustazione di vino Soave e Recioto di Soave. L'ultima festa del vino si è svolta nel 2017. Festa delle ciliegie e del vin santo. Fine maggio, inizio giugno a Brognoligo. Concorso delle ciliegie e del Vin Santo, raduno auto d'epoca, sfilata dei contadinelli e delle contadinelle. Stand enogastronomici e musica. Artisti di strada. 3º sabato di giugno. Il centro storico del paese viene chiuso per dar modo a funamboli, maghi, giocolieri, ballerini e musicisti di esibirsi. Stand gastronomici. Arrogantemente birra. Fine luglio, inizio agosto. Degustazioni di varie birre artigianali del territorio assieme a street food e musica dal vivo nel parco comunale. Calici di stelle. 10 agosto. Spettacoli, gastronomia e degustazioni di vino Soave e Recioto di Soave nella notte di S. Lorenzo. Festa dell'uva. 2º fine settimana di settembre. Sabato sera: I Sapori delle Contrade (percorso enogastronomico curato dalle otto contrade), concorso della Taiadèla fatta con la Méscola (le donne delle varie contrade si sfidano per realizzare la miglior "taiadèla"). Domenica: sfilata dei contadinelli e delle contadinelle, storica e folcloristica Sfilata dei Carri delle Contrade, tradizionale Palio delle Contrade (gara di pigiatura a piedi scalzi nei tini tra le otto contrade), concorso "Le uve migliori del vino Soave", Luci e colori dal Campanile (spettacolo pirotecnico). Sono presenti stand gastronomici e di degustazione di vino Soave e Recioto di Soave. La prima edizione della sagra risale al 1931, è quindi una delle feste dell'uva più antiche del Veneto. Festa del torbolin. Sabato più vicino all'11 novembre (San Martino). Elezioni del Re del Torbolin, la storica maschera di Monteforte. Stand enogastronomici con vino torbolin e marroni biscottati, comizi elettorali (arringa degli avvocati dei candidati Re delle varie contrade) e musica con piazza riscaldata. Rubian. È la contrada più antica di Monteforte. La contrada, che si estende lungo i fianchi del colle di Sant'Antonio, conserva tutta la bellezza dell'architettura rurale spontanea: piccole corti, portali, alte muraglie di sasso e viottoli scavati nella roccia. Drio Piassa Praja Sero, su contradasero.it. URL consultato il 28 settembre 2012 (archiviato dall'url originale il 21 dicembre 2013). Madonnina Brognoligo (frazione) Costalunga (frazione) Sarmazza: frazione divisa tra il comune di Monteforte d'Alpone (provincia di Verona) e Gambellara (provincia di Vicenza). La coltivazione della vite, che si estende su oltre 1600 dei 2000 ettari circa del territorio comunale, è l'attività economica più importante di Monteforte. Infatti è il paese a più alta densità viticola d'Italia (oltre il 95 per cento della superficie agricola è coltivata a vigneto). Il disciplinare di produzione identifica in Monteforte due zone: quella pianeggiante di circa 800 ettari di vigneto per la produzione di vino Soave e quella collinare, detta storica, di altri 800 ettari circa per l'ottenimento dei vini Soave Classico, Soave Superiore Classico, Recioto di Soave Classico. La vocazione vitivinicola di Monteforte ha origini antichissime, favorita in questo da un clima mite e temperato, dalla natura vulcanica del terreno e dall'esposizione delle colline che, come dita, si allungano su quasi tutta la superficie del territorio comunale. Il comune fa parte dell'associazione città del vino. Inoltre, a Monteforte si produce anche del buon olio extra vergine di oliva e, quando è stagione, si possono trovare delle ottime ciliegie. Fra il 1928 e il 1956 il paese ospitò una stazione della tranvia San Bonifacio-San Giovanni Ilarione, la quale faceva parte di un insieme di tranvie elettriche che caratterizzarono la provincia veronese e rappresentò un importante strumento di crescita per la Val d'Alpone. Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monteforte d'Alpone Sito del Comune di Monteforte d'Alpone, su comune.montefortedalpone.vr.it.

Oratorio del Sacro Cuore

L'Oratorio del Sacro Cuore di Gesù è una chiesa sussidiaria in Monteforte d'Alpone; fa parte del vicariato dell'Est Veronese, precisamente dell'Unità Pastorale Soave - Monteforte. Il monterfortiano don Luigi Nardello esercitò il suo ministero esclusivamente nella parrocchia del suo paese. Dal 1845 al 1856 e nel 1872 fu il cappellano di Santa Maria Fossa Dragone e, in contemporanea, dopo la costruzione dell’Oratorio di San Luigi Gonzaga presso la parrocchiale di S. Maria Maggiore, avvenuta tra il 1843 e il 1855, ne divenne il direttore, incarico che ricoprì fino alla morte avvenuta nel 1891. Don Nardello, il 20 maggio 1876, informò tramite lettera l’arciprete don Lupicino Turco della costruzione di un Oratorio, pregandolo di domandare al Vescovo di Verona, il Cardinale Luigi di Canossa, l’autorizzazione a benedirlo e a celebrare la prima Santa Messa. Inoltre, chiedeva di potervi celebrare l’Eucarestia nei giorni in cui, a causa del maltempo o della malattia, non avrebbe potuto recarsi a Santa Maria Maggiore. Essendo un Oratorio privato, la celebrazione sarebbe avvenuta con la porta chiusa sulla pubblica via. La Curia diocesana, l’8 giugno, emanò il decreto con cui concesse l’autorizzazione e il 23 dello stesso mese don Turco benedì il nuovo luogo di culto. L’edificio sorge sul muro di cinta della corte dei Nardello e la facciata, in mattoni, presenta un portale in marmo, il tutto preceduto da una cancellata in ferro battuto. Sul fastigio della facciata è scolpito un cuore, a ricordare la dedicazione dell’edificio al Sacro Cuore di Gesù. Sotto l’architrave vi è l’iscrizione Gesù Giuseppe Maria vi dono il cuore e l’anima mia. L’interno presenta un altare con cornice elaborata con iscrizione (Praebe fili mi cor tuum mihi; Figlio mio offrimi il tuo cuore) che racchiude una pala della fine del XIX secolo con il ‘’Sacro Cuore di Gesù’’, opera attribuita al pittore veronese Luigi Marai che è stata ritoccata nella parte inferiore. Ai lati della pala due nicchie con statue in marmo raffiguranti San Giuseppe e l’ Addolorata. Gecchele Mario, Bruni Dario, De Marchi Irnerio (a cura di), Luoghi di culto in Val d'Alpone. Fra storia e arte, Lonigo, Associazione Culturale Le Ariele - Riccardo Contro Editore, 2022. Monteforte d'Alpone Parrocchie della diocesi di Verona Diocesi di Verona Regione ecclesiastica Triveneto